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Autore: The queen of darkness    30/06/2013    2 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La patologa era una ragazza giovane che era stata subito affascinata da Rossi e dal suo modo di fare. Certo, all’inizio si era mantenuta sul professionale con entrambi, ma alla fine era stato lui a condurre l’analisi, nonostante non fosse esperto di medicina.
Rivolgeva le domande giuste e pretendeva risposte precise, che non tardavano mai ad arrivare. Se Eva aveva qualche dubbio in merito a quello che era stato detto, lo esprimeva e si faceva dare dettagli tecnici, ma cercava di fare in fretta quando notava una punta di invidia femminile.
Certo, la dottoressa non era mai stata scortese, sbrigativa o poco qualificata, e ad un occhio meno attento sarebbe parsa anche esageratamente disponibile, ma l’agente aveva come l’impressione che quel suo zelo fosse rivolto a farsi ammirare da Rossi e ad uccidere ogni sentore di quello che provava contro Eva.
Alla fine, quando uscirono, ne sapevano poco più di prima, ma era stato utile ad entrambi. Durante il domanda-risposta che Rossi aveva incamerato con la patologa, infatti, Eva si era presa del tempo per esaminare in solitudine gli altri cadaveri, dopo aver ottenuto il permesso di poter sollevare le lenzuola per guardare meglio le ferite.
Si fece un’idea per quanto sommaria dell’arma del delitto, delle metodologie di adoperarla e dei luoghi in cui era possibile reperirla ma, non essendo un’esperta, non volle spingersi troppo oltre con ipotesi azzardate. Voleva andarci con i piedi di piombo, in modo da evitare lo sviamento dell’indagine in canali sbagliati.
L’uomo, mentre tornavano alla macchina, fece una breve telefonata ad Hotch, dove riuscì a riassumere efficacemente tutte le informazioni raccolte nell’obitorio in pochi minuti. Aveva una capacità di sintesi straordinaria, che gli permetteva l’estremo risparmio di tempo senza trascurare nessun dettaglio. Non lasciava trapelare né scetticismo né entusiasmo: lasciò al capo il compito di giudicare e farsi una propria opinione.
Chiuse in fretta la comunicazione e la guardò con un sorriso. –In centrale stanno arrivando i familiari della prima vittima.
-I signori Granger, se non sbaglio – rispose Eva, montando in auto. Era sicura che fosse l’informazione esatta: la sua memoria era infallibile.
Rossi annuì, mettendosi alla guida. La ragazza aveva confessato che le macchine troppo grandi la intimorivano, e che non era particolamente abile a domarle.
-Proprio loro – commentò l’uomo. Accese il quadrante e uscì dal parcheggio in un paio di manovre, immettendosi in strada, piuttosto trafficata. Hotch aveva commesso un’imprudenza lasciandoli partire all’ora di punta: era sì l’unico momento di pausa dell’obitorio in cui avrebbero potuto parlare liberamente, ma era anche un punto cruciale delle imprese commerciali della città, visto che ogni singolo lavoratore si trovava in macchina in quel preciso momento.
La conversazione languiva, ma non era un momento spiacevole. Eva si prese del tempo per ammirare il panorama, ma le insegne spente dei negozi le fornirono una breve distrazione.
-E così sei nata in Italia – osservò Rossi, con leggerezza. Era conscio del fatto che ci avrebbero messo più del previso per andare in ufficio, e stava cercando di tappare i buchi silenziosi.
La ragazza sorrise: -Esatto.
-Ah…mi manca così tanto. L’estate scorsa ci sono tornato per una vacanza, ma sono dovuto tornare a Washington immediatamente; il lavoro chiama sempre quando meno te lo aspetti.
Eva ci meditò un po’ sopra. –Dovete essere reperibili a qualsiasi ora?
-Dobbiamo – la corresse bonariamente, - ma se abbiamo altri impegni dovremmo solo fare i conti con la preoccupazione dei nostri colleghi.
La ragazza ridacchiò, mentre giungevano di fronte all’ennesimo semaforo rosso. –Mi sento un po’ un’intrusa a piombare in questa famiglia all’improvviso -, ammise.
Rossi, sorpreso, la guardò, cercando di riparare al suo tono nostalgico. –Oh, non devi! Sei una ragazza in gamba: sono sicuro che ti ambienterai in fretta.
-Lo spero, ma…quello che credo è di non avere la qualificazione necessaria – disse, alzando piano le spalle. –Contro i serial killer una laurea in medicina può fare ben poco.
-Non si è mai abbastanza qualificati per questo lavoro – confidò Rossi, gentilmente, - è solo una questione di farsi le ossa. E poi non disperare, è pur sempre meglio di niente, no? Anche i dottori possono fare grandi cose nella battaglia contro il crimine.
-Ah, lo spero. Chiamatemi se avete un S.I con l’ulcera – osservò ironicamente.
L’uomo rise, rimettendo in marcia. Guidava con una calma innata, come se non fosse nel suo stile agitarsi per un po’ di auto di troppo. Scivolava fra gli altri guidatori senza fare un torto a nessuno, e sembrava quasi prendersi gioco di chi prendeva la strada troppo seriamente. Ci si rilassava solo a guardarlo.
-Che ne pensi di Reid? – chiese a bruciapelo, ad un tratto, rischiando di farle fare un infarto.
-C…cosa? – balbettò lei.
Lui alzò le spalle. –Beh…mi è sembrato quello con cui hai familiarizzato di meno. Insomma, è un bravissimo ragazzo, ma è un disastro con le donne.
-Non abbiamo avuto modo di parlare molto – disse Eva, sperando che abboccasse, -in fondo sono qui solo da ieri.
-Lo immagino – commentò il collega. –Siamo dovuti partire subito. Se ci fosse stato il tempo, ti avremmo fatto fare un giro panoramico come si deve.
La ragazza rise. –Quando torneremo mi farò guidare volentieri.
L’uomo stette allo scherzo, inciampando nell’ennesimo semaforo rosso. –Non si può immaginare un posto più paradisiaco; noi siamo i più fortunati, perché il frigo nel cucinino funziona, anche se solo nell’ora di andare a casa, e la moquette è stata cambiata solo dieci anni fa.
-È comunque meglio del mio appartamento – commentò lei, divertita. –C’è una determinata fascia di tempo in cui manca del tutto la corrente.
Rossi alzò le sopracciglia, come per dire “che disastro!”. –Ti sei trasferita da molto?
Scosse la testa. –No. sono venuta qui una settimana prima del colloquio con l’agente Hotchner.
-Santo cielo! – esclamò Rossi, - quindi sei fresca fresca di trasloco!
-Sì…non è stato così impegnativo, avevo poche cose da portare con me.
-Credo sia saggio – riflettè il profiler, - attaccandosi troppo agli oggetti, si rischia di diventarne schiavi.
Eva non replicò, pensando a quella frase. Era vero; con i disastri che l’avevano portata a separarsi da tutto, nella sua vita, sarebbe stato un disastro dover fare i conti anche con una collezione o qualcosa di ingombrante da portar via. Certo, forse sarebbe stato quasi più umano avere delle passioni solide da ammirare ogni tanto, ma le bastavano quei pochi libri e qualche vestito che possedeva attualmente. Forse, una volta messo radici, le sarebbe sembrato più naturale dedicarsi a qualche hobby materiale.
Il telefono squillò ancora, e stavolta l’agente mise in vivavoce. –Sì?
-Sono Emily – rispose una voce metallica. –Hotch aveva ragione.
-A che proposito? – chiese Rossi.
-Sulla scena del crimine. È anomala: vicino al cadavere c’è l’angolo abitato da un senza-tetto, mentre l’angolazione della testa è diretta verso la strada, ben visibile. Gli altri corpi sono nascosti, uno è stato gettato in un cassonetto. Perché?
-Non ne ho idea – disse l’uomo, pensieroso. –Forse aveva un collegamento particolare con quel posto.
-O forse qualcuno l’ha visto – azzardò Emily. –Uccidere una persona qui non è una cosa facile da fare, senza testimoni. Evidentemente dopo ha preferito non rischiare più, e si è fatto meno esibizionista.
L’agente ci pensò un po’ su. Svoltò a destra, imboccando un’altra via trafficata, e si mise pazientemente in fila.
-Tutto è possibile. Comunque, noi siamo appena stati all’obitorio: a quanto pare, le ferite sono state inferte con un comune coltello da cucina, e lo strangolamento è avvenuto con un altrettanto comune fil di ferro, preso direttamente dal posto.
-Fantastico – commentò la donna, scarcasticamente. –Nulla che faccia restringere il campo.
-Per quanto sia strano che un uomo maneggi coltelli da cucina, devo darti ragione – ammise Rossi. –Per scrupolo chiederò a Garcia di controllare chi ha comprato coltelli da cucina dalla lama spessa negli ultimi mesi, ma dubito che ne verrà fuori qualcosa.
Fu Eva ad intervenire, questa volta. –E se li vendesse? – chiese.
Emily, in sottofondo, stava rimuginando. –Venderli, dici? – domandò.
La ragazza assentì. –Sì. È strano che un sadico sessuale usi un’arma del genere, perché la penetrazione con i tessuti umani è difficile, se il filo è grezzo. Quindi può darsi che sia qualcosa che aveva a portata di mano la prima volta, un attrezzo semplice che gli avrebbe consentito di rimanere anonimo.
-Mi sembra plausibile – confermò la donna. –E tu, Rossi, che ne pensi?
-Se fosse così, forse il negozio si trova nella zona sicura. Se è un supermercato, può darsi che venda giornali, per tenersi aggiornato sulle indagini, oppure profilattici. Dev’essere così che incontra le vittime.
-Oppure è il fornitore degli alberghi che gesticono il giro – ipotizzò Eva. –Magari è da lui che comprano generi alimentari, o quello che vende.
-Può essere – confermò Emily. –La cosa si fa interessante. Inoltre, il lavoro anonimo che fa potrebbe essere causa della sua frustrazione. Una “castrazione sociale”.
-L’individuo che cerchiamo è un megalomane – confermò Rossi. –Facile che sia il proprietario. Chiederò a Garcia di fare un controllo: piccoli proprietari di negozi con precdenti penali che vendano coltelli da cucina con prezzi alti e insegne luminose.
-Guardando il posto non sarà facile. È pieno, qui – constatò Emily, delusa.
Rossi alzò le spalle. –Vedremo cosa ne viene fuori. Derek?
La donna parve risquotersi. –Oh, è qui con me. Sta parlando con Laure Dawson, è appena arrivata. Pare che ci sia una via secondaria per accedere al vicolo senza essere visti. Probabilmente l’ha usata anche l’S.I.
-Bene. Mi raccomando, fateci sapere. Noi stiamo tornando in centrale.
-Certo. A dopo – disse. Poi chiuse la comunicazione.
L’agente Rossi la guardò con un sorriso compiaciuto in volto, come se fosse fiero di lei. –Complimenti per prima. Non mi sarebbe mai venuto in mente.
Eva arrossì un po’, per quanto si sforzasse di mantenere un colorito normale. Erano anni che nessuno le faceva un complimento, né un apprezzamento gentile. Quell’uomo  era sì un abile latin lover, ma anche onesto quando si trattava di dare meriti. Quindi, ricevere un apprezzamento da lui voleva dire esserselo meritato, e la cosa la esaltava e impauriva al tempo stesso.
-Grazie. Come dire, è il mio lavoro.
L’uomo sorrise. –Oh, vedo che la frase di rito ha dato sin da subito i propri effetti!
-La dite spesso? – chiese Eva.
Finalmente, arrivarono davanti al parcheggio della centrale, dove alcune macchine della polizia erano fermate davanti all’ingresso. Un ragazzo in manette, tatuato dalla testa ai piedi, stava vendendo portato all’interno.
-Ogni volta che qualcuno parla della nostra bravura – disse Rossi. Spense il motore e scese dall’auto, chiudendo lo sportello.
La ragazza lo seguì dentro all’edificio, dove incontrarono lo sceriffo, all’ingresso. Teneva in mano un paio di fogli dall’aria ufficiale e li stava scrutando, torvo.
-Buongiorno, sceriffo – salutarono.
-Ah, buongiorno- disse, distrattamente. –Ho qui l’esame tossicologico delle vittime. L’avevate richiesto, giusto?
Rossi, con un cenno, incoraggiò Eva a parlare. Lui rimase fermo immobile anche quando l’altro porse loro i documenti, così toccò alla ragazza prenderli; era un test, sicuramente: forse pensava che una ragazza gentile l’avrebbe reso meno scontroso nei loro confronti, ma Eva aveva seri dubbi in proposito.
-Certo, la ringrazio. Le hanno riferito nulla? – domandò, cortesemente.
-No, li ho solo sfogliati. Le ragazze sono state stordite con una comune droga da stupro, in minime dosi. Sulla seconda è stato impossibile capirne di più a causa di una forte dipendenza da acidi.
-Lei crede che sia stata ugualmente drogata? – gli si rivolse con garbo, e un leggero sorriso. Sapeva come doveva apparire: la ragazza per bene, che domanda con sincero interesse e rende partecipe chiunque sia qualificato alle indagini come per dare importanza al singolo individuo.
Solo che lo sceriffo ci cascò in pieno: sembrò rilassarsi vedendo di essere stato preso in conderazione.
-Sì – borbottò. –Credo che l’abbia fatto con tutte.
-Grazie mille. Quando vuole, la aggiorneremo sulle ultime teorie. Arrivederci.
Detto questo, girò sui tacchi e si incamminò a passo sicuro verso il luogo dove avevano adibito il loro quartier generale. Sapeva benissimo dove stava guardando lo sceriffo in quel preciso istante: i suoi fianchi si muovevano con il dolce ritmo del suo passo marziale, e grazie ai tacchi il fondoschiena appariva teso sotto alla gonna scura come se fosse appena uscita da una palestra.
Questa cosa le mise lo stomaco in subbuglio, ma si costrinse a rimanere salda nel proposito di superare il test. Solo quando arrivò davanti alle porte a vetri, potè notare lo sguardo soddisfatto di Rossi che le sorrideva paternamente. Eva cercò di mascherare quanto questa prova l’avesse scossa e di come odiasse esporsi a quel modo, ma d’altra parte non era colpa dell’uomo: era stata lei che aveva disperatamente chiesto a Hotch di non dire nulla, e lui era stato di parola. Tutto qui.
Reid, dall’altra parte delle porte, li stava osservando. Aveva visto tutta la scena, e a lui non era affatto sfuggita l’espressione disgustata della ragazza. Una morsa lo attanagliò all’altezza delle viscere, ma non proferì parola: sapeva benissimo che ad Eva poteva dare fastidio una sua intromissione, e le aveva promesso di non intervenire. Le mancava così tanto…
-Ci sono novità – esordì Rossi, entrando.
-Anche noi ne abbiamo – rispose JJ, posando il cellulare sul tavolo. –Al posto di blocco nord della città è stato fermato un sospetto con corde, fil di ferro e un passaporto fasullo.
L’agente alzò un sopracciglio: - È il nostro uomo?
La donna si fece seria. –Aveva una prostituta minorenne seduta sul sedile del passeggero. Incinta. E con una pistola puntata alla testa.    
  
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