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Autore: ethelincabbages    30/06/2013    10 recensioni
I tentativi di Hermione nel definire il suo rapporto con Harry. E purtroppo questa volta non c'è nessun libro da consultare sull'argomento.
È una vita intera che cerco di capire, tredici anni per la precisione, tredici anni, sei mesi, e quattro giorni da quando Rita Skeeter pubblicò il suo articolo sui problemi di cuore del Ragazzo Sopravvissuto, tredici anni da quando per la prima volta mi si pose il dubbio nel cuore: e se fosse vero quello che vedono gli altri?
One-shot | Introspettivo, Commedia, Fluff | Harry/Hermione |
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Titolo della fanfiction: Definizioni
Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger
Generi: Commedia, Introspettivo, Fuff
Rating: Verde
Capitoli: 1 – One Shot
Beta-reader: BeaPotion
Note personali: Grazie mille a Bea, che c'è sempre quando chiamo e a Lights, che mi ha fermato la prima volta e mi ha dato modo di rivedere questa storia.
Credits: Personaggi e ambientazione appartengono a J.K.Rowling, Warner Bros e chiunque altro ne detenga i diritti.

 


Definizioni

Il loro nome è un seguito e si scrive soltanto preceduto dalla congiunzione «e»; l’esistenza non appartiene ad essi ma è il lato opposto di un’altra esistenza non loro.

Victor Hugo – I Miserabili

Definizioni. Il mondo combatte ogni giorno per trovare le sue definizioni, i suoi schemi, le sue etichette sempre nuove; per fortuna almeno, hanno il buon senso di cambiarle. Alla gente piace parlare, piace rimettere tutto nei suoi scatoloni: abiti per i poveri, libri di zio Thomas, amici, amanti, semplici conoscenti. È il cervello umano che funziona così, per riconoscere le cose c’è bisogno di accostarle le une alle altre secondo categorizzazioni. Non c’è niente che possiamo fare a riguardo, sentiremo sempre il bisogno di categorizzare e schematizzare e cercare di capire.

È una vita intera che cerco di capire, tredici anni per la precisione, tredici anni, sei mesi, e quattro giorni da quando Rita Skeeter pubblicò il suo articolo sui problemi di cuore del Ragazzo Sopravvissuto, tredici anni da quando per la prima volta mi si pose il dubbio nel cuore: e se fosse vero quello che vedono gli altri?

Ma il mio cuore, a quel tempo, batteva di altri ritmi. Aritmie, in verità: qualche volta erano occhi scuri e accento straniero, altre, invece, mani appiccicose, attenzioni impacciate e urla. Molto più spesso urla. Bisticci, confusione, capricci di un’età che non sa accettare compromessi.

Sono sempre stata più portata per risolvere gli intrighi, fondare associazioni segrete, o combattere i maghi oscuri, che per le questioni d’amore. La verità è che per certe cose la logica non serve a granché. Stai lì, un giorno combatti contro due o tre Mangiamorte in giro per l’Ufficio Misteri del Ministero della Magia, l’altro ti ritrovi ad arrossire e a balbettare alla presenza di uno dei due tuoi migliori amici. Le mani sudano, le labbra seccano, le parole scappano e non sai davvero più cosa fare, ma il cuore batte forte, forte, forte. Hai sedici anni, è l’amore, dicono. È l’amore che ti fa sbagliare, ti fa piangere, ti fa tremare, e poi no, no, no, è bello, anzi bellissimo, ti fa ballare, in alto, sempre più alto, insieme, per una volta, senza inciampare e ti fa ridere, ti fa tanto ridere. E poi di nuovo sbagli, e di nuovo piangi, e di nuovo tremi, e di nuovo soffri. Hai diciotto anni, è l’amore, fa schifo.

No, questa volta non ho letto tutto sull’argomento. Sarebbe impossibile e anche alquanto inutile. Credevo fosse amore, quello per cui combattere, quello per cui valeva la pena piangere, quello che i romanzi descrivono così bene fino al bacio finale. Poi ho capito perché non continuano mai dopo il bacio.

E vissero per sempre felici e contenti. Con i calzini sporchi e le paturnie notturne, con l’attitudine al comando e l’attitudine al far niente, con le manie di perfezione e le insicurezze croniche, con il tubetto del dentifricio aperto sul lavello e le cene saltate per il troppo lavoro, con le famiglie ingombranti e quelle assenti. Per sempre è un pacchetto completo, è giorno dopo giorno, ora dopo ora, litigio dopo rappacificamento, sostegno dopo paura, abbraccio dopo silenzio, un passetto alla volta, uno accanto all’altra. Per sempre è esserci, prima di tutto. Esserci, nel bene e nel male. A fronteggiare le sconfitte e a festeggiare le vittorie, ad accettare i difetti e a contestare gli errori.

Per sempre nella lingua di Hermione Granger si scrive Harry Potter.” Mia madre ha sempre avuto uno strano modo di utilizzare le frasi ad effetto. Ritornavo a casa, nella mia stanzetta di bambina, con scatoloni pieni di battaglie magiche e una relazione naufragata e mia madre tentava di decifrare una vita di scelte sbagliate con una sola spiegazione plausibile. Un altro tentativo di dare una raison d’être a quella piuma di ippogrifo conservata con cura – il nostro ippogrifo. Bisogna riconoscere che tra tutte le gelosie di Ron e Cho, le congetture della stampa, le supposizioni dei nostri compagni di Hogwarts, le idee bizzarre delle fan girl di Harry (la cui fantasia non riesco tuttora a spiegarmi né a frenare), la spiegazione di mia madre è quella che più di tutte assume i contorni di una verità.

Ricordo, una volta, provai a chiederlo a Harry. Teddy era ancora una piccola peste colorata, lo avevamo appena riportato dalla nonna dopo una lunga giornata di shopping a Diagon Alley. Il cielo su Caledonian Road iniziava a macchiarsi di toni più scuri e riflessi rossicci. Passeggiavamo verso Grimmauld Place, mignolo nel mignolo. Era uno di quei momenti in cui avevo bisogno di sentire la sua presenza fisica accanto, viveva ancora in me la paura di rivederlo con gli occhi chiusi e il corpo fermo tra le braccia di Hagrid. Avevo bisogno di sentire che ci fosse, anche solo con un mignolino stretto nell’altro.

“Mi piace passeggiare in città senza fretta,” disse, “potremmo farlo più spesso.” Fermò la passeggiata, si rivolse verso di me e sorrise, di un sorriso aperto e bambino. Con gli occhi chiari, chiari. E pensai, per la prima volta, che quel sorriso avrei potuto amarlo. Amarlo come voleva Rita Sketeer, come pensava Ron, come credeva mia madre. “Un gatto ti ha morso la lingua, Hermione?”

“Harry, ma cosa siamo io e te?” Esageratamente schietta, è uno dei difetti che cerco di domare da anni.

Mi aspettavo richieste di chiarimenti ma non arrivarono. Ci pensò un attimo, perplesso, poi mi spiegò, come fosse la cosa più semplice del mondo: “Siamo Harry e Hermione.”

Ricordo, saltai all’impulso di stingerlo forte a me. Perché era così semplice, così banale, così noi. Come i nostri abbracci.

Siamo Harry e Hermione. Siamo una piuma incastrata nei riccioli e una piccola mano che cerca di toglierla con delicatezza, siamo dei passi freschi nella neve in un cimitero notturno, siamo due mani strette in un’Apparizione Congiunta, siamo un sandwich al tonno dopo una mattinata storta, siamo un cartone animato della Pixar a notte fonda dopo un brutto incubo, siamo la prepotente e il paranoico, siamo due bambini soli che si sono trovati nella sabbia del parco giochi a cui piace giocare insieme.

Siamo il lato opposto di un’esistenza che non appartiene a noi stessi, ma all’altro. Siamo do e sol, tonica  e dominante, l’uno la definizione dell’altra.

 
   
 
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