Lechatvert
Oggi
userò le picche. Ciao, picche
♠
Mancano
due capitoli, due! ♠
Sono
troppo contenta
Non ho molto da dire; aspettavo di scrivere questo capitolo da
tantissimo tempodnmidjwqodjw!
Come sempre, buona lettura a tutti, in particolare a chi ha recensito e recensirà <3 Grazie, ragazza/e/i/o/u!
Vivogliobenissimissimo ♠
Capitolo
Nono
La Biblioteca Nascosta
Il giorno seguente, Bianca spese l’intera mattinata china
sullo scrittoio a scrivere un’ulteriore lettera a suo marito
nella quale, stavolta con maggiore premura, dava più
informazioni circa il suo fittizio stato di salute, circa la cortesia
delle sorelle, circa la bellezza del convento del quale era ospite. Si
sorprese inaspettatamente brava nel mentire, almeno per via epistolare,
cosa che la fece rimanere preda dei sensi di colpa e che, durante il
pranzo, la costrinse a giocherellare con il cibo in un tombale silenzio.
Il Conte, dal canto suo, non si era mimicamente interessato
dell’improvviso ammutolire della sua ospite, portando avanti
il pasto con moderato appetito, senza cercare in alcun modo di aprire
una discussione.
Le aveva semplicemente augurato il buongiorno e, raccomandandosi di
passare un pomeriggio all’insegna della
tranquillità e soprattutto senza farsi problemi a rivolgersi
alla servitù, si era ritirato nei suoi uffici, chiudendosi
la porta alle spalle e cessando di dare ogni segno di vita.
Bianca era quindi rimasta sola, persa in quel labirinto di stanze e
corridoi che era il suo appartamento, in compagnia di un pennino e
dell’ultimo foglio di carta rimastole.
Aveva addosso una gran tristezza, ma, per qualche strana ragione, le
era passata la voglia di piangere. Sapeva che una vera signora non si
mostrava debole in pubblico, e soprattutto non voleva in alcun modo
disturbare il Conte, fin troppo timorosa di quella che sarebbe stata la
sua reazione.
Così, si era costretta a restarsene chiusa nella sua stanza
da letto, pancia all’aria sul materasso, cercando di far
passare il tempo immaginando il suo ritorno da Ezio.
Sicuramente lui l’avrebbe accolta a braccia aperte,
stringendola a sé come era solito fare quando, per un motivo
o per l’altro, non potevano vedersi per più di un
giorno. Poi l’avrebbe condotta nella biblioteca di Palazzo
Rangoni, facendola accomodare su una delle poltrone della sala e,
sedendosi accanto a lei, le avrebbe letto una storia da uno dei suoi
libri. Lei si sarebbe addormentata lì, cullata dal suono
magico delle parole messe in fila a creare un racconto, seguendo il
flusso delle gesta di qualche lontano eroe in cerca d’amore.
Aprì gli occhi, fissando il soffitto decorato con lievi
tinte ocra.
Aveva una gran voglia di leggere.
Che a Palazzo Orsini vi fosse una biblioteca grande come quella di
Ezio? Sperò tanto di sì.
Si alzò, curiosa, aprendo la porta della sua stanza. Il
corridoio davanti a lei era deserto, le voci della servitù
lontane, concentrate al piano di sotto.
Per lei, quello fu più che un invito.
Si fiondò su per le scale che la sera prima aveva percorso
seguendo la musica, precipitandosi alla prima porta che
incontrò dinanzi a sé quando si trovò
al piano superiore.
Appoggiò la mano alla maniglia, traendo un profondo respiro.
Nonostante il Conte Riario si fosse raccomandato di non farsi mancare
nulla, sapeva che il suo curiosare per Palazzo Orsini non era
né consono né tantomeno giustificabile.
Si guardò ancora attorno, facendosi circospetta.
Nessuno in avvicinamento.
Stando attenta a non fare rumore, abbassò la maniglia e
sbirciò all’interno della stanza.
Vuota. Vi era soltanto un vecchio clavicembalo, addossato alla parete
opposta all’entrata.
Bianca sospirò.
Aveva appena commesso un’irrimediabile mancanza di rispetto.
Affranta, richiuse la porta alle sue spalle e tornò sul
corridoio, pensierosa. Doveva poteva essere nascosta, una biblioteca?
Adocchiò una seconda porta, e stavolta i sensi di colpa
furono immensamente minori, quando si scoprì ad aprirla.
Si ritrovò davanti ad un armadio a muro, riempito di vecchie
vesti e mantelli scoloriti dal tempo. Non appena l’odore di
chiuso la raggiunse, la ragazza chiuse anche quella porta, arricciando
il naso.
Quando aprì la terza, un altro mondo le si aprì
dinanzi. Vi era un ulteriore appartamento, completamente vuoto, della
cui esistenza non aveva minimamente idea. Un’intera serie di
stanze e sale vuote, librerie impolverate, letti e materassi sporchi.
Della biblioteca, però, neanche l’ombra.
Tornò sui suoi passi, scegliendo un ulteriore uscio al quale
affacciarsi.
Capitò così in un’ampia stanza, ben
illuminata dalla luce che entrava dalle finestre, circondata da
librerie su cui erano stati impilati decine e decine di volumi. Al
centro dello spazio vi erano due poltrone, entrambe rivolte verso il
caminetto spento e servite di un tavolino di marmo. Accanto a una delle
librerie, vi era persino un cesto colmo di carte geografiche finemente
arrotolate e catalogate con un cartellino.
Estasiata, Bianca si avvicinò a una serie di volumi,
osservandone i titoli. Erano quasi tutti trattati scientifici, alcuni
promettevano di narrare degli astri, altri della vita. Altri ancora
parlavano d’arte, alcuni di letteratura, ve ne erano persino
alcuni dedicati allo studio della botanica.
Non riuscì a trattenere la mano, che andò dritta
ad accarezzare il dorso di uno dei volumi.
Stava per prenderlo in mano, quando un colpo di tosse la fece
sobbalzare.
Spaventata, si voltò.
Proprio accanto a lei, sulla destra, vi era un particolare che doveva
esserle sfuggito. Una scrivania in legno, anche abbastanza ingombrante,
sulla quale erano sparse numerose lettere. Alla scrivania era seduto il
Conte Riario, intento a fissarla, stranito, con ancora un documento tra
le mani.
Per un istante, Bianca temette di sentire le gambe cedere.
« Co … Conte », balbettò,
affrettandosi a staccare le dita dai libri. « Io, io credevo
di aver trovato la biblioteca! »
L’uomo la osservò in silenzio per qualche secondo,
lasciandosi scappare un sospiro.
« È la seconda volta, da quando siete arrivata,
che fate irruzione nelle mie stanze », fece notare.
« Devo dedurne che l’educazione non vi sia stata
insegnata poi tanto bene, a Forlì ».
Detto questo, si chinò nuovamente sul suo lavoro,
scribacchiando qualcosa su un foglio.
Bianca sbatté le palpebre, sorpresa da tanta indifferenza.
« Le mie scuse », farfugliò,
stringendosi nelle spalle. « Cercavo soltanto qualcosa da
leggere ».
Riario non staccò gli occhi dalla scrivania.
« Troverete qualcosa di più consono alla vostra
persona nella biblioteca », rispose, muovendo la mano destra
verso l’uscita. « Ora, andate. Ho del lavoro da
fare ».
Seppur sorpresa, la ragazza si sforzò di fare un inchino e
lasciò l’ufficio in silenzio. Non si aspettava un
simile trattamento, non dopo la maniera in cui Riario l’aveva
trattata per portarla fino a Roma.
Sospirando, si ritrovò a percorrere di nuovo il corridoio,
ormai vicina alle scale. Ne osservò i gradini, bianchi e
lucidi, salire verso l’alto, e, quasi senza rendersene conto,
cominciò a percorrerli, sempre più in fretta,
fino a quando non si trovò alla fine, all’ultimo
piano di Palazzo Orsini.
Un lungo e buio corridoio le si apriva davanti, illuminato appena dalla
luce del pomeriggio.
Deglutendo, Bianca si decise a muovere un passo verso il vuoto.
Aveva trovato un armadio, degli appartamenti vuoti, un vecchio
strumento a corda. Ciò che l’attendeva
lì non poteva poi essere tanto diverso.
Ascoltando le assi del pavimento scricchiolare sotto i suoi passi
leggeri, si avvicinò rapidamente all’ultima porta,
quella in fondo al corridoio, appoggiando la mano sulla maniglia gelida.
Non ci pensò due volte.
Dall’altra parte di quel muro di legno, trovò una
sala enorme, decorata su ogni sua parete con motivi d’oro e
d’argento, resa elegante dalle ampie finestre che davano sul
giardino e da un maestoso caminetto di marmo.
Bianca ne rimase incantata.
Ne osservò ogni dettaglio, correndo dal caminetto alle
finestre, spostando le tende e spolverando i piccoli specchi che vi
erano sulle pareti accanto ai portalumi.
Si trovava in una sala da ballo.
Pensierosa, si chiese chi avrebbe fatto costruire una sala da ballo
come quella nei meandri di Palazzo Orsini.
Poi la notò.
Una piccola porta di legno, discretamente disposta sul lato opposto
delle finestre, rimasta socchiusa per chissà quanto tempo,
quasi aspettasse Bianca per invitarla al suo interno.
Per la ragazza non fu che l’ennesimo invito.
Vi si avvicinò piano, cauta, spingendone piano la superficie
ruvida per sbirciare all’interno della sala.
Quando fu abbastanza vicina da entrare con la testa, un intenso profumo
di carta l’avvolse.
Lei sorrise.
Si sentiva a casa.
Riario
entrò nella biblioteca che era ormai sera. Avvertiva su di
sé un lieve senso di stanchezza, sicuramente dato
dall’enorme carico di lavoro di quel pomeriggio, ma, allo
stesso tempo, anche una piacevole di sensazione di libertà.
Non vedeva l’ora di mettersi a letto, ma prima voleva
assicurarsi che Bianca Ordelaffi non stesse combinando qualcosa, non
stesse, insomma, escogitando un qualche piano di fuga.
Teneva alla sua libertà quasi quanto alla sua prigionia e il
solo fatto di non averla avuta sotto controllo per tutto il pomeriggio
gli aveva causato un senso di languore, di insoddisfazione, che non
aveva alcuna voglia di portarsi tra le lenzuola.
Raggiunse quindi la ragazza in biblioteca con poca o nulla voglia di
discorrere, accompagnato soltanto dalla fiamma di una candela.
La trovò intenta a leggere su una poltrona, schiena dritta,
sguardo immerso nelle pagine. Accanto a lei, vi era una pila di libri
quasi più alta delle librerie.
Lui la guardò, accigliandosi.
« Non trovate esagerato, rinchiudersi qui per tutto il
giorno? », chiese, avvicinandosi.
Bianca gli rivolse uno sguardo stupito. Stavolta, nei suoi occhi non vi
era paura, soltanto sorpresa.
« Le mie scuse, Conte Riario », rispose lei,
accennando a un sorriso. « Ma restare nei miei appartamenti
mi annoiava terribilmente. Inoltre, avete decine e decine di letture
interessanti, qui ».
Lui alzò appena le spalle.
« Non vi siete nemmeno presentata a cena ».
Bianca si imbronciò un poco.
« Le mie scuse », mormorò. «
Ero talmente assorta nella lettura … »
Riario non la lasciò finire, accomodandosi sulla poltrona al
suo fianco e posando la candela sul tavolino.
« Quanti libri avete letto? »
Bianca arrossì.
« Tredici ».
« Tredici? E non siete stanca? »
Lei scosse il capo, chiudendo il volume che aveva in grembo dopo aver
infilato un foglio piegato tra le pagine.
« Assai di rado mi capita di poter passare così
tanto tempo in una biblioteca. Quando posso permettermelo, cerco di
approfittarne ».
Riario annuì, sinceramente interessato. Un tempo aveva amato
passare le nottate sveglio a studiare, ma erano passati anni da quando
gli era permesso farlo, ora era talmente indaffarato che era obbligato
a cogliere quegli unici momenti di stacco come la notte come
un’occasione per riposare e rimettersi in forze.
« Condivido il vostro punto di vista », disse,
quindi, mentre il suo sguardo vagava veloce tra gli scaffali.
« Tuttavia, mia cara, ora vi suggerirei di andare a riposare.
Il Santo Padre ha chiesto di voi. Sarà mia premura portarvi
da lui, domani, così che possa conoscervi ».
Con uno sguardo, Bianca perse quel poco di colorito che aveva sulle
guance.
Guardò Riario in viso, schiudendo appena le labbra con fare
impensierito.
L’uomo si accigliò, spostando lo sguardo su di lei.
« Qualcosa non va? », chiese.
La ragazza respirò a fondo, sporgendosi appena in avanti.
« Conte », chiamò, scuotendo il capo.
« Io non credo di essere pronta a incontrare il Santo Padre
».
Riario assottigliò lo sguardo, scrutandola con minuzia. Le
si leggeva la paura negli occhi.
« Vi prego, lasciatemi qui, domani. Vi sarei soltanto
d’intralcio, a Roma ».
La fissò, ancora, mentre ella abbandonava il suo libro per
aggrapparsi con le dita sottili al bracciolo della poltrona.
In un istante le fu addosso.
Il volume cadde a terra con un tonfo sordo, mentre le dita del conte si
facevano attorno all’esile collo della ragazza, che lo
guardava atterrita, affondando nello schienale sotto la sua presa
ferrea.
« Fareste bene a tenere a mente quali sono i vostri doveri,
qui », sibilò lui, avvicinandosi
all’orecchio della fanciulla. « Madonna Ordelaffi,
non siete altro che un chicco di grano per il Santo Padre »,
le sussurrò, guardando nel vuoto. « Se fossi in
voi, non cercherei di sfidare oltre la sua pazienza ».
Le lasciò il collo, scostandosi appena per permetterle di
alzarsi.
« Andate », la esortò. «
Domani non possiamo fare tardi ».
Silenziosa, Bianca si drizzò in piedi, portandosi una mano
al collo e affrettandosi a lasciare la biblioteca.
Gli rivolse un’occhiata impaurita, prima di sparire
nell’oscurità del corridoio.
Pensieroso, Riario prese il posto della ragazza sulla poltrona.
Si guardò attorno per un istante, esaminando i titoli scelti
da Bianca. Si trattava per la maggior parte di romanzi, canti e lodi
cavalleresche.
Silenzioso, raccolse anche il libro caduto sul pavimento. Una copia
vecchia e logora del Decamerone, di cui avrebbe fatto bene a liberarsi.
La aprì, osservando il singolare segnalibro della ragazza.
Un ritratto del suo volto abbozzato di fretta su un pezzo di carta
stropicciata, a cui era però stato aggiunto del colore per
rendere i capelli di quella figura del tutto simili a quelli della sua
parte reale. Anche il volto del disegno, era macchiato di rosso.
Riario sorrise, passandosi la lingua sulle labbra secche.
Quella macchia dalla curiosa tonalità, assomigliava del
tutto e per tutto a quella che spiccava sul volto di Bianca il giorno
in cui era precipitata dalla collina.