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Autore: Lechatvert    01/07/2013    3 recensioni
[ ... ] Si ritrovò ad accarezzare quella figura dipinta, pensando che, forse, non si era mai reso veramente conto di quanto quel viso fosse armonioso, di quanto quel sorriso fosse luminoso ed esattamente ingenuo come lo era stato in gioventù.
Quella smorfia felice che affiorava sulle sue labbra, scatenata anche da una sola parola, aveva passato più guerre di un condottiero.

| In qualche modo, Girolamo Riario x OC |
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Girolamo Riario, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Per questo, più o meno, la chiamavano Papavero.'
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Lechatvert
Oggi userò le picche. Ciao, picche

Mancano due capitoli, due! ♠ 
Sono troppo contenta
Non ho molto da dire; aspettavo di scrivere questo capitolo da tantissimo tempodnmidjwqodjw!

Come sempre, buona lettura a tutti, in particolare a chi ha recensito e recensirà <3 Grazie, ragazza/e/i/o/u!

Vivogliobenissimissimo ♠ 







Capitolo Nono
La Biblioteca Nascosta



Il giorno seguente, Bianca spese l’intera mattinata china sullo scrittoio a scrivere un’ulteriore lettera a suo marito nella quale, stavolta con maggiore premura, dava più informazioni circa il suo fittizio stato di salute, circa la cortesia delle sorelle, circa la bellezza del convento del quale era ospite. Si sorprese inaspettatamente brava nel mentire, almeno per via epistolare, cosa che la fece rimanere preda dei sensi di colpa e che, durante il pranzo, la costrinse a giocherellare con il cibo in un tombale silenzio.
Il Conte, dal canto suo, non si era mimicamente interessato dell’improvviso ammutolire della sua ospite, portando avanti il pasto con moderato appetito, senza cercare in alcun modo di aprire una discussione.
Le aveva semplicemente augurato il buongiorno e, raccomandandosi di passare un pomeriggio all’insegna della tranquillità e soprattutto senza farsi problemi a rivolgersi alla servitù, si era ritirato nei suoi uffici, chiudendosi la porta alle spalle e cessando di dare ogni segno di vita.
Bianca era quindi rimasta sola, persa in quel labirinto di stanze e corridoi che era il suo appartamento, in compagnia di un pennino e dell’ultimo foglio di carta rimastole.
Aveva addosso una gran tristezza, ma, per qualche strana ragione, le era passata la voglia di piangere. Sapeva che una vera signora non si mostrava debole in pubblico, e soprattutto non voleva in alcun modo disturbare il Conte, fin troppo timorosa di quella che sarebbe stata la sua reazione.
Così, si era costretta a restarsene chiusa nella sua stanza da letto, pancia all’aria sul materasso, cercando di far passare il tempo immaginando il suo ritorno da Ezio.
Sicuramente lui l’avrebbe accolta a braccia aperte, stringendola a sé come era solito fare quando, per un motivo o per l’altro, non potevano vedersi per più di un giorno. Poi l’avrebbe condotta nella biblioteca di Palazzo Rangoni, facendola accomodare su una delle poltrone della sala e, sedendosi accanto a lei, le avrebbe letto una storia da uno dei suoi libri. Lei si sarebbe addormentata lì, cullata dal suono magico delle parole messe in fila a creare un racconto, seguendo il flusso delle gesta di qualche lontano eroe in cerca d’amore.
Aprì gli occhi, fissando il soffitto decorato con lievi tinte ocra.
Aveva una gran voglia di leggere.
Che a Palazzo Orsini vi fosse una biblioteca grande come quella di Ezio? Sperò tanto di sì.
Si alzò, curiosa, aprendo la porta della sua stanza. Il corridoio davanti a lei era deserto, le voci della servitù lontane, concentrate al piano di sotto.
Per lei, quello fu più che un invito.
Si fiondò su per le scale che la sera prima aveva percorso seguendo la musica, precipitandosi alla prima porta che incontrò dinanzi a sé quando si trovò al piano superiore.
Appoggiò la mano alla maniglia, traendo un profondo respiro. Nonostante il Conte Riario si fosse raccomandato di non farsi mancare nulla, sapeva che il suo curiosare per Palazzo Orsini non era né consono né tantomeno giustificabile.
Si guardò ancora attorno, facendosi circospetta.
Nessuno in avvicinamento.
Stando attenta a non fare rumore, abbassò la maniglia e sbirciò all’interno della stanza.
Vuota. Vi era soltanto un vecchio clavicembalo, addossato alla parete opposta all’entrata.
Bianca sospirò.
Aveva appena commesso un’irrimediabile mancanza di rispetto.
Affranta, richiuse la porta alle sue spalle e tornò sul corridoio, pensierosa. Doveva poteva essere nascosta, una biblioteca?
Adocchiò una seconda porta, e stavolta i sensi di colpa furono immensamente minori, quando si scoprì ad aprirla.
Si ritrovò davanti ad un armadio a muro, riempito di vecchie vesti e mantelli scoloriti dal tempo. Non appena l’odore di chiuso la raggiunse, la ragazza chiuse anche quella porta, arricciando il naso.
Quando aprì la terza, un altro mondo le si aprì dinanzi. Vi era un ulteriore appartamento, completamente vuoto, della cui esistenza non aveva minimamente idea. Un’intera serie di stanze e sale vuote, librerie impolverate, letti e materassi sporchi. Della biblioteca, però, neanche l’ombra.
Tornò sui suoi passi, scegliendo un ulteriore uscio al quale affacciarsi.
Capitò così in un’ampia stanza, ben illuminata dalla luce che entrava dalle finestre, circondata da librerie su cui erano stati impilati decine e decine di volumi. Al centro dello spazio vi erano due poltrone, entrambe rivolte verso il caminetto spento e servite di un tavolino di marmo. Accanto a una delle librerie, vi era persino un cesto colmo di carte geografiche finemente arrotolate e catalogate con un cartellino.
Estasiata, Bianca si avvicinò a una serie di volumi, osservandone i titoli. Erano quasi tutti trattati scientifici, alcuni promettevano di narrare degli astri, altri della vita. Altri ancora parlavano d’arte, alcuni di letteratura, ve ne erano persino alcuni dedicati allo studio della botanica.
Non riuscì a trattenere la mano, che andò dritta ad accarezzare il dorso di uno dei volumi.
Stava per prenderlo in mano, quando un colpo di tosse la fece sobbalzare.
Spaventata, si voltò.
Proprio accanto a lei, sulla destra, vi era un particolare che doveva esserle sfuggito. Una scrivania in legno, anche abbastanza ingombrante, sulla quale erano sparse numerose lettere. Alla scrivania era seduto il Conte Riario, intento a fissarla, stranito, con ancora un documento tra le mani.
Per un istante, Bianca temette di sentire le gambe cedere.
« Co … Conte », balbettò, affrettandosi a staccare le dita dai libri. « Io, io credevo di aver trovato la biblioteca! »
L’uomo la osservò in silenzio per qualche secondo, lasciandosi scappare un sospiro.
« È la seconda volta, da quando siete arrivata, che fate irruzione nelle mie stanze », fece notare. « Devo dedurne che l’educazione non vi sia stata insegnata poi tanto bene, a Forlì ».
Detto questo, si chinò nuovamente sul suo lavoro, scribacchiando qualcosa su un foglio.
Bianca sbatté le palpebre, sorpresa da tanta indifferenza.
« Le mie scuse », farfugliò, stringendosi nelle spalle. « Cercavo soltanto qualcosa da leggere ».
Riario non staccò gli occhi dalla scrivania.
« Troverete qualcosa di più consono alla vostra persona nella biblioteca », rispose, muovendo la mano destra verso l’uscita. « Ora, andate. Ho del lavoro da fare ».
Seppur sorpresa, la ragazza si sforzò di fare un inchino e lasciò l’ufficio in silenzio. Non si aspettava un simile trattamento, non dopo la maniera in cui Riario l’aveva trattata per portarla fino a Roma.
Sospirando, si ritrovò a percorrere di nuovo il corridoio, ormai vicina alle scale. Ne osservò i gradini, bianchi e lucidi, salire verso l’alto, e, quasi senza rendersene conto, cominciò a percorrerli, sempre più in fretta, fino a quando non si trovò alla fine, all’ultimo piano di Palazzo Orsini.
Un lungo e buio corridoio le si apriva davanti, illuminato appena dalla luce del pomeriggio.
Deglutendo, Bianca si decise a muovere un passo verso il vuoto.
Aveva trovato un armadio, degli appartamenti vuoti, un vecchio strumento a corda. Ciò che l’attendeva lì non poteva poi essere tanto diverso.
Ascoltando le assi del pavimento scricchiolare sotto i suoi passi leggeri, si avvicinò rapidamente all’ultima porta, quella in fondo al corridoio, appoggiando la mano sulla maniglia gelida.
Non ci pensò due volte.
Dall’altra parte di quel muro di legno, trovò una sala enorme, decorata su ogni sua parete con motivi d’oro e d’argento, resa elegante dalle ampie finestre che davano sul giardino  e da un maestoso caminetto di marmo.
Bianca ne rimase incantata.
Ne osservò ogni dettaglio, correndo dal caminetto alle finestre, spostando le tende e spolverando i piccoli specchi che vi erano sulle pareti accanto ai portalumi.
Si trovava in una sala da ballo.
Pensierosa, si chiese chi avrebbe fatto costruire una sala da ballo come quella nei meandri di Palazzo Orsini.
Poi la notò.
Una piccola porta di legno, discretamente disposta sul lato opposto delle finestre, rimasta socchiusa per chissà quanto tempo, quasi aspettasse Bianca per invitarla al suo interno.
Per la ragazza non fu che l’ennesimo invito.
Vi si avvicinò piano, cauta, spingendone piano la superficie ruvida per sbirciare all’interno della sala.
Quando fu abbastanza vicina da entrare con la testa, un intenso profumo di carta l’avvolse.
Lei sorrise.
Si sentiva a casa.




* * *

Riario entrò nella biblioteca che era ormai sera. Avvertiva su di sé un lieve senso di stanchezza, sicuramente dato dall’enorme carico di lavoro di quel pomeriggio, ma, allo stesso tempo, anche una piacevole di sensazione di libertà. Non vedeva l’ora di mettersi a letto, ma prima voleva assicurarsi che Bianca Ordelaffi non stesse combinando qualcosa, non stesse, insomma, escogitando un qualche piano di fuga.
Teneva alla sua libertà quasi quanto alla sua prigionia e il solo fatto di non averla avuta sotto controllo per tutto il pomeriggio gli aveva causato un senso di languore, di insoddisfazione, che non aveva alcuna voglia di portarsi tra le lenzuola.
Raggiunse quindi la ragazza in biblioteca con poca o nulla voglia di discorrere, accompagnato soltanto dalla fiamma di una candela.
La trovò intenta a leggere su una poltrona, schiena dritta, sguardo immerso nelle pagine. Accanto a lei, vi era una pila di libri quasi più alta delle librerie.
Lui la guardò, accigliandosi.
« Non trovate esagerato, rinchiudersi qui per tutto il giorno? », chiese, avvicinandosi.
Bianca gli rivolse uno sguardo stupito. Stavolta, nei suoi occhi non vi era paura, soltanto sorpresa.
« Le mie scuse, Conte Riario », rispose lei, accennando a un sorriso. « Ma restare nei miei appartamenti mi annoiava terribilmente. Inoltre, avete decine e decine di letture interessanti, qui ».
Lui alzò appena le spalle.
« Non vi siete nemmeno presentata a cena ».
Bianca si imbronciò un poco.
« Le mie scuse », mormorò. « Ero talmente assorta nella lettura … »
Riario non la lasciò finire, accomodandosi sulla poltrona al suo fianco e posando la candela sul tavolino.
« Quanti libri avete letto? »
Bianca arrossì.
« Tredici ».
« Tredici? E non siete stanca? »
Lei scosse il capo, chiudendo il volume che aveva in grembo dopo aver infilato un foglio piegato tra le pagine.
« Assai di rado mi capita di poter passare così tanto tempo in una biblioteca. Quando posso permettermelo, cerco di approfittarne ».
Riario annuì, sinceramente interessato. Un tempo aveva amato passare le nottate sveglio a studiare, ma erano passati anni da quando gli era permesso farlo, ora era talmente indaffarato che era obbligato a cogliere quegli unici momenti di stacco come la notte come un’occasione per riposare e rimettersi in forze.
« Condivido il vostro punto di vista », disse, quindi, mentre il suo sguardo vagava veloce tra gli scaffali. « Tuttavia, mia cara, ora vi suggerirei di andare a riposare. Il Santo Padre ha chiesto di voi. Sarà mia premura portarvi da lui, domani, così che possa conoscervi ».
Con uno sguardo, Bianca perse quel poco di colorito che aveva sulle guance.
Guardò Riario in viso, schiudendo appena le labbra con fare impensierito.
L’uomo si accigliò, spostando lo sguardo su di lei.
« Qualcosa non va? », chiese.
La ragazza respirò a fondo, sporgendosi appena in avanti.
« Conte », chiamò, scuotendo il capo. « Io non credo di essere pronta a incontrare il Santo Padre ».
Riario assottigliò lo sguardo, scrutandola con minuzia. Le si leggeva la paura negli occhi.
« Vi prego, lasciatemi qui, domani. Vi sarei soltanto d’intralcio, a Roma ».
La fissò, ancora, mentre ella abbandonava il suo libro per aggrapparsi con le dita sottili al bracciolo della poltrona.
In un istante le fu addosso.
Il volume cadde a terra con un tonfo sordo, mentre le dita del conte si facevano attorno all’esile collo della ragazza, che lo guardava atterrita, affondando nello schienale sotto la sua presa ferrea.
« Fareste bene a tenere a mente quali sono i vostri doveri, qui », sibilò lui, avvicinandosi all’orecchio della fanciulla. « Madonna Ordelaffi, non siete altro che un chicco di grano per il Santo Padre », le sussurrò, guardando nel vuoto. « Se fossi in voi, non cercherei di sfidare oltre la sua pazienza ».
Le lasciò il collo, scostandosi appena per permetterle di alzarsi.
« Andate », la esortò. « Domani non possiamo fare tardi ».
Silenziosa, Bianca si drizzò in piedi, portandosi una mano al collo e affrettandosi a lasciare la biblioteca.
Gli rivolse un’occhiata impaurita, prima di sparire nell’oscurità del corridoio.
Pensieroso, Riario prese il posto della ragazza sulla poltrona.
Si guardò attorno per un istante, esaminando i titoli scelti da Bianca. Si trattava per la maggior parte di romanzi, canti e lodi cavalleresche.
Silenzioso, raccolse anche il libro caduto sul pavimento. Una copia vecchia e logora del Decamerone, di cui avrebbe fatto bene a liberarsi.
La aprì, osservando il singolare segnalibro della ragazza. Un ritratto del suo volto abbozzato di fretta su un pezzo di carta stropicciata, a cui era però stato aggiunto del colore per rendere i capelli di quella figura del tutto simili a quelli della sua parte reale. Anche il volto del disegno, era macchiato di rosso.
Riario sorrise, passandosi la lingua sulle labbra secche.
Quella macchia dalla curiosa tonalità, assomigliava del tutto e per tutto a quella che spiccava sul volto di Bianca il giorno in cui era precipitata dalla collina.

   
 
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