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Autore: TrixieBlack    01/07/2013    4 recensioni
Alto e slanciato, lineamenti duri e taglienti, capelli scuri, occhi fieri di un grigio indefinito, mi sorrise mettendo in mostra i suoi denti perfetti, con un’espressione gentile e malandrina allo stesso tempo. Alzando il mento, mi tese la mano. “Piacere, Sirius Black.” Timida, restituii il sorriso, dimenticandomi di presentarmi. “Sirius”, pensai solo, “come la costellazione”.
Ed era proprio Sirius la stella che avrebbe illuminato la mia vita.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Trentaquattresimo capitolo: LEGGI DI GOLPALOTT E RONDE IMPROVVISATE


Quel giorno erano pressochè le otto di sera, e fuori dalle finestre della Sala Comune  il buio era già sceso da un pezzo. A giudicare dal vento che tirava instancabile sopra le cime degli alberi doveva esserci anche un gran freddo, cosa che mi aveva spinto a spostare il tavolo proprio accanto al fuoco.
La maggior parte degli studenti era già scesa in Sala Grande, mentre io e Heloïse eravamo fra i pochi ad avere momentaneamente rinunciato alla cena.
Era da qualche ora che studiavamo insieme Pozioni, e i risultati fino a quel momento ottenuti erano così scarsi da farmi seriamente temere la verifica del giorno dopo.
“Non ce ne andiamo via da qui fino a che non hai capito, chiaro?”, cantilenai per l’ennesima volta sbattendo il libro sul tavolo di fronte ai suoi occhi. Lei mi restituì uno sguardo di odio puro e un calcio sotto il tavolo.
“Ti odio, Bice. Odio te, Pozioni, Lumacorno, il mondo e Jack!”
“L’hai già detto, Heloïse. Ripeti le Leggi di Golpalott, dai.”
“Che cavolo, sei peggio di Juliet!”
“Mi hai chiesto di studiare con te, lo sto facendo.”, replicai senza scompormi più di tanto. “E ora, ripeti quelle maledettissime Leggi di Golpalott!”
“La prima dice…” iniziò Heloïse guardandomi storto.
“Non la prima, amore”, la interruppi con un sorrisetto sadico. “Quella in un paio d’orette l’abbiamo imparata. Voglio la terza.”
“Merlino, come mai tu non sei a Serpeverde?!”, esclamò lei furiosa. “Sei proprio una stronza!”
“Domani mi ringrazierai, Helo. Ripeti la Terza Legge di Golpalott, prego.”
“La Terza Legge di Golpalott afferma che.”
“Sì?”
“Che l’antidoto a un veleno è…”
“A un veleno composto, Heloïse.”
“A un veleno composto, sì. L’antidoto a un veleno composto è maggiore alla somma degli antidoti.”
“L’ultima parte, dai!”
“Alla somma degli antidoti di qualcosa, uffa, ti va bene?”,e sclamò lei sbattendo la testa sul tavolo. “Alla somma degli antidoti di ognuno dei singoli comp… comp… componenti.” La voce di Heloïse si fece all’improvviso flebile, fino a spegnersi del tutto, mentre il suo sguardo, fissandosi su qualcosa alle mie spalle, si impietriva. “Componenti.”, ripetè un’altra volta con la voce sepolcrale e lo sguardo vitreo.
“Che c’è?”, esclamai girandomi stupita.
Socchiusi la bocca e sbattei le palpebre più e più volte, come ad aspettarmi che la visione davanti ai miei occhi scomparisse e che io e Heloïse potessimo tornare a studiare tranquillamente Pozioni. Invece la visione non scomparve per niente, e Sirius continuò a scendere le scale del suo dormitorio, tenendo per la vita la ragazza che se ne stava saldamente avvinghiata al suo braccio.
“Dei singoli componenti, sì…”, balbettai cercando di distogliere lo sguardo e girare la testa. Non ci riuscii, e rimasi a fissare Sirius come un’ebete per qualche secondo. Alla sorpresa prese immediatamente posto una sensazione sgradevole che mi stringeva lo stomaco e mi dava la nausea, una specie di malessere  che andava crescendo man mano li vedevo avvicinarsi ridendo forte. Sirius incrociò il mio sguardo, gli occhi gli si allargono di sorpresa e la mano che cingeva la vita della ragazza gli ricadde lungo i fianchi, mentre si allontanava brusco da lei.
Gli voltai lentamente le spalle, stringendo il  bordo del tavolo con le dita, nel tentativo di riacquistare un po’ di lucidità.
Non avrei immaginato che potesse spingersi fino a quel punto. Era vero, negli ultimi tempi, l’avevo più volte accusato di essere immaturo, senza cervello, avevo spesso pensato male di lui, ma non così tanto male.
Quella non era immaturità. L’avevo visto uscire dal suo dormitorio, ridendo abbracciato a una ragazza, e non era immaturità, era menefreghismo allo stato puro. Feci un breve calcolo, era passato poco più di una settimana da quando ci eravamo lasciati.
Un anno di amicizia e molto più, aveva contato davvero così poco per lui? Non chiedevo fedeltà da parte sua, figuriamoci, sapevo che qualsiasi sentimento avesse mai provato per me sarebbe scomparso in fretta. Avevo solo sperato che mi tenesse un po’ più in considerazione, che  aspettasse almeno qualche giorno ancora prima di buttarsi tutto alle spalle, di cancellarlo e rovinarlo per sempre. Per i momenti passati insieme ai Malandrini, almeno. Per le punizioni di Gazza, per le risate nel parco, per il bagno nel Lago, per quell’affetto sincero che mi aveva mostrata a lui per come ero veramente, senza nessuna riserva. Pensavo di meritarmelo, e mi ritrovavo delusa e amareggiata, di fronte a un Sirius che non aveva più niente in comune con quello che mi aveva così tante volte abbracciato prima di darmi la buonanotte.
Heloïse mi strinse piano la mano, e mentre quella tempesta di pensieri mi avvolgeva la mente, mi chinai per raccogliere la borsa, girandomi un’ultima volta verso Sirius. Lo vidi che mi guardava, con un’espressione davvero dispiaciuta negli occhi, e la cosa mi mandò fuori di testa. Sentii un odio estraneo annebbiarmi la mente, e se in quel momento mi avessero lasciato scegliere, avrei voluto non rivederlo mai più, non averlo mai conosciuto. Mentre lo guardavo con rabbia negli occhi, decisi con una sorta fredda razionalità che non sarebbe successo mai più, non avrei mai più lasciato che i nostri occhi si incontrassero anche solo da lontano, l’avrei evitato sempre, in ogni momento, non mi avrebbe mai più sentito pronunciare una parola rivolta a lui.
Perché mi ero stufata di quel gioco, odiavo il modo in cui lui riusciva a agitarmi e non l’avrei permesso ancora.
Respirai profondamente. “Abbiamo studiato abbastanza, no?”, esclamai con la voce stranamente fredda. “Andiamo a mangiare qualcosa?”
Mi alzai e uscii dalla stanza a grandi passi, guardando dritto, e quando gli passai accanto avvertii l’elettricità pericolosa del mio corpo che, sentendo la sua vicinanza, tremava di rabbia. Appena fuori Heloïse provò a parlare.
“No, Heloïse, non voglio sentre neanche una parola su di lui, va bene?”, la interruppi immediamente. “Da adesso, non conta più niente per me.” C’era un qualcosa di definitivo, nella mia voce, che assurdamente mi fece sentire meglio. Era un sollievo, dopo quel periodo di continui dubbi, poter avere finalmente l’assoluta certezza che di lui non ne volevo più sapere. Era stato un attimo a deciderlo, lui a farmelo capire, e forse più avanti sarebbe arrivata la nostalgia. In quel momento odiarlo era la cosa che mi riusciva meglio.
Ha già superato tutto, così, pensai serrando i pugni. Non era giusto.
“Gliela faremo pagare”, mormorò Heloïse furiosa.
Io le sorrisi mestamente. “Non voglio fargliela pagare. Non m’importa più.”
Ed era bello, per una volta, essere certa  delle proprie emozioni.

Sirius non impiegò molto tempo a capire che qualcosa era cambiato. Anche se ormai era da tanto che non andavamo più d’accordo, alle battute pungenti e ai battibecchi  non avevamo mai rinunciato, mentre ora non era rimasto nemmeno quello.
E Sirius, per quanto potesse darmi fastidio ammetterlo, mi conosceva anche molto bene, così capì immediatamente a cosa era collegato il mio comportamento.
Da quel giorno non si fece più vedere né con quella ragazza né con nessun’altra: per qualche motivo che non riuscivo a capire sembrava realmente dispiaciuto del mio silenzio indifferente, che poteva passare inosservato a molti, ma non a lui, e aveva deciso per qualche assurda ragione di mettere finalmente da parte l’orgoglio e cercare di fare il possibile per tornare indietro. Peccato che, a questa decisione estrema, ci fosse giunto troppo tardi.
Così cercò di venire a parlarmi più e più volte, e provò davvero di tutto, dall’accamparsi fuori dal mio dormitorio al bloccarmi in Sala Grande dopo i pasti, con l’unico risultato di rendermi ancora più decisa a evitarlo. Era stato lui a insegnarmi quell’orgoglio e quell’ostinazione fini a se stessi, e in quel momento niente avrebbe potuto farmi cambiare idea.
“Beatrice, ti fermi un attimo?” Il suo tono era paziente e determinato, e ancora una volta me ne stupii, mentre mi affrettavo ad accelerare il passo, chiedendomi cosa di preciso l’avesse convinto a riporre l’ascia di guerra, e a cercare a tutti i costi di avvicinarsi a me anche se ormai non c’era più niente da fare.
“Bea?”, ripetè avvicinandosi ancora, e nemmeno questa volta il modo delicato con cui pronunciò il mio nome riuscì a scalfirmi. Perché tutte le volte che me lo ritrovavo di fronte, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era lui e la ragazza bruna sulle scale del dormitorio, e la sensazione che provavo era tanto brutta che non trovavo nemmeno una parola adatta a descriverla.
Gelosia, avrei imparato più tardi.
Gelosia e nient’altro, forse un po’ immotivata, forse un po’ giusta, ma pur sempre gelosia. Dopotutto ero umana, e non potevo fingere di non provare più niente per Sirius, dopo così poco tempo. Il fatto che invece per lui fosse tutto il contrario, o almeno così credevo, bruciava molto.
Perché allora era ancora lì a seguirmi e chiamarmi? Era lui che aveva deciso per primo di voltare pagina, ora cosa si aspettava? Di lui non volevo più sapere niente, pensavo fosse giusto così, eppure lui sembrava dispiaciuto dal fatto che le cose fossero andate a finire in quel modo, così definitivamente.
“Mi ascolti?”, continuò a chiedermi appoggiandomi una mano per la spalla per indurmi a fermarmi. Non mi scansai, né rallentai il passo, né cambiai espressione del viso. Era diventato semplice, quasi spontaneo, dopo qualche giorno di allenamento. Era l’unico modo per riuscire a mantenere il controllo della situazione e delle mie emozioni, mi dava soddisfazione, sicurezza.
“Una più testarda no, vero?”, lo sentii bofonchiare tra sé e sé. “Se mi ascoltassi solo per un secondo, per favore! Voglio soltanto parlarti…”, mi implorò afferramdomi per entrambi i polsi nel tentativo di incrociare il mio sguardo. Iniziai a divincolarmi con forza, sempre cercando di sfuggire ai suoi occhi magnetici, e la presa attorno alle mie mani divenne più forte.
“Quella sera, sulle scale del dormitorio…”, continuò avvicinandosi e abbassando il suo viso all’altezza del mio. Puntai lo sguardo lontano, dietro le sue spalle. Ora che era così vicino, diventava davvero difficile riuscire a resistere alla tentazione di incrociare il suo sguardo, almeno per un attimo. “…non era successo niente, davvero, non voglio che tu pensi…”
Come se me ne importasse qualcosa, di quello che era successo. Che fosse vero o meno, volevo liberarmi di Sirius, e basta.
Eppure il modo accorato e implorante con cui cercava di parlarmi, assolutamente non da lui, avrebbe dovuto farmi riflettere, farmi capire che forse per Sirius il nostro passato insieme contava ancora qualcosa, come contava per me, che non voleva finirla così, con il silenzio.
In quel momento la cosa non mi toccò minimamente.
“Lasciami andare.”, mormorai con voce piatta, senza guardarlo. Lui si staccò da me come se si fosse scottato, e io me ne andai senza un’altra parola.

Quella fu l’ultima volta in cui Sirius cercò di parlarmi, e da lì instaurammo una specie di equilibrio, grigio e piatto, che consisteva semplicemente nel dimenticarsi dell’esistenza dell’altro e far finta di niente.
Gli altri dicevano che esageravo, io continuavo per la mia strada senza dar retta a nessuno e pian piano, un po’ dolorosamente, ritrovai la tranquillità di un tempo, senza Sirius, senza Malandrini, senza lune piene. Per un po’ di giorni ancora Sirius continuò a guardarmi speranzoso tutte le volte che ci incontravamo, ma la pazienza non era mai stata il suo forte, così dopo non molto tempo ricominciai a vederlo uscire con diverse ragazze, e fui contenta di non aver ceduto con lui neanche un attimo, di non aver creduto che gli importasse davvero di me, perché Sirius era fatto così, e prima lo imparavo, meno doloroso sarebbe stato.
Mi convinsi del fatto che Sirius non mi interessava più così tanto, e che vederlo escludermi dalla sua vita, come del resto stavo facendo io con lui, non mi faceva tanto effetto. Cominciai a pensare a lui un po’ meno, e il resto di novembre e dicembre passarono in fretta.
Con l’avvicinarsi di Natale, c’erano altre questioni ben più importanti di Sirius che mi preoccupavano, e la prima persona con cui ne parlai fu Remus.

“Sai Remus, non so se ti ricordi.”, esordii pensierosamente un pomeriggio. “Secoli fa, James aveva decifrato quel foglio…”
“Le date.”, mi interruppe lui immediatamente, per nulla sorpreso. “Ci pensavo anch’io, in questi giorni, James e Sirius hanno ritirato fuori il foglio, penso che stiano archittettando qualcosa…”
Quindi si ricordavano. Fu strano pensare che dopotutto James e Sirius erano sempre gli stessi, Ramoso e Felpato, che avrebbero continuato con le loro malefatte e le loro scorribande e che io non ci avrei più preso parte.
“È il 22 dicembre”, continuai grattandomi il capo.
“Lo so”, annuì lui.
“Dovrò tenere d’occhio Rookwood e tutta la sua combriccola… mi serve soltanto un piano.”
Dovremo, Beatrice”, mi corresse lui. “Non penserai di andarci da sola?”
“Non penserò di andarci con Sirius”, ribattei all’istante. “Non siamo più ai vecchi tempi, Rem. Io lavoro da sola.”

 

***
 

Ma lavorare da sola era difficile, e mi bastò pensare a com’era andata l’ultima volta per rendermi conto che senza qualcuno che mi facesse da spalla avrei solo finito per cacciarmi nei guai.
La soluzione, tutto sommato, non era difficile.

“Allora”, esordii impacciata. Juliet, Georgia, Heloïse e Kenny mi osservavano piuttosto incuriositi. “Vi ricordate, mesi fa, quel biglietto che mi chiedeva di trovarmi alla Torre di Astronomia?” Loro annuirono in silenzio. “Ecco…” Raccontai sintenticamente la storia del foglio in codice, di come eravamo riusciti a decifrarlo, senza inserire troppi dettagli. Non che non mi fidassi di loro, semplicemente pensavo che più quella faccenda fosse rimasta segreta, meglio sarebbe stato per tutti. Ovviamente non parlai di Rookwood, e di come fosse lui  a nascondersi dietro a tutto questo. Per Juliet, che di sicuro non l’avrebbe presa bene. Forse era una decisione codarda, ma non me la sentivo di peggiorare ulteriormente le cose tra lei e suo fratello, almeno per il momento. Se l’avesse scoperto in seguito, si sarebbe visto.
“Quindi, in conclusione, mi servirebbe il vostro aiuto…”
CI STO!”, urlarono in coro Kenny e Heloïse alzando il pugno per aria.
“Sì, anch’io”, aggiunse Juliet con decisione.
“Non possiamo andare solo noi, però”, si inserì Georgia. “Insomma, non so se Kenny riuscirebbe a difenderci tutte e quattro, in caso di necessità…” Heloïse alzò gli occhi al cielo.
“Oh, ma non ti preoccupare”, la liquidò Kenny con un gesto della mano. “Basta chiedere a Teddy e Benjy, non vedranno l’ora di aiutarci.”
“Ci si può fidare?”, gli domandai con diffidenza.
“Stiamo parlando di Theodore Baston e Benjamin Fenwick, certo che ci si può fidare”, replicò in tono sdegnoso, e io gli sorrisi dirimando.
Kenny Jordan, Theodore Baston e Benjy Fenwick, l’altro famoso trio di ribelli che, se ancora non era giunto ai livelli dei Malandrini, ci si avvicinava comunque molto. Era tutti e tre Grifondoro del mio stesso anno, eppure solo con Kenny io e le mie amiche avevamo veramente fatto amicizia; la nostra conoscenza degli altri due si limitava alle lezioni condivise e a qualche rarissima uscita di gruppo a Hogsmeade.
“Baston no…”, protestò Georgia imbronciandosi. “È antipatico, e poi…”
“… A te sta antipatico il mondo, Georgia”, la interruppe Kenny senza tanti complimenti. “Comunque non sarà necessario raccontare tutto, basta chiedere di accompagnarci.”
“Perfetto, di questo ti occupi tu.” Ci scambiammo tutti e cinque un sorriso complice, con quel misto di euforia e tensione che precedeva sempre le nostre avventure.
“A domani sera, allora.”

 

***
 


“Ci dovremmo dividere, sapete? Tutti insieme non combineremo molto…” Alla proposta di Juliet, tutti annuirono con aria seria.
Erano le nove di sera, mancavano due ore al momento segnato sul foglio, i corridoi del castello erano ormai vuoti. Quella volta non avevo ricevuto nessun messaggio anomino che mi chiedesse di presentarmi da qualche parte, e questo mi faceva pensare che forse non ero l’unica vittima dei piani di Rookwood. Motivo per cui saremmo dovuti stare doppiamente attenti.
“Giusto”, concordò Kenny. “Facciamo così. Georgia, tu vai con Teddy.”
“Sei proprio uno stronzo, Jordan!”, esplose lei all’istante, mentre Baston assumeva un’espressione esasperata.
“Oh, taci, Hill.”, replicò Kenny senza scomporsi.
“Noi due stiamo insieme”, cinguettò Heloïse afferrando la mano di Juliet.
“Bene, rimaniamo noi tre”, concluse Kenny rivolgendosi a me e Benjy.
“Siamo due coppie e un gruppo da tre”, ricapitolai. “Io, Benjy e Kenny staremo di guardia alla Torre di Astronomia, magari torneranno lì. Qualcuno dovrebbe andare subito nei sotterranei, la Sala Comune di Serpeverde è da quelle parti.”
“Andiamo noi”, propose Baston con un sorriso. “Vieni, Hill.”
“Non sono il tuo gufo!”, ribattè lei velenosamente.
“E noi due faremo un giro di tutti i piani”, mormorò Juliet quando Georgia e Teddy se ne furono andati.
“Okay, se qualcuno ha bisogno di aiuto mandi un segnale, magari un fantasma, va bene?”, e così ci dividemmo.

Lumos.” Mi appiattii contro il muro del corridoio e dopo essermi assicurata che fosse deserto, mi affrettai a svoltare in quello successivo. Il Mantello dell’Invisibilità, ecco una cosa che mi mancava di James… Lanciai una breve occhiata ai miei compari. Kenny, stranamente in silenzio, sorrideva con aria rilassata. Mi soffermai un secondo di più a osservare Benjy, quel ragazzo dall’aspetto piacevole, alto e magro, lineamenti delicati, occhi e capelli di un bel castano morbido, che per me era sempre stato un po’ un enigma. Mi ricordava vagamente Remus, con quell’aria sempre riservata e pensierosa, seria e dolce al tempo stesso, e spesso mi ero chiesta che cosa ci stesse a fare con persone indubbiamente idiote quali Kenny e Teddy. Eppure, almeno da quanto Kenny mi diceva con orgoglio, la maggior parte delle idee e dei piani per le loro malefatte venivano proprio da lui.
Benjy si accorse che lo stavo fissando e mi sorrise brevemente. “Qui non c’è nessuno.”, mormorò passandosi una mano tra i capelli e alzando la bacchetta per fare più luce.
Eravamo ai piedi della Torre di Astronomia. Restammo una ventina di minuti a ciondolare, guardandoci attorno e  aspettando che succedesse qualcosa.
“Voi restate qui”, sussurrai alla fine. “Io vado a controllare in cima.”
Se ci fosse stato Remus, di sicuro mi avrebbe fermato dicendomi che era troppo pericoloso. Ma Kenny era di tutt’altra pasta, così annuì, appoggiandosi contro il muro.
Le scale della Torre erano ancora più buie del resto del castello. Salii i gradini stretti e ripidi il più silenziosamente possibile. Arrivata in cima spensi la bacchetta e mi appostai dietro la porta, socchiudendola lentamente.
Una parte di cielo stellato illuminava flebilmente lo spazio arioso della Torre. Mi infilai all’interno, tendendo le orecchie, ma il silenzio era più che totale. Non c’era nessuno, mi bastò un secondo per capirlo; non avrei sapito dire se era più grande il sollievo o la delusione per non aver trovato nessuno. Un ultimo giro di perlustrazione, più per sicurezza che per altro, e poi mi decisi a tornare da Kenny e Benjy. Ridiscesi le scale con velocità, fermandomi con uno scivolone davanti ai due ragazzi, immobili come li avevo lasciati.
“Nessuno”, boccheggiai scuotendo la testa.
“Che ora è?”, mi domandò Kenny vagamente deluso.
“Le undici meno un quarto.” Mancava solo un quarto d’ora.
“Se il luogo fosse questo, sarebbero già qui”, mormorò Benjy. “Significa che dobbiamo cercarli da qualche altra parte.”
Un corridoio dopo l’altro tornammo verso i piani più bassi, senza incontrare anima viva o morta che fosse. Fino a che un flebile rumore di passi non ci costrinse a fermarci.
Lumos.”
Due voci avevano interrotto all’unisono il silenzio e l’oscurità: la mia e quella di Sirius. Ciascuno dei due aveva puntato la bacchetta contro il viso dell’altro, e ora rimanevamo a fissarci, impassibili.
Con la solita indifferenza distolsi in fretta lo sguardo. “Ciao, Remus”, mormorai illuminando con la bacchetta il volto dell’altro ragazzo, immobile di fianco a Sirius.
“Ehilà”, fece lui, in tono ironico. “Quanto affollamento, stasera…”
Con la coda dell’occhio vidi Sirius che spostava lo sguardo da me, a Benjy e poi a Kenny, con le sopracciglia inarcate in modo curioso.
“Hai incontrato qualcuno?”, domandai a Remus. Lui scosse la testa.
“Solo Baston e Georgia, ma… dovreste fare attenzione a quei due, si stavano urlando contro nei sotterranei, finiranno per svegliare qualcuno.”
Io e Kenny sospirammo, scambiandoci un’occhiata significativa. “Andiamo a fermarli, prima che ci mettano tutti nei guai… ci sono anche James e Peter?”
“Sì, stanno…” Ma Remus non fece in tempo a concludere la frase, perché un colpo di tosse eloquente lo interruppe.
“Guarda guarda, quanti arditi Grifondoro fuori dai loro letti, questa notte… oh, e c’è anche la piccola Summerland.”
Mulciber ci squadrò uno a uno, con un ghigno soddisfatto sulle labbra. “Che cosa ci fate qui?”
“Non perdiamo tempo con le domande idiote, Mulciber, potrei chiederti la stessa cosa.”, replicò Sirius seccamente. “Piuttosto, dove sono i tuoi amichetti? Li stavamo proprio cercando…”
Remus gli assestò una gomitata di avvertimento nelle costole, ma era troppo tardi, Mulciber era già in all’erta, e ci fissava con lo sguardo assottigliato.
“Ma davvero?”, gli domandò in tono sarcastico. “Continuate a cercarli, allora. E intanto, 20 punti in meno a testa per non essere nei vostri dormitori. 10 punti in meno a Black perché è un traditore, e 10 alla Summerland perché ha il sangue sporco.” Poi si girò e se ne andò a grandi passi, proprio mentre io e Sirius ci slanciavamo contro di lui con le bacchette tese.
“Fermi”, esclamò Benjy afferrandomi la spalla, lo sguardo puntato su Mulciber.“Se ne va troppo in fretta, nasconde qualcosa. Dobbiamo seguirlo.”
Possibile che, stupido com’era, stesse andando ad avvertire Rookwood con noi alle calcagna? Che fosse anche lui coinvolto in quella storia? Di sicuro faceva pare della cerchia più ristretta degli amici di Rookwood, quindi perché no?
“Fuori le bacchette, tutti”, ordinò Kenny, una luce esaltata che gli illuminava gli occhi.
Mulciber camminava veloce, svoltando bruscamente nei corridoi secondari, e noi cercavamo di non perderlo di vista senza che se ne accorgesse, impresa non di certo semplice, visto che eravamo in cinque.
Ero ormai sicura che ci stesse conducendo verso Rookwood, quando un clangore metallico, subito accompagnato da un urlo soffocato e lontano che suonava come “Lasciala stare!”, mi distrasse.
Ci fermammo di botto, impietriti. Mulciber aveva svoltato l’angolo prima di noi senza aver sentito niente, e ormai era scomparso. Dopo un attimo di esitazione ci lanciammo verso la fonte del rumore, senza nemmeno curarci di Mrs Purr, che era spuntata all’improvviso dal nulla, e che ora ci fissava con intensità, restando immobile.
“Di qui!”, esclamò Sirius a bassa voce, avvicinandosi in fretta al corridoio di Wilfred il Meditabondo, da cui provenivano dei sussurri concitato.
Heloïse era ferma davanti alla statua, la veste impolverata e la bacchetta tesa, mentre Juliet se ne stava rannicchiata sul pavimento, tenendosi il braccio, una evidente smorfia di dolore dipinta sul volto.
“Cos’è successo?”, balbettai impallidendo e fiondandomi su di loro.“Chi è stato?”
“Suo fratello”, mormorò Heloïse a bassissima voce. “Avevamo sentito delle voci, e… non siamo riuscite a capire cosa stesse succedendo, lui ci ha viste…”
“Era mio fratello che stavi cercando, non è vero?”,  mi domandò Juliet con voce aspra, guardandomi quasi con rancore. Io abbassai gli occhi e annuii, senza sapere cosa dire. Ero stata stupida, infinitamente stupida a chiedere proprio a lei di aiutarmi, e me ne rendevo conto solo in quel momento.
Remus si inginocchiò di fianco a lei, e dopo un attimo di esitazione fece per prenderle delicatamente il braccio e osservare il taglio fresco. Juliet si ritrasse bruscamente, aveva gli occhi lucidi ed ero sicura che non fosse dovuto alla ferita. Era un momento estremamente delicato, e il fatto che ci fosse tutta quella gente attorno a lei non aiutava. L’unica persona che avrebbe davvero saputo come prenderla era Heloïse.
Eppure Remus si avvicinò un po’ di più, cercò di incontrare il suo sguardo e le sorrise dolcemente, in qul modo semplice e assolutamente genuino che solo lui conosceva. “Juliet, ti porto in Infermeria, non preoccuparti. Madama Chips non farà troppe domande…”
Lei alzò gli occhi, esitante, e Remus allungò di nuovo la mano a sfiorarle il braccio. Juliet lo lasciò fare, e quando lui le prese la mano si alzò, senza protestare. Io e Heloïse ci scambiammo un’occhiata sbalordita perché non era possibile. Remus, che la conosceva così poco, era riuscito ad affrontarla nel modo giusto, quando io non avevo nemmeno avuto il coraggio di guardarla negli occhi, aveva capito come si sentiva, quello di cui aveva bisogno, e ora la teneva per mano, nel modo più naturale del mondo. Era vero, Remus aveva sempre saputo guardare la parte più profonda delle persone come nessun altro era in grado di fare, ma lì era qualcosa di diverso, di più grande.
Vedendo i nostri sguardi stupiti Remus si bloccò e arrossì. Poi mi guardò impacciato, come per chiedermi se stesse facendo la cosa giusta, e io annuii.
Li guardammo scomparire all’angolo del corridoio, sempre tenendosi per mano.
“Che seratina, eh?”, commentò Kenny. Heloïse annuì, con il volto teso e preoccupato, continuando a guardare nella direzione in cui Juliet era andata.
“Andrà tutto bene”, la rassicurai. “È con Remus.”

Mi addormentai con  la testa che frullava di pensieri e di domande a cui non riuscivo a rispondere, domande su Rookwood e Mulciber, su Juliet e Remus, su quello che stava succedendo…
Quella sera avevo pensato di riuscire a risolvere un mistero, invece non avevo fatto altro che aumentare i punti interrogativi, tutto sembrava così complicato, e assurdo, niente quadrava.
Cosa volevano Rookwood e la sua banda, a chi stavano mirando? Era solo un accanimento dei Serpeverde, o c’era qualcosa di più grosso dietro?… I Mangiamorte, per esempio… E io, e noi, cosa avremmo dovuto fare per fermarli? Magari si trattava solo di uno scherzo, uno scherzo stupido…
Avrei voluto discuterne con qualcuno, passare in rassegna ancora una volta tutte le ipotesi e le soluzioni possibili, ma forse con quella storia avevo già coinvolto un po’ troppe persone che non c’entravano, e pensando a Juliet non riuscivo a fare a meno di sentirmi tremendamente in colpa, e tutti quei dubbi non facevano che rendermi sempre più inquieta.

C’era una cosa di cui potevo considerarmi certa, però: quell’anno a Hogwarts stavano succedendo decisamente troppe cose.





Note dell’autrice
Ciao a tutti, state passando delle belle vacanze?
Alloooora, eccomi qui con il nuovo capitolo, non ci ho messo pochissimo ma non sono nemmeno troppo in ritardo, giusto?
Un commentino veloce su Sirius e Bea, perché cominciano a stufarmi veramente: diciamo che quando Beatrice vede Sirius uscire dal suo dormitorio con un’altra ragazza si incazza come una bestia, non perché sia particolarmente gelosa o sia il tipo di persona da fare una scenata assurda del tipo “non mi ami, non mi hai mai amata ecc ecc”, però ovviamente ci rimane male, perché pensava che per Sirius contassero un po’ di più i ricordi dei momenti passati insieme, che avrebbe avuto almeno la decenza di aspettare un po’ più tempo e che si preoccupasse un po’ di più di non ferire i suoi sentimenti, o qualcosa del genere (cosa sto dicendo? Boh) E la sua reazione è quella di cancellarlo completamente e ignorarlo del  tutto. Come sempre, se vi sembra che il suo comportamento stoni con il personaggio, dite pure!
D’altra parte Sirius non è un cattivo ragazzo (?) e probabilmente non voleva farla star male, quindi cerca in tutti i modi di farglielo capire e poi beh, vedendo che non serve a niente lascia perdere. Sì, è un po’ triste come cosa :’)
Poi, tutta la storia di Rookwood che risalta fuori. Su questo non ho molto da dire, penso sia tutto abbastanza chiaro, non si capisce bene cosa sia successo e i dubbi aumentano, quindi l’unica cosa da fare è aspettare di vedere come andranno le cose in seguito. E ci sono anche due nuovi personaggi, Benjy e Baston, penso che avranno entrambi un ruolo abbastanza importante, in futuro...
Anche su Juliet ho qualcosa da dire, scusatemi :) Diciamo che quando Juliet scopre che dietro a tutto questo c’è suo fratello Augustus, oltre a starci molto male, se la prende un po’ con Beatrice per non averglielo detto, ed è un po’ un brutto momento, se non fosse per Remus che sembra intuire come farla star meglio. In più è stato sempre Rookwood a colpirla al braccio, e penso che il fatto di sentirsi così odiata dal fratello l’abbia sempre fatta stare male, fin dall’infanzia, nonostante anche lei non gli voglia proprio bene.
Basta, ho finito! Come sempre un grazie enorme a chi legge o recensisce, e in particolare questa volta alle 48 persone dei Preferiti, alle 20 delle Seguite e alle 12 delle Ricordate, negli ultimi tempi siete aumentati, mi commovete nel profondo. Aaah, vi amo tutti, davvero.
Non so quando pubblicherò il prossimo, in teoria abbastanza presto visto che non avrò niente da fare nei prossimi 20 giorni, però potrei sempre avere il blocco della scrittrice (cosa che mi capita più o meno un capitolo sì e uno no …), quindi non vi assicuro proprio un bel niente!
Alla prossima,
Trixie

  
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