Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Luna_R    01/07/2013    1 recensioni
“Posso invitare la mia futura sposa per un ballo?!”
Quelle furono le prime parole che gli sentii pronunciare.
Acconsentii a farmi trascinare al centro della pista sotto i gridolini eccitati delle giovani presenti; eccoci quà, la fiaba vivente del vissero per sempre felici e contenti. O perlomeno questo era quello che gli altri vedevano in noi. Soprattutto mia madre che nel momento esatto in cui le nostre mani si sfiorarono si sciolse in un brodo di giuggiole.
DAL CAPITOLO 12:
“Io ti credo. Se fossimo di facile comprensione non esisterebbe la scienza. L’uomo non si porrebbe domande e ci costringeremo a vivere una vita piatta, blanda, senza trasporto. Siamo fatti di emozioni incalcolabili e imprevedibili. Credi nel destino, Deesire?!”
Annuii; non ero forse la miglior rappresentazione di foglio bianco sul quale si era sfogato?!
“Le cose accadono perché siamo noi che vogliamo succedano. Dio mi liberi da questa società retrograda e puritana, siamo donne e possiamo decidere della nostra vita! Perciò ti dico: il destino è una bufala amica mia, ascolta il tuo cuore e segui ciò che dice, senti la tua pancia, le vibrazioni del tuo corpo, ascolta la mente ma filtra i divieti.. e non sbaglierai. Decidi. Tu.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ZENZERO E CANNELLA

Capitolo 14.

 

Il sole mi ferì gli occhi.

O forse fu la sensazione di panico quando vidi Martin sporco, con i vestiti bruciati e il viso escoriato correre a piedi scalzi verso di me; pensavo fosse un miraggio, i troppi giorni di buio in uno scantinato lontano dalle persone che amavo, dalla realtà.. ma fui costretta a stropicciarmi gli occhi, che il sole non centrava nulla, che mio suocero era lì, difronte a me che piangeva.

“Martin! Oh buon Dio!” Lo presi per le braccia prima che si lasciasse cadere sulla strada, “che è successo?! Clorine! Clorine!” Mia madre aprì il portone trafelata, dopo un iniziale fase di panico si sollevò la veste e mi aiutò a portarlo dentro. “Sul divano! Apri tutte le dispense mamma, Ygritte deve aver riposto del disinfettante e qualche medicinale.” Strappai delle fascette di tessuto dalla tunica di lino che indossavo tamponandole sul viso stravolto di Martin; tossiva copiosamente, dolorante per le ferite che riportava a gambe e braccia.

“E’ bruciato tutto..” mi strinse forte la mano, bloccandola. “Aurelien ha impedito che li portassero via..” delirava ed io con lui; fissavo la sua bocca con occhi sbarrati, una crescente morsa di panico allo stomaco. “Qualcuno ha appiccato il fuoco.. per farci scappare.. è bruciato tutto. Bruciato tutto..”

“Dov’è Aurelien?!”

“Ancora.. là.” E svenne.

 

Percorsi la Saint Honorè de Fabourg con il cuore stretto in gola; falcate il doppio dei miei passi mi portarono a casa del dottor Arnauld Bertrand, il medico di famiglia Chedjou. “Arnauld! Arnauld sono Deesire!” Bussai con impeto al portone, prima che una servetta in camice bianco mi aprì; dietro di lei il medico con lo stetoscopio infilato negli orecchi, mi guardò accigliato. “Arnauld c’è stato un incendio alle aziende Chedjou! Mio marito è là, mio suocero è a casa mia e ha bisogno di assistenza! Ti prego, aiutami! Aiutami!”

“Svelta Pauline, un bicchiere d’acqua per madame Deesire. Chiama il dottor Russeau e prenota una carrozza per casa Chedjou; digli di portare con se la borsa con la morfina, unguento e garze. Tante garze. Su! Su!”

Lo guardai spaventata. “La carrozza, Arnauld?!”

“Noi useremo la macchina fino ai sobborghi, Julien si occuperà Martin. Tranquilla Deesire, Aurelien sarà già stato medicato a quest’ora.”

 

Una colonna di fumo nero e denso era quanto rimaneva delle aziende capeggiate da mio marito e la sua famiglia; i due blocchi di cemento che costituivano il cuore pulsante dell’attività, fra uffici e reparto costruzione, del tutto sventrati. Intorno ammonticchiati, corpi di uomini senza vita, macerie e le sentinelle tedesche nelle loro giubbe grigie. Potevo sentirli ridere in una lingua sconosciuta; mi vomitai sulle scarpe, prima di farmi forza e avvicinarmi ai quei fantocci inermi, un tempo vita.

Nein!” Un uomo in divisa usò un tono minaccioso al mio avanzare; strinsi i pugni, scorrendo la fila da dietro la sua piazzata mole. “Nein, madame!” Il suo francese ironico mi fece infuriare.

Mon mari !“ Graffiai fra i denti, indicando i cadaveri; Arnauld mi trattenne per un braccio, rivolgendosi alla guardia in un perfetto tedesco. Dopo alcuni istanti si voltò a guardarmi. “Sono morti per il crollo, Deesire, guardali, non hanno fori di pallottola. Se vuoi avere una speranza di ritrovare Aurelien devi mantenere la calma, chiaro?!”

Annuii. “Che ti hanno detto?!”

“Che è stato portato dietro, con i feriti. Non hanno il permesso di toccare nessuno, per ora. E noi dobbiamo sfruttare questa occasione. Andiamo!”

Ci allontanammo per il retro. Il piazzale antistante era stato trasformato in un ospedale da campo. Riconobbi qualche viso e fra questi Danielle la segretaria di Aurelien, sulle prime file di barelle improvvisate.

“Oh Deesire! E’ stato così coraggioso..” la donna piangeva attaccandosi con forza alle mie mani; aveva un brutto taglio sul capo, Arnauld annuì sparendo fra le lettighe di fortuna. “Sono entrati all’improvviso. Quelli là, quei crucchi. Portavano via le persone. Le picchiavano, si sentivano le urla.. qualcuno di noi si è ribellato ed è scoppiata una rivolta, il caos.. è stato lui ad appiccare il fuoco, ne sono sicura. Ci ha fatto uscire prima che scoppiasse l’incendio.”

“E’ rimasto dentro?!”

“Sì è lì che l’ho lasciato. Ci ha salvato.” Si frugò nella manica della giacca; tirò fuori da una fettuccia cucita all’interno dell’orlo la catenina d’oro con il crocefisso e la fede di Aurelien. “Mi ha detto di dartele quando ti avrei visto. Era sicuro saresti arrivata.”

Rabbrividii; se non mi fossi scontrata con Martin.. inspirai profondamente. No, Aurelien non poteva essere morto. Ogni cellula del mio corpo si opponeva ad una tragedia dalla portata così devastante; il mio dolce Aurelien.. sacrificato per gli altri. Quante cose dovevo ancora da imparare da quell’uomo, quante volte ancora la vita doveva farmi aprire gli occhi sul tesoro che avevo fra le mani?

 

Cosa c’era in me che non andava? Perché ero così maledettamente sbagliata?

 

Deesire! Deesire l’ho trovato!” Il dottor Bertrand si stava sbracciando all’incrocio di due tende; corsi immediatamente verso la sua voce. Aurelien giaceva su una branda di paglia, con il capo fasciato, livido e privo di sensi. “Non respira bene.” Auscultò i polmoni e scosse il capo. “Temo che smetterà di farlo se non lo portiamo via immediatamente.” Barcollai, impaurita e angosciata. “Deesire ricorda, concentrazione! Al mio tre lo alziamo. Pronta?!” Annuii passando le sue braccia intorno al mio collo, con Arnauld che lo alzava da dietro per i fianchi, tirandomelo addosso; era un peso morto, del tutto privo di forza.

 

“Si riprenderà?!” Gli accarezzai il viso contratto dal dolore, Arnauld mi guardò dallo specchietto retrovisore alla guida di una vecchia Rolls. “Le ferite sembrano superficiali, ma solo Dio sa cosa ha inalato lì dentro.” Solventi chimici, rame, metallo, cemento.. la lista dei veleni scorreva silenziosa nella mia testa; tremai vinta dal dispiacere. “Ma non avremmo risposte certe fino a quando non lo visiterò per bene.”

“Ce la devi fare, mi hai sentito?!” Sussurrai al suo orecchio incrostato di sangue rappreso; una lacrima scivolò per la guancia, giù dal collo, frantumandosi sulla sua; sembrò m’avesse udito perché per un attimo avvertii un fremito dalle sue viscere. Lo abbracciai, “non ti farò più del male Aurelien. Mai più.”

E pregai, pregai Dio di redimermi, di prendersi la mia stessa vita.. ma la sua no; non quella di mio marito, il mio onesto marito che aveva abbattuto le fabbriche per cui suo nonno prima di lui aveva dato il sangue, per salvare vite innocenti.. al prezzo della sua stessa vita. Perché era coraggioso, affettuoso, l’uomo tutto di un pezzo che mi aveva fatta innamorare per la sua autorità e concretezza; cosa altro mi sarei aspettata da lui? Il mio testardo, pazzo e pragmatico Aurelien.

“Oh Dio ti prego.. non portarmelo via.. non portarmelo via..”

E Dio m’ascoltò, perché mentre la macchina scorreva veloce sulla Quai des Tuileiries e in Place de la Concorde vidi Fabien e i nostri sguardi si trovarono attraverso il vetro dell’auto, per istanti simili all’eterno; se ne stava andando, amareggiato e in pena, la sacca pendente dalla spalla, di ritorno da un appuntamento mancato. Il nostro.

E suoi occhi nei miei dissero addio. Addio per sempre.

 

Julienne e Arnauld adagiarono Aurelien sul nostro letto; rovesciarono le coperte e armati di forbici gli strapparono di forza gli abiti di dosso. Il corpo era un campo martoriato di escoriazioni e bruciature, la sua pelle ambrata sporca di vivo sangue rosso; i polmoni si alzavano a rilento, ogni fil di fiato un flebile lamento. “Edema polmonare acuto.” I due medici sentenziarono senza pietà.

“Ha i polmoni pieni di liquido.” Julienne perorò la causa trasformando un pensiero in parole. ”Otto milligrammi di morfina per cominciare.”

“Sì” Annuì Arnauld, sgombrando malamente il comodino per far spazio ai suoi attrezzi medici. “Servono tubi per la trachea e una bombola di ossigeno.”

“Somministriamo anche un diuretico per non sovraccaricare troppo i reni?!”

“Dopo la morfina. Pensi tu all’ossigeno?!”

Quello scattò, spogliandosi del camice e gettandolo alla rinfusa, ai miei piedi. Si accorsero di me, rannicchiata sulla panca delle meraviglie di Clorine; come avrei desiderato tornare indietro a quei tempi felici, dove eravamo solo noi innamorati e contenti con l’unico stupido pensiero di arginare le smanie d’alta moda di mia madre. “Deesire ci serve il tuo aiuto. Puoi procurarci delle cannucce?!”

Balzai in piedi in attenti. “Sì.”

“Ottimo e ci servono tutti i bacili d’acqua che riesci a trovare. Julienne tornerà in studio per procurarsi la bombola e una stecca per la gamba di tuo suocero. Se le trovi portami tutte le bende che hai a disposizione e disinfettati le mani.”

Annuii, correndo in cucina; Martin era ancora sul divano, bendato e ripulito, sospirai e guardai Ines inerme ai suoi piedi, sembrava morta non fosse per il tremito delle labbra. Mia madre giaceva imbambolata in un angolo fra la cucina e lo studio di Aurelien con il capo fra le mani e i singhiozzi.

“Dov’è papà?!”

“Sarà qui a momenti, con Cedric. Sono a dare una mano al campo. Una tragedia. Una tragedia.”

Ero circondata da automi e non ero per nulla felice; riempii i catini d’acqua tiepida e ridussi a brandelli tutte le pezzuole di lino e cotone che trovai. I regali del mio matrimonio, inutili suppellettili che non avevo mai adoperato, in frantumi; sorrisi arcigna. Non era stato così tutto il mio matrimonio? Un costoso abbellimento che non era servito a tenerci uniti. Scossi il capo con vigore e mi stupii dei miei repentini cambi d’umore. Anche l’aria si era fatta irrespirabile, pesante, piena d’umori e disinfettante che mi dettero la nausea; vomitai nel lavandino la mia frustrazione, il pianto, la fatica e la disperazione di perdere Aurelien.

 

“Grazie Deesire, adesso ti prego aiutami a ripulire le ferite.”

Passai delicatamente il cotone imbevuto di acqua ossigenata sulle lacerazioni del petto e delle gambe, mentre Arnauld tagliava i tubi e li assemblava in un unico serpentone; lo infilò nella bocca di Aurelien premendo finchè questo scivolasse giù attraverso laringe e dentro la trachea. “Questo gli permetterà di respirare prima che giunga la bombola. Continua così, brava.” Sfilò dalla borsa una siringa dalla quale portò via il tappo, la picchiettò facendo fuoriuscire l’aria e iniettò il liquidò nel braccio molle di Aurelien.

“Morfina.” Asserii anticipandolo, mi guardò ed estrasse una seconda siringa; la iniettò all’altro braccio.

“E anche il diuretico è fatto. Manca solo il respiratore. Lascia fare a me adesso.” Mi sorrise armeggiando ago e filo sulla pelle ora detersa di mio marito, tirandola e ricucendo gli strappi; scottava ed era febbrile, sudato. Mugolavo ogni qualvolta tirava e Aurelien vibrava dal suo sonno senza sogni.

Julienne arrivò con il respiratore e mi sentii più leggera; la mascherina copriva naso e bocca, il respiro sembrava acquistare vigoria anche se ogni dieci minuti lo puntellavano con iniezioni di diuretico. Si divisero i compiti, alternandosi dal malato meno grave sul divano –sempre vegliato da Ines- e quello da tenere sotto osservazione, intubato nella mia stanza da letto.

Deesire, puoi andare a riposare adesso. Non c’è null’altro che possiamo fare.”

“Voglio restare qui.” E calai il capo sul suo braccio inerme, fra una preghiera e un pianto silenzioso.

 

Aprì gli occhi dopo sei giorni di coma artificiale.

Deesire?!” Sembrò una domanda incredula, come la mia commozione; lasciai cadere in terra la pezzuola con la quale gli stavo detergendo il viso per prendergli le mani e baciarle. “Sei qui..”

“Dove altro potrei essere?!” Soffocai il pianto nel suo palmo, premendo forte la mano contro lenzuola con la mia fronte che spingeva giù per attutire i colpi dei singhiozzi.

“Non è successo niente.” Con l’altra mano, si posò debolmente sul mio capo, “sei qui, il resto non conta.” E sospirò addormentandosi di nuovo.

 

Sentii una mano, dal fondo di un sogno astratto, agitarmi la spalla. “Deesire..”

“Mamma!” Mi allarmai, spaventata per aver chiuso gli occhi; era buio fuori le imposte. Controllai il respiro di Aurelien, lineare; sorrisi e mi stupii di essere ancora capace di farlo.

“Devi mangiare.” Alla parola mangiare, sobbalzai inorridita.

“Benjamin!” Vibrai, come colpita da una scarica elettrica; avevo dimenticato completamente mio figlio.

Mi guardò affettuosamente, parlando con estrema e dolce lentezza. “E’ con Cedric adesso. Abbiamo comprato del latte artificiale, sta tranquilla.”

Tranquillaaa?!” Balzai in piedi, guardando Aurelien e poi l’ingresso. Poi di nuovo Aurelien, con il cuore in frantumi e il richiamo viscerale da madre di nuovo arzillo. “Urla, se dovesse aprire gli occhi! Chiaro?!” E schizzai via dalla stanza spostando l’aria; Cedric era comodo su una poltrona da basso, con Benjamin urlante di gioia sulle sue ginocchia.

“Oh-oh.. mamma infuriata a ore tre!” Mi passò il piccolo senza batter ciglio, “ciao sorella!” Non vedevo mio fratello da un secolo e mezzo, più o meno, ma non avevo il tempo di sbrodolarmi in cerimonie stucchevoli. In salone c’erano papà con la faccia tesa e svuotata, Arnauld con il giornale aperto a mezzaria ed io che armeggiavo con i bottoni della camicetta per allattare Benjamin. “Ha appena mangiato..” Cedric tentò di fermarmi paonazzo in viso, “.. ma immagino che a te non importi un bel niente. Prego, fa pure.” Il bambino si attaccò immediatamente al mio capezzolo, gli accarezzai la tempia piangendo.

“La mamma è qui adesso.” E lo cullai fino alla cucina, dove riversai la poltiglia di farina e latte vaccino nel rubinetto. “Niente più schifezze per il mio ometto.” Mi asciugai gli occhi, conducendoci nuovamente al capezzale di Aurelien.

“Non può stare qui Deesire.” Rimbrottò Clorine, vedendomi entrare con Ben.

“E chi lo dice?! Sono sua madre, lui resta dove sto io.” La guardai con il fuoco negli occhi, “latte artificiale! Se volevi uccidermi potevi servigli direttamente cianuro!”

“Sei cocciuta come un mulo!” Si alzò di getto, facendo scivolare la sedia all’indietro. “Ti abbiamo pregata di riposarti e tu no, ti abbiamo pregata di mangiare e tu sempre no. Sei rimasta ostinatamente attaccata a questo letto per sei giorni di fila. Sei lercia, hai i vestiti tutti strappati ma è tuo marito che rischia la vita, va bene e lo capiamo. E’ di Benjamin che parliamo adesso, cosa dovevamo fare?!”

“Io ci sono. Mi farei togliere la vita per lui.” Soffiai col muso duro e poi piansi maledette lacrime di frustrazione e Dio solo sapeva cosa. Ero sensibile e agitata, troppo. Passai Benjamin da un seno all’altro ma lo rifiutò, ormai sazio. “Come ho potuto..” la guardai sul crollo di una crisi di nervi, lei mi sorrise accarezzandomi le spalle. “Sei stata coraggiosa. Al posto tuo sarei crollata dietro tuo padre, non avrei sopportato l’idea di vederlo immobile, vulnerabile, incerto. Ma è di te che stiamo parlando, no?! La mia cocciuta e forte Deesire.”Allungò le braccia per prendere Ben e glielo passai con estrema delicatezza.

“Faccio spostare la culla qui se vuoi. Da come sbatte le palpebre questo ometto ha bisogno di riposare. E non solo lui.. sono sempre la tua mamma apprensiva Deesire, certe cose non cambieranno mai.” Mi baciò la guancia e sparì nella stanza accanto.

“Sempre a bisticciare voi due..” Un fil di voce rauca proruppe nel silenzio; Aurelien aveva riaperto gli occhi e stava.. ridendo. Ridendo! Aprii e chiusi la bocca incapace di dir nulla, non c’era visione più bella e paralizzante del suo sorriso in contrasto con la pelle pallida ed emaciata. Passi affrettati per le scale mi avvisarono dell’arrivo della truppa –credo più per il baccano messo su da me e mia madre che per l’ingente miracolo appena avvenuto- con Clorine in testa riemersa dalla nursery, seguita da Arnauld –occhiali calati sul naso e l’immancabile stetoscopio al collo- mio papà, Ines e Cedric che mi spodestarono senza tante scuse dalla prima fila; finii a boccheggiare sola e spaurita dietro la pienezza della nostra famiglia al completo.

Arnauld scansò la mascherina dal suo viso, controllando pulsazioni, riflesso delle pupille e lingua; annotò soddisfatto i parametri, si deterse le mani applicando i guanti per rimuovere le bende dalle ferite, annusò gli umori delle stesse e sorrise. “Bel lavoro Deesire. Stanno guarendo in modo impeccabile. Come ti senti Aurelien?!”

“Come se mi fosse passato un treno merci addosso.”

“Sì più o meno deve essere questa la sensazione che si prova.”

“Che mi è successo dottore?!”

“Non ricordi nulla?!”

Si accigliò. “Credo di ricordare solo cose spiacevoli.” Guardò fuori la finestra, quella sui tetti della città e rabbrividì. “Volevo sapere della mia salute, dottore.” Sorrise ancora, era una benedizione guardarlo; i nostri occhi si trovarono nel mezzo degli sproloqui di Bertrand su ciò che era accaduto, della sua situazione clinica e ben presto restammo solo noi in quella stanza. Accarezzò la mia paura con voce vellutata, invitandomi al suo capezzale. “Ti voglio vicina, qui.”

“Aurelien!” E come se mi fossi svegliata dal torpore, corsi ad abbracciarlo; era dimagrito e le sue spalle larghe ancora più prominenti. “Aurelien!” Baciai ogni centimetro di pelle del petto nudo libero da garze e cerotti, poi il collo, gli occhi, le labbra.. perdendomi nella disperazione dal sapore dolceamaro; era rimasto con me, martoriato ma vivo e presente. “Non farmi mai più una cosa del genere! Mai più!”

Asciugò con il pollice le lacrime ai bordi delle mie ciglia, sospirando. “Ehi sono vivo adesso, non piangere, sono qui.”

Lo guardai truce. “Tu devi vivere sempre.” Premetti le mie labbra contro le sue con foga e abbandono tanto che si accasciò all’indietro portandomi giù con lui, per le spalle. “Non merito una gioia simile ma.. la tua vita è la cosa più preziosa per me ed io sono felice, felice, felice di averti qui con me!”

Deesire devi aver battuto la testa da qualche parte, sai?!” Rise fra i miei capelli, accarezzandomi la schiena. “Tu meriti di essere una signora molto felice. Ti ricordi?!” Assentii ricordando la sua promessa al nostro primo ballo, “beh io non l’ho dimenticato. Per me.. è ancora così.”

Annuii con gli occhi umidi. “So che hai detto a Danielle che mi aspettavi.” Mi sfilai dal collo la catenina con la fede e gliela porsi, infilandola al suo; baciò il crocefisso e l’anello e mi guardò intensamente.

“Non ho mai smesso di credere in te. Tu credi in noi?!”

Ci credevo? Avrei varcato la soglia di casa, girato le spalle alla nostra vita bella e dura perché eravamo giovani e impetuosi, percorso tutta la città e seguito quel soldato fin capo al mondo?! Ero davvero pronta a rinunciare ad Aurelien? Cosa era quel filo che ci legava, come una trottola che girando a lungo su stessa tornava sempre al punto di partenza? Non avevo la risposta e non l’avevo avuta per un sacco di volte, ma quel che era certo e che non avrei mai più lasciato il mio posto.. perché quello era il mio posto; separati davamo vita alle grandi catastrofi della nostra esistenza, insieme tutto era sicuro, dolce.. e mio da poterlo toccare con le mani. Mi sentivo amata da questo uomo straordinario ed io amavo lui, non c’era nessun copione da ripetere a memoria; amare Aurelien, vivere con lui, era sempre stato così naturale, dopotutto. Fabien Moreau sarebbe rimasto per sempre l’altro grande amore della mia vita; ma quella vita era esasperante e sembrava un miraggio da deserto africano. Non si vedeva mai la fine. Solo immagini sfocate e deliranti.. per quanto deliziose. Quella vita un po’ pazza e irragionevole.. allo zenzero e cannella.

Ma.. era stato il tocco di lavanda a rendere il tutto davvero speciale.

“Io non funziono bene se tu non ci sei.” Tirai su con il naso, affondando la testa nel cuscino alle sue spalle, “oh Aurelien.. mi dispiace così tanto! Così tanto!” Mi abbracciò, lui che infondeva coraggio a me. Si poteva chiedere qualcosa altro ancora al creato?!

“Una volta mi hai detto che la tua casa è dove sono io; entra dentro me Deesire e stai comoda qui. Non chiedo altro, non desidero altro. So che ti ho trascurata, so che i miei obbiettivi mi hanno distratto dall’unica cosa davvero importante; te. E so che in qualche modo.. Fabien ha avuto il privilegio di.. sentirti in un modo a me sconosciuto. Non voglio sapere come, non adesso perlomeno. Non mi importa più di quanto mi importa sapere che sei qui con me e ci vuoi restare. E questo non mi basterebbe comunque, ho bisogno.. disperato bisogno di sapere che tu credi in me e soprattutto in noi.” Mi portò in posizione eretta, affondando lo sguardo cerchiato e nero nel mio; la mia bocca una linea dura e asciutta incapace di proferir verbo. Sorrise, stemperando l’ansia e aggiunse il resto con un risolino ironico, “non reggerei un altro colpo, stavolta.” Mi solleticò il labbro inferiore con l’indice, gli occhi socchiusi.

Deglutii, inspirando sul suo tocco leggero al mio viso. “Credo in te perché sei la persona migliore che io conosca. Voglio amarti per il resto dei miei giorni, davvero.” Sfiorai con i polpastrelli il petto rasato e mi fermai all’altezza del cuore. “Questo lo lasciamo intatto. Ho passato una brutta giornata nell’incertezza che te ne saresti andato.”

“Immagino.” Rise e sospirò affaticato.

“Ti lascio riposare. Hai bisogno di qualcosa?!”

“Solo del tuo amore.”

Scossi il capo; il mio mieloso liege era di nuovo con me. Tutto sarebbe andato a posto.

Uscii dalla stanza incontrando gli occhi lucidi e rossi di Ines; ci guardammo a lungo prima di abbracciarci forte. Non capii il senso ma ricambiai con trasporto.. era confortante farsi consolare quando il mondo dal baratro scuro che ti ha fatto saggiare, ti apre un spiraglio di luce. “Arnauld dice che si riprenderà. Ma a che prezzo.. credo non voglia sbilanciarsi e tenerci alta la guardia.” Fu come una doccia gelata, non avevo minimamente preso in considerazione le conseguenze ammesso appunto ce ne fossero. “Ines è giovane e forte.. è il mio liege.. è riemerso dal sonno per sgridarmi, santa pace!”

“Qualcosa di profondo.. ha detto. Qualcosa di profondo..” si strinse ancora più forte, improvvisamente singhiozzando; la strinsi per le spalle, accarezzandola. No, Aurelien non sarebbe morto. Lo sentivo.

Shh.. calmati Ines, una cosa alla volta. E’ con noi, adesso. Domani penseremo al resto.” Sì, pensai con l’anima ferita, domani. Oggi no, Aurelien era vivo. Aurelien era con noi.

Tremò, incrociando lo sguardo ferito con il mio. “C’è dell’altro?!”

“Jacque ha avuto un infarto. Martin è dovuto correre in ospedale.” Singhiozzò, scuotendo il capo. “Non ha superato lo shock. Quando ha saputo che Aurelien era in fin di vita.. non ha retto il colpo.”

“Jacque è..” non riuscivo nemmeno a pronunciarla quella parola, lei annuì sconfortata.

“Morto.” Sussurrò con voce strozzata, “cosa sta succedendo Deesire?!” Cosa stava succedendo? Perché lo chiedeva a me, supponeva che avessi tale risposta? Erano poche le cose che sapevo con certezza; ero passata in fretta –e come un tornado devastante- dall’essere una moglie in procinto di fuga a una moglie redenta, Aurelien era tornato e mi chiedeva di restare e Benjamin il mio adorabile figlio per una ragione a me sconosciuta, era stato cancellato dalla mia memoria di madre in fase di tragedia. Ecco, questo era quello che sapevo al momento, la morte di Jacque così improvvisa apriva porte sull’ignoto e destabilizzava le poche certezze che mi tenevano con i piedi per terra; provai una fitta di terrore al pensiero di occhi verde bottiglia tristi e sconsolati. “Qualsiasi cosa stia succedendo, Aurelien non lo deve sapere. Non oggi.” Scacciai via gli spauracchi dalle mie spalle e respirai a fondo, “ti prego Ines, sei sua madre. Fatti coraggio.”

Asserì con il capo asciugandosi gli occhi e si sistemò i capelli con mani svelte. La congedai, guardandola entrare malferma sulle gambe nella stanza di suo figlio ed ebbi un improvviso conato di vomito; Arnauld apparì alla mia vista risalendo per le scale, con mano salda mi aiutò ad appoggiarmi al corrimano in ferro battuto. “Dobbiamo fare quelle analisi Deesire.”

Sospirai, non potevo più rimandare.

 

Tre giorni dopo nel cimitero di Père-Lachaise, ci stringevamo tutti Bonnet e Chedjou per dare l’ultimo saluto a quello che era stato il pilastro delle ormai ex aziende Chedjou; c’era aria di sconfitta fra noi, eppure nel vento che mi scarmigliava e frustava percepivo una resistenza e una forza che non avevo mai avuto, crescermi dentro. Non avrei permesso alle mia famiglia, la vecchia e la nuova, di affondare. Mai. La casa era un via vai di gente sconsolata, grigia e tenue come il cielo di Parigi; da quando i tedeschi erano arrivati era quello il colore predominante, grigio tenue. L’umore -che non era già dei migliori fra i concittadini causa invasione- era risollevato dai vecchi racconti di Martin su suo padre e dagli amici di infanzia di Jacque, oggi avvocati, notai ma anche marmisti, piastrellisti –pareva essere piuttosto versatile nella scelta delle sue amicizie trovando questa caratteristica squisitamente affine al nipote- spargendo tutto intorno una tranquillità che non speravamo certo di trovare così presto. Jacque era stato un leone, un vero dominatore, la sua vita era stata costellata di successi privati e personali lasciando niente al caso e nulla di incompiuto. La sua morte, tragedia per tutti noi, era esattamente ciò che lui rappresentava; un uomo che avrebbe dato la vita per la sua famiglia e per l’impero dalla quale essa dipendeva. Per ironia della sorte così era stato, ma Martin ci aveva convinto che se avesse potuto, dall’al di là, avrebbe alzato un calice di champagne brindando alla faccia dei nostri musi lunghi per la sua perdita, perdendosi in grosse risate.

Deesire fatti aiutare.” Maitre Gerald era stato così gentile da aiutarmi con il buffet; erano giorni che lo vedevo gironzolare per la casa, spesso chiudersi in camera con Aurelien a confabulare e ridacchiare. Era l’unico che riusciva a strappargli un sorriso e benedii la sua presenza; il mio liege era cupo, si sentiva responsabile dell’accaduto e riportarlo in alto era un compito arduo e stancante. L’aspetto clinico della sua situazione invece andava migliorando per grazia di Dio, ma il dottor Bertrand non si lasciava andare a positivismi eccessivi. Era frustrante e allo stesso tempo essenziale; avere una finestra aperta sulla realtà mi permetteva di non vivere di sogni e godermi realmente e pienamente mio marito. “Va a sederti, torno subito.” E nell’attimo in cui mi sbottonai il colletto del vestito accingendomi a sedermi, suonò il campanello; alzai gli occhi al cielo inveendo sotto le cupe risate di Gerald.

Mi fermai di colpo. Un uomo in divisa e armato della Waffen-SS teneva alto il cartellino identificativo guardandomi sardonico. “Madame Chedjou, suppongo?!”

“Proprio io.” Guardai ansiosa alla pistola e quello la sfiorò alzando le spalle.

“Sono venuto ad interrogare monsieur Chedjou circa l’accaduto alle fabbriche.”

“Mio marito ha bisogno di riposare, sono certa che può eseguire il suo interrogatorio in un altro momento.” Stavo per chiudere la porta, ma l’uomo intrufolò il piede fra me e lo stipite impedendo che si chiudesse. “Ha un preciso ordine, generale Steiner?!” Imprecai con voce stridula.

“Ordini delle SS madame.” Storpiò l’appellativo come ero abituata ormai a subire, ma se non altro fino a quel momento si era sforzato di parlare un francese decente. “Suo marito è al piano di sopra?!” Ripiegò il mandato guardando intorno, dentro la casa. Annuii irritata, aprendo del tutto la porta e facendogli strada.

“Una casa bellissima.” Inspirò alle mie spalle, camminando con eccessiva lungaggine. “Non è sola.”

“Una veglia funebre. Una cosa triste e noiosa. La prego di seguirmi.” Vidi l’ombra di mio padre spuntare da dietro la parete del salone principale, gli occhi subito sospetti e circoscritti; proseguii con andatura sicura, gradino dopo gradino, senza esitazioni. Dovevo liberarmi del panzer il prima possibile.

“Il lutto è per suo nonno, giusto? Condoglianze.”

Deglutii, “il nonno di mio marito. Per di qua.” Indicai la porta e bussai; Aurelien mi rispose con un fil di voce. “Amore l’ufficiale Steiner delle SS vuole interrogarti. Te la senti di parlare?!”

L’uomo mi scavalcò, arricciando il naso per l’odore forte di disinfettante. “Ho un mandato monsieur Chedjou.”

Entrai spazientita e richiusi la porta con teatralità; mi avvicinai al letto aiutando mio marito ad ergersi con il busto, impilandogli il cuscino dietro la schiena. Mi ringraziò mimando con le labbra, pregandomi con lo sguardo angosciato di andare via, ma gli strinsi forte la mano scuotendo impercettibilmente il capo. “Ufficiale Steiner la prego di attenersi alle buone maniere, come può vedere con i suoi occhi mio marito necessita di tranquillità.”

“La prego di perdonare le mie maniere rudi madame. Solo qualche domanda veloce.” Tirò fuori un taccuino e la penna e guardò Aurelien con i suoi occhi glaciali. “Bene monsieur mi dica, cosa è successo esattamente il giorno del crollo?!”

“Ero alle aziende come di consueto. I suoi preposti hanno fatto irruzione e portato via delle persone. Poi c’è stato il caos, il fuoco e il crollo.” Aurelien per nulla colto in fallo recitò la sua versione dei fatti come il compito di un bambino delle elementari; il soldato alzò un sopracciglio perplesso.

“Dove era lei al momento dell’incendio?!”

“Ala est.”

“L’incendio è scoppiato nell’ala ovest.”

“Questo deve dirmelo lei.”

“Ala ovest, settore produzione.”

“Un bel danno a quanto pare.”

“Già, il cuore pulsante della macchina.” Si infilò la penna dietro all’orecchio ghignando. “Mi chiedo come faccia a starsene qui calmo quando ha perso tutto.”

“Ufficiale Steiner..” sentii montarmi l’adrenalina, Aurelien allargò gli occhi spaventato. “Mio marito è mezzo morto per difendere i propri interessi e guardi come si è ridotto! Sa cosa gliene importa adesso delle fottute aziende?!”

Alzò le spalle, guardandoci in segno di sfida. “Peccato.. una bella proprietà sulla quale mettere le mani.”

“I nostri avvocati sono ben pagati per lavorare a questo. Questo e.. altro. Pensi che coincidenza se si scoprisse che l’incendio ha natura.. polverosa. Piombo per l’esattezza. Piombo dalle nostre macchine e piombo nei vostri fucili. Che bel dilemma, eh?! Dove pensa che andrebbe a cadere l’ago della bilancia?”

“Sulla verità, madame.”

“Oh sì sulla verità. E scommetto che lei l’ha già appuntata sul suo bel blocchetto proprio pochi minuti fa.” Tentò di replicare ma ero un fiume in piena con argini fragilissimi, “se non ha altre domande da farci la prego di andarsene da casa mia, ufficiale. S.U.B.I.T.O.”

“Ha sentito cosa le ha appena detto mia figlia, ufficiale?!” Ahmed spalancò la porta esibendo una carta bollata, “qui ci sono elencati i nostri diritti. Ha il dovere di andarsene se non è gradito; possedete il territorio, non le persone.” Quello ci guardò stupefatto, infilzò la penna nel taschino, il blocchetto nella giubba e a passi pesanti e cadenzati raggiunse l’uscita. Lo segui svelta, con i battiti accelerati per la prova di coraggio appena compiuta; si richiuse la porta alle spalle in una nuvola di imprecazioni incomprensibili sparendo per il boulevard solitario.

 

“Perché fai tutto questo?!” Aurelien era tornato angosciato e depresso, la vista dell’ufficiale non lo aveva minimamente scalfito. “Quello che dice il crucco è vero: abbiamo perso tutto.”

“Abbiamo perso tutto è vero, ma non la dignità.” Sistemai il cuscino dalla sua schiena alla testa, aiutandolo a distendersi; aveva i muscoli contratti e tesi, dimagriva a vista d’occhio. “Ti amo Aurelien, se può sembrarti un buon motivo.. lo faccio per questo.” Mi girai, papà ci guardava imbarazzato, lo pregai di aiutarmi a servire la cena e congedare gli ospiti; c’era in corso una veglia funebre di sotto e lo avevo completamente dimenticato. Sentii dopo poco scemare il vocio e tornare la tranquillità sulle nostre teste.

“Se mi fossi fermato forse..”

“Piangeresti la gente che invece hai salvato.” Gli strinsi le mani, sedendogli accanto. “Hai avuto coraggio, nessuno al posto tuo avrebbe fatto altrettanto.”

“Non ho pensato alle conseguenze. Sentivo le urla.. nella testa le sento ancora.”

“Aurelien, guardami.” Gli girai il viso di prepotenza, fisso su di me. “Ero sul lastrico quando tuo nonno ha accettato di unire le nostre famiglie in una sola e tu mi hai sposata senza remore; oggi ti guardo e penso che sei esattamente come lui.. altruista, intelligente, un uomo assennato. Ti conosco, avresti vissuto una vita tormentandoti se non avessi agito in quel modo.”

“Lo so. Tu mi conosci proprio bene.”

“Allora fammi essere per te quello che tu sei per me; ho parlato con Ahmed, riscatteremo delle quote dalla fusione con le aziende Fontaine, qualcosa attingeremo dalla vendita del mio libro e dai biscotti e.. rinasceremo. Credo ci vorrà del tempo, non mi intendo di finanza.. ma accidenti! Qualcosa tireremo fuori!”

Sorrise, portando la mano verso la mia guancia, “non finirai mai di stupirmi.”

“Oggi non faccio eccezioni, difatti.”

Mi guardò accigliato, lo abbracciai nascondendomi sul suo collo. “Aspetto un bambino Aurelien.”

 

****

 

“Papà! Papà!”

“Benjamin aspettaci, non correre!”

A dispetto di tutto, Aurelien rimase con noi.. sette anni dopo l’incidente alle fabbriche; tre anni prima, un venticinque agosto di tumulti e ribellioni, gli alleati sbarcati in Normandia arrivarono finalmente a Parigi, debellandoci dalla morsa dei tedeschi. Accadde tutto molto velocemente, ci trovammo spauriti e in balia di noi stessi, ma ebbri di vita e gioia.. e di voglia di ricominciare, costruire, pulirci del fango piombato su di noi sotto forma di malattia mondiale; quasi tre milioni di soldati francesi persero la vita per perorare la libertà e darci nuova vita, cinquecentomila civili ebrei, sinti, rom, omosessuali.. una vera catastrofe che macchiò per sempre la dignità dei francesi, tutti. Ma imparammo che dal male comune insieme si può rinascere e fu così che rinascemmo, francesi di Parigi e non e gettammo basi per un futuro allora tutto ancora da scrivere.

“Preso!” Aurelien sollevò Ben in aria, mettendoselo a cavalcioni sulle spalle; il mio frugoletto dagli occhi azzurri grandi come pozze, rise di gusto. “Lo sai dove siamo?!”

“Sì.” S’accucciò con il mento sui folti capelli ramati del papà; rosso contro cenere.. un bell’effetto emotivo per il mio cuore tumultuoso. “Qui è dove ci sono i mostri con le braccia di ferro che costruiscono le cose!”

Aurelien mi lanciò un occhiata divertita, “è questo che ti racconta la mamma?!”

Mh-mh. Posso vederli papà?!”

“Oh sì certo e potrai lavorarci come faccio io! Un giorno questo sarà tuo.” Aurelien circoscrisse lo spazio dinnanzi a lui con mano aperta; due edifici già costruiti sugli scheletri dei precedenti ceduti al crollo e altri due che mano a mano stavano prendendo forma, voluti dal suo progetto di ampliamento mirato alle tecniche di costruzione e vendita del futuro. “Proprio come lo è stato del nonno e di mio nonno prima di lui.”

“Ma posso fare anche il pasticcione come la mamma?!”

“Si dice pasticcere Benjamin!” Gli arruffai i capelli alzandomi sulle punte, poi guardai Aurelien con misto di divertimento e rassegnazione. “Ne riparleremo fra qualche anno, ok?!” Ben annuì scalpitando, il suo papà si chinò lasciando che il ragazzino lo scavalcasse. “Non oltrepassare il cancello!” Ed era già schizzato via da noi.

“Wow!” Aurelien si lasciò andare ad un sospiro, passandomi un braccio sulle spalle. “Un altro indeciso Chedjou.” Ci guardammo profondamente, consapevoli e taciti di quella verità, prima di essere catturati dall’urlo di stupore di Ben verso il gancio meccanico della gru che alzava i blocchi di cemento. “Mostri dalle braccia di ferro eh?!” Ci incamminammo sempre stretti, la mia mano sulla sua avvinta al mio braccio. “Mio nonno si starà rivoltando nella tomba..”

“Tuo nonno sarebbe fiero, invece. Guarda cosa sei stato in grado di fare.”

“Già. Ci pensi?! Trecento operai e un reparto di spedizione tutto nostro.” Si fermò salutando con la mano gli operai chini sui calcinacci o sulle impalcature; tutti si tolsero il cappello alla sua vista, squadrando poi me da capo a piedi. Mi faceva sempre sorridere questa cosa, a ventotto anni ero una bella donna in carriera, mamma e moglie devota, con il viso segnato da qualche sofferenza ma negli anni della guerra ognuno di noi aveva qualche cicatrice scritta in volto.

La mia più grande aveva il nome di Fabien.

Non era mai più tornato dalla guerra, al suo posto un giovane soldato aveva bussato alla porta in un pomeriggio afoso di fine settembre consegnandomi la sua placchetta identificativa; sembrava avesse espresso il desiderio di farmela avere, se mai gli fosse accaduto qualcosa. E qualcosa purtroppo successe; disperso in Normandia durante gli ultimi disperati tentativi dei soldati tedeschi di ripiegare, il suo corpo non era mai stato ritrovato. I morti senza nome, li chiamavano. Quello che mi restava di lui era soltanto una placca, la foto di lui e sua madre ripiegata nel portamonete e un atto notarile in cui mi lasciava degli immobili come eredità. Anche Madeleine era sparita, la sua bottega porta i loro nomi ed è stata trasformata nel laboratorio di biscotti che mi ha aiutato a rialzare la famiglia; penso spesso a loro e quando lo faccio è come se una parte di me perisse insieme a loro. Non so se era tutto già scritto in un piano ben preciso del destino; Fabien mi aveva salvato -e sebbene io credessi il contrario- io avevo salvato lui da se stesso. Voleva cambiare il mondo, dare un futuro a suo figlio in un posto migliore. Non so se ci è riuscito, il futuro è ancora in costruzione ma di certo Benjamin è stato un bambino fortunato soprattutto grazie a lui; alla maggiore età avrebbe ereditato le aziende Chedjou o se le sue voglie da pasticcione fossero cresciute avrebbe portato avanti quello che sua madre e suo padre avevano cominciato nel caldo agosto dell’anno della sua venuta; la produzione di biscotti presto divenuta una joint venture europea. Ne avrebbe avuto tutte le potenzialità, dotato di un grande intuito e genio artistico. Era ed è tutto suo padre, ovunque lo si guardasse.. ma il padre è chi ti cresce, ed è per questo che quando lo vedevo dare ordini, organizzare con metodo la sua piccola vita, togliersi il cibo di bocca per darlo ai barboni sui boulevard io ci vedevo tanto anche di Aurelien. Era così e andava bene, avevo giurato che mai più avrei fatto loro del male, ed è per questo che mi svegliavo ogni mattina con la forza e la voglia di andare avanti, per scoprire un altro giorno insieme ai miei uomini del cuore; vivevo per i loro sorrisi, per il loro amore e non chiedevo di più. Avevo camminato per l’inferno, portavo le miei cicatrici ma c’era sempre qualche altro successo da festeggiare.

 

“Pensi a lui, vero?!” Aurelien mi sfiorò la guancia con la mano; prese un casco allacciandolo alla testa, sorridendomi. “Lo amavamo tutti, non devi essere triste o vergognartene.”

“Grazie, davvero. E’ che quando sono così felice..”

“.. pensi a lui. Sì, capita anche a me. Non posso che ringraziarlo, ovunque esso sia.”

Sentii gli occhi pizzicarmi, Aurelien mi guardò con infinito amore, stringendomi forte la mano. “Si è preso cura di te quando io non ero in grado di farlo e lo ha fatto anche dopo.” Pensai velocemente al momento in cui gli avevo comunicato delle eredità lasciate a me dal cugino come ultimo desiderio e sorrisi al ricordo della sua estrema razionalità e calma come reazione. Scossi il capo, guardandolo con gratitudine; ricambiò lo sguardo, ma stavolta intenso e fermo. “Figlio mio, figlio suo.. io vi amo incondizionatamente Deesire.”

Gemetti, buttandogli le braccia al collo. “E noi amiamo te.” Qualcuno dai piani alti fischiò, strappandoci un sorriso. “Ma adesso è meglio che vai, i tuoi operai credono che stiamo dando spettacolo.”

Annuì compito. “Faccio un giro di ricognizione e vi porto in centro a prendere un gelato, promesso.” Mi baciò delicatamente, per poi sparire all’interno dell’edificio ormai completato, mano nella mano con Benjamin, il suo caschetto di protezione e il sorriso del bambino che sta per entrare nel paese delle meraviglie. Sospirai nuovamente, vinta d’amore.

Ero esattamente dove dovevo essere. Dove volevo essere.

 

*

NDA:

Innanzitutto perdonatemi la lunga assenza; ero in vacanza! Yeahh!

(Ma già in modalità depressione per il rientro.) Nooo L

Ho cercato di unire le idee e fatemi dire che non è stato per niente facile, visto come è sviluppato il finale di questa storia nella mia testa; vi avevo lasciato con Deesire pronta a mollare tutto per Fabien, ma il destino si sa, quando ci mette lo zampino crea situazioni che non ti aspetti e in questo caso la nostra protagonista, ha dovuto far fronte ad una situazione del tutto inaspettata. Niente lieto fine dunque per lei e Moreau.

Non odiatemi. E non fatelo neanche per il salto temporale di anni ma credo che parlare ulteriormente di Deesire/Aurelien fosse insano e che tutto ciò riguardasse la loro vita negli anni della guerra fosse naturalmente esaurito. Li ho lasciati pieni di speranze e in attesa di un figlio stavolta “tutto Chedjou” e ve li ho fatti ritrovare dopo sette anni alle prese della rinascita post-guerra. Perché? Perché per me questa storia non è finita, o meglio non ho ancora concluso “Zenzero e Cannella” di tutti i suoi capitoli; apparentemente può sembrare terminata, ma ho ancora qualcosa da raccontare. La mia intenzione è di postare un altro capitolo; per chi volesse continuare a seguirmi GRAZIE DI CUORE, per chi ne ha abbastanza GRAZIE DI CUORE UGUALMENTE, siete stati tutti meravigliosi.

Mi dispiace tantissimo avervi fatto aspettare e aver notato che qualcuno ha tolto la storia dalle seguite ma ok arrivo a capire le diverse motivazioni, solo mi sarebbe piaciuto aver letto i vostri pareri anche se negativi! Sono masochista lo so!

Per il resto mi auguro di avervi allietato e di non aver annoiato nessuno.

A presto,

Lunadreamy.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Luna_R