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Autore: VahalaSly    01/07/2013    4 recensioni
"[...]Improvvisamente vidi un'ombra vicino al Platano Picchiatore; sembrava essere appena uscita dal tronco, cosa altamente improbabile. Severus sembrò vederla a sua volta, poiché si lanciò all'inseguimento. Raggiunse il Platano Picchiatore e lanciò un incantesimo, così che l'albero smettesse improvvisamente di muoversi.
Sentii letteralmente la mia mascella in caduta libera.
Prima che potesse fare anche solo un altro passo però, un'altra figura si diresse correndo verso di lui. Lo raggiunse e lo bloccò, parandoglisi davanti."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Era una mattinata piacevole quella che scelsi per recarmi a Hogsmeade. Il sole, stranamente, aveva finalmente deciso di tornare a fare capolino da dietro le perenni nubi che lo avevano oscurato per tutta la settimana precedente; il vento soffiava comunque gelido e la neve ammucchiata ai lati della strada non accennava a sciogliersi.

Mi strinsi la sciarpa intorno al collo e continuai a camminare, i passi che risuonavano ovattati sul viale ghiacciato. Avrei preferito rimanere al castello quella domenica, magari rifugiata nelle cucine a leggere un libro con una buona tazza di tè, ma la promessa che avevo fatto a James me lo aveva impedito. Stavo per chiedermi perché mai avessi accettato, quando mi ricordai che non avevo avuto altra scelta. Questa me la paga.

Dopo che egli aveva deciso di rendermi parte del suo disastroso piano, non avevo potuto fare altro che mandare un gufo ai miei genitori, il primo che avessi mai spedito in cinque anni, chiedendogli di inviarmi dei soldi. Poiché l'unico villaggio in cui potevamo andare era Hogsmeade, avevo anche dovuto pregarli di andare prima alla Gringott a cambiarli. L'unica volta che vi erano entrati era stato alla vigilia del mio primo anno, quando mi avevano accompagnata per la prima volta, e anche l'ultima, a comprare il materiale scolastico. Ricordavo benissimo i loro volti orripilati alla vista degli inquietanti folletti, così diversi dagli impiegati del mondo babbano; sapevo perciò che, alla vista della mia richiesta, probabilmente avrebbero deciso semplicemente di rifiutare.

Ammetto quindi di essere rimasta parecchio sorpresa di trovare nella busta che mi avevano mandato in risposta ben dieci galeoni d'oro, che certo non erano una grande somma, ma erano comunque più di quanto avessi mai effettivamente avuto con me.

Una volta in possesso del denaro altro non mi era rimasto che prepararmi per un altro fine settimana a Hogsmeade, in cerca di qualcosa che fosse il più possibilmente simile ad un vestito. Non intendevo mettermi particolarmente in tiro per Potter, anzi, ero stata piuttosto tentata di presentarmi in divisa scolastica al ballo, così da rovinargli i piani, ma avevo deciso che non ne valeva la pena. Sapevo che la verità, in fondo, era che l'idea di andare ad un ballo mi eccitava. Sì, anche se era con quell'esaltato di Potter; perfino se altro non ero che un mezzo per ingelosire un'altra.

Continuai a camminare per altri dieci minuti buoni, poi finalmente i familiari edifici del villaggio di maghi fecero capolino dalla curva della strada.

Mi diressi a passo spedito verso quella che sapevo essere la via con più negozi di abbigliamento che non si limitassero a capelli a punta e strane vesti colorate. Toccai la tasca della divisa per controllare che i soldi fossero ancora lì, poi mi feci forza ed entrai nel primo negozio.

 

Un'ora dopo ancora non avevo trovato quello che cercavo; ero entrata in tre negozi diversi, ma nessuno di questi sembrava avere quello che cercavo. Un paio di vestiti mi erano piaciuti, ma i prezzi esorbitanti mi avevano convinta a cambiare idea.

Cominciavo ad essere stanca e andare a far compere non era proprio il mio passatempo preferito, perciò stavo per rinunciarci quando, inaspettatamente, una vetrina attirò la mia attenzione: dietro il vetro vi era esposto un vestito blu, di una stoffa lucida e con le spalline di pizzo che sembrava fare proprio al caso mio. Non sapevo esattamente quali fossero i canoni di un vestito per un ballo di natale, ma immaginai che quello non doveva esserne troppo lontano.

Mi avvicinai alla vetrina, leggendo il prezzo.

Dieci galeoni! Doveva essere il mio giorno fortunato! Quasi mi avventai sulla porta, come se temessi che il vestito potesse scomparirmi sotto lo sguardo. Improvvisamente però il mio sguardo si posò su un cartello affisso appena sopra la maniglia e tutto il mio entusiasmo scemò.

Lo rilessi più volte, incapace di credere che stessi interpretando bene le parole che vi erano scritte sopra, nonostante queste fossero fin troppo chiare.

In questo negozio non si accettano nati babbani.

Una rabbia cieca prese il posto dello stupore e sentì le mie mani stringersi, le unghie che si conficcavano nella carne. Mi sarebbe piaciuto essere arrabbiata per via del cartello, ma la verità era che la rabbia era rivolta a me stessa; dopo aver letto il cartello, per qualche secondo, qualche minuscolo lasso di tempo, mi ero vergognata. Mi ero vergognata per la prima volta in vita mia di non essere una purosangue e questo non potevo perdonarmelo. Ero stata fiera dei miei natali per cinque anni ad Hogwarts e ora uno stupido cartello era riuscito a farmi vergognare. Provai l'impulso di aprire la porta comunque, entrare e toccare tutti i loro bei vestiti, provarli, per poi sputare in faccia alle commesse che ero ciò che loro tanto disprezzavano e tutti i loro eleganti abiti erano stati rovinati dalle mie mani in cui vi scorreva sangue sporco. Desiderai urlare loro addosso tutto il mio disprezzo, tutto il mio odio, poiché per colpa del loro cartello mi ero permessa di sentirmi inferiore.
Mi ritrovai a chiedermi se l'avrebbero capito appena avessi messo piede nel negozio quali fossero i miei natali, o se avrei avuto prima il tempo di distruggere qualcosa.

Una mano si posò sulla mia spalla, facendomi sussultare. Mi voltai veloce, pronta a sfogarmi con chiunque si trovasse alle mie spalle, ma la mia determinazione si dissolse non appena vidi Remus che mi guardava triste, lo sguardo lievemente oscurato. Senza dire nulla mi prese tra le sue braccia e mi strinse a sé e io lo lasciai fare, posando la fronte sul suo petto. Sentii le sue braccia strette attorno alle mie spalle, il suo petto che si alzava e si abbassava seguendo il suo respiro. Mi accorsi che stavo tremando per la rabbia, così cercai di calmarmi. Sentii i miei muscoli rilassarsi piano, i pugni aprirsi con una punta di dolore nei palmi causata dalla pressione che le mie unghie vi avevano esercitato. Espirai lentamente, ascoltando i battiti lenti del suo cuore. Sentii la rabbia scemare lentamente, finché non fui nuovamente tranquilla; rimasi qualche altro momento tra le sue braccia, una piacevole sensazione che mi si diramava per le ossa, poi mi staccai.

"Scusami, non so cosa mi sia preso." sussurrai, guardandolo negli occhi. Volevo fargli capire che non ero a disagio con quanto era appena successo, né me ne vergognavo; volevo che vedesse la gratitudine nel mio sguardo, nonostante le mie parole stessero contraddicendo i miei pensieri.

Lui non rispose, ma si limitò a sorride come se nulla fosse accaduto “ Stai cercando un vestito per il ballo?” mi chiese evitando accuratamente di guardare il negozio alle mie spalle. Lo fissai per qualche secondo, presa in contropiede dall'improvviso cambio di argomento. Mi chiesi se per caso si fosse pentito del suo gesto e, per questo motivo, stesse cercando di dimenticarlo; il pensiero mi lasciò una sensazione davvero sgradevole alla bocca dello stomaco, come se un peso vi si fosse appena abbattuto contro. Mi limitai ad annuire in risposta, ora profondamente a disagio.

“Allora sei nel posto sbagliato. Vieni con me, ne conosco uno che fa al caso tuo.” mi spiegò, invitandomi con un gesto a seguirlo. Sbuffai leggermente e gli andai dietro, sempre più confusa rispetto alle sue intenzioni. Inoltre, che diamine ci faceva qui?

Percorremmo la strada in silenzio, cosa che ultimamente era diventata quasi un'abitudine: nessuno dei due amava particolarmente parlare, perciò spesso ci trovavamo a goderci la rispettiva quiete.

Lo osservai di sottecchi, la testa affollata di pensieri. Per certi versi ero contenta che non si fosse soffermato sull'abbraccio, se così si poteva chiamare e, sopratutto, sulla mia esagerata reazione nei confronti di uno stupido cartello. Non ero sicura se avrei saputo come gestire il discorso, io stessa avevo lasciato i miei veri pensieri rispetto al suo gesto a sua libera interpretazione e decisamente non era da me lasciarmi andare in quel modo.
D'altra parte però, il modo in cui aveva semplicemente evitato la questione, fingendo che nulla fosse accaduto...

“Eccoci qui” annunciò Remus improvvisamente, riportandomi bruscamente alla realtà.

Guardai scettica il negozio davanti al quale ci eravamo fermati, che altro non sembrava che un'abitazione con una seria esigenza di essere ristrutturata, inoltre non vi erano vetrine, né insegne di alcun tipo.

“Ehm... sicuro che siamo nel posto giusto?” gli domandai incerta, dando un'occhiata nei dintorni.

Lui vide la mia espressione e ridacchiò, aprendo la porta “Forza, abbi un po' di fiducia!”

Sbuffai e lo superai, entrando nel “negozio”. Dentro era, se possibile, ancora più malridotto dell'esterno: il locale era buio, umidiccio, un velo di polvere che copriva ogni cosa. Lo spazio era angusto, pieno di scatole e oggetti vari, alcuni di cui non riuscivo proprio a capire l'utilizzo; sentivo chiaramente l'odore di muffa che impestava l'ambiente e non potei fare a meno di chiedermi dove diamine di aveva portato Remus.

“Fiducia?” gli domandai sarcastica, non appena anche lui fece il suo ingresso. Lui alzò gli occhi al cielo e si diresse verso un vecchio tavolo di legno, che immaginai dovesse fare da bancone, e scosse un vecchio campanello, da cui si sollevò una nuvoletta di polvere.

“Ohhhh, salve, benvenuti del mio negozio!” esclamò una voce alla mie spalle, facendomi sobbalzare. Mi voltai di scatto e mi ritrovai davanti quella che immaginai essere una donna, anche se era difficile da stabilire con certezza: era alta e magra e non sembrava avere più di vent'anni. Era avvolta da una quantità esagerata di scialli che le ricoprivano le spalle e la testa, dalla quale sbucavano fuori dei capelli crespi. Un enorme paio di occhiali le ingrandiva spaventosamente gli occhi, dando una sensazione di sproporzione al suo viso e rendendola incredibilmente simile a un gigantesco insetto. Mi trattenni dall'indietreggiare, o dallo scoppiare a ridere.

“Cosa posso fare per voi?” chiese, il tono che rasentava il melodrammatico.

“Cerchiamo un vestito.” gli spiegò velocemente Remus, avvicinandosi.

“Per te caro? Non credo di averne uno adatto.” rispose lei, annuendo convinta.

Alzai gli occhi al cielo, incredula. “No, non per lui, per me.” Lei sembrò accorgersi solo allora della mia presenza; mi fissò per qualche secondo, poi batté le mani “Ma certo cara, lo sapevo. Che tipo di vestito avevi in mente?”

Rimasi impalata per qualche istante, incapace di rispondere. Il fatto era che non avevo in mente alcun tipo di vestito, nei negozi precedenti avevo semplicemente adocchiato quelli che mi ispiravano, ma erano tutti completamente diversi. All'ultimo vestito che avevo visto preferivo non pensarci proprio.

“Un vestito... da ballo?” feci incerta, lanciando un occhiata a Remus. Lui comunque sembrava saperne quanto me, perciò quando vide la mia confusione alzò le spalle. Lo guardai storto: era stato lui a portarmi qui e nemmeno sapeva quello che avrei dovuto cercare?! Sinceramente, dubitavo che l'inquietante proprietaria del negozio potesse effettivamente avere qualcosa che mi interessasse.

“Beh cara, ne ho parecchi di quelli, perché non vieni con me a guardarne qualcuno?” mi chiese cortese, spostando una tendina dietro la quale vidi un'altra sala. Riluttante la seguii, guardando nuovamente Remus che fece cenno con una mano “Fai con comodo, io ti aspetto qui,” mi disse, poi si sedette in un vecchio divanetto in un angolo, alzando una nuova nuvola di polvere che lo fece tossire piano. Ridacchiai, pensando che l'asma se la sarebbe meritata tutta, poi seguii la proprietaria del negozio.

Scostai malamente la tenda, evitando con cura di toccare una delle tante ragnatele che sembravano adornarla e guardai la donna mentre si affaccendava all'interno di alcuni armadi, lanciando sbuffi di tanto in tanto.

“Mi scusi... ehm... lei...” la donna si voltò verso di me, sorridendo “Oh cara, chiamami Sibilla.”

“Sì, certo, Sibilla, magari non sono venuta nel posto giusto, io...” cominciai, decisa ad andarmene il prima possibile: se anche ci fosse stato un vestito lì in mezzo, di certo sarebbe stato pieno di strani fronzoli o direttamente maledizioni di dubbio effetto.

“Ohhh, non essere sciocca, sei esattamente dove dovresti essere!” mi interruppe, dandomi una lieve pacca sulla spalla. Battei incredula le palpebre, chiedendomi per l'ennesima volta che razza di posto fosse quello.

Sibilla tornò a frugare nell'armadio, borbottando di tanto in tanto, infine ne riemerse carica di vari vestiti, i pochi che riuscii ad adocchiare per niente rassicuranti.

Li posò su una sedia lì vicina, poi si risistemò gli occhiali e mi guardò entusiasta “Questi dovrebbero andare. Provateli pure tutti cara, io aspetterò fuori con il tuo amico.” detto questo prese e uscì, lasciandomi sola con il mucchio di abiti.

Sospirai rassegnata e mi ci avvicinai scettica, fissando incerta quello che sembrava un enorme scarafaggio attaccato al primo abito. Rabbrividii, sicura di non voler scoprire se fosse una decorazione o un insetto vivo, e lo scostai rapidamente di lato, emettendo un suono strozzato quando lo vidi muoversi.

Guardai schifata gli altri vestiti, ma mi accorsi che, superato il primo, gli altri non erano così male come avevo pensato. Ne sollevai un paio, ammirandoli piacevolmente sorpresa. Erano entrambi lunghi e... antiquati, non avrei saputo definirli altrimenti, ma in un modo che non mi dispiaceva.
Li posai sullo schienale della sedia e ne presi altri due, sollevandoli a loro volta. Uno dei due aveva troppi fronzoli per i miei gusti, ma l'altro non era affatto male.
Controllai di essere ancora sola, poi mi spogliai velocemente, togliendo i vari strati di vestiti che avevo indossato per proteggermi dal freddo. Quando non mi rimase altro addosso che la biancheria intima, afferrai il vestito, tremando per colpa dell'aria gelida, e lo indossai. Capii subito che qualcosa non andava quando lo sentii cadere pesantemente attorno a me; guardai giù e vidi che ci navigavo dentro, letteralmente.
Mi maledì per aver saltato tutti quei pasti in questi anni e me lo sfilai velocemente, sempre più abbattuta.
Guardai velocemente gli altri vestiti, cercando di capire quale mi sarebbe potuto effettivamente stare e finii per tenerne da parte solo due, uno dei quali scartai all'istante visto il suo colore giallo brillante.

"Ehi Elisabeth, so che ti avevo detto di fare con calma, ma Sibilla è andata a prendere il tè e conoscendo la sua mania di predire le mort..." Remus scostò la tendina, continuando a parlare, poi mi vide e raggelò. Ci fissammo per qualche secondo, entrambi immobili, finché non mi ricordai di essere in biancheria intima. Afferrai velocemente tutti i vestiti che potevo e me li strinsi addosso, completamente incapace di proferire parola, gli occhi sgranati.
"Per le mutande di Merlino!" esclamò Remus che sembrava finalmente tornato in sè, poi sembrò ripensare a ciò che aveva detto "NO, volevo dire la barba, la barba di Merlino! Scusami!" Si voltò di scatto, non prima di arrossire fino alle punte dei capelli, e continuò a scusarsi anche dopo essere uscito dalla stanza. "Non ci ho pensato! Scusami!" poi lo sentii imprecare e allontanarsi velocemente.

Io rimasi ancora qualche secondo immobile, incapace di realizzare ciò che era appena successo, poi mi portai le mani sul volto, morendo di imbarazzo. Non sapevo cosa c'era che non andasse con questa giornata, ma di sicuro ne avevo avute di migliori.

Mi rivestii in fretta e afferrai l'unico abito che era sembrato andare bene senza nemmeno dargli una seconda occhiata, poi cercai di risistemare al meglio gli altri sulla sedia e uscii velocemente da lì, desiderando solo di lasciare il negozio il prima possibile e possibilmente dimenticare questo episodio. Sperai che Remus fosse bravo a ignorare questo così come aveva fatto con ciò che era successo prima quel pomeriggio. Due in una sola giornata. E' un nuovo record.

Scostai la tendina e vidi il ragazzo seduto sul divano, gli occhi serrati e le mani sulla fronte. Non appena mi avvicinai lui sollevò la testa e arrossì nuovamente, questa volta senza proferire parola.

"Ohh cara, vedo che hai finito. Hai trovato quello che cercavi?" domandò Sibilla sbucando da un punto indefinito della stanza e portando con sé un vassoio con quelle che sembravano delle tazze di tè.

Sollevai il vestito che avevo in mano e annuii, evitando di guardare verso Remus. Avrei semplicemente voluto smaterializzarmi seduta stante e nascondermi da qualche parte per il resto della mia vita e, in tutta onestà, ero piuttosto convinta fosse lo stesso anche per lui.

"Ottima scelta, quel vestito apparteneva a Antonia Creaseworthy, una nobildonna dai gusti davvero raffinati." mi informò Sibilla, che non sembrava aver notato minimamente la tensione che aleggiava nella stanza.

"Quanto costa?" chiesi, domandandomi se non stesse inventandosi le origini dell'abito solo per alzarne il prezzo. Mi ricredetti quando la sua risposta fu "Tre galeoni".

Che avessi preso un vestito rovinato? Non era possibile che costasse così poco. Magari quella Antonia Crequalcosa c'era morta dentro. Presi comunque i soldi dalla tasca e li diedi alla donna, che li posò incurante sul bancone per poi passarmi una sacca in cui mi fece infilare il vestito.

"Allora ragazzi, volete del tè?" ci domandò poi, versandone una tazza. Stavo per rifiutare quando lei la piazzò nel tavolino davanti a me, invitandomi ad accomodarmi. Sospirai e mi sedetti accanto a Remus, decisa a non curarmi troppo dell'incidente di pochi minuti prima, ma sentii comunque le mie guance scaldarsi.

Sibilla posò una tazza anche davanti a Remus, poi ci invitò a berlo prima che si raffreddasse. Lo bevetti il più velocemente possibile, non vedendo l'ora di andarmene, ma appena l'ebbi finito Sibilla prese la mia tazza e cominciò a guardarla curiosa. La fissai interdetta, incerta su cosa fare, quando questa me la riposò davanti guardandomi seria "Oh cara, mi dispiace farti sapere che i prossimi mesi non saranno affatto facili per te, oh no." mi avvertì, lanciandomi uno sguardo di compassione.

"Come prego?" le chiesi, riconoscendo la lettura delle foglie di tè che avevo, purtoppo, dovuto affrontrare il terzo anno."Oh, vedi, devi sapere che io sono la nipote di Cassandra Cooman e da lei ho ereditato i miei poteri che, aimè, spesso sono un fardello che sono costretta a portare." mi spiegò, sospirando teatralmente. "Nel tuo futuro purtroppo vedo tanta sofferenza."
"Interessante..." commentai, sollevando gli occhi al cielo.

Lei non sembrò fare troppo caso al mio scetticismo e afferrò la tazza di Remus, che continuava a lanciare occhiate alla porta.

"Ohhh!" esclamò con tono grave, allontanando leggermente la tazza "Ragazzo, caro ragazzo, tu e i tuoi fratelli avete davanti a voi un destino orribile!" riprese la tazza e la osservò per qualche altro secondo, poi tornò a fissare Remus "Uno di loro sarà la causa dei vostri problemi." annunciò.

Mi trattenni dallo sbuffare, stanca di ascoltare quelle assurdità.

"Io sono figlio unico, in realtà." le spiegò gentilmente lui, sorridendo debolemente. Lei rilasciò un piccolo "Ah," poi afferrò le tazze e le rimise sul vassoio, il volto corruciato.

"E' il caso di andare." dissi sollevandomi dal divano, prima che Sibilla decidesse di tirare fuori le carte o che so io. Remus si alzò a sua volta, stringendole la mano e salutandola, poi si diresse verso la porta.

“Al ballo sarete una bellissima coppia!" esclamò Sibilla, sospirando felice. Remus stava per replicare ma io glielo impedii, dandogli una leggera spinta verso la porta e borbottando un "Grazie" in risposta.

Quando finalmente ci trovammo fuori inspirai a pieni polmoni l'aria fresca, finalmente libera dall'opprimente cappa di umidità che mi era penetrata fin nelle ossa.

"Mi spieghi come caspita facevi a conoscere questo posto?" chiesi immediatamente a Remus, lanciando un occhiata al negozio.

Lui sollevò le spalle "E' un'amica di famiglia." rispose semplicemente, al che io scossi la testa incredula. Non sapevo se era più assurdo che lui avesse deciso di portarmi in un posto simile, o che io vi avessi effettivamente comprato un vestito.

"E' la peggior veggente che abbia mai incontrato." fu tutto quello che riuscii a dire, incapace di trovare dei termini adatti per commentare il resto.

Lui scoppiò a ridere, guardandomi divertito "Non credo che sia nemmeno una vera veggente, si considera tale per via di Cassandra, ma per quanto ne sappia non è mai riuscita a predire nemmeno quello che sarebbe accaduto da lì a un'ora."

A quel punto si passò una mano sul volto, sospirando rumorosamente "Senti, per quello che è successo prima..." mi trattenni dallo sbuffare, rendendomi effettivamente conto di quanto lo facessi, e aspettai che trovasse le parole giuste per terminare la frase rimasta in sospeso. "Mi dispiace, davvero. Sono abituato con i ragazzi... pensavo li avresti solo guardati..."

Lo interruppi "Non è successo niente, davvero. Dimentichiamocene e basta." volevo passare oltre quella situazione in fretta.

"Non puoi semplicemente dimenticare tutte le cose che non ti piacciono, Elisabeth." asserì Remus, lo sguardo ancora fermo sui miei occhi.

Lo guardai sorpresa "Non lo faccio."

Lui mi osservò per qualche altro secondo, poi scosse la testa e fece per voltarsi.

"Non sono io che ho finto che non fosse accaduto nulla fuori da quel negozio." gli ricordai, incapace di tacere. Lui tornò a guardarmi, un espressione confusa sul volto.

"Non eri tenuto a farlo, non ne avevi alcun diritto. Eppure l'hai fatto. E poi cosa? Hai cambiato discorso e mi hai portato qui. Non dovevi farlo, non per poi pentirtene."

Remus non sembrava capace di proferire parola. Continuò a fissarmi, l'ombra della comprensione che cominciava ad affiorare nei suoi occhi. "Pensi che me ne sia pentito?" mi chiese, la voce rotta. Io non risposi, improvvisamente insicura. Lui mi si avvicinò, poggiandomi le mani sulle spalle "Ero dietro di te e ho visto quel cartello, lo stesso che potrebbero mettere per non fare entrare un cane. Ho percepito la tua rabbia, chiunque avrebbe potuto, era palpabile nell'aria; ma io conosco quella rabbia, ci convivo ogni giorno. Quando ti ho abbracciata, non l'ho fatto perchè avevo pietà di te, nè perchè sentivo di doverlo fare. L'ho fatto perchè volevo, perchè sapevo che io ne avevo bisogno e lo rifarei di nuovo."

Abbassai lo sguardo, senza sapere cosa pensare. "Perchè non lo hai detto?"

"Perchè credevo lo avresti capito, Elisabeth! E' questo che fanno gli amici, si aiutano, condividono... cose." mentre parlava alzò le braccia e le fece ricadere pesantemente, lo sguardo ancora puntato su di me.

"Come mi hai aiutata con James?" chiesi, guardando mentre la sua espressione cambiava "Non fare quella faccia, ho visto benissimo che quella situazione non piaceva nemmeno a te, eppure mi hai ignorata!" mi lamentai, incapace di fermarmi. Mi vergognavo di me stessa, ma non potevo più trattenere quelle parole.

"E' un'altra questione questa. Lui ti ha solo invitata al ballo, cosa avrei potuto fare? E' suo diritto farlo." rispose, il tono ora più pacato, lo sguardo più sfuggente.

"Non mi ha invitata, mi ha costretta e per un motivo incredibilmente infantile. Ho cercato il tuo appoggio, ma tu hai fatto finta di niente, come fai sempre quando Sirius o James fanno gli stupidi. Gli lasci passare ogni cosa, anche se questo vuol dire abbandonare un amico, non è così?" gli chiesi, il tono sempre più rabbioso.

Lui sembrò cercare qualcosa con cui ribattere, ma alla fine curvò le spalle, abbassando lo sguardo "Questo è ingiusto da parte tua. Come volevi che ti aiutassi? Non avrei potuto fare niente."

"Avresti potuto invitarmi tu." risposi glaciale, poi mi allontanai veloce verso il castello senza voltarmi indietro.

  
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