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Autore: Friedrike    02/07/2013    4 recensioni
[Ispirata al film di titolo "Der Verdingbub."]
 
Campagne italiane, inizi del '900.
Ormai mandare avanti la fattoria da soli, sembra impossibile: è per questo che una coppia di coniugi non più giovani decide di farsi aiutare. Il parroco del piccolo villaggio in cui vivono affida loro due ragazzi, Ludwig e Felicia. 
Ben presto però i due adulti si riveleranno sfruttatori senza scrupoli che li umilieranno continuamente. 
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
-Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.-
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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CAPITOLO III
 
 
 
 
Felicia si avvicinò al lavabo, la mattina seguente. 
Si era alzata prima del solito, si sentiva ancora male e voleva pulirsi un po' prima che i padroni s'alzassero. Non voleva dare spiegazioni a nessuno, sarebbe stata solo un'ulteriore mortificazione. 
Prese una pezza e la bagnò per bene d'acqua tiepida, poi se la passò tra le gambe e sulle cosce, quasi con ossessione, con violenza. Adesso si sentiva un po' meglio. Sospirò appena e sussultò quando qualcuno le mise una mano sulla spalla. Lo strofinaccio le cadde dalle mani. 
-Ludwig... buongiorno- lo salutò.
Riprese subito il sorriso, ma non era il solito, questo era meno dolce, più melanconico.
Il ragazzo si chinò per prendere il cencio e restituirglielo, ma lei arrossì subito e lo precedette, stringendo a sé quello straccio sporco. 
Il biondo non capì subito, ma c'era qualcosa, qualcosa nello sguardo di lei, che fece trapelare tutto il suo dolore. Felicia capì che lui aveva capito. 
Quel discorso fatto di sguardi, venne interrotto dalla padrona di casa, la quale non perse occasione per sgridare l'italiana e schiaffeggiare il tedesco. 


 
I giorni passavano monotoni e loro due non facevano altro che guardarsi e darsi conforto.
Ludwig veniva regolarmente picchiato e lei lo sapeva bene, ma non aveva mai provato a difenderlo. Aveva troppa paura. Aveva già il suo dolore troppo grande da tenere per sé. Ogni volta che poteva, però, medicava le sue ferite. Lo faceva con amore, non perché lo amasse, ma perché era l'unico di cui si poteva fidare, l'unica persona buona lì dentro, l'unica che la rispettasse. 
Invece, lui non capiva proprio nulla di ciò che le accadeva, semplicemente perché lei era troppo brava per lasciargli intuire qualche cosa.
Eppure quella scena si ripeteva tutte le notti, senza alcuna eccezione.
Tutte le notti, lei rassegnata aspettava quella piccola parte di tortura giornaliera ed ormai non si ribellava più, ma accettava silenziosa che lui terminasse e la lasciasse riposare. 
Voleva solo questo; dormire. Dormire le evitava di pensare e questo era un bene. Durante il giorno, canticchiava delle canzoni per distrarsi e lavorava intensamente. Persino quando mangiava aveva imparato a non pensare. 
Tuttavia, ci fu una notte che le crollò addosso, una notte diversa dalle altre, che la teneva sveglia. Aveva tanto male e cercava solo conforto. 
Allora scappò dal suo letto, violenza conclusa, e corse nel porcile.
-Ludwig!- lo chiamò. Le sembrava di non aver più lacrime da versare. 
Il biondo però non rispose subito. 
Lei parlava sempre di meno ed ogni volta che poteva avere una buona occasione per sentire il proprio nome pronunciato da quelle labbra, non se la faceva scappare. Si lasciò chiamare almeno quattro volte, prima di risponderle. Si affacciò dalle scale e la guardò, ancora assonnato.
-Cosa c'è?- le chiese.
La ragazza si chiuse la porta alle spalle e chinò il capo. -Fammi dormire con te, per favore. Ho paura di stare nel mio letto.- 
Il tedesco la osservò per bene. 
Aveva paura di essere punito per questo, ma lei sembrava triste ed il suo sorriso era l'unica cosa di cui gli importava veramente, ormai. 
-Perché hai paura?-
Felicia abbassò lo sguardo, umiliata. 
-Cos'è successo?- chiese ancora. Non ottenne risposta e non fece altre domande. 
Le fece posto accanto a sé, sul cumulo di paglia. 
L'italiana si accoccolò lì, finalmente serena, protetta da quella presenza. 
Appoggiò il viso al suo petto, stringendosi a lui.
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
Il ragazzo arrossì lievemente. Le circondò le spalle con un braccio e le carezzò un po' i capelli. -Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.- 
Silenziosi, vicini, s'addormentarono entrambi. 

 
 
Da quel giorno, ogni sera i due ragazzi si addormentavano insieme.
Non c'era malizia in loro, erano troppo ingenui e troppo puri perché le loro intenzioni andassero oltre le semplice e rare carezze che si concedevano.
Si lasciavano sfuggire il loro dolore in una parola di troppo, ma non si giudicavano mai per questo, anzi, silenziosi curavano ciascuno le ferite dell'altra, come se nessun altro potesse più farlo.
Anche quella notte, Felicia si era rifugiata da lui, da quelle braccia così calde e protettive che aveva imparato a conoscere. Ormai erano sei giorni che condividevano lo stesso cumulo di paglia. Il padrone non le aveva più messo le mani addosso. Ma lei al mattino aveva un po' di nausea e aveva tanta paura, ma l'appetito non cessò né aumentò, il peso rimase intatto e non ci furono altri sintomi. 
Non ne aveva fatto parola con Ludwig ed era intenzionata a non farlo. Ma era a metà mese e sapeva che presto qualcosa in lei sarebbe cambiato, come del resto accadeva per un paio di giorni a tutte le donne. Accusava dolore ai reni e pesantezza al basso ventre, ciò la rasserenò non poco.
Faceva finta che non fosse mai accaduto nulla. Si considerava ancora "pura", ancora illibata, non avrebbe mai ammesso a nessuno ciò che le era capitato. 
Il biondo non sapeva tutto. Non poteva capire per bene o forse semplicemente non voleva capire. La coccolò ogni sera, strinse la sua mano per darle fiducia. 
Gli stessi gesti si ripeterono anche quella notte. Con una differenza. 
Quando la luna era già alta, la porta del porcile si spalancò. 
I due ragazzi sussultarono e si misero seduti. 
Il padrone iniziò a sbraitare. -Tu, piccola puttana!- la schernì e Ludwig poté vedere che lei cominciò a tremare. Per istinto, appoggiò su di lei una mano a mo' di protezione ed alzandosi insieme si frappose tra loro.
-Non ti azzardare a toccarla!- gli ringhiò.
L'uomo puzzava di alcol. E di fumo. Barcollava e si muoveva come se fosse in piedi per la prima volta in vita sua, si avvicinò comunque a loro e li insultò un paio di volte.
-Tu! Bastardo... tedesco bastardo!- sbraitò. 
Fece ancora qualche passo nella sua direzione e lo afferrò per il colletto, strattonandolo un paio di volte. Gli mollò un pugno in piedi volto e Felicia si chiese, pietrificata dalla paura, perché il ragazzo rimanesse anche lui fermo e non reagisse. 
 Ma quando il padrone s'avvicinò a lei con il suo sorriso sdentato, voglioso, lui lo spinse via, facendolo cadere. Si chinò su di lei e la guardò negli occhi.
-Stai bene?- le chiese.
Lei annuì, ma i suoi occhi nocciola, così bello, così innocenti, non guardavano altro che la figura del padrone immobile per terra. 
-Bastardo...- ripeté lui. -Ti farò pentire di essere nato! Ti farò assaggiare ancora la mia cintura finché non imparerei!- 
Quelle minacce tuttavia non ebbero alcuna reazione da parte del biondo. Non gli faceva più paura. Adesso pensava solo a proteggere lei. Lei, più di sé stesso. 
-Vattene- disse ancora, tra i denti, le mani strette a pugno, le nocche così pressate da divenir bianche. 
Camminò svelto verso di lui, quasi corse, e gli diede un calcio, dritto allo stomaco. Poi, un altro. Sfogò buona parte della rabbia che aveva dentro col terzo ed il quarto, dopodiché appoggiò un piede sul suo petto. 
-Vattene- spiegò ancora. -Vattene, e non ti azzardare più a toccarla, porco schifoso.- 
L'uomo rantolò, si scusò con qualche parola masticata tra i denti ed uscì, ancora troppo poco cosciente per capire cosa fosse realmente successo. 
Infine, il biondo tornò dalla ragazza, appoggiò le mani sulle sue braccia e la guardò dritto negli occhi. 
-Dimmi la verità- la pregò. -E' stato lui a farti del male, non è così? Perché non me lo hai detto?- 
La ragazzina sentì pungerle gli occhi, che le si riempirono di lacrime. Si affrettò ad asciugarle e gli rispose: -E' così umiliante, Ludwig... Sì, è stato lui. Però non dirlo a nessuno! Promettilo!- 
Lei ricambiò lo sguardo, allo stesso modo supplicante. 
Lui non poté fare nulla se non annuire. 
Si alzò e andò a chiudere per bene la porta d'ingresso al porcile, poi si distese accanto a lei. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non la vide arrossire, ma la sentì stretta al proprio petto, in lacrime. 
Per tutta la notte, rimase sveglio, a rimuginare sul da farsi. 

 
 
Il padrone non diede loro fastidio per un paio di giorni. 
Non si avvicinò alla ragazza e lei si sentì decisamente sollevata da quella novità. 
Ludwig continuava a svolgere i suoi lavori, ma era un po' più tranquillo del solito, perché da un paio di giorni nessuno gli alzava più le mani. 
Si stava decisamente molto meglio, il clima era più sereno.
Di certo la padrona non era cambiata in nulla, continuava a sgridare la ragazza e schiaffeggiare il ragazzo e non sembrava accorgersi della situazione palesemente ostile che si era venuta a creare tra marito e garzone.
Questo, infatti, non perdeva occasione per guardare male il padrone, per sfidarlo con uno sguardo, per fulminarlo con quegl'occhi color del mare. Ma con le parole non andava mai oltre. Ubbidiva agli ordini, semplicemente perché non voleva essere cacciato da quella casa, non voleva tornare in istituto, non voleva rivivere quell'esperienza oltremodo negativa. 
Un'altra cosa positiva di quei giorni, erano le nausee di Felicia, che l'avevano abbandonata del tutto. Forse era stato semplicemente un po' di nervosismo. 
Un giorno come tanti, lei stava recandosi al ruscello per lavare lì i panni, come si faceva una volta, un fazzoletto tra i capelli ed il vestito lungo sino ai piedi. Faceva freddo, ma lei era comunque contenta dell'esperienza lontana da casa.
Una donna con la coda di cavallo e gli occhiali scuri sul naso s'avvicinò a lei e la salutò.
-Ciao, tu vivi alla fattoria, vero?- le disse osservandola.
La ragazzina annuì, accennando un sorriso. Era sempre così dolce, così affettuosa... 
-Come ti chiami?- continuò la donna.
-Felicia- spiegò lei. Inzuppò per bene i panni, stando ben attenta che non le scivolino via dalle mani, finendo al fiume laddove il corso si fa più irruento. 
-Non ti ho mai visto a scuola- affermò la donna. 
Fece un passo verso di lei, curiosa, osservando quella mani così giovani e già così rovinate. 
-Io non ci vado, a scuola- rispose la ragazzina. 
Mise le robe bagnate in un cesto pesante e si concesse un momento prima di caricarlo fino alla fattoria, in una piccola salita che era costretta a fare a piedi scalzi. Le uniche scarpe che aveva, non poteva rovinarle con i lavoro giornalieri. 
-E perché no?- domandò la maestra. 
Lei ci mise un momento a rispondere. -Devo andare- concluse in fretta. 
-Con te c'è anche un altro ragazzo, vero?- 
Perché era così insistente? 
Felicia sospirò appena annuendo. -Sì. Si chiama Ludwig.- 
L'adulta corrugò la fronte e la guardò, pareva un po' divertita. -Ludwig? Da dove viene? Austria? Germania?-
-Ha detto da Ber.... Bor....Bur....-
-Berlino?-
-Sì, quella. Dice che sta in Germania, credo.- 
L'insegnante annuì ed accennando al cesto chiese: -Lo porti sempre da sola?- vedendola annuire a sua volta, non si trattenne dal  soggiungere: -Dev'essere pesante.-
La ragazzina scrollò le spalle ed iniziò la sua camminata. -Arrivederci- salutò educata.
-Arrivederci- risponse la donna. 


 
Ogni tanto Ludwig la pregava: -Felicia, ti prego, andiamo via.-
Ma lei non voleva sentire ragione. Credeva che il ragazzo fosse un po' troppo sognatore e poco realista. Non usava queste parole difficili, perché non aveva studiato, ma il loro significato lo capiva bene, con modi più semplici. 
Certe volte rimanevano svegli per tutta la notte, a fantasticare.
Come accadde quella sera.
Erano entrambi distrutti, ma non riuscirono a chiudere occhio. 
Guardarono la luna al di fuori della finestra. 
Lei gli indicò una stella. -Guarda, Lud! Guarda che bella... così luminosa...- 
Ridacchiò appena. 
Lui annuì, seguendo la sua mano e poi guardando il cielo. -Scappiamo.-
Lei scosse la testa. 
E lui ribatté: -Potremmo vedere mille altre stelle, ancora più belle! Potremmo guardare il mare... scalare i monti... cavalcare bellissimi cavalli. Potremmo avere una fattoria tutta nostra e niente maiali. Solo cavalli. Uno per te, bianco, e uno per me, col manto marrone chiaro.- 
Chiuse gli occhi. 
Sarebbe stato fantastico. 
La ragazza si divertì molto a fantasticare. 
Non parlarono di figli, né di matrimonio, né annunciarono palesemente la loro unione, tuttavia dissero che avrebbero avuto un'unica fattoria ed un cavallo ciascuno. Non rifletterono molto su quelle parole. 
Non si diedero nessun bacio, ma quegl'occhi, quelli sguardi, facevano l'amore più semplice e più puro, ogni volta che si incrociavano.
Eppure non si toccavano mai.
Ludwig non voleva lei fraintendesse. Aveva paura di farle male e non si dichiarò. 
Però oramai lo aveva capito.
Stava male lontano da lei e stava tremendamente bene accanto a lei, ogni sera, accoccolato sotto lo stesso tetto. Non voleva altro che lei, che sentire i battiti del suo cuore, sapere che stava bene, serena, voleva farla felice.
Ed il pensiero che quel maiale le avesse messo le mani addosso, faceva ogni giorno più male.
Perché ogni giorno il suo amore cresceva. 
 
  
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