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Autore: Glory Of Selene    02/07/2013    4 recensioni
E' una missione che non può essere rifiutata.
"Voglio Kakashi Hatake. Portatemelo qui.
Vivo?
So che sarebbe impossibile. Il suo cadavere mi basta.
"
Un cacciatore esperto, si muove nell'ombra.
Kakashi non è abituato ad essere preda, nè a rimanere sempre un passo indietro a qualcuno.
Kakashi non è abituato a molte cose. Non è abituato, per esempio, a provare amore.
"«Chi pensi verrà?»
«Qualcuno in grado di valutare le nostre intenzioni e la nostra pericolosità. Hatake Kakashi, sicuramente.»
«E tu come fai a dirlo, si può sapere?»
«La nostra guida è in ritardo.»
«In rit… oh». Un attimo di silenzio, poi: «Quindi tu l’hai letto tutto, il fascicolo che ci hanno dato su di lui.»
«E tu non l’hai fatto perché tanto sono io che devo occuparmi di lui.»
«Lo sai? Sei la persona più saccente che conosca.»
"
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gai Maito, Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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Reiko sognava la neve.
Cadeva su di lei, le si posava sulle braccia, il sigillo le faceva male, ma il suo gelo leniva quel dolore. E lei era felice, circondata da un manto d’argento.
Reiko sognava neve argentata.
Toc, toc, toc.
Reiko aggrottò le sopracciglia. Da quando la neve faceva quel rumore?
Toc, toc, toc.
«Signor Kitajima? Signorina Iwakiyo?»
La ruga sulla fronte della kunoichi si accentuò, quando pian piano l’argento tornò ad essere nero, e quella vocina così fastidiosa che la sorprendeva sempre nei momenti meno opportuni le diceva di svegliarsi e andare ad aprire la porta.
E va bene, va bene, pensò tra sé socchiudendo gli occhi. La luce che entrava dalla finestra l’accecò per un attimo, ma dopo pochi minuti di smarrimento fu in grado di riconoscere la stanza dell’albergo in cui si trovava. Diede, d’istinto, uno sguardo all’altra brandina presente, ma la vide perfettamente rifatta. Daisuke non era tornato in camera, quella sera.
Se la sta proprio godendo, questa gita a Konoha., fu il suo commento, mentre muoveva, scalza, i primi passi incerti stropicciandosi gli occhi che ancora non vedevano bene.
«Eccomi.»
La sua voce, impastata dal sonno, sembrava ancora più infantile.
Ci mise più del necessario a capire da che parte si girasse la chiave, ma alla fine riuscì ad aprire la porta e ad osservare la cameriera che era rimasta ad aspettarla sulla soglia della camera.
«Che c’è?» domandò. Vide che lo sguardo della poveretta si fissava più del dovuto sulle bende incrostate di sangue che le fasciavano le braccia, ed ebbe un mezzo sorrisetto nell’immaginare che aspetto terribile dovesse avere agli occhi di quella donna.
«Chiedo scusa per l’inconveniente, ma questo è il giorno in cui mi è stato detto di chiedervi di liberare la stanza.»
Il sorriso di Reiko venne subito rimpiazzato da un’espressione stupita. Se l’era dimenticato, accidenti.
«Certo. Mi dia solo il tempo di finire di preparare i…» si guardò indietro, osservando i due stracci che erano gettati per terra nella stanza, incerta su come definirli. «…bagagli.»
«La ringrazio.» fu la risposta della cameriera, che si voltò indietro per scomparire lungo il corridoio.
Reiko sospirò e si richiuse la porta alle spalle. Non aveva soldi per pagarsi un’altra nottata, e Daisuke chissà che fine aveva fatto… Si stropicciò un’ultima volta gli occhi e tirò fuori da sotto il letto la sacca di stoffa malconcia che le faceva da valigia.
Pian piano, le nuvole che oscuravano perennemente la sua esistenza tornarono ad addensarsi sopra di lei. La mattina di solito erano rade, il sonno per qualche ora riusciva a tenerle lontane, ma poi tornavano sempre, e ormai lei c’aveva fatto l’abitudine.
Il primo pensiero che le portarono fu come quello sfratto fosse riuscito a rammentarle l’urgenza della scelta che aveva da compiere. Portare a termine o no la missione che le era stata affidata?
Si rabbuiò nel vedere le macchie di sangue sporcare gli abiti del giorno prima, quando li prese per metterli via insieme alle altre cose. La disperazione che aveva provato le tornò alla mente come gli avvenimenti di un incubo che aveva tentato di dimenticare, e fu talmente potente da indurla a posticipare ancora una volta il momento della sua decisione, per vigliaccheria forse, oppure più semplicemente per proteggersi da se stessa.
 
***
 
Il sole colse Daisuke e Kakashi a metà strada, brillava già beffardo in cielo quando i due ninja terminarono la loro corsa congestionata poco lontano dalle porte di Konoha.
Kakashi era rimasto all’erta durante tutto il viaggio, ma non aveva notato nulla di strano, e si chiedeva se sarebbe stato necessario richiamare la muta di cani per trovarla.
Perché diavolo qualcuno avrebbe dovuto rapirla?si domandò. Mai come in quel momento gli pareva prepotente il dato di fatto che gli avesse nascosto qualcosa, e ancora più forte era il desiderio di capire che cosa mai potesse essere.
«Sensei, qui! Ecco, proprio in questo punto.»
Il copia-ninja fu subito da lui. Si chinò ad esaminare il terreno.
In effetti, qualcosa di visibile c’era, al di sotto delle foglie, che s’impegnò a spostare, erano tante, e quando finì le sue mani erano completamente sporche di terra. Non era un’impronta, ma un simbolo nero tracciato sul suolo, come se si fosse trattato di inchiostro e foglio bianco.
Tutti i campanelli d’allarme che il ninja aveva sviluppato in anni di lavoro si accesero in un solo istante; aveva riconosciuto l’inizio di un sigillo.
«Daisuke, si sposti!» gridò al proprio compagno, ma quando si voltò verso dove l’aveva visto l’ultima volta scoprì che non c’era nessuno.
Solo allora capì di essere caduto in una trappola, e maledisse se stesso e la propria fatale stupidità.
Daisuke stava in equilibrio sul ramo di un albero e formulava simboli su simboli con le mani, quasi all’infinito.
Kakashi si diede la spinta per balzare lontano dal segno nero inciso sul terreno, ma scoprì di avere i piedi irrimediabilmente inchiodati al suolo.
 
***
 
Reiko camminava da molto tempo ormai, ma il fatto di non avere una meta precisa era sufficiente per evitare che il cammino risultasse faticoso. Non aveva speso un solo istante ad osservare le vie di Konoha durante il viaggio turistico che le era stato concesso da Kakashi, concentrata com’era sul proprio compito, e così stava scoprendo da sola quanto in realtà fosse delizioso il Villaggio della Foglia.
Quasi, mentre declinava le offerte di un venditore di strada con un sorriso gentile ma deciso, si sentiva una persona come tutte le altre.
Alla fine giunse in una piazza, nella quale spuntava un bell’albero su cui era appesa un’altalena. Reiko la trovò stupenda, e così andò ad osservarla da vicino.
L’Accademia…lesse sull’insegna dell’edificio che sorgeva proprio lì vicino. Dunque in quel posto venivano allenate le giovani reclute di Konoha?
I ricordi degli allenamenti della propria infanzia le tornarono alla mente con una fitta di dolore, e fu con un’ombra negli occhi che si staccò dall’albero per vedere meglio l’Accademia. Girò intorno al complesso, così da scoprire un campo d’allenamento all’aperto, circondato da una staccionata, nel quale una classe di bimbi si stava allenando.
Reiko sorrise nel vederli, senza neanche rendersene conto, e sempre contro la propria volontà le sue gambe la portarono ad appoggiarsi a quella staccionata, per poter assistere meglio.
Erano tutti così piccoli, ma c’era una tale determinazione a brillare nei loro occhi! Non aveva mai visto una passione del genere infuocare lo sguardo di nessuno dei suoi compagni. Nemmeno il suo.
«Buongiorno, signorina!»
I suoi occhi si spostarono sul ninja che le stava venendo incontro. Doveva essere il loro sensei.
«Mi scusi tanto, sto disturbando gli allenamenti. Adesso vado.» disse lei, staccandosi già da dove si era appoggiata.
«Oh no, si figuri, può anche restare se le fa piacere!» esclamò invece lui, esibendo un gran sorriso.
Venne colta alla sprovvista da tanta gentilezza, e solo in quel momento notò quanto il volto di quel ninja ispirasse una naturale simpatia. Teneva i capelli castani legati in una coda, e un segno più scuro andava a solcargli naso e zigomi come se qualcuno avesse provato a sottolineare i suoi occhi con una penna, il che rendeva ogni sua espressione terribilmente buffa agli occhi di Reiko. Notò anche che aveva le guance molto rosse, cosa che non poté che divertirla.
Sorrise anche lei. «La ringrazio.»
«Mi dica» esordì lui appoggiandosi anch’esso alla staccionata. «Lei non si trova a Konoha da molto, vero?»
«Si vede tanto, eh?»
«Beh, solo che credo che a nessuno del Villaggio verrebbe in mente di venire a trovare queste pesti qua.» rispose il sensei indicando con il pollice i bambini intenti nel loro allenamento, senza perdere un solo istante il suo sorriso.
Uno di loro se ne accorse e, sentendosi chiamato in causa, trotterellò fino a lì con la faccia tutta imbronciata.
«Maestro Iruka, la smetta di guardare questa ragazza con quell’espressione da imbecille, è davvero disgustoso! Pensi ad allenarci, piuttosto!» gli gridò in faccia.
«Che cosa?!» sbraitò Iruka, arrossendo ancora di più di quanto non lo fosse già. «Naruto! Impara a portare rispetto!»
Per tutta risposta il bambino gli fece una boccaccia e scappò via.
«Naruto!» urlò il sensei, andandogli dietro. «Se ti prendo ti ammazzo, lo giuro!»
Reiko dovette dar fondo a tutte le proprie capacità di autocontrollo per non ridere.
«Iruka.»
Era stata una voce maschile a parlare, e il suo tono era il tono inconfondibile di qualcuno che non ha buone notizie da portare, ma che ormai è abituato al proprio ingrato compito.
Comparve un uomo nel bel mezzo dello spiazzo d’allenamento, tra gli sguardi ammirati dei bambini. I suoi occhi osservavano seri il compagno, da sopra la cicatrice che deturpava metà del suo volto.
«Che cosa c’è?» domandò il maestro. Ora il suo viso tradiva preoccupazione.
«Quand’è l’ultima volta che hai visto Kakashi Hatake?»
«Perché me lo chiedi?»
Le loro parole erano meno di sussurri, ma Reiko le sentiva tutte perfettamente.
«Perché è sparito.»
 
***
 
Daisuke continuava a realizzare i suoi segni, e intanto i simboli neri che Kakashi aveva visto sul suolo sotto di sé provavano a risalirgli lungo le gambe, come i rami adunchi di alberi morti che anelavano febbrilmente a qualche sorta di malato nutrimento.
«Sono sempre stato io l’obbiettivo.» realizzò mentre il suo cervello attivava la consueta freddezza da combattimento, che s’allargò come una chiazza d’olio soffocando qualunque altra cosa potesse provare, l’adrenalina che avrebbe reso le sue azioni confuse e casuali, lo stupore per la vista dell’allegro e scanzonato Daisuke agire per ucciderlo, e quella grande quanto spinosa domanda, quella che aveva cominciato a tormentarlo e che mai avrebbe dovuto porsi. C’entra Reiko in tutto questo?
L’altro non rispose, ma non riusciva a mascherare la tristezza che portava disegnata in volto. Anche questo era singolare, e il jonin se ne chiese il motivo.
Incrociò le braccia davanti al petto senza neanche tentare un’altra mossa, le gambe già non gli rispondevano più e sapeva che ben presto i viticci del sigillo sarebbero arrivati a prendere il controllo di tutto il suo corpo, che lui provasse a fermarli o meno.
«Perché? A cosa vi servo?»
Le sue parole raggiungevano una ad una il petto di Daisuke e lo colpivano come armi affilate. Quando cominciavano a farsi un’idea del perché sarebbero morti, gli obbiettivi diventavano sempre più strazianti. Presto però sarebbe finito tutto anche per lui, e si ritrovò a considerare che fosse una fortuna, dopotutto.
Scese dall’albero con un balzo per portarsi davanti al jonin.
Come riusciva quell’occhio scuro come l’inchiostro a risultare così distaccato e freddo, pur trovandosi in una situazione di tale svantaggio? Quanto doveva sembrare meschino il suo sguardo castano a confronto, che non riusciva a fare a meno di tradire ogni minima emozione arrivasse a dilaniargli il petto!
«Mi dispiace, Kakashi.» fu il suo sussurro addolorato.
Non poteva fare a meno, il sensei, di chiedersi quale fosse il suo gioco. Per quale motivo un assassino dovrebbe provare tutto quel dispiacere nel dare la morte alla propria vittima? Per quale motivo un uomo che, evidentemente, non era portato ad uccidere si trovava nella situazione di dover fare l’assassino?
Beh, l’avrebbe scoperto presto.
Un secondo Kakashi spuntò in quell’istante dal terreno e sferrò all’avversario un potente calcio dritto in mezzo alle scapole. Daisuke cadde in avanti con un urlo strozzato di stupore e dolore, attraversando la nuvola di fumo generata dalla scomparsa della copia del sensei e rovinando a terra.
«L’Arte della Terra…» disse tra sé mentre si rialzava il più in fretta possibile, ma non fu sufficiente, perché il jonin era già alle sue spalle. Meno di un secondo, e sentì il freddo della lama di un kunai posarsi sulla sua gola.
Sorrise tra sé. Il combattimento tra lui e uno dei ninja più forti e conosciuti al mondo era durato esattamente due minuti e mezzo. Avrebbe detto di meno.
«Voglio sapere ogni cosa.» La voce di Kakashi gli giunse a pochi centimetri dalla nuca.
Il suo sorriso assunse un’espressione amara. «Va bene.»
Afferrò la lama del kunai e se l’allontanò dalla gola, incurante del sangue che aveva già cominciato a colargli lungo il braccio e attraverso le dita, per portarsi di fronte al jonin e poterlo guardare negli occhi.
«Adesso ti imprimerò un sigillo. Si chiama sigillo dell’esule.»
Aveva preso un altro kunai con la mano libera, e lo utilizzò per incidersi il petto. Il sangue che ne uscì iniziò a prendere vita, così come quello della ferita alla mano aveva preso ad avvilupparsi attorno al braccio del sensei, e si protese verso il copia ninja. I simboli impressi nel terreno erano stati un bluff, e Kakashi se ne accorse troppo tardi.
Il volto di Daisuke si distese di una malinconica serenità mentre la tecnica procedeva.
«E io morirò dissanguato.» concluse, in un soffio.
 
***
Reiko sbiancò dopo aver udito le parole del ninja messaggero. Ci poteva essere un’unica spiegazione per l’improvvisa scomparsa del jonin, e lei la conosceva fin troppo bene.
S’aggrappò alla recinzione, mentre mille consapevolezze e pensieri diversi arrivavano a colpirla, uno dopo l’altro. Si diede della stupida per aver riposto la propria fiducia in Daisuke, che poi l’aveva tradita.
Eppure doveva esserci qualcuno con lui, perché serviva chi potesse uccidere l’obbiettivo al suo posto.
La scia di considerazioni impazzite che aveva fino ad allora dominato il suo cervello s’interruppe quando si accorse della spina affilata che le aveva trafitto il petto al solo pensiero di qualcuno che uccidesse Kakashi.
Abbassò la testa e chiuse gli occhi. Maledizione, pensava. Non posso provare dolore per la sua morte. Non posso permettermelo. Continuava a ripetersi queste parole, che però non riuscivano a sortire l’effetto desiderato. Lo immaginava, lo immaginava bene. Il suo corpo freddo e morto su un tavolo di laboratorio, nudo, privato di qualsiasi dignità, mentre i suoi occhi spalancati si fissavano sul vuoto. Li vedeva, perché li aveva già visti molte volte, gli scienziati nei loro orribili camici bianchi. Gli si affollavano intorno come mosche, prima di farlo a pezzi, aprirlo, squartarlo, analizzare ogni singolo brandello di pelle ancora rimasto intatto. Non più un uomo, solo un pezzo di carne, nelle loro mani.
La sua macabra immaginazione s’interruppe soltanto perché si era accorta di tremare violentemente. E di avere un desiderio, uno solo, irrazionale e cento volte stupido, ma più potente di qualsiasi altro fosse mai stato scritto nei suoi pensieri.
Che Kakashi vivesse.
Aprì gli occhi, e una diversa determinazione brillava nel suo sguardo. La determinazione dei disperati e dei folli. Si staccò dalla staccionata, si girò e cominciò a correre.
Avrebbe dovuto essere più veloce del vento se avesse voluto arrivare in tempo. Il suo piano era facile: affrontare e sconfiggere chiunque puntasse alla vita del sensei. Molte falle, scarsissime possibilità di riuscita; non avrebbe di certo potuto contare su una grande strategia, se ne rendeva conto, ma nella situazione in cui si trovava non avrebbe nemmeno potuto permettersi tante sottigliezze.
Correva come non aveva mai corso nella vita, i passi che si muovevano sicuri lungo le vie di Konoha, perché sapeva dove Daisuke sarebbe andato a imprimere il sigillo a Kakashi. Era un luogo che avevano concordato insieme, prima di presentarsi alle porte della città, ed era anche l’unico che avrebbe permesso la riuscita di un piano senza che il compagno si esponesse troppo; per questo era certa che non l’avrebbe cambiato, nemmeno adesso che lei era il nemico da fronteggiare.
Si chiedeva intanto chi potesse essere la persona scelta per uccidere un ninja forte come Kakashi. Reiko pensava di essere l’unica in grado di farlo senza correre seri rischi.
«Che bello vederti, Reiko.»
Quattro semplici parole, che eppure la costrinsero a fermarsi.
Si raddrizzò dalla posizione in avanti che aveva assunto per essere più aerodinamica, mentre scrutava il viale alberato che stava percorrendo alla ricerca dell’uomo che aveva avuto il coraggio di mettersi sul suo cammino.
Fu un mantello rosso quello che spuntò dai lati della strada. Un volto spuntava da quel mantello, un volto che sorrideva di una pacata cordialità, così falsa da dare il voltastomaco. Le si parò davanti, lasciando che lo riconoscesse senza il minimo timore. Una lunga coda di lisci capelli castani dai riflessi ramati era tirata mollemente all’indietro, e incastonato in una carnagione così pallida che avrebbe potuto provenire soltanto  dal Villaggio della Notte c’era uno sguardo castano, mellifluo come quello di qualcuno già pronto a pugnalarti dopo averti abbracciato.
Akahito Numaka. Lo Scorpione, così lo chiamavano. Un uomo temuto da molti, che da lei non sarebbe mai riuscito ad avere altro che disprezzo.
«Trovi?» rispose, e per una volta non dovette sforzarsi per risultare glaciale.
«Non sembri molto sorpresa.» notò Akahito. Il suo tono era molto simile a quello usato dagli ammaestratori di belve feroci, e Reiko considerò che non sarebbe stato del tutto sbagliato, come paragone.
«Il Generale non mi è mai sembrato tipo da essere ignaro di qualcosa.» replicò lei, senza muovere un passo, dritta come un fuso in mezzo alla strada. «E dove c’è l’attenzione del Generale ci siete voi, giusto?»
Akahito rise; ogni suono che usciva dalle sue labbra stillava veleno.
Lui e Reiko si conoscevano piuttosto bene; erano stati persino nello stesso gruppo di allenamento, da bambini. Lei sapeva perfettamente quanto lui la odiasse. Perché era ambizioso e arrogante, e non poteva sopportare che potesse esserci qualcuno in grado di batterlo in ogni singolo combattimento.
Poi a lei era stato offerto il mantello rosso sangue del corpo speciale, di quelli che appoggiavano il punto di vista del Generale, di quelli che consideravano le missioni come un divertimento, di quelli che erano visti come collaboratori e non come carne da macello – almeno in teoria, perché lei non ne era mai stata convinta. Aveva rifiutato, infatti; e quel mantello era andato ad Akahito, che per una volta nella sua vita aveva assaporato il gusto di superarla, fosse pure per sua scelta.
Da allora si erano incontrati soltanto di rado.
«Devi sapere, Reiko, che da quando è cominciata questa storia mi sono tormentato giorno e notte a chiedermi per quale motivo una persona intelligente come te avesse deciso di buttare via la propria vita in maniera tanto sciocca.»
«Sei venuto a uccidermi, allora?» domandò la kunoichi, incrociando le braccia al petto. Non si sentiva per nulla obbligata a replicare a tutti quegli irritanti sproloqui.
Akahito scosse la testa, sorridendo, anche se la sua mano andò a posarsi sull’impugnatura del fioretto. «A negoziare». Sul suo volto passò un’ombra minacciosa. «Porta a termine la missione.»
«Altrimenti?» fu la sua immediata risposta. Il suo sguardo, puntato in quello castano dello Scorpione, sfavillava in un’espressione di sfida.
«Altrimenti sì, ad ucciderti». Era un odio vecchio anni e anni quello che venne a galla mentre lui sguainava la sua arma e ricambiava lo sguardo di lei con un’occhiata feroce.
L’unica reazione che ebbe Reiko fu di alzare un sopracciglio.
«Tu lo sai cosa succederà?» disse. «L’hai previsto, Akahito?»
Lui non rispose.
«Succederà che il Generale attiverà questo,» alzò le braccia per rammentargli ciò che c’era sotto le bende, ciò che anche a lui era stato impresso, ciò che era stato impresso a tutti «e lo farà appena io tenterò di avvicinarmi a te. Verrò colta dal dolore e dagli spasmi, e tu potrai portare a termine il tuo compito con facilità». Ebbe un sorrisetto amaro nel pronunciare le ultime parole. «Oppure non lo farà.» aggiunse.
Akahito ebbe un tremito, di rabbia probabilmente, e Reiko seppe di dar voce alle sue stesse preoccupazioni. Così andò imperterrita avanti, seria e inesorabile.
«Lascerà che lo scontro inizi, lascerà che noi combattiamo – lascerà che io ti massacri. Allora sarai tu a morire. E sai perché sarai morto? Perché lui l’aveva deciso, l’aveva stabilito sin dall’inizio. Ti chiedo questo, allora, Scorpione». Solo allora decise di sciogliere la propria rigida posizione, per avvicinarsi a lui, incurante del filo della lama teso verso il suo cuore. Voleva porre la sua domanda guardandolo negli occhi. «Sei pronto a scoprire chi di noi due valga di più sulla bilancia del Generale? Sei davvero pronto per questo?»
Aveva toccato il suo punto debole, questo lo sapevano entrambi. Con un urlo di rabbia Akahito portò in avanti il suo affondo, ma Reiko fu veloce a balzare all’indietro, schivando facilmente un attacco debole e impreciso.
«Bastarda. Sei brava con le parole, eh? Ma hai sbagliato i tuoi calcoli, perché giuro sulla mia stessa vita che oggi avrò la tua testa, sigillo o non sigillo!»
Akahito aveva completamente perso il controllo, la maschera d’ipocrisia che era solito disegnarsi sulla faccia era in frantumi, mostrando tutto il suo odio e la sua cattiveria.
Reiko sorrise, chiuse gli occhi e lasciò che il chakra fluisse dentro di sé.
 
***
 
Quando il corpo di Daisuke crollò esanime al suolo, Kakashi scoprì di riuscire a muoversi come non aveva potuto fare mentre il sangue dello shinobi gli si imprimeva nella pelle.
Era stato stupido, si era comportato come un genin durante la sua prima missione; e adesso aveva addosso un sigillo di cui non conosceva il potere. Non gli restava che tornare al Villaggio, ora, per spiegare la situazione all’Hokage e farsi dare direttive. Evidentemente l’obbiettivo dell’attacco era soltanto lui – altrimenti non si sarebbero disturbati ad attirarlo fuori dalle mura –, ma avrebbero potuto essercene altri e di maggior entità.
Si chinò sul corpo dello shinobi – respirava ancora, ma sarebbe morto presto – e allungò un braccio. Forse avrebbe potuto fornire indicazioni preziose riguardo ai suoi aggressori.
«Io lo lascerei lì, se fossi in te.»
La voce lo colse di sorpresa dal folto degli alberi. Kakashi scattò in piedi, all’erta, guardandosi intorno.
In pochi erano in grado di nascondersi a lui, ingannando i suoi sensi acuti e allenati.
Dal ramo di un albero cadde con delicatezza una figura femminile.
«Davvero vorresti portarti dietro un cadavere? Un po’ macabra come compagnia.» continuò la donna, avvicinandosi tranquillamente.
La bocca piccola ma carnosa, tinta di un rosso scurissimo, era tesa in un sorrisetto sarcastico, che si apriva come una ferita su un volto dal singolare pallore. Il suo corpo, pur essendo tonico e scattante, era morbido e provocante, e la sensazione era persino accentuata dai lunghi capelli biondo platino e dal mantello rosso sangue portato aperto, a drappeggiarle mollemente sulle spalle.
Portava gli occhi bendati, ma si comportava come se avesse una vista molto acuta.
«Strano, detto da un assassino.» fu la replica di lui. La sua voce era quella di sempre, distaccata, priva di qualsiasi inflessione che non fosse una lievissima nota di ghiaccio.
La donna gettò la testa all’indietro e rise.
«Ah, Kakashi Hatake… ucciderti sarà un piacere immenso.» mormorò, scoprendo nel suo sorriso una fila di denti bianchissimi e perfettamente allineati.
Rapido come suo solito, Kakashi allargò le gambe per avere una posizione più stabile sul terreno e decise di aprire lui stesso le ostilità. Prese un paio di shuriken dai pantaloni e li scagliò contro di lei, precisi e fulminei; uno diretto al cuore, l’altro alla fronte. Voleva testare i suoi riflessi e le sue capacità difensive, soprattutto con quella benda davanti agli occhi.
L’apparente mancanza della vista però non sembrò essere un fattore che la potesse penalizzare, anzi, sembrò accorgersi dell’offensiva con particolare anticipo, perciò non ebbe bisogno di sfoderare doti atletiche eccellenti per saltare di lato e scansare le armi. Aveva cominciato a formare dei segni con le mani, intanto.
È pericolosa, fu la sua prima considerazione. Quello di alzare il coprifronte e spalancare l’occhio dello sharingan fu più un istinto che un’azione premeditata.
Sentiva tutta la parte sinistra del volto bruciargli terribilmente; era sempre così quando scopriva lo sharingan per la prima volta. Man mano che lo teneva aperto la situazione si stabilizzava, anche se il chakra che aveva a disposizione non era sufficiente per mantenerlo tanto a lungo da lenire completamente il dolore. Aveva dovuto abituarcisi.
C’era da dire che le cose viste con quell’occhio erano totalmente diverse. Avrebbe potuto seguire senza fatica i movimenti delle ali di un colibrì: che difficoltà potevano mai dargli, quindi, i segni con le mani che la donna stava realizzando in quel momento?
Seguì attentamente ogni suo movimento, ma le combinazioni che andavano a formarsi man mano erano sempre nuove e sorprendenti. Doveva essere una tecnica del tutto nuova, o peggio, un’abilità innata.
La memorizzò nel momento esatto in cui l’intero corpo della sua nemica cominciò a risplendere di un chakra verdognolo, talmente concentrato da addensarsi in un’aura luminosa attorno a lei e da sollevarla da terra di qualche centimetro.
«Tecnica della Dea Bendata.» mormorò lei in un soffio. Dal bozzolo di luce verde in cui si era avvolta uscì una figura umanoide, formata interamente di chakra, che rivolse tutta la sua attenzione a Kakashi.
Il jonin cominciava a capire la tecnica alla quale stava assistendo. Un po’ come la Tecnica del Burattinaio, solo senza fili. Lei entrava in trance per controllare un pupazzo di chakra che avrebbe combattuto al suo posto. Gli sarebbe bastato puntare a lei, dunque, per mettere fine al suo gioco.
Le sue mani si mossero veloci.
«Tecnica Superiore della Moltiplicazione del Corpo!»
Le sue copie si disposero lungo tutto il perimetro della radura, accerchiando la donna che combatteva esattamente al centro.
Kakashi voleva vedere se sarebbe stata in grado anche lei di moltiplicare il suo pupazzo o se il suo chakra non era sufficiente per crearne altri. In tal caso avrebbe potuto fronteggiare uno solo dei kunai che le avrebbe lanciato, e il suo giochetto sarebbe finito molto prima di quanto avesse creduto.
L’omuncolo verde però non degnò neppure uno dei ninja che si erano affollati attorno a loro: tuffò una mano sottoterra, invece, per afferrare il vero Kakashi e lanciarlo contro un albero, dove ricadde pesantemente con un gemito strozzato. Le sue copie avevano intanto scagliato le loro armi, che però la donna evitò con salti e piroette aggraziate, prima di rispondere con altrettanti shuriken, che raggiunsero i bersagli. Tutti i jonin fittizi scomparvero in una nuvola di fumo.
«Sei prevedibile, Kakashi!» disse lei, sempre sorridendo. Tornò con la sua attenzione alla radura, ma non lo trovò più lì.
Il jonin infatti intanto era andato a nascondersi tra la vegetazione, su un albero, e da lì prendeva fiato e osservava la situazione.
Aveva scoperto che lei non era in trance, anzi, era perfettamente in grado di combattere e difendersi; inoltre il suo pupazzo sapeva vanificare le Arti terrestri, probabilmente perché il terreno era dove poggiava i piedi e lui era formato di solo chakra. Anche lo sharingan sarebbe stata un’offensiva praticamente inutile, con quella benda tra lui e gli occhi dell’avversaria.
La rivelazione lo raggiunse come un fulmine. Tornò a guardare la propria nemica e la sua strana tecnica con una luce diversa, perché aveva capito, lei era stata mandata apposta perché ogni sua abilità e peculiarità era costruita per annullare quelle del jonin.
Al sicuro tra le fronde, Kakashi si concesse qualche attimo in più per pensare. Scartò una per una le frecce che aveva al suo arco secondo quello che aveva capito – non avrebbe avuto senso sprecare energie in una moltitudine di attacchi inutili –, per giungere alla strategia più logica da tenere.
Il motivo per il quale aveva avuto tutto quel tempo per pensare, innanzitutto, era che il pupazzo non era in grado di percepire la sua presenza  se si nascondeva tra gli alberi: nessun ninja con l’intenzione di ucciderlo, e che quindi doveva aver ricevuto informazioni su di lui, gli avrebbe mai permesso volontariamente di elaborare una strategia.
Gli alberi dunque erano un nascondiglio sicuro; non gli restava che testare più accuratamente i riflessi e le capacità difensive di quella donna mentre teneva attiva la tecnica. Poi avrebbe proceduto con la sua offensiva.
Si riempì le mani di shuriken e si mise accovacciato sul ramo, facendo pressione sulle punte dei piedi, pronto a scattare il più veloce e il più silenzioso possibile. Ne lanciò uno, diretto in mezzo alle sue scapole, e schizzò via.
Era abbastanza veloce da attaccare senza rivelare la propria posizione per più di pochi secondi, dando l’impressione che ci fossero delle copie nascoste nel folto della vegetazione, ma l’avversaria non aveva tempo per tentare di localizzarle, impegnata com’era a non farsi trafiggere dalle armi che le venivano
scagliate addosso.
Più il giochetto andava avanti, più Kakashi riusciva a vedere le falle e i punti di forza della difesa avversaria, più si rendeva conto che il suo progetto avrebbe conosciuto il successo.
Solo un ultimo shuriken, si disse. Poi attaccherò.
Alzò il braccio e caricò per il lancio, ma in quell’esatto momento un pupazzo di chakra saltò giù dalle cime dell’albero sul quale Kakashi era nascosto ed atterrò sul suo stesso ramo. Prima che potesse fare qualcosa, il jonin fu afferrato un’altra volta e rigettato al centro della radura.
La sua avversaria aveva lasciato appositamente che lui la credesse incapace di realizzare più di un pupazzo per volta.
Si rialzò all’istante, ma l’altro era già su di lui. Gli si attaccò al corpo, fondendosi con la sua figura, e quando Kakashi capì che cosa stava succedendo era troppo tardi. Il chakra cominciava già a scarseggiare, risucchiato dalla tecnica della donna, tanto da renderlo terribilmente debole, e da far moltiplicare il bruciore che l’uso dello sharingan comportava. La vista cominciò ad annebbiarsi, i muscoli a non rispondere ai comandi, fu costretto ad abbassare la palpebra sullo sharingan, altrimenti sarebbe morto cento volte più in fretta.
Il supplizio finì nell’esatto momento in cui pensò di essere spacciato. Il pupazzo scomparve, portandosi via quasi tutta la sua energia, lasciandolo al suolo, scosso da tremori incontrollati dovuti alla mancanza di chakra. Lo sorprese un calcio in pieno ventre, che lo fece rotolare per qualche metro.
«Kakashi dello sharingan, eh?» Sentì dire da sopra di sé. «Che delusione.»
Lei arrivò a schiacciare la sua gamba destra talmente forte che lui sentì uno schiocco per nulla incoraggiante, e un dolore da mozzare il fiato.
Non urlò mai.
Vide arrivare un altro calcio, che però si fermò a pochi centimetri da lui.
«Meglio che mi dia una controllata», sospirò la donna. «Sai, mi hanno detto di portarti al Villaggio in buone condizioni, ma è difficile…»
Il jonin puntò i gomiti a terra e tentò di mettersi seduto, combattendo contro il dolore, la debolezza e la sensazione di poter svenire da un momento all’altro. La donna sorrideva.
«Facciamo così» disse. «Io ti ucciderò rapidamente. Ma prima…» Si tolse la benda, scoprendo due occhi verdi, ma di un verde talmente pallido e sbiadito da sembrare bianco.
Kakashi aveva visto uno sguardo come quello soltanto una volta in tutta la sua vita, e la rivelazione lo colpì più forte di quanto avessero potuto fare i colpi ricevuti. Possibile che Reiko…?
«…Prima voglio vedere una cosa.» mormorò infine la donna, allungando un braccio verso la sua maschera.
Quando capì, Kakashi le afferrò con forza il polso. Ansimava, anche per un gesto così semplice.
«Va’ al diavolo.» disse.
La luce negli occhi di lei divenne fredda e spietata, e la linea rossa delle sue labbra si tese in una smorfia di rabbia.
«Davvero?» replicò.
Il colpo che ricevette gli si abbatté al centro della cassa toracica, svuotandogli i polmoni di tutta l’aria che erano riusciti faticosamente a racimolare e sbattendolo contro un albero.
La kunoichi prese un kunai dai pantaloni e glielo puntò contro.
«Credo che in laboratorio non se ne faranno molto delle tue mani. Che ne dici?» sibilò lei, mirando al suo palmo destro.
Laboratorio?, si chiese lui. Avevano intenzione di usare il suo cadavere come cavia per qualche folle esperimento scientifico?
«Cominciamo.» aveva detto intanto la donna. Nel momento esatto in cui l’arma lasciò la sua mano per dirigersi verso di lui, Kakashi seppe di non poterla evitare.
Il suo sguardo non vacillò un istante, in attesa del dolore.



Ciò che dice l'Autore

C'ho messo tanto, ma alla fine ce l'ho fatta xD E sono proprio contenta di aver ripreso in mano questa storia, Kakashi e Reiko ormai riempiono le mie nuvolette rosa nei pochi attimi romanticosi che decido di concedermi,e finire la storia che ha dato inizio a loro amore mi sembra il minimo :3
Per quanto mi sia divertita a scriverlo, devo ammettere che questo capitolo mi ha dato non pochi problemi. Soprattutto ho dovuto inventare una Tecnica e una nemica in grado di dare dei grossi problemi al nostro jonin preferito, e non è mica cosa facile! Adesso comincio a capire le difficoltà di Kishimoto nel concepire combattimenti avvincenti e credibili - almeno per me è così. E' difficile trovare il modo di ridurre in fin di vita Kakashi senza ridurre la sua bravura o farlo sembrare un bimbetto appena entrato in Accademia; spero davvero di esserci riuscita. D'altra parte (e questa è la giustificazione che ho usato con me stessa ogni volta che mi trovavo insoddisfatta rileggendo del combattimento) si sta parlando del Kakashi che non ha ancora conosciuto Naruto e gli altri, che non ha ancora sviluppato lo sharingan ipnotico, che se non fosse stato per l'intervento del Sas'ke e di Naruto non sarebbe mai riuscito a battere Zabuza (mi vengono i brividi al solo ricordo di lui intrappolato nella gabbia acquatico che grida agli altri di scappare O.O)
....Sto divagando. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, l'altro arriverà tra non poco, perchè ho quasi finito di scriverlo :3
Un grosso bacio a tutti, e come al solito un ringraziamento a chi mi segue e a chi mi recensisce, che ho davvero bisogno dei vostri pareri ^^
Glory.
  
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