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Autore: KrisJay    02/07/2013    7 recensioni
Bella Swan si è appena trasferita a Los Angeles con la sua figlioletta Allyson. Sta per cominciare una nuova vita lì, cercando di dimenticare il passato che le ha regalato qualche delusione e anche qualche dispiacere. Ci riuscirà, grazie anche all'affetto della sua famiglia, dei nuovi e vecchi amici che la circondano e, naturalmente, grazie ad un nuovo amore che la conquisterà quando meno se lo aspetta...
"«Oh, interessante!» quello, era un modo carino di dire “Non me ne frega niente di ciò che c’è scritto lì sopra, anche se tu me lo stai dicendo ugualmente.”
«Sì, molto interessante… ma non interessante quanto te, Isabella.» il dottor Cullen posò di nuovo la cartella sul tavolo e posò gli occhi su di me, guardandomi intensamente.
Oh, merda.
Ci stava provando con me dopo neanche cinque ore che ci eravamo conosciuti… era la prima volta in assoluto che mi accadeva una cosa simile!
«Eh… Dottor Cullen…»
«Ti prego, Isabella, chiamami Edward.»
«Edward,» dissi, accontentandolo, «non so… che stai facendo?»
«Sto cercando di conoscerti meglio, Isabella. Sai, non mi dispiacerebbe affatto sapere qualcosa in più su di te… in tutti i sensi.» sorrise sghembo, facendomi rabbrividire.
Dio mio, che persona sfacciata!"
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Solo il tempo... - Capitolo22

Ciao!
Stavolta non vi ho fatto aspettare troppo XD il capitolo è venuto fuori prima del previsto e quindi, non aveva senso farvi aspettare ancora XD
Allora, come ho potuto leggere nelle recensioni siete tutte in ansia per Edward: che cosa gli sarà mai successo?
Bando alle ciance – più mie che vostre! XD – e… buona lettura! ;)

 
 
 

Solo il tempo

 
Capitolo 22
«Sei proprio sicura di voler andare da sola?» nel giro di pochi minuti, quella era la decima volta che mia madre mi chiedeva la stessa cosa.
«Sì, mamma, sono sicura!» le risposi seccata e in modo quasi maleducato, ma non era mia intenzione reagire in quella maniera.
Ero tesa e spaventata, a causa della telefonata di poco prima. Mi aveva scossa davvero molto, e volevo vedere chi non sarebbe rimasto scosso dopo che, per telefono, ti avvertivano che il tuo ragazzo si trovava in ospedale… e per di più, senza neanche accennarti in che condizioni si trovasse!
Avevo quasi paura di raggiungere il pronto soccorso di Forks e di accertarmi delle condizioni di Edward con i miei occhi. Me lo sarei ritrovato davanti senza un braccio, o senza una gamba, oppure senza entrambe le cose?

Calmati Bella, calmati!, imposi alla mia mente quell’ordine, anche se era difficile far sì che quest’ultima ubbidisse.
Scossi piano la testa, con gli occhi chiusi, e presi un piccolo respiro. Dopodiché, afferrai le chiavi del furgoncino di mamma e mi fiondai alla porta di casa, pronta per andare via; avevo già recuperato il giaccone e la borsa, non mi restava che affrontare le strade innevate della cittadina e raggiungere Edward.
Che cavolo, me la stavo facendo sotto per la fifa!
«Bella, sai che non mi fido del rottame di tua madre!» borbottò mio padre, seguendomi lungo il corridoio. «Tieni, prendi la mia macchina.» aggiunse, passandomi le chiavi della volante della polizia.
Battei le palpebre, un po’ confusa per quel suo gesto: mio padre, lo sceriffo, mi aveva sempre vietato di usare la sua auto e quella era senza alcun dubbio la prima volta che mi proponeva di farlo. «Sei sicuro?» chiesi, prendendole dalla sua mano.
«Sicurissimo! E poi arriverai prima, è un vantaggio.» accennando un sorriso, poggiò la mano sulla mia spalla. «Facci sapere come stanno le cose, va bene?»
Annuii, abbassando lo sguardo; anche mamma e Martha mi avevano chiesto di fare la stessa cosa, una volta che avessi saputo cos’era accaduto a Edward. Lo avrei fatto sicuramente, ma avevo paura dello stato d’animo che mi sarebbe venuto a trovare una volta arrivata da lui.
E se avessi ricevuto delle brutte notizie? Sperai che non lo fossero, anche perché se Edward aveva chiesto di me doveva essere lucido e non in pericolo di vita… ma c’erano anche tantissime persone che restavano ferite gravemente dopo un incidente e che riuscivano, comunque, a comunicare con i soccorritori.
Anche Edward era nella loro stessa situazione?

Insomma, Bella! Vuoi piantarla o no?
Salii in fretta e furia sulla volante della polizia e misi in moto, uscendo dal vialetto di casa. A quell’ora del pomeriggio non c’erano molte persone in giro per la città, anche perché aveva ripreso a nevicare e molti dovevano trovarsi ancora a lavoro. Questo contribuì molto per far sì che arrivassi in ospedale nel giro di pochi minuti.
Parcheggiai in tutta fretta e sempre in tutta fretta raggiunsi l’entrata del pronto soccorso; era assurdo, anche quando ero in vacanza ero costretta ad andare in ospedale! Se il destino stava per giocarmi qualche brutto tiro, beh, poteva benissimo spedirmi una cartolina e avvertirmi prima di far accadere tutto quello che voleva.
Mi avvicinai al banco delle informazioni, ma prima che potessi raggiungerlo sgranai gli occhi, notando le due persone che occupavano le sedie della sala d’attesa e che, davvero, non mi aspettavo di vedere lì.
Alice e Jasper.
Alice si trovava a Forks, e lo sapevo benissimo, perché aveva deciso di venire anche lei lì per Natale, trascorrendolo così insieme alla sua famiglia che non vedeva da tanto. Era partita insieme a me e ad Allyson… ma Jasper? Quando era arrivato?
Qualcosa, nel mio cervello, mi suggeriva che c’era qualcosa sotto che non sapevo…
«Che ci fate qui?» dissi ad alta voce per farmi sentire, e mi avvicinai a loro nel frattempo.
Come Alice sentì la mia voce si voltò e sgranò gli occhi, alzandosi subito in piedi. Jasper la imitò quasi subito, accennando un saluto con la mano. Notai che lui aveva una macchia scura sul mento, poco sotto il labbro inferiore… anche lui si era fatto male? Ma come?
«Bella! Che ci fai qui?» domandò Alice una volta che le fui di fronte, usando più o meno le mie stesse parole. Mai domanda fu più stupida, per me, in quel momento.
«Come che ci faccio qui? Mi hanno chiamato a casa dicendomi che Edward si trovava in ospedale! Ma che è successo?» mi misi quasi a strillare, ma cercai di trattenermi: l’ultima cosa che volevo era scatenare una scenata nei corridoi di un ospedale.
«Chi ti ha chiamato?» la mia amica preferì rispondermi con un'altra domanda, cosa che non volevo affatto.
«Evelyn, ti ricordi di lei? Ma, a parte questo… vuoi spiegarmi per quale motivo Edward si trova qui? E perché anche voi siete qui?»
Alice alzò gli occhi al cielo, con una smorfia di rabbia sul viso. «E ti pareva che era stata lei…» borbottò, ignorandomi.
Okay, non ci stavo capendo più niente… perché nessuno non mi diceva come stavano le cose? Chiedevo troppo, per caso?
«Alice, per favore…» mormorai, sconsolata.
«Bella, non è successo nulla di grave, stai calma.» per fortuna che c’era Jasper con noi, l’unica persona che sembrava aver capito cosa volevo sentirmi dire in quel momento. Mi prese per un braccio e, gentilmente, mi fece sedere su una poltroncina libera. «Io e Edward siamo arrivati a Seattle ieri sera, visto che stavamo organizzando una sorpresa per voi e che… volevamo trascorrere insieme alle nostre fidanzate l’arrivo del nuovo anno.» mi disse, parlando con calma.
«Ah.» beh, almeno sapevo per quale motivo si trovavano qui, nella sperduta Forks, e non a Los Angeles. «E allora… come spieghi tutto questo, e il livido che hai sul mento?»
«Adesso ci arrivo, aspetta.» mi stoppò mostrandomi il palmo della mano. «Abbiamo preso una macchina in noleggio e abbiamo deciso, qualche ora fa, di venire a Forks per farvi una sorpresa… ma non immaginavamo che le strade fuori città fossero piene di ghiaccio, e la nostra auto poi non aveva neanche le catene…»
«Siete usciti fuori strada?»
Jasper tentennò un po’ prima di rispondere, facendo una smorfia con le labbra. «Più o meno, sì. La macchina l’abbiamo dovuta lasciare lì perché non siamo riusciti a riportarla in strada, così abbiamo chiamato Alice per farci venire a prendere…»
Bene, adesso sapevo qualcosa in più su quello che era accaduto: lui e Edward erano venuti a Forks per farci una sorpresa, ma le strade disagiate per le nevicate dei giorni scorsi avevano rovinato i loro programmi. Mi mancava solo un’ultima cosa da sapere…
«Dov’è Edward adesso? Perché non è qui con voi?» chiesi, e cercai di mantenermi calma e di scacciare via l’ansia e la paura.
«Perché… gli stanno ricucendo uno zigomo. Ha battuto il viso contro il volante e…» smisi di ascoltarlo dopo le parole ‘ricucendo’ e ‘zigomo’.
«Guidava lui? Non dirmi che stava correndo con l’auto, eh! No, anzi, dimmelo! Voglio saperlo!» scattai, arrabbiandomi in un nano secondo.
Conoscevo l’amore di Edward per le auto e per la velocità e anche che, la maggior parte delle volte, diventava molto superficiale per quanto riguardava le regole della strada. Era stato un incosciente se si era messo a guidare velocemente in un posto che non conosceva, e senza gli accorgimenti del caso!
«Andava un pochino veloce, è vero… ma solo un pochino!» mi mostrò il pollice e l’indice che quasi si toccavano, cosa che mi fece innervosire di più.
«Jasper, non giustificarlo! Prova a pensare a quanto vi sareste potuti far male se qualcos’altro fosse andato storto!» intervenne Alice, fulminando con lo sguardo il suo fidanzato. Meno male che anche lei era del mio stesso parere.
«Ma a parte questo, perché non mi avete avvisata voi? Lo avete lasciato fare a Evelyn, perché?» quella cosa proprio non riuscivo a capirla.
Alice sbuffò prima di rispondermi. «Perché Edward non voleva farti preoccupare, e non voleva dirti che si era fatto male e che eravamo venuti qui. Ti avrei avvisata io, lo giuro, ma quella zitella pettegola è arrivata prima di me!» si lamentò.
«Edward non voleva farmi preoccupare? Ma… Evelyn mi ha detto che aveva chiesto di me…» ero più confusa di prima.
«Ripeto: zitella pettegola! Scommetto che sta raccontando a tutti questa storia in formato telenovelas! Se la incontro le rovino la permanente, lo giuro!» esclamò, sempre più arrabbiata.
 

***

 
Dopo aver saputo a grandi linee quello che era successo, lasciai Alice e Jasper in sala d’aspetto e mi inoltrai nel pronto soccorso, cercando di capire dove avessero portato Edward. Se gli stavano soltanto mettendo i punti allo zigomo, doveva trovarsi senza dubbio nella zona che avevo visitato un sacco di volte durante la mia adolescenza.
Papà mi prendeva sempre in giro per via della mia goffaggine, dicendo che potevo benissimo accamparmi in ospedale viste le ore che passavo lì dentro come paziente temporanea.
Le mie supposizioni erano esatte, infatti dopo qualche minuto arrivai nel corridoio giusto, dove un infermiere giovane, che non conoscevo, era chinato sul volto del mio ragazzo e lavorava con ago e filo. Edward, notai, teneva gli occhi chiusi e le mani dietro la testa, con una piccola smorfia sulle labbra. Era sdraiato sul lettino, e se non fosse stato per l’infermiere avrei pensato che si stesse semplicemente rilassando dopo aver lavorato troppo.
Doveva essere brutto per lui trovarsi al posto del paziente, invece di quello del medico che era così abituato ad occupare.
Mi rilassai, vedendo che tutto sommato stava bene. Volevo fargli una di quelle ramanzine che poi non si dimenticavano più, ne avevo una voglia pazzesca… ma calcolando lo spavento, che sicuramente si era preso, e i punti al taglio che gli stavano mettendo, potevo anche risparmiarmela.
Mi avvicinai a lui, con calma, ma non si accorse del mio arrivo visto che teneva ancora gli occhi chiusi. L’infermiere però se ne accorse, e fermò per qualche istante il suo lavoro per rivolgermi una veloce occhiata.
«Lei è una parente?» mi chiese.
«A dire la verità, sono la sua ragazza.»
Alle mie parole Edward spalancò gli occhi e si mosse, e dalla reazione capii che non era per nulla preparato a vedermi lì. Si beccò anche un ammonizione da parte dell’infermiere, e strinsi le labbra per non mettermi a ridere in quella situazione.
«Che ci fai qui?» domandò, sempre continuando ad osservarmi.
«Sai com’è: il posto è piccolo, la gente mormora… e se dici di essere il fidanzato della figlia dello sceriffo, beh, sta sicuro che nel giro di pochi minuti tutti sapranno tutto!» gli sorrisi e passai una mano sui suoi capelli… mi era mancato farlo, anche se erano passati solo pochi giorni. Mi era mancato lui, in particolare. «Come stai?»
«Una meraviglia, non trovi?» ironizzò, accennando un sorriso. «Non volevo farti preoccupare, davvero…»
«Ma non sarebbe stato peggio, se ti fossi presentato a casa mia conciato in questo modo? Mi sarebbe venuto un infarto nel giro di un istante!»
«Ma non è niente, una sciocchezza!»
«Domani ti farà male il viso, completamente, ne sono sicura… e avrai anche un bel livido sull’occhio.» gli feci notare, puntando gli occhi sulla ferita. «Quanti punti ti sei beccato?»
«Cinque, è può considerarsi fortunato! Ho visto di peggio…» rispose l’infermiere, mentre tagliava con le forbici l’ultimo pezzo di filo. «Ecco, ho finito.» aggiunse.
«Può già uscire?» domandai, scostandomi dal lettino per permettere a Edward di sedersi meglio. Mi faceva ridere, sembrava che non vedesse l’ora di andarsene via.
«Penso di sì, naturalmente bisogna aspettare il consenso del medico. Vado a cercarlo, ma prima finisco la medicazione qui…»
L’infermiere, Jason, se ne andò dopo che ebbe applicato un cerotto sulla guancia di Edward per coprire i punti. Ci lasciò da soli, cosa che non vedevo l’ora che accadesse. Mi posizionai di fronte a lui a braccia incrociate e inarcai un sopracciglio, soppesando il suo sguardo.
Lui sbuffò dopo poco, voltando il viso come se gli avessi fatto un torto enorme. «Smettila di fare così.»
«Così come?»
«Come se stessi per prepararti a sgridare un bambino che ha rubato i biscotti. Sembri mia madre, Bella!»
Trattenni una risata. «Beh, madre lo sono… e tu, in questo momento, sei un bambino da sgridare.» chinai il viso e mi avvicinai. «Mi sono spaventata quando ho saputo che eri qui, Edward. Ho temuto il peggio…»
«Sì, ma il peggio non c’è stato.»
«Ma poteva starci! Se… se ti fosse successo qualcosa di più grave, ci hai pensato?»
Edward non mi rispose subito, si limitò a tenere lo sguardo rivolto verso un punto lontano e a muovere le labbra. Alla fine, si voltò e mi guardò. «Perché devi essere sempre così pessimista?»
«Perché mi preoccupo, ecco perché! E anche perché leggo troppe disgrazie, ad essere sincera…» non riuscii più a trattenermi e mi fiondai su di lui, stringendo le braccia intorno alla sua vita. Immersi il naso nel suo collo e inspirai il suo buon profumo… mi era mancato così tanto. E mi ero spaventata così tanto per lui…
Edward ricambiò la mia stretta e sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia testa. Alzai il viso, incrociando i suoi occhi. «Non farmi mai più uno scherzo del genere, mai più.» mormorai.
Annuì, sfiorandomi una guancia con la punta dell’indice. «Mai più.» ripeté, e si chinò per sfiorare le mie labbra con le sue.
Ricambiai il suo bacio e, per un istante, dimenticai di trovarmi all’interno di un pronto soccorso. Dimenticai anche quello che era successo, ma tornai alla realtà come sentii Edward lamentarsi per il dolore.
«Ahi!» sibilò, storcendo le labbra e chiudendo gli occhi. «I punti cominciano a farsi sentire.»
«Povero piccolo…» gli baciai la guancia, stando attenta a non fargli troppo male. «Ci penso io a te, adesso. Stai tranquillo.»
 

***

 
«Non ero mai stato prima d’ora dentro a un auto della polizia. È… è una figata pazzesca!»
Il sussurro concitato, eccitato e quasi reverenziale di Edward mi fece ridacchiare, ma non mi voltai per controllarlo, troppo impegnata com’ero a guidare con prudenza fino a casa. Aveva ripreso a nevicare forte, quindi l’ultima cosa che volevo era fare un altro incidente e tornare di nuovo in ospedale.
Per quel giorno ne avevo abbastanza, e sarei voluta ritornarci solo quando avrei dovuto tornare a lavorare… non prima di una settimana, quindi.
Fermai la macchina una volta che arrivai davanti ad un semaforo – che era rosso, vista la mia fortuna -, e così mi arrischiai a dare un occhiata a Edward. Prima di lasciare il pronto soccorso gli avevano somministrato un leggero antidolorifico per tenere a bada il fastidio dei punti, che sembrava proprio non sopportare, e questo gli aveva causato un leggero effetto collaterale: si stupiva per ogni cosa che vedeva.
Questo spiegava il motivo per cui continuava ad aprire e chiudere lo sportello del cruscotto, e a sgranare gli occhi ogni volta che lo faceva. Io cercavo di non ridere, non mi andava di prenderlo in giro sapendo che il suo comportamento non dipendeva da lui e che era tutta colpa del farmaco… ma chi ci riusciva?
All’ennesimo “Caspita!” che disse dopo aver aperto di nuovo il cruscotto, mi girai e repressi una sonora risata contro il palmo della mano. E per fortuna che il semaforo tornò verde dopo alcuni secondi, altrimenti non avrei più smesso di ridere.
Mi schiarii la gola, cercando di calmarmi e di non fargli capire che il suo stato mi stava facendo divertire troppo. «Ehm… tesoro, va tutto bene? Non hai freddo, vero?» chiesi, guardandolo con la coda dell’occhio.
«Veramente sì, solo un po’. Qui fa più freddo che a Los Angeles, non ci sono abituato.» disse, sistemandosi meglio sul sedile. «Oh, la ricetrasmittente! Forte!» urlò poi. Fece per prenderla ma lo bloccai prima che potesse farlo.
«No! Questa non si tocca, non sei un poliziotto e non puoi farlo!» lo ammonii, schiaffeggiandogli una mano. Ed ecco che tornavo a prendermi cura di lui come se fosse stato un bambino di cinque anni.
«Che palle, Bella!» borbottò con voce lamentosa.
Alzai gli occhi al cielo, sperando che l’effetto dell’antidolorifico finisse presto; non sapevo se sarei riuscita a sopportarlo per troppo tempo, e ormai era passata quasi un ora abbondante da quando glielo avevano somministrato… e per qualsiasi cosa ci saremmo arrangiati con l’aspirina.
«Eccoci arrivati.» gli dissi una volta che ebbi imboccato il vialetto di casa dei miei genitori. Fermai la macchina dietro il furgoncino anni ’50 di mia madre, e capii che Martha si trovava ancora dentro casa per via della sua auto, parcheggiata poco lontano.
Stavano tutti aspettando che tornassi per far sapere loro che cos’era successo, anche se li avevo chiamati un paio di ore prima, oppure stavano aspettando che presentassi loro Edward?
Era molto più probabile la seconda ipotesi.
Edward si abbassò e, battendo le palpebre, osservò la piccola villetta. «Abitavi qui?» chiese, incuriosito.
Annuii, sorridendogli. «Sì, esatto. Ti piace?»
«Mi piace, sì… però, è piccola. La casa dei miei genitori è più grande, te la ricordi?»
«Certo che me la ricordo!» come potevo dimenticare l’enorme villa a due piani dei coniugi Cullen, a Beverly Hills? Non c’era confronto con quella semplice dei miei genitori, era vero, ma doveva anche tenere presente che i miei non erano ricchi come i suoi.
Aprii lo sportello e, recuperata la borsa, scesi dall’auto. «Vuoi restare a congelarti qui dentro oppure vieni in casa con me?» gli domandai.
«No, vengo vengo! Fa freddo qui!» in un batter d’occhio Edward scese dalla macchina e mi raggiunse, abbracciandomi. Era così buffo, e mi scatenò dentro al petto un ondata di tenerezza… quasi quasi sperai che l’antidolorifico facesse effetto ancora per un po’.
Risi, alzandomi sulle punte dei piedi per baciargli le labbra. «Dai, andiamo, ci stanno aspettando tutti quanti.»
«Davvero? E come fanno a sapere che ci sono anch’io insieme a te?»
«Ricordi che mi hanno telefonato per dirmi che ti trovavi in ospedale? Beh, lo hanno saputo anche loro perché erano con me, e adesso ti vogliono conoscere… dai, non facciamoli aspettare.» lo presi per mano e lo tirai verso di me, guidandolo fino a casa.
Mi mostravo tranquilla davanti a lui, ma da una parte ero preoccupata sul comportamento che i miei genitori e Martha avrebbero avuto una volta che Edward fosse stato davanti a loro. Sapevano della sua esistenza, sapevano che stavamo insieme e che ci volevamo bene… che ci amavamo, mi corressi mentalmente. Ma la piccola punta di panico era sempre presente, non voleva andare via.
Era sicuramente normale, una sensazione che tutti, prima o poi, dovevamo provare una volta che arrivava il momento fatidico ‘presentiamo il mio ragazzo alla mia famiglia’. Sperai che nulla andasse storto.
Una volta arrivati davanti alla porta di casa, non feci in tempo a suonare il campanello che questa venne spalancata rapidamente da mia madre; doveva essersi posizionata in quel posto non appena aveva sentito l’auto fermarsi pochi minuti prima, impicciona come sempre.
«Mamma!» la sgridai lo stesso, anche se non ce n’era davvero bisogno.
«Tesoro! Ci avete messo troppo tempo, ma perché?» volle sapere invece, ignorandomi totalmente e fissando gli occhi celesti sulla figura alta di Edward, al mio fianco. Finsi di non mostrarmi risentita dal suo comportamento.
«Eravamo in ospedale, no? Sai benissimo che le cose vanno per le lunghe, lì…» sospirai, battendo un piede per terra. «Ci fai entrare oppure ci lasci qui fuori?»
«Oh, è vero, scusatemi! Vieni, Edward caro, entra… stai bene, vero? Ci hai fatto preoccupare tantissimo!» ignorandomi proprio come aveva fatto prima, prese per mano Edward e lo fece entrare dentro casa, lasciando a me il compito di chiudere la porta.
Feci tutto con calma, prendendomi anche più tempo del necessario per togliere il giaccone e per sistemarlo nel piccolo sgabuzzino dell’ingresso. Stavo lottando con quello, e con l’attrezzatura da pesca di papà che rischiava di rovinarmi addosso, quando mi raggiunse proprio lui, con le braccia incrociate sul petto e l’aria tesa.
«Come ha fatto il tuo ragazzo a combinarsi la faccia in quel modo?» chiese, e riconobbi subito nella sua voce l’aria professionale che sfoggiava sempre quando lavorava. Lo sceriffo Swan era in azione, ragazzi.
«Ha battuto il viso contro il volante, non stava mostrando molta attenzione alla strada ghiacciata… ma tranquillo, l’ho già sgridato io, papà.» gli riferii, chiudendo finalmente lo sgabuzzino con un colpo secco. Sentii l’attrezzatura da pesca franare dall’altra parte della porta, ma non me ne impotrò poi così tanto.
«Sul serio? Che incosciente che è stato! Dovrei ritirargli la patente, così impara la lezione.» borbottò.
«L’ha già imparata, fidati.»
«Va bene, allora. Se lo dici tu mi fido…» passandomi un braccio sulle spalle mi sospinse verso il salotto, dove si trovavano gli altri. «Non lo conosco molto bene, e molto probabilmente dovrò passare molto più tempo insieme a lui per esserne certo… ma sembra un bravo ragazzo. Un po’ svampito, ma un bravo ragazzo.» mi confidò a bassa voce.
Lo guardai, confusa e scettica. «È l’antidolorifico, per questo è un po’ svampito. Dovrebbe fare effetto ancora per poco, è passeggero.»
«Ah, okay.»
Ridacchiai, entrando insieme a lui in salotto. Mamma e Martha avevano circondato Edward, che si trovava seduto sul divano, e lo scrutavano attentamente come se fossero in attesa di qualcosa. Mamma aveva persino una bottiglietta di succo di frutta in mano: voleva assisterlo, per caso?
 

***

 
«Ti fa tanto male?»
Edward scosse la testa, sorridendo ad Allyson che si trovava seduta in braccio a lui. «No, non fa male.»
«Se ti do un bacino sulla bua guarisce prima, mamma lo dice sempre. Posso darti un bacino?»
«Ma certo che puoi…» Edward chiuse gli occhi e, sempre sorridendo, attese che Allie facesse quello che doveva fare. La bimba si arrampicò aggrappandosi alle sue spalle e, con un sonoro schiocco, baciò il cerotto che copriva il taglio.
«Ecco fatto, adesso passa tutto quanto!» Allyson batté le mani, soddisfatta.
«Grazie amore!» ricambiando il suo gesto la abbracciò stretta, scatenando in lei una serie di risate contagiose.
Li guardai, sorridendo tra me e me, poi tornai ad aiutare mia madre. Avevamo finito di cenare da poco più di mezz’ora e, dopo una piccola parentesi dedicata alle chiacchiere, io e mamma ci eravamo allontanate per lavare i piatti e per sistemare la cucina. Papà, invece, era rimasto seduto a tavola insieme a Edward e a Allyson.
Durante la cena aveva avuto modo di parlare con lui, e di notare che non era per niente svampito. L’antidolorifico aveva smesso di funzionare e Edward era tornato quello di sempre, gentile, educato e scemo come al solito.
Mia madre ne era rimasta totalmente colpita: se lo ammirava e lo stimava quando lo conosceva solo attraverso le mie parole e lo schermo di un computer, adesso si poteva dire che ne era innamorata al 100%.
Martha, che era andata via un paio di ore prima ma che aveva avuto il piacere di conoscerlo, era dello stesso parere e, prima di uscire di casa, mi aveva confidato che era contenta di sapermi in mani sicure e che non doveva più preoccuparsi come aveva, invece, fatto nei mesi precedenti.
Edward era stato accettato dalla mia famiglia ed io ero davvero molto felice per questo.
«Resta qui a dormire, vero?» mi chiese mamma ad un certo punto.
«Mh?» la guardai, presa alla sprovvista. «Non lo so, non gliel’ho chiesto…»
«Non c’è bisogno di farlo, tanto io non lo faccio uscire di casa prima di domani mattina! Ha avuto un incidente, deve riposare… non mi fido a lasciarlo andar via prima.» continuò a dirmi, risoluta.
«Su questo hai ragione… pensi che papà sarà d’accordo?»
«Perché non dovrebbe esserlo? Edward è una persona di famiglia adesso.»
Arrossii, puntando gli occhi sull’acqua insaponata e sulle mie mani altrettanto insaponate. Edward era una persona di famiglia… era il mio ragazzo, doveva esserlo per forza. E dovevo anche essere abituata a pensarla in quel modo, ma era tutto così nuovo e bello, per me, che ancora non ci credevo.
«Lascia stare qui, tesoro, finisco io… vai a preparare il divano e a prendere qualcosa di pulito per Edward.» mamma mi cacciò via dal lavello, porgendomi uno strofinaccio per asciugarmi.
«Il… il divano?» perché dovevo preparare il divano?
Mia madre mi guardò, con le labbra stirate in un sorriso. «Sì, Bella, il divano! Non penso che tuo padre vi farà dormire insieme sotto questo tetto, o almeno non per stasera. È molto rigido su certe regole…»
«Oh!» già, le regole strane di papà. Perché non ci trovavamo a Los Angeles? Avremmo potuto fare tutto quello che volevamo… o quasi. Mi asciugai in fretta le mani e posai lo strofinaccio. «Vado, ci metto poco!»
Raccattai dall’armadio della biancheria, che si trovava nel corridoio in cima alle scale, delle lenzuola pulite, un cuscino di scorta e un plaid pesante, e poi scesi di nuovo di sotto per trasformare il divano del salotto in un letto.
Stavo sistemando le lenzuola in modo che non toccassero il pavimento quando sentii dei passi venire verso di me, e girandomi scoprii che quelli appartenevano a Edward. Mi sorrideva, tranquillo, e teneva le mani infilate nelle tasche dei jeans. Lo zigomo destro, dove aveva preso il colpo, aveva cominciato a scurirsi e adesso era diventato di un bel color viola melanzana.
Ma lui era bello anche con il viso ammaccato, dovevo riconoscerlo.
«Che combini?» chiese, una volta che mi fu vicino.
«Preparo il tuo letto…» gli risposi, afferrando il plaid e stendendolo sopra alle lenzuola.
«Dormirò qui? Qui, e non insieme a te?» l’espressione che aveva assunto era tutta un programma.
«Eh, sì. Ordini del capo Swan, mi dispiace.»
«Capisco…» mormorò, afferrandomi per le braccia e facendomi smettere di fare quello che stavo facendo. Mi fece voltare verso di sé e, sospingendomi verso di lui, mi intrappolò tra le sue braccia. «Volevo passare un po’ di tempo con te, ma ancora non ci sono riuscito… e adesso mi dici anche che non dormiremo insieme.»
«Lo so…» quel lato della situazione dava fastidio anche a me. «Ma è solo per poco.»
«Mhm, solo per poco. Però adesso siamo soli, approfittiamone…»
«Per fare cosa?» mi incuriosii, quando se ne usciva con certe cose aveva sempre qualcosa di strano in mente.
«Non so, ci devo pensare bene.» rise, e fermando il mio viso tra le sue mani mi baciò.
Non andammo oltre i baci, dopotutto non eravamo le uniche persone presenti in casa e ci trovavamo in un posto dove tutti potevano sorprenderci… e odiai da morire quel momento.
Volevo dedicarmi a lui, volevo regalargli tutte quelle attenzioni che si scambiavano gli innamorati e che noi non ci scambiavamo da ormai troppo tempo. L’ultima volta che ci avevamo provato eravamo stati interrotti sul più bello da mia figlia, e adesso c’erano anche i miei genitori di mezzo.
La sfiga mi perseguitava, era ufficiale.
«Ehm, ehm…»
Come non detto…
Grugnii di protesta, sentendo che qualcuno si stava schiarendo la voce per avvertirci della sua presenza. Edward, invece, si mise a ridere per la mia reazione. A lui sembrava non seccare mai quando qualcuno ci interrompeva… volevo conoscere il suo segreto, su come riusciva ad avere una pazienza di ferro.
Voltandomi notai che si trattava della mamma, che ci osservava stando appoggiata alla parete del salotto e con le mani premute sulle guance, tutta sorridente e contenta.
«Non volevo interrompervi, sul serio, siete troppo carini! Ma… vi volevo dire che io e Charlie stiamo salendo di sopra, e Allie vuole dormire con noi. Vi lasciamo da soli, ma non fate nulla di troppo rumoroso o… impegnativo. Mi raccomando, eh!» disse, interrompendosi di tanto in tanto e gesticolando con le mani.
«Non si preoccupi, Renée, faremo i bravi.» Edward mi strinse più forte mentre parlava, e depositò un piccolo bacio sulla mia tempia destra.
«Aw, siete bellissimi! Va bene, ci vediamo domattina! Vi lascio da soli!» e, così com’era arrivata, scappò via agitando le mani in segno di saluto.
Edward rise di nuovo. «Tua madre mi piace, è simpaticissima!»
«Ma è anche pazza, devi lasciarla stare…» tornai a guardarlo e posai le labbra sul suo mento, baciandolo. «Non mi va di passare la notte separati.» aggiunsi.
Sbuffò. «A chi lo dici! Sarà una tortura: così vicini, ma così lontani allo stesso tempo.»
«Già… ma forse, queste ore passeranno in fretta e noi neanche ce ne accorgeremo.»
E lo credetti davvero.
O almeno, lo feci fino a quando non sentii la porta della mia camera aprirsi, e dopo poco qualcuno venne a sdraiarsi accanto a me nel letto. Era ancora tutto buio, quindi era troppo presto per essere mattina. Mugugnando, assonnata, allungai il braccio per accendere la lampada e per sbirciare l’ora, ma una mano mi bloccò prima che potessi farlo.
«No! È meglio se restiamo al buio.» sussurrò il mio visitatore notturno, che non aveva neanche bisogno di presentazioni per farmi capire chi fosse.
«Mhm… ma che ci fai qui?» borbottai, rigirandomi nel letto e allungando le mani per capire bene dove fosse. Non appena sentii sotto alle dita il cotone della sua maglietta, mi avvicinai e lo abbracciai.
«Di sotto fa freddo… e volevo stare insieme a te. Mi manchi troppo, amore.» sussurrò, baciandomi le guance e passando le mani dietro la mia schiena per stringermi meglio contro di lui.
Sorrisi, accontentandolo, e come il mio petto toccò il suo lo feci sdraiare sulla schiena. Mi misi a cavalcioni su di lui e immersi le mani nei suoi capelli, abbassandomi sul suo viso per baciarlo come volevo fare da tutta la sera. Cercai di muovermi con cautela, non volevo fargli male e col buio che ci avvolgeva era difficile capire bene come dovevo comportarmi. Ma lui non si lamentava, quindi voleva dire che non stavo facendo nulla di sbagliato.
Percorsi il suo labbro inferiore con la lingua prima di morderlo, e mi beccai una strizzata di fianchi da parte sua. Mi misi a ridere, ma Edward mi tappò di nuovo la bocca con la sua, forse per evitare che gli altri ci sentissero.
«Non vorrai mica farci scoprire!» borbottò dopo poco, dando vita ai miei pensieri.
«No che non voglio, non sono così scema.» lo baciai ancora una volta, spostando le mani più in basso, sulla sua maglia. «Sai, una persona che ha appena avuto un incidente dovrebbe starsene tranquillo e a riposo, e non dovrebbe assalire le fidanzate come invece stai facendo te…» lo presi in giro.
«Ma io sto bene, e sono più che sicuro che fare un po’ di sesso con la mia ragazza è la medicina di cui ho bisogno adesso.» mi sbeffeggiò lui, invece, e senza tante cerimonie mi sfilò la maglia del pigiama, lasciandomi nuda dalla vita in su.
Ringraziai la mia buona stella, che qualche volta si faceva viva, e Allie che aveva deciso di andare a dormire nel lettone insieme ai suoi nonni.
«E da quando in qua fare sesso è diventata una medicina?» mi piaceva tanto parlare mentre, pian piano, la situazione diventava sempre più interessante e ci avvicinavamo al momento migliore… e mi piaceva ancora di più prenderlo in giro, e vedere la sua reazione. Rendeva i nostri momenti intimi ancora più belli, a mio parere.
«Lo sanno tutti, mia cara, tutti… aggiorna il software, amore.» alitò al mio orecchio, e con un movimento rapido mi fece cambiare posizione, facendo sì che lui si trovasse sopra di me. Premeva con il corpo contro il mio, ma non mi dava fastidio e non mi schiacciava. Anzi, mi inarcai contro di lui per far combaciare al meglio le nostre pelli, ancora troppo coperte.
«Mi è mancato sentirtelo dire…» ammisi, liberando il suo corpo dall’ingombro dei vestiti. Peccato che la luce fosse spenta, non c’era cosa più bella del vedere il corpo nudo di Edward. Gli baciai la spalla, aggrappandomi alla sua schiena.
«Cosa? Illuminami, piccola…»
Persi un po’ il contatto con la realtà per via delle sue mani, che cercavano di finire il compito di denudarmi e mi regalavano valanghe di nuovi brividi lungo tutto il corpo. Ansimai piano, gettando la testa all’indietro e guardandolo in viso. I suoi occhi erano lucidi, ed erano l’unica cosa che distinguevo bene in tutto quel buio.
«Amore… mi piace quando mi chiami così.»
«Amore, amore, amore… sei il mio amore…» Edward seppellì il viso sul mio collo e, premendoci sopra le labbra, lo sentii sistemarsi meglio tra le mie gambe ed entrare in me in pochi e decisi movimenti.
Ogni volta che accadeva era come la prima, una sensazione di completezza enorme e soddisfacente e che mi faceva venire sempre voglia di piangere. Inarcai il bacino per accoglierlo meglio e assecondai i suoi movimenti, premendo le mani alla base della sua schiena.
Non mi sarei mai stancata di fare l’amore con lui, mai e poi mai.
«Ti amo.» sussurrai, accostando di nuovo le mie labbra alle sue.
«Ti amo anch’io, non dimenticarlo mai… mai.»
Non avevo nessuna intenzione di farlo, nemmeno nei miei peggiori incubi avrei voluto dimenticarmi di quelle parole.
Ed in silenzio, con le labbra vicine per paura di far fuoriuscire qualche rumore troppo alto, che fosse stato capace di farci scoprire, continuammo ad amarci e a ripeterci quelle piccole promesse che, sperai, potessero durare per sempre.
 
 
 
 
 

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Ariecchime! Vi sono mancata? XD
Avete visto? Edwarduccio nostro sta bene, è solo un po’ ammaccato XD
E adesso, per un po’, non vedremo più disgrazie, piccole e non: mi sto risparmiando il pezzo forte per più avanti u.u
Eh… non ho altro da dire! Possibile? È la prima volta che sono a corto di parole per le note finali XD va beh, se mi viene in mente qualcosa ve lo farò sapere su Facebook, sul mio gruppo personale – per chi non lo conosce ancora, questo qui è il link ;)
Ci sentiamo presto, promesso! Non so quando sarà, devo ancora scrivere il prossimo capitolo e anche quello dell’altra storia è in alto mare °-° forse ci vediamo per Ferragosto ahahahahhaha XD

Okay, me ne vado! Un bacione a tutte ^__^
   
 
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