Ciao!
Stavolta non vi ho fatto aspettare troppo
XD il capitolo è venuto fuori prima del previsto e quindi, non aveva senso
farvi aspettare ancora XD
Allora, come ho potuto leggere nelle
recensioni siete tutte in ansia per Edward: che cosa gli sarà mai successo?
Bando alle ciance – più mie che vostre! XD –
e… buona lettura! ;)
Capitolo
22
«Sei
proprio sicura di voler andare da sola?» nel giro di pochi minuti, quella era
la decima volta che mia madre mi chiedeva la stessa cosa.
«Sì,
mamma, sono sicura!» le risposi seccata e in modo quasi maleducato, ma non era
mia intenzione reagire in quella maniera.
Ero
tesa e spaventata, a causa della telefonata di poco prima. Mi aveva scossa
davvero molto, e volevo vedere chi non sarebbe rimasto scosso dopo che, per
telefono, ti avvertivano che il tuo ragazzo si trovava in ospedale… e per di
più, senza neanche accennarti in che condizioni si trovasse!
Avevo
quasi paura di raggiungere il pronto soccorso di Forks e di accertarmi delle
condizioni di Edward con i miei occhi. Me lo sarei ritrovato davanti senza un
braccio, o senza una gamba, oppure senza entrambe le cose?
Calmati Bella, calmati!,
imposi alla mia mente quell’ordine, anche se era difficile far sì che quest’ultima
ubbidisse.
Scossi
piano la testa, con gli occhi chiusi, e presi un piccolo respiro. Dopodiché,
afferrai le chiavi del furgoncino di mamma e mi fiondai alla porta di casa,
pronta per andare via; avevo già recuperato il giaccone e la borsa, non mi
restava che affrontare le strade innevate della cittadina e raggiungere Edward.
Che
cavolo, me la stavo facendo sotto per la fifa!
«Bella,
sai che non mi fido del rottame di tua madre!» borbottò mio padre, seguendomi
lungo il corridoio. «Tieni, prendi la mia macchina.» aggiunse, passandomi le
chiavi della volante della polizia.
Battei
le palpebre, un po’ confusa per quel suo gesto: mio padre, lo sceriffo, mi
aveva sempre vietato di usare la sua auto e quella era senza alcun dubbio la
prima volta che mi proponeva di farlo. «Sei sicuro?» chiesi, prendendole dalla
sua mano.
«Sicurissimo!
E poi arriverai prima, è un vantaggio.» accennando un sorriso, poggiò la mano
sulla mia spalla. «Facci sapere come stanno le cose, va bene?»
Annuii,
abbassando lo sguardo; anche mamma e Martha mi avevano chiesto di fare la
stessa cosa, una volta che avessi saputo cos’era accaduto a Edward. Lo avrei
fatto sicuramente, ma avevo paura dello stato d’animo che mi sarebbe venuto a
trovare una volta arrivata da lui.
E se
avessi ricevuto delle brutte notizie? Sperai che non lo fossero, anche perché
se Edward aveva chiesto di me doveva essere lucido e non in pericolo di vita…
ma c’erano anche tantissime persone che restavano ferite gravemente dopo un
incidente e che riuscivano, comunque, a comunicare con i soccorritori.
Anche
Edward era nella loro stessa situazione?
Insomma, Bella! Vuoi piantarla o no?
Salii
in fretta e furia sulla volante della polizia e misi in moto, uscendo dal
vialetto di casa. A quell’ora del pomeriggio non c’erano molte persone in giro
per la città, anche perché aveva ripreso a nevicare e molti dovevano trovarsi
ancora a lavoro. Questo contribuì molto per far sì che arrivassi in ospedale
nel giro di pochi minuti.
Parcheggiai
in tutta fretta e sempre in tutta fretta raggiunsi l’entrata del pronto
soccorso; era assurdo, anche quando ero in vacanza ero costretta ad andare in
ospedale! Se il destino stava per giocarmi qualche brutto tiro, beh, poteva benissimo
spedirmi una cartolina e avvertirmi prima di far accadere tutto quello che
voleva.
Mi
avvicinai al banco delle informazioni, ma prima che potessi raggiungerlo
sgranai gli occhi, notando le due persone che occupavano le sedie della sala
d’attesa e che, davvero, non mi aspettavo di vedere lì.
Alice e
Jasper.
Alice
si trovava a Forks, e lo sapevo benissimo, perché aveva deciso di venire anche
lei lì per Natale, trascorrendolo così insieme alla sua famiglia che non vedeva
da tanto. Era partita insieme a me e ad Allyson… ma Jasper? Quando era
arrivato?
Qualcosa,
nel mio cervello, mi suggeriva che c’era qualcosa sotto che non sapevo…
«Che ci
fate qui?» dissi ad alta voce per farmi sentire, e mi avvicinai a loro nel
frattempo.
Come
Alice sentì la mia voce si voltò e sgranò gli occhi, alzandosi subito in piedi.
Jasper la imitò quasi subito, accennando un saluto con la mano. Notai che lui
aveva una macchia scura sul mento, poco sotto il labbro inferiore… anche lui si
era fatto male? Ma come?
«Bella!
Che ci fai qui?» domandò Alice una volta che le fui di fronte, usando più o
meno le mie stesse parole. Mai domanda fu più stupida, per me, in quel momento.
«Come
che ci faccio qui? Mi hanno chiamato a casa dicendomi che Edward si trovava in ospedale!
Ma che è successo?» mi misi quasi a strillare, ma cercai di trattenermi:
l’ultima cosa che volevo era scatenare una scenata nei corridoi di un ospedale.
«Chi ti
ha chiamato?» la mia amica preferì rispondermi con un'altra domanda, cosa che
non volevo affatto.
«Evelyn,
ti ricordi di lei? Ma, a parte questo… vuoi spiegarmi per quale motivo Edward
si trova qui? E perché anche voi siete qui?»
Alice
alzò gli occhi al cielo, con una smorfia di rabbia sul viso. «E ti pareva che
era stata lei…» borbottò, ignorandomi.
Okay,
non ci stavo capendo più niente… perché nessuno non mi diceva come stavano le
cose? Chiedevo troppo, per caso?
«Alice,
per favore…» mormorai, sconsolata.
«Bella,
non è successo nulla di grave, stai calma.» per fortuna che c’era Jasper con
noi, l’unica persona che sembrava aver capito cosa volevo sentirmi dire in quel
momento. Mi prese per un braccio e, gentilmente, mi fece sedere su una
poltroncina libera. «Io e Edward siamo arrivati a Seattle ieri sera, visto che
stavamo organizzando una sorpresa per voi e che… volevamo trascorrere insieme
alle nostre fidanzate l’arrivo del nuovo anno.» mi disse, parlando con calma.
«Ah.»
beh, almeno sapevo per quale motivo si trovavano qui, nella sperduta Forks, e
non a Los Angeles. «E allora… come spieghi tutto questo, e il livido che hai
sul mento?»
«Adesso
ci arrivo, aspetta.» mi stoppò mostrandomi il palmo della mano. «Abbiamo preso
una macchina in noleggio e abbiamo deciso, qualche ora fa, di venire a Forks
per farvi una sorpresa… ma non immaginavamo che le strade fuori città fossero
piene di ghiaccio, e la nostra auto poi non aveva neanche le catene…»
«Siete
usciti fuori strada?»
Jasper tentennò
un po’ prima di rispondere, facendo una smorfia con le labbra. «Più o meno, sì.
La macchina l’abbiamo dovuta lasciare lì perché non siamo riusciti a riportarla
in strada, così abbiamo chiamato Alice per farci venire a prendere…»
Bene,
adesso sapevo qualcosa in più su quello che era accaduto: lui e Edward erano
venuti a Forks per farci una sorpresa, ma le strade disagiate per le nevicate
dei giorni scorsi avevano rovinato i loro programmi. Mi mancava solo un’ultima
cosa da sapere…
«Dov’è
Edward adesso? Perché non è qui con voi?» chiesi, e cercai di mantenermi calma
e di scacciare via l’ansia e la paura.
«Perché…
gli stanno ricucendo uno zigomo. Ha battuto il viso contro il volante e…» smisi
di ascoltarlo dopo le parole ‘ricucendo’ e ‘zigomo’.
«Guidava
lui? Non dirmi che stava correndo con l’auto, eh! No, anzi, dimmelo! Voglio
saperlo!» scattai, arrabbiandomi in un nano secondo.
Conoscevo
l’amore di Edward per le auto e per la velocità e anche che, la maggior parte
delle volte, diventava molto superficiale per quanto riguardava le regole della
strada. Era stato un incosciente se si era messo a guidare velocemente in un
posto che non conosceva, e senza gli accorgimenti del caso!
«Andava
un pochino veloce, è vero… ma solo un pochino!» mi mostrò il pollice e l’indice
che quasi si toccavano, cosa che mi fece innervosire di più.
«Jasper,
non giustificarlo! Prova a pensare a quanto vi sareste potuti far male se
qualcos’altro fosse andato storto!» intervenne Alice, fulminando con lo sguardo
il suo fidanzato. Meno male che anche lei era del mio stesso parere.
«Ma a
parte questo, perché non mi avete avvisata voi? Lo avete lasciato fare a
Evelyn, perché?» quella cosa proprio non riuscivo a capirla.
Alice
sbuffò prima di rispondermi. «Perché Edward non voleva farti preoccupare, e non
voleva dirti che si era fatto male e che eravamo venuti qui. Ti avrei avvisata
io, lo giuro, ma quella zitella pettegola è arrivata prima di me!» si lamentò.
«Edward
non voleva farmi preoccupare? Ma… Evelyn mi ha detto che aveva chiesto di me…»
ero più confusa di prima.
«Ripeto:
zitella pettegola! Scommetto che sta raccontando a tutti questa storia in
formato telenovelas! Se la incontro le rovino la permanente, lo giuro!»
esclamò, sempre più arrabbiata.
Dopo
aver saputo a grandi linee quello che era successo, lasciai Alice e Jasper in
sala d’aspetto e mi inoltrai nel pronto soccorso, cercando di capire dove
avessero portato Edward. Se gli stavano soltanto mettendo i punti allo zigomo,
doveva trovarsi senza dubbio nella zona che avevo visitato un sacco di volte
durante la mia adolescenza.
Papà mi
prendeva sempre in giro per via della mia goffaggine, dicendo che potevo
benissimo accamparmi in ospedale viste le ore che passavo lì dentro come
paziente temporanea.
Le mie
supposizioni erano esatte, infatti dopo qualche minuto arrivai nel corridoio
giusto, dove un infermiere giovane, che non conoscevo, era chinato sul volto
del mio ragazzo e lavorava con ago e filo. Edward, notai, teneva gli occhi
chiusi e le mani dietro la testa, con una piccola smorfia sulle labbra. Era
sdraiato sul lettino, e se non fosse stato per l’infermiere avrei pensato che
si stesse semplicemente rilassando dopo aver lavorato troppo.
Doveva
essere brutto per lui trovarsi al posto del paziente, invece di quello del
medico che era così abituato ad occupare.
Mi
rilassai, vedendo che tutto sommato stava bene. Volevo fargli una di quelle
ramanzine che poi non si dimenticavano più, ne avevo una voglia pazzesca… ma
calcolando lo spavento, che sicuramente si era preso, e i punti al taglio che
gli stavano mettendo, potevo anche risparmiarmela.
Mi
avvicinai a lui, con calma, ma non si accorse del mio arrivo visto che teneva
ancora gli occhi chiusi. L’infermiere però se ne accorse, e fermò per qualche
istante il suo lavoro per rivolgermi una veloce occhiata.
«Lei è
una parente?» mi chiese.
«A dire
la verità, sono la sua ragazza.»
Alle
mie parole Edward spalancò gli occhi e si mosse, e dalla reazione capii che non
era per nulla preparato a vedermi lì. Si beccò anche un ammonizione da parte
dell’infermiere, e strinsi le labbra per non mettermi a ridere in quella
situazione.
«Che ci
fai qui?» domandò, sempre continuando ad osservarmi.
«Sai
com’è: il posto è piccolo, la gente mormora… e se dici di essere il fidanzato
della figlia dello sceriffo, beh, sta sicuro che nel giro di pochi minuti tutti
sapranno tutto!» gli sorrisi e passai una mano sui suoi capelli… mi era mancato
farlo, anche se erano passati solo pochi giorni. Mi era mancato lui, in
particolare. «Come stai?»
«Una
meraviglia, non trovi?» ironizzò, accennando un sorriso. «Non volevo farti
preoccupare, davvero…»
«Ma non
sarebbe stato peggio, se ti fossi presentato a casa mia conciato in questo
modo? Mi sarebbe venuto un infarto nel giro di un istante!»
«Ma non
è niente, una sciocchezza!»
«Domani
ti farà male il viso, completamente, ne sono sicura… e avrai anche un bel
livido sull’occhio.» gli feci notare, puntando gli occhi sulla ferita. «Quanti
punti ti sei beccato?»
«Cinque,
è può considerarsi fortunato! Ho visto di peggio…» rispose l’infermiere, mentre
tagliava con le forbici l’ultimo pezzo di filo. «Ecco, ho finito.» aggiunse.
«Può
già uscire?» domandai, scostandomi dal lettino per permettere a Edward di
sedersi meglio. Mi faceva ridere, sembrava che non vedesse l’ora di andarsene
via.
«Penso
di sì, naturalmente bisogna aspettare il consenso del medico. Vado a cercarlo,
ma prima finisco la medicazione qui…»
L’infermiere,
Jason, se ne andò dopo che ebbe applicato un cerotto sulla guancia di Edward
per coprire i punti. Ci lasciò da soli, cosa che non vedevo l’ora che
accadesse. Mi posizionai di fronte a lui a braccia incrociate e inarcai un
sopracciglio, soppesando il suo sguardo.
Lui
sbuffò dopo poco, voltando il viso come se gli avessi fatto un torto enorme.
«Smettila di fare così.»
«Così
come?»
«Come
se stessi per prepararti a sgridare un bambino che ha rubato i biscotti. Sembri
mia madre, Bella!»
Trattenni
una risata. «Beh, madre lo sono… e tu, in questo momento, sei un bambino da
sgridare.» chinai il viso e mi avvicinai. «Mi sono spaventata quando ho saputo
che eri qui, Edward. Ho temuto il peggio…»
«Sì, ma
il peggio non c’è stato.»
«Ma
poteva starci! Se… se ti fosse successo qualcosa di più grave, ci hai pensato?»
Edward
non mi rispose subito, si limitò a tenere lo sguardo rivolto verso un punto
lontano e a muovere le labbra. Alla fine, si voltò e mi guardò. «Perché devi
essere sempre così pessimista?»
«Perché
mi preoccupo, ecco perché! E anche perché leggo troppe disgrazie, ad essere
sincera…» non riuscii più a trattenermi e mi fiondai su di lui, stringendo le
braccia intorno alla sua vita. Immersi il naso nel suo collo e inspirai il suo
buon profumo… mi era mancato così tanto. E mi ero spaventata così tanto per
lui…
Edward
ricambiò la mia stretta e sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia testa. Alzai
il viso, incrociando i suoi occhi. «Non farmi mai più uno scherzo del genere,
mai più.» mormorai.
Annuì,
sfiorandomi una guancia con la punta dell’indice. «Mai più.» ripeté, e si chinò
per sfiorare le mie labbra con le sue.
Ricambiai
il suo bacio e, per un istante, dimenticai di trovarmi all’interno di un pronto
soccorso. Dimenticai anche quello che era successo, ma tornai alla realtà come
sentii Edward lamentarsi per il dolore.
«Ahi!»
sibilò, storcendo le labbra e chiudendo gli occhi. «I punti cominciano a farsi
sentire.»
«Povero
piccolo…» gli baciai la guancia, stando attenta a non fargli troppo male. «Ci
penso io a te, adesso. Stai tranquillo.»
«Non
ero mai stato prima d’ora dentro a un auto della polizia. È… è una figata
pazzesca!»
Il
sussurro concitato, eccitato e quasi reverenziale di Edward mi fece
ridacchiare, ma non mi voltai per controllarlo, troppo impegnata com’ero a
guidare con prudenza fino a casa. Aveva ripreso a nevicare forte, quindi l’ultima
cosa che volevo era fare un altro incidente e tornare di nuovo in ospedale.
Per
quel giorno ne avevo abbastanza, e sarei voluta ritornarci solo quando avrei
dovuto tornare a lavorare… non prima di una settimana, quindi.
Fermai
la macchina una volta che arrivai davanti ad un semaforo – che era rosso, vista
la mia fortuna -, e così mi arrischiai a dare un occhiata a Edward. Prima di
lasciare il pronto soccorso gli avevano somministrato un leggero antidolorifico
per tenere a bada il fastidio dei punti, che sembrava proprio non sopportare, e
questo gli aveva causato un leggero effetto collaterale: si stupiva per ogni
cosa che vedeva.
Questo
spiegava il motivo per cui continuava ad aprire e chiudere lo sportello del
cruscotto, e a sgranare gli occhi ogni volta che lo faceva. Io cercavo di non
ridere, non mi andava di prenderlo in giro sapendo che il suo comportamento non
dipendeva da lui e che era tutta colpa del farmaco… ma chi ci riusciva?
All’ennesimo
“Caspita!” che disse dopo aver aperto di nuovo il cruscotto, mi girai e repressi
una sonora risata contro il palmo della mano. E per fortuna che il semaforo
tornò verde dopo alcuni secondi, altrimenti non avrei più smesso di ridere.
Mi
schiarii la gola, cercando di calmarmi e di non fargli capire che il suo stato
mi stava facendo divertire troppo. «Ehm… tesoro, va tutto bene? Non hai freddo,
vero?» chiesi, guardandolo con la coda dell’occhio.
«Veramente
sì, solo un po’. Qui fa più freddo che a Los Angeles, non ci sono abituato.»
disse, sistemandosi meglio sul sedile. «Oh, la ricetrasmittente! Forte!» urlò
poi. Fece per prenderla ma lo bloccai prima che potesse farlo.
«No!
Questa non si tocca, non sei un poliziotto e non puoi farlo!» lo ammonii,
schiaffeggiandogli una mano. Ed ecco che tornavo a prendermi cura di lui come
se fosse stato un bambino di cinque anni.
«Che
palle, Bella!» borbottò con voce lamentosa.
Alzai
gli occhi al cielo, sperando che l’effetto dell’antidolorifico finisse presto;
non sapevo se sarei riuscita a sopportarlo per troppo tempo, e ormai era
passata quasi un ora abbondante da quando glielo avevano somministrato… e per
qualsiasi cosa ci saremmo arrangiati con l’aspirina.
«Eccoci
arrivati.» gli dissi una volta che ebbi imboccato il vialetto di casa dei miei
genitori. Fermai la macchina dietro il furgoncino anni ’50 di mia madre, e
capii che Martha si trovava ancora dentro casa per via della sua auto,
parcheggiata poco lontano.
Stavano
tutti aspettando che tornassi per far sapere loro che cos’era successo, anche
se li avevo chiamati un paio di ore prima, oppure stavano aspettando che
presentassi loro Edward?
Era
molto più probabile la seconda ipotesi.
Edward
si abbassò e, battendo le palpebre, osservò la piccola villetta. «Abitavi qui?»
chiese, incuriosito.
Annuii,
sorridendogli. «Sì, esatto. Ti piace?»
«Mi
piace, sì… però, è piccola. La casa dei miei genitori è più grande, te la
ricordi?»
«Certo
che me la ricordo!» come potevo dimenticare l’enorme villa a due piani dei
coniugi Cullen, a Beverly Hills? Non c’era confronto con quella semplice dei
miei genitori, era vero, ma doveva anche tenere presente che i miei non erano
ricchi come i suoi.
Aprii
lo sportello e, recuperata la borsa, scesi dall’auto. «Vuoi restare a
congelarti qui dentro oppure vieni in casa con me?» gli domandai.
«No,
vengo vengo! Fa freddo qui!» in un batter d’occhio Edward scese dalla macchina
e mi raggiunse, abbracciandomi. Era così buffo, e mi scatenò dentro al petto un
ondata di tenerezza… quasi quasi sperai che l’antidolorifico facesse effetto
ancora per un po’.
Risi,
alzandomi sulle punte dei piedi per baciargli le labbra. «Dai, andiamo, ci
stanno aspettando tutti quanti.»
«Davvero?
E come fanno a sapere che ci sono anch’io insieme a te?»
«Ricordi
che mi hanno telefonato per dirmi che ti trovavi in ospedale? Beh, lo hanno
saputo anche loro perché erano con me, e adesso ti vogliono conoscere… dai, non
facciamoli aspettare.» lo presi per mano e lo tirai verso di me, guidandolo
fino a casa.
Mi
mostravo tranquilla davanti a lui, ma da una parte ero preoccupata sul
comportamento che i miei genitori e Martha avrebbero avuto una volta che Edward
fosse stato davanti a loro. Sapevano della sua esistenza, sapevano che stavamo
insieme e che ci volevamo bene… che ci
amavamo, mi corressi mentalmente. Ma la piccola punta di panico era sempre
presente, non voleva andare via.
Era
sicuramente normale, una sensazione che tutti, prima o poi, dovevamo provare
una volta che arrivava il momento fatidico ‘presentiamo il mio ragazzo alla mia
famiglia’. Sperai che nulla andasse storto.
Una
volta arrivati davanti alla porta di casa, non feci in tempo a suonare il
campanello che questa venne spalancata rapidamente da mia madre; doveva essersi
posizionata in quel posto non appena aveva sentito l’auto fermarsi pochi minuti
prima, impicciona come sempre.
«Mamma!»
la sgridai lo stesso, anche se non ce n’era davvero bisogno.
«Tesoro!
Ci avete messo troppo tempo, ma perché?» volle sapere invece, ignorandomi
totalmente e fissando gli occhi celesti sulla figura alta di Edward, al mio
fianco. Finsi di non mostrarmi risentita dal suo comportamento.
«Eravamo
in ospedale, no? Sai benissimo che le cose vanno per le lunghe, lì…» sospirai, battendo
un piede per terra. «Ci fai entrare oppure ci lasci qui fuori?»
«Oh, è
vero, scusatemi! Vieni, Edward caro, entra… stai bene, vero? Ci hai fatto
preoccupare tantissimo!» ignorandomi proprio come aveva fatto prima, prese per
mano Edward e lo fece entrare dentro casa, lasciando a me il compito di
chiudere la porta.
Feci
tutto con calma, prendendomi anche più tempo del necessario per togliere il
giaccone e per sistemarlo nel piccolo sgabuzzino dell’ingresso. Stavo lottando
con quello, e con l’attrezzatura da pesca di papà che rischiava di rovinarmi
addosso, quando mi raggiunse proprio lui, con le braccia incrociate sul petto e
l’aria tesa.
«Come
ha fatto il tuo ragazzo a combinarsi la faccia in quel modo?» chiese, e
riconobbi subito nella sua voce l’aria professionale che sfoggiava sempre
quando lavorava. Lo sceriffo Swan era in azione, ragazzi.
«Ha
battuto il viso contro il volante, non stava mostrando molta attenzione alla
strada ghiacciata… ma tranquillo, l’ho già sgridato io, papà.» gli riferii,
chiudendo finalmente lo sgabuzzino con un colpo secco. Sentii l’attrezzatura da
pesca franare dall’altra parte della porta, ma non me ne impotrò poi così
tanto.
«Sul
serio? Che incosciente che è stato! Dovrei ritirargli la patente, così impara
la lezione.» borbottò.
«L’ha
già imparata, fidati.»
«Va
bene, allora. Se lo dici tu mi fido…» passandomi un braccio sulle spalle mi
sospinse verso il salotto, dove si trovavano gli altri. «Non lo conosco molto
bene, e molto probabilmente dovrò passare molto più tempo insieme a lui per
esserne certo… ma sembra un bravo ragazzo. Un po’ svampito, ma un bravo
ragazzo.» mi confidò a bassa voce.
Lo
guardai, confusa e scettica. «È l’antidolorifico, per questo è un po’ svampito.
Dovrebbe fare effetto ancora per poco, è passeggero.»
«Ah,
okay.»
Ridacchiai,
entrando insieme a lui in salotto. Mamma e Martha avevano circondato Edward,
che si trovava seduto sul divano, e lo scrutavano attentamente come se fossero
in attesa di qualcosa. Mamma aveva persino una bottiglietta di succo di frutta
in mano: voleva assisterlo, per caso?
«Ti fa
tanto male?»
Edward
scosse la testa, sorridendo ad Allyson che si trovava seduta in braccio a lui.
«No, non fa male.»
«Se ti
do un bacino sulla bua guarisce prima, mamma lo dice sempre. Posso darti un
bacino?»
«Ma
certo che puoi…» Edward chiuse gli occhi e, sempre sorridendo, attese che Allie
facesse quello che doveva fare. La bimba si arrampicò aggrappandosi alle sue
spalle e, con un sonoro schiocco, baciò il cerotto che copriva il taglio.
«Ecco
fatto, adesso passa tutto quanto!» Allyson batté le mani, soddisfatta.
«Grazie
amore!» ricambiando il suo gesto la abbracciò stretta, scatenando in lei una
serie di risate contagiose.
Li
guardai, sorridendo tra me e me, poi tornai ad aiutare mia madre. Avevamo
finito di cenare da poco più di mezz’ora e, dopo una piccola parentesi dedicata
alle chiacchiere, io e mamma ci eravamo allontanate per lavare i piatti e per
sistemare la cucina. Papà, invece, era rimasto seduto a tavola insieme a Edward
e a Allyson.
Durante
la cena aveva avuto modo di parlare con lui, e di notare che non era per niente
svampito. L’antidolorifico aveva smesso di funzionare e Edward era tornato
quello di sempre, gentile, educato e scemo come al solito.
Mia
madre ne era rimasta totalmente colpita: se lo ammirava e lo stimava quando lo
conosceva solo attraverso le mie parole e lo schermo di un computer, adesso si
poteva dire che ne era innamorata al 100%.
Martha,
che era andata via un paio di ore prima ma che aveva avuto il piacere di
conoscerlo, era dello stesso parere e, prima di uscire di casa, mi aveva confidato
che era contenta di sapermi in mani sicure e che non doveva più preoccuparsi
come aveva, invece, fatto nei mesi precedenti.
Edward
era stato accettato dalla mia famiglia ed io ero davvero molto felice per
questo.
«Resta
qui a dormire, vero?» mi chiese mamma ad un certo punto.
«Mh?»
la guardai, presa alla sprovvista. «Non lo so, non gliel’ho chiesto…»
«Non
c’è bisogno di farlo, tanto io non lo faccio uscire di casa prima di domani
mattina! Ha avuto un incidente, deve riposare… non mi fido a lasciarlo andar
via prima.» continuò a dirmi, risoluta.
«Su
questo hai ragione… pensi che papà sarà d’accordo?»
«Perché
non dovrebbe esserlo? Edward è una persona di famiglia adesso.»
Arrossii,
puntando gli occhi sull’acqua insaponata e sulle mie mani altrettanto
insaponate. Edward era una persona di famiglia… era il mio ragazzo, doveva
esserlo per forza. E dovevo anche essere abituata a pensarla in quel modo, ma
era tutto così nuovo e bello, per me, che ancora non ci credevo.
«Lascia
stare qui, tesoro, finisco io… vai a preparare il divano e a prendere qualcosa
di pulito per Edward.» mamma mi cacciò via dal lavello, porgendomi uno
strofinaccio per asciugarmi.
«Il… il
divano?» perché dovevo preparare il divano?
Mia
madre mi guardò, con le labbra stirate in un sorriso. «Sì, Bella, il divano!
Non penso che tuo padre vi farà dormire insieme sotto questo tetto, o almeno
non per stasera. È molto rigido su certe regole…»
«Oh!»
già, le regole strane di papà. Perché non ci trovavamo a Los Angeles? Avremmo
potuto fare tutto quello che volevamo… o quasi. Mi asciugai in fretta le mani e
posai lo strofinaccio. «Vado, ci metto poco!»
Raccattai
dall’armadio della biancheria, che si trovava nel corridoio in cima alle scale,
delle lenzuola pulite, un cuscino di scorta e un plaid pesante, e poi scesi di
nuovo di sotto per trasformare il divano del salotto in un letto.
Stavo
sistemando le lenzuola in modo che non toccassero il pavimento quando sentii
dei passi venire verso di me, e girandomi scoprii che quelli appartenevano a
Edward. Mi sorrideva, tranquillo, e teneva le mani infilate nelle tasche dei
jeans. Lo zigomo destro, dove aveva preso il colpo, aveva cominciato a scurirsi
e adesso era diventato di un bel color viola melanzana.
Ma lui
era bello anche con il viso ammaccato, dovevo riconoscerlo.
«Che
combini?» chiese, una volta che mi fu vicino.
«Preparo
il tuo letto…» gli risposi, afferrando il plaid e stendendolo sopra alle
lenzuola.
«Dormirò
qui? Qui, e non insieme a te?» l’espressione che aveva assunto era tutta un
programma.
«Eh,
sì. Ordini del capo Swan, mi dispiace.»
«Capisco…»
mormorò, afferrandomi per le braccia e facendomi smettere di fare quello che
stavo facendo. Mi fece voltare verso di sé e, sospingendomi verso di lui, mi
intrappolò tra le sue braccia. «Volevo passare un po’ di tempo con te, ma
ancora non ci sono riuscito… e adesso mi dici anche che non dormiremo insieme.»
«Lo
so…» quel lato della situazione dava fastidio anche a me. «Ma è solo per poco.»
«Mhm,
solo per poco. Però adesso siamo soli, approfittiamone…»
«Per
fare cosa?» mi incuriosii, quando se ne usciva con certe cose aveva sempre
qualcosa di strano in mente.
«Non
so, ci devo pensare bene.» rise, e fermando il mio viso tra le sue mani mi
baciò.
Non
andammo oltre i baci, dopotutto non eravamo le uniche persone presenti in casa
e ci trovavamo in un posto dove tutti potevano sorprenderci… e odiai da morire
quel momento.
Volevo
dedicarmi a lui, volevo regalargli tutte quelle attenzioni che si scambiavano
gli innamorati e che noi non ci scambiavamo da ormai troppo tempo. L’ultima
volta che ci avevamo provato eravamo stati interrotti sul più bello da mia
figlia, e adesso c’erano anche i miei genitori di mezzo.
La
sfiga mi perseguitava, era ufficiale.
«Ehm,
ehm…»
Come non
detto…
Grugnii
di protesta, sentendo che qualcuno si stava schiarendo la voce per avvertirci
della sua presenza. Edward, invece, si mise a ridere per la mia reazione. A lui
sembrava non seccare mai quando qualcuno ci interrompeva… volevo conoscere il suo
segreto, su come riusciva ad avere una pazienza di ferro.
Voltandomi
notai che si trattava della mamma, che ci osservava stando appoggiata alla
parete del salotto e con le mani premute sulle guance, tutta sorridente e
contenta.
«Non
volevo interrompervi, sul serio, siete troppo carini! Ma… vi volevo dire che io
e Charlie stiamo salendo di sopra, e Allie vuole dormire con noi. Vi lasciamo
da soli, ma non fate nulla di troppo rumoroso o… impegnativo. Mi raccomando,
eh!» disse, interrompendosi di tanto in tanto e gesticolando con le mani.
«Non si
preoccupi, Renée, faremo i bravi.» Edward mi strinse più forte mentre parlava,
e depositò un piccolo bacio sulla mia tempia destra.
«Aw,
siete bellissimi! Va bene, ci vediamo domattina! Vi lascio da soli!» e, così
com’era arrivata, scappò via agitando le mani in segno di saluto.
Edward
rise di nuovo. «Tua madre mi piace, è simpaticissima!»
«Ma è
anche pazza, devi lasciarla stare…» tornai a guardarlo e posai le labbra sul
suo mento, baciandolo. «Non mi va di passare la notte separati.» aggiunsi.
Sbuffò.
«A chi lo dici! Sarà una tortura: così vicini, ma così lontani allo stesso
tempo.»
«Già…
ma forse, queste ore passeranno in fretta e noi neanche ce ne accorgeremo.»
E lo
credetti davvero.
O
almeno, lo feci fino a quando non sentii la porta della mia camera aprirsi, e
dopo poco qualcuno venne a sdraiarsi accanto a me nel letto. Era ancora tutto
buio, quindi era troppo presto per essere mattina. Mugugnando, assonnata, allungai
il braccio per accendere la lampada e per sbirciare l’ora, ma una mano mi bloccò
prima che potessi farlo.
«No! È
meglio se restiamo al buio.» sussurrò il mio visitatore notturno, che non aveva
neanche bisogno di presentazioni per farmi capire chi fosse.
«Mhm…
ma che ci fai qui?» borbottai, rigirandomi nel letto e allungando le mani per
capire bene dove fosse. Non appena sentii sotto alle dita il cotone della sua
maglietta, mi avvicinai e lo abbracciai.
«Di
sotto fa freddo… e volevo stare insieme a te. Mi manchi troppo, amore.»
sussurrò, baciandomi le guance e passando le mani dietro la mia schiena per
stringermi meglio contro di lui.
Sorrisi,
accontentandolo, e come il mio petto toccò il suo lo feci sdraiare sulla
schiena. Mi misi a cavalcioni su di lui e immersi le mani nei suoi capelli,
abbassandomi sul suo viso per baciarlo come volevo fare da tutta la sera.
Cercai di muovermi con cautela, non volevo fargli male e col buio che ci
avvolgeva era difficile capire bene come dovevo comportarmi. Ma lui non si
lamentava, quindi voleva dire che non stavo facendo nulla di sbagliato.
Percorsi
il suo labbro inferiore con la lingua prima di morderlo, e mi beccai una
strizzata di fianchi da parte sua. Mi misi a ridere, ma Edward mi tappò di
nuovo la bocca con la sua, forse per evitare che gli altri ci sentissero.
«Non
vorrai mica farci scoprire!» borbottò dopo poco, dando vita ai miei pensieri.
«No che
non voglio, non sono così scema.» lo baciai ancora una volta, spostando le mani
più in basso, sulla sua maglia. «Sai, una persona che ha appena avuto un
incidente dovrebbe starsene tranquillo e a riposo, e non dovrebbe assalire le
fidanzate come invece stai facendo te…» lo presi in giro.
«Ma io
sto bene, e sono più che sicuro che fare un po’ di sesso con la mia ragazza è
la medicina di cui ho bisogno adesso.» mi sbeffeggiò lui, invece, e senza tante
cerimonie mi sfilò la maglia del pigiama, lasciandomi nuda dalla vita in su.
Ringraziai
la mia buona stella, che qualche volta si faceva viva, e Allie che aveva deciso
di andare a dormire nel lettone insieme ai suoi nonni.
«E da
quando in qua fare sesso è diventata una medicina?» mi piaceva tanto parlare
mentre, pian piano, la situazione diventava sempre più interessante e ci
avvicinavamo al momento migliore… e mi piaceva ancora di più prenderlo in giro,
e vedere la sua reazione. Rendeva i nostri momenti intimi ancora più belli, a
mio parere.
«Lo
sanno tutti, mia cara, tutti… aggiorna il software, amore.» alitò al mio
orecchio, e con un movimento rapido mi fece cambiare posizione, facendo sì che
lui si trovasse sopra di me. Premeva con il corpo contro il mio, ma non mi dava
fastidio e non mi schiacciava. Anzi, mi inarcai contro di lui per far
combaciare al meglio le nostre pelli, ancora troppo coperte.
«Mi è
mancato sentirtelo dire…» ammisi, liberando il suo corpo dall’ingombro dei
vestiti. Peccato che la luce fosse spenta, non c’era cosa più bella del vedere
il corpo nudo di Edward. Gli baciai la spalla, aggrappandomi alla sua schiena.
«Cosa?
Illuminami, piccola…»
Persi
un po’ il contatto con la realtà per via delle sue mani, che cercavano di
finire il compito di denudarmi e mi regalavano valanghe di nuovi brividi lungo
tutto il corpo. Ansimai piano, gettando la testa all’indietro e guardandolo in
viso. I suoi occhi erano lucidi, ed erano l’unica cosa che distinguevo bene in
tutto quel buio.
«Amore…
mi piace quando mi chiami così.»
«Amore,
amore, amore… sei il mio amore…» Edward seppellì il viso sul mio collo e,
premendoci sopra le labbra, lo sentii sistemarsi meglio tra le mie gambe ed
entrare in me in pochi e decisi movimenti.
Ogni
volta che accadeva era come la prima, una sensazione di completezza enorme e
soddisfacente e che mi faceva venire sempre voglia di piangere. Inarcai il
bacino per accoglierlo meglio e assecondai i suoi movimenti, premendo le mani alla
base della sua schiena.
Non mi
sarei mai stancata di fare l’amore con lui, mai e poi mai.
«Ti
amo.» sussurrai, accostando di nuovo le mie labbra alle sue.
«Ti amo
anch’io, non dimenticarlo mai… mai.»
Non
avevo nessuna intenzione di farlo, nemmeno nei miei peggiori incubi avrei
voluto dimenticarmi di quelle parole.
Ed in
silenzio, con le labbra vicine per paura di far fuoriuscire qualche rumore
troppo alto, che fosse stato capace di farci scoprire, continuammo ad amarci e
a ripeterci quelle piccole promesse che, sperai, potessero durare per sempre.
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Ariecchime! Vi sono mancata? XD
Avete visto? Edwarduccio nostro sta bene, è
solo un po’ ammaccato XD
E adesso, per un po’, non vedremo più
disgrazie, piccole e non: mi sto risparmiando il pezzo forte per più avanti u.u
Eh… non ho altro da dire! Possibile? È la
prima volta che sono a corto di parole per le note finali XD va beh, se mi
viene in mente qualcosa ve lo farò sapere su Facebook, sul mio gruppo personale
– per chi non lo conosce ancora, questo qui è il link ;)
Ci sentiamo presto, promesso! Non so quando
sarà, devo ancora scrivere il prossimo capitolo e anche quello dell’altra
storia è in alto mare °-° forse ci vediamo per Ferragosto ahahahahhaha XD