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Autore: Dead_Sl    16/01/2008    4 recensioni
“Carino. Proprio carino quest’anno. Non avrebbe potuto cominciare in modo peggiore. La fila sembra infinta! Gesù cristo, ma perché sono arrivato così maledettamente tardi?”
Ma lui sapeva già il perché fosse arrivato così dannatamente tardi: aveva temporeggiato fino all’impossibile, e Mikey, suo fratello, l’aveva rimproverato come se fosse il peggiore dei mostri; diceva sempre: “Sei troppo depresso, fratellone, capisci perché ti hanno dato quel nomignolo, al liceo? Ancora parlano di te quelli dell’ultimo anno!”. Il piccolo diciassettenne Mikey, si riferiva al soprannome Gerard-Lametta-Way, una cosa piuttosto triste. Gerard non ci faceva più caso da tempo, tutto merito de “la forza dell’abitudine”, così si dice.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Gerard Way, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: I mychem non ci appartengono, nè li conosciamo, questa storia non è scritta a scopo di lucro, gli eventi non sono realmente accaduti (ed è un vero peccato).

Le autrici sono LovelyDead e blaise_sl_tr07, che in un lampo di follia hanno deciso di scrivere questa fanfiction a quattro mani... Be', speriamo solo che sia gradita e di aver fatto un buon lavoro. Enjoy it! (Ovviamente ogni capitolo è revisionato reciprocamente e i dialoghi [la maggior parte] sono stati realizzati collaborando.

I'll laugh until my head comes off.
(Written by blaise_sl_tr07 & LovelyDead)

-Chapter First. (Written by LovelyDead)

[Questo e gli altri disegni che verranno postati a inizio capitolo sono fatti da Lovely Dead]

I primi giorni di Settembre sembrano tutti uguali. Cioè: i primi giorni di scuola, o lavoro, o college che sia. Quando la gente sembra risvegliarsi da un lungo letargo e improvvisamente torna la vita.
Quel Martedì 13 Settembre, non era un qualsiasi Martedì 13 Settembre, bensì, era l’inizio di tutto, della tortura, della fatica, dello sbattere la testa su un muro.
Gerard Way era un ragazzo piuttosto diligente, con venti anni sulle spalle e l’aria di quello che, nonostante fosse uno sfigato depresso, la sapeva lunga; Aveva i capelli lunghi fino alle spalle color nero corvino, il viso rotondo, gli occhi grandi, castani e verdi, intensi ed espressivi, il naso all’insù e le labbra sottili. Aveva un carattere contorto, ma tutto sommato, sorvolando sul fatto che andava in giro vestito come se dovesse perennemente recarsi ad un funerale, era un tipo okay.
Voleva cominciare l’anno così, il nostro Gerard Way: sfoggiando una delle sue espressioni più cupe. Non aveva mica voglia di tornare al college, affatto, avrebbe preferito morire la notte prima sul suo letto, senza pensarci due volte; eppure no, la vita lo costringeva a muovere le sue gambe verso il grande cancello verde del Bloomfield College, collocato nell’omonima città, a circa mezz’ora da Belleville.
Percorse il vialetto più lentamente possibile, finché entrò all’ingresso; si mise in fila dietro i ragazzi che richiedevano la chiave della camera.
“Carino. Proprio carino quest’anno. Non avrebbe potuto cominciare in modo peggiore. La fila sembra infinta! Gesù cristo, ma perché sono arrivato così maledettamente tardi?”
Ma lui sapeva già il perché fosse arrivato così dannatamente tardi: aveva temporeggiato fino all’impossibile, e Mikey, suo fratello, l’aveva rimproverato come se fosse il peggiore dei mostri; diceva sempre: “Sei troppo depresso, fratellone, capisci perché ti hanno dato quel nomignolo, al liceo? Ancora parlano di te quelli dell’ultimo anno!”. Il piccolo diciassettenne Mikey, si riferiva al soprannome Gerard-Lametta-Way, una cosa piuttosto triste. Gerard non ci faceva più caso da tempo, tutto merito de “la forza dell’abitudine”, così si dice.
-Buongiorno.- Disse svogliatamente la segretaria seduta dietro la scrivania all’ingresso del Bloomfield College.
-Salve. Sono Gerard Arthur Way, qual è la mia camera?-
-Un attimo, controllo subito.- Rispose la donna, digitando il nome appena udito sulla tastiera del suo vecchio computer. -217.- Aggiunse, porgendogli una chiave tutta ghirigori con una targhetta con su scritto il numero e i proprietari; lui nemmeno lesse, si dileguò dalla fila e prese l’ascensore, affollato di studenti parlottanti.
“Meraviglioso, 217, come la camera di Shining. Ma dove andrò a finire?”
C’è da dire che leggeva parecchio, forse troppo, e si lasciava condizionare da ogni cosa.
L’ascensore si aprì con un sonoro ding, al secondo piano, Gerard uscì di fretta e giunse davanti alla porta della sua camera; come tutte le altre porte, come la porta della camera dell’anno scorso, ma dietro quella targhetta dorata con il numero sopra, secondo lui, si celava qualcosa di orribile.
Sospirò rumorosamente, inserì la chiave nella toppa, girò tre volte e abbassò la maniglia. Entrò, trascinandosi dietro il suo appariscente bagaglio, sperando che non ci fosse davvero un mostro là dentro.
Improvvisamente vide apparire davanti a sé il ragazzo che più odiava nella sua vita: Ray Toro. Ray Toro era un chitarrista di grande talento, insopportabilmente sicuro di sé, soddisfatto di ogni elemento della sua vita e decisamente presuntuoso. Gerard sentì la rabbia avvampargli dentro, le sue guance si colorarono di rosso. Per farsi notare tossicchiò ed esordì:
-Devi aver sbagliato stanza, signor capelli afro.-
Ray si girò, inorridito dal suono di quella voce.
-Mi dispiace, Mr. Lametta-Way, nessun errore. Via dalla mia stanza-, disse.
-No, no, via dalla mia stanza!- ribatté l’altro, estremamente irritato dal comportamento del suo forse-compagno di stanza.-
-Come sarebbe a dire la tua stanza? Questa è la mia stanza!-
-Senti, a me hanno detto che la mia stanza è la 217, quindi smettila di dire stronzate, prendi le tue cose ed esci immediatamente di qui. Non ho intenzione di passare l'intero anno con te.-
Ray gli lanciò uno sguardo di sfida.
-Come se io morissi dalla voglia di stare insieme a te! Se volessi morire prenderei un rasoio, uno Vero. E la stanza 217 è mia, sclerotico del cazzo-, cominciò ad alzare la voce.
-Okay, amico, andiamo giù a chiedere di chi cazzo è questa stanza! E, dato che ci siamo, il rasoio lo userei sui tuoi pessimi capelli.- Gerard era decisamente nervoso, in quel momento, non vedeva l’ora di sbattergli in faccia la chiave della sua stanza per provargli che era di sua proprietà.
-Voglio proprio vedere la tua faccia quando ti diranno che la 217 è mia. Sbiancherai come se stessi morendo dissanguato. Oops, scusa, dimenticavo: a quello ci pensi da te!-
Incredibile, il chitarrista sembrava avergli letto nel pensiero.
-Hu-huh, certo Toro, illuditi pure, dài, esci da qui, prima le signore. Andiamo giù.-
-Dato che quelle lamette ti hanno tagliato qualcos’altro oltre alle vene, mi tocca cederti il passo. Muoviti, Way, non ho intenzione di restare un minuto di più in tua compagnia-
Il ragazzo dai capelli corvini lo guardò malefico, poi le sue labbra s’incresparono in un sorriso, mentre l’odio verso Ray cresceva.
-Eh, ti piacerebbe, non è così?- chiese, ironico, lasciando a bocca aperta l’altro.
I due uscirono, Gerard richiuse la porta dietro di sé.
Insieme si avviarono verso l’ascensore.
Lo stress del primo giorno di college adesso si era triplicato, non solo doveva sopportare il peso dello studio, degli esami e anche di suo fratello che l’avrebbe assillato continuamente, adesso rischiava pure di stare in camera con la persona più insopportabile che esistesse.
Si lanciarono occhiatacce per tutta la discesa, finché il ding non annunciò loro che era ora del verdetto: di chi diavolo era la 217?
La segretaria sbuffò alla vista dei due, probabilmente sapeva già quale fosse il gran problema.
-La 217 a chi appartiene?- chiese Ray, parlando prima che l’altro potesse aprire la bocca.
-Uhm…- fece la segretaria, fingendo di pensare e di digitare il numero sulla tastiera. -Ad entrambi.- Disse, sorridendo zuccherosamente.
Quelli scoppiarono in una risata isterica e piuttosto rumorosa.
-No, no. Si tratta di un errore, io avevo chiesto espressamente di non essere in stanza con il tizio qui presente.- Esordì Gerard con il sorriso nervoso ancora sul volto.
-No che non è un errore, guardi qui.- Rispose lei, girando il monitor.
-Deve esserci un errore, per forza! Controlli meglio!- Esclamò Ray, alzando la voce.
-Niente da fare. Perchè non tornate su invece di farmi perdere tempo?- Ribatté la donna, infastidita.
-Lei è un’incompetente! Io con quest’idiota non ci sto!- Intervenne Way, picchiando la mano sulla scrivania. Al che la segretaria lo fulminò con lo sguardo.
-Almeno su una cosa siamo d'accordo, Way!- concordò l’altro, -Deve assolutamente spostare uno di noi!- aggiunse, rivolgendosi alla poveretta con l’aria stanca davanti a lui.
-Sparite, per favore, sparite! Ho un mal di testa incredibile. Non voglio più sentire due idioti che litigano perché non si sopportano. Sciò! E poi, perdio, non avete visto che sulla targhetta della chiave ci sono i vostri nomi? Idioti: ecco cosa siete. Andate via!-
Così, i ventenni sfortunati, tornarono alla loro stanza, con aria sconsolata ed arrabbiata.
Gerard prese a uscire i suoi vestiti e i suoi numerosi libri, quaderni, taccuini, e simili dalla valigia, quando fu interrotto da Ray, proprio mentre riponeva una delle sue giacche dentro il piccolo armadio.
-Mr. Lametta-Way, non avrai mica intenzione di prendere l’armadio, vero?-
-Sì, perché?-
Il chitarrista s’indignò.
-Stai scherzando? Ed io dovrei prendere quella cassettiera distrutta?-
L’altro fece spallucce.
-Perché no, non è male, e poi ti si addice.-
-Chiudi quella bocca! Voglio l’armadio!-
Gerard rise.
-Puoi sognartelo, baby, è mio. Io ho più roba.-
-Tu sei un frocio, ma non per questo devi rubarmi l’armadio.-
-Potrei anche essere gay, chissà, ma questo rimane mio-
Diede una pacca all’armadio come fosse un vecchio amico d’infanzia.
-Troviamo un compromesso, d’accordo?-
-Del tipo: Io ti taglio i capelli a mio piacimento e tu hai il comfort? Cazzo, affare fatto!-
-No, Way, facciamo metà ciascuno.-
Ci pensò su. Wow, il primo accordo con il signor capelli afro.
-Okay.- Concluse, quasi perplesso.
In effetti, Gerard era omosessuale, l’aveva scoperto tre anni prima, e dopo lo shock iniziale, riusciva a conviverci piuttosto bene, Ray l’aveva intuito, naturalmente, ma non era omofobico, giocava sul fatto di poterlo insultare in qualche modo.
Le loro vite erano come dislocate, completamente differenti, eppure si ritrovavano a condividerle, non con entusiasmo, no, non esattamente.
“Si preannuncia un anno d’inferno.” E lo pensarono entrambi, sbuffando mentre sistemavano montagne di vestiti dentro l’ambito armadio.
Be’, d’altronde era la camera 217, era già molto che il nostro Way non avesse trovato una donna tumefatta morta dentro la vasca da bagno, no?
  
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