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Autore: Denisedecline_    03/07/2013    2 recensioni
Rosso.
Rosso è il colore che vorrei che i miei capelli avessero. Quei capelli che tengo stretti tra le dita nei momenti di panico.
Rosso è il sangue che ho trattenuto dentro quando i morsi che mi davo sulle labbra erano troppo forti.
Rosso è la macchia sul mio passato e rosso è il colore che dedico a lui.
Il più grande stronzo mai visto sulla faccia del pianeta: Tommaso Sparvieri.
Genere: Comico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Secondo Capitolo.

Le mie prime cinque ore di scuola sono passate in fretta, molto in fretta, devo ammetterlo.
Mi sono immaginata di tutto: venti pagine per il giorno seguente già dall’inizio dell’anno scolastico o chissà quale catastrofe, e invece niente di quello che avevo previsto è accaduto, solo qualche frecciatina e sguardo di troppo da parte di Mr . Odio .

Sto tornando a casa controvoglia, farei di tutto pur di non stare lì, di tutto pur di non vedere i miei genitori, ma devo farlo, devo tornarci, non posso scappare. Devo restare per Alex.


Alex è mio fratello e ha dieci anni,  è piccolo, troppo piccolo per capire i litigi dei nostri genitori e quando sente le loro urla, mi guarda con quei suoi occhi verdi cercando di scovare nei miei qualche spiegazione o rassicurazione, devo ancora capirlo.


Cerco di fargli passare meno tempo possibile in casa, ormai c’è un’aria così pesante  che se è insostenibile per una ragazza diciasettenne come me, non immagino pensare o anche solo provare a capire quale uragano ci sia nella testa di mio fratello.


Scaccio i pensieri e inizio a girare la chiave nella serratura. Uno. Due. Tre giri e la porta dell’inferno è aperta davanti a me.
Butto in malo modo lo zaino sul pavimento e vado in cucina.
Vedo la stessa scena che passa davanti ai miei occhi quasi ogni giorno: mia madre in lacrime, seduta in un angolo, con la testa poggiata sul tavolo e di mio padre nessuna traccia, solo il suo profumo. Quel profumo che amo tanto. Quel profumo che mi fa sentire protetta.
Mi siedo accanto a lei e le scosto i capelli dal viso.
Ha gli occhi gonfi, rossi e delle lacrime silenziose scorrono ancora sul suo viso.
Le faccio alzare il viso e punto i miei occhi nei suoi. Un misto di nero e marrone.  Le sorrido, quasi come per darle forza, quasi come per incoraggiarla e le sussurro: - E’ ora di tirarsi su, mamma. -
Lei non dice niente, non mi risponde, sostiene il mio sguardo e sorridendo mi chiede di intrecciarle i capelli.
Non ubbidisco subito al suo ‘’ordine’’, ma prendo un panno bagnato e lo faccio scivolare sul suo viso.
Voglio cacciare il mascara che le è colato sulle guance, voglio eliminare le prove del suo pianto, di un’altra giornata che potrebbe andare decisamente meglio.
Fatto questo, sfilo dalla tasca del mio giubbotto in pelle nera, non ancora tolto, un codino viola e inizio ad intrecciare piano i suoi capelli rossi.
Li ho sempre desiderati così e invece sono castani. I miei occhi sono un misto di grigio e azzurro messi insieme, come dice Carolina: pietrificanti.
Finita la treccia, guardo i capelli di mia madre soddisfatta e sorrido, mi tolgo il giubbotto e lo poggio su una delle quattro sedie intorno al tavolo.
Mia madre, Elisabeth, intanto si è alzata e mi sta guardando sorridendo, ma non è un sorriso qualunque, è uno di quei sorrisi che vuol dire solo una cosa: ‘’Vorrei capire cosa stai pensando.’’
Ricambio il sorriso.
- Cosa vuoi da mangiare, Cristal? – dice aprendo tutti i mobiletti che ci sono in cucina.
- Dici che è troppo tardi per delle lasagne, mamma? – si gira con le mani sui fianchi e ride.
- No piccola, non è mai troppo tardi per le lasagne. – risponde ridendo ancora.
Ha una risata contagiosa mia madre, una risata che fa ridere anche me senza motivo.
E’ una donna che ha sempre dato tutto per la sua famiglia, senza mai abbandonare le sue passioni. 
Mi ha sempre raccontato il perché dei nostri nomi inglesi, nonostante fossimo italiani e vivessimo a Milano.
‘’E’ una cosa che ho ereditato da tua nonna Marzia. ‘’ iniziava sempre così il discorso ‘’Le piacevano i nomi inglesi e hanno affascinato anche me. Il tuo però ha un particolare significato. Un qualcosa che ti dirò dopo, quando sarai abbastanza grande. ‘’
Le piaceva lasciarmi così, con l’amaro in bocca e una grande curiosità. Ma io mi chiedo, ho diciassette anni e se non sono grande abbastanza ora, quando me lo dirà?

Finisco di apparecchiare la tavola con questi pensieri e intanto mi dirigo al piano superiore della casa, in camera mia.

Mi passo una mano tra i capelli e sospiro, so già come andrà questa giornata.
Mi butto al centro del letto e respiro piano, chiudendo gli occhi. Vorrei piangere anche io, ma non lo faccio da quando ero piccola. E’ una promessa che ho fatto e che manterrò.
Stringo i pugni e mi alzo. Vado in bagno e mi guardo allo specchio.
Sorrido.
E’ una cosa strana, ma quando decido di essere forte un po’ per tutti, mi sento bella, quasi piena di vita. Quasi come un’eroina.
Mi sciacquo il viso e le mani.
Sento la voce di mia madre che mi chiama, probabilmente è pronto.

Penso che abbia fatto in fretta a cucinarle, ma non ci faccio caso, la fame è troppa davvero troppa.
Corro in cucina e mi siedo.
Passiamo il pranzo chiacchierando e alla fine le schiocco un bacio sulla guancia e la informo che sto per andare a prendere Alex al doposcuola.
Non è tanto distante la sua scuola, dieci minuti a piedi e cinque in macchina.


Faccio una passeggiata, tanto per cambiare e guardare quello che capita in giro.
Giro di poco il mio sguardo e vedo proprio chi non vorrei vedere. Tommaso.
Sembra che anche lui si sia accorto di me, e chissà per quale motivo, attraversa la strada e si mette a camminare al mio fianco.
Lo guardo come se volessi ucciderlo, ma lui non fa che sorridere.  Un sorriso strafottente, precisiamo.
- Dove vai tutta sola Lucrezi? – ha deciso di parlare? Ma bene. Di male in peggio.
- Non credo che siano affari tuoi, Sparvieri. – rispondo acida.
- Sai che sembri tanto una gattina? Non ti si può dire niente che sei pronta a graffiare. – mi fa notare il mio comportamento, come se già non sapessi come fossi fatta.
Mi giro e lo guardo negli occhi: - Allora perché continui a parlarmi? Nessuno ti ha chiesto niente. Nessuno vuole qualcosa da te.-
- Tu dici?- si avvicina – Eppure,tante ragazze,- calca le ultime due parole prima di proseguire – Vogliono qualcosa da me. – sorride beffardo.
Ricomincio a camminare, non voglio stargli troppo vicino.
- Mi dispiace per loro, allora, ma non credo che oltre a quello sapresti dare altro. – non oso guardarlo mentre sputo le mie parole  contenenti veleno.
- Tu non mi conosci e sembri tanto impaurita da me. – il suo tono di voce è cambiato. Sembra deluso.
- Non m’importa di conoscerti e non ho paura di niente, io. – mi giro verso l’edificio: la scuola di mio fratello.
- Comunque sia sono arrivata. – gli dico sostenendo finalmente il suo sguardo.
- Io invece proseguo. – risponde seccato – Ci vediamo in giro o a scuola. – riprende a camminare – Ciao. – conclude infine.
- Ciao. – rispondo con un sussurro flebile, solo da me udito.
Entro dentro e cerco con gli occhi la classe di  mio fratello.



Nota autrice: In questo capitolo ho preferito soffermarmi di più sulla vita di Cristal, notando che nel primo capitolo non ho detto molto su di lei che poi alla fin fine è la protagonista di questa storia.
Datemi un parere e ditemi pure se è stato un capitolo noioso oppure ‘’passabile’’ per così dire. Io non sono molto sicura. Spero comunque che vi sia piaciuto. Un bacio, la vostra Rossa.

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Dite ciao a Tommaso. (lalalalalalalala)

  
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