Destino...a volte ci
pensava...abbiamo davvero il
potere di sceglierlo da soli? Sua madre avrebbe voluto che fosse
così, almeno
per lei, da lì il suo nome. Ma Any non aveva fiducia nel
destino. Non più. Non
era più una ragazza seduta sul ciglio della strada
nell’attesa di un miracolo,
dell’amore eterno; era rassegnata allo squallore e alla
desolazione
dell’esistenza. Forse la scelta di Mike era stata giusta: una
ragazza in meno
sarebbe stata maltrattata e costretta a piegarsi alla
volontà di uno stupido
prepotente. Dietro le sue mura di torpore, si sentiva quasi come se
avesse
fatto del bene ad una di quelle persone che riteneva troppo ingenue o
troppo
impure.
Era
appoggiata al muro, le ginocchia piegate, la mente sgombra come al
solito, e
poco dopo egli arrivò, con l’abituale stuolo di
oche. Le afferrò la mano e la
sollevò con violenza, il corpo della ragazza
sbatté contro il suo e Mike, con
il suo braccio sudato, le strinse la vita, sussurrandole finte parole
dolci.
Poi, non ancora contento, introdusse bruscamente le sue grosse dita tra
i
capelli neri, strappandone alcuni ciuffi, prima di avvicinare con foga
il suo
viso al proprio e violare nuovamente le sue labbra rosse. Non gli
bastava
averla: tutti dovevano sapere che un'altra femmina era stata piegata
alla sua
volontà. Tutto lo stormo starnazzò
all’unisono, emozionato. Il ragazzo si voltò
verso le sue fan, leccandosi le labbra con aria
‘sexy’. “Noi siamo una coppia
aperta, però...” le oche sospirarono,
“vero, amore?” domandò poi, rivolgendosi
alla ragazza. Quella scrollò le spalle, con la solita
indifferenza. Glielo
chiedeva continuamente, ma sempre con dei testimoni, perché,
pensava, le
avrebbero impedito una risposta negativa; evidentemente non vedeva
l’ora di
arraffare un’altra ragazza, o forse l’aveva
già fatto...Any si scrollò di dosso
il ragazzo e ciondolò via, con il vano accompagnamento della
sua voce che
tentava di fermarla o almeno di salutarla. Riprese a trascinare con
esasperante
lentezza i piedi feriti sull’asfalto, fino a raggiungere un
portone di legno,
nel centro della città. Batté tre colpi ed una
donna la accolse con un calore
che ella non conosceva ormai da molto tempo. No, decisamente la donna
non aveva
avuto alcun figlio come lei. Quella si informò sulla sua
salute, ma Any non
rispose. Non era lei che voleva vedere. Finalmente, l’oggetto
della sua
impazienza si palesò: una bambinetta dall’aria
simpatica, con una massa
indistinta di capelli scuri corse ad abbracciarla. Il corpo freddo di
Any fu
invaso da quel calore impetuoso, cercando a sua volta di trasmetterne
quanto
più possibile, e in quell’intreccio di corpi un
triste sorriso affiorò
spontaneamente alle labbra della ragazza, prima che si riscuotesse per
aiutare
la bambina nel disegno o in qualunque altra cosa avesse voluto fare. Ma
c’era
un altro paio d’occhi che la osservava, uno sguardo scuro che
analizzava e
comprendeva appieno il suo stato d’animo, due occhi che
morivano dalla voglia
di prenderla per le spalle e strattonarla, di urlarle in faccia che
stava
sbagliando, ma che rimanevano celati dal buio, ad osservare ogni suo
gesto con
infinita tristezza e impotenza...
Giunse la sera, che portò via con sé le poche ore
di
luce trascorse e la restituì alla perenne
oscurità di un’abitudine assassina.
Rientrò
a casa, tetra come al solito, nutrì, lavò e
riposò le sue membra.
Udì una figura esitante avventurarsi fino alla sua
porta socchiusa, e colse uno scorcio del viso di una bellissima donna,
invecchiata e devastata dalla delusione di un amore assoluto e
sconfinato come
solo quello materno può essere. Aveva negli occhi lo sguardo
di chi non
conserva più lacrime da spendere: le ultime le aveva usate
per spegnere il
fuoco di speranza che vi aveva arso, per essere poi sostituito dallo
squarcio
profondo e definitivo che rispecchiava la sua anima.
Un sole freddo e annoiato decise di invadere il
cielo anche quel giorno e anche quel giorno Any si alzò, a
fatica, e trascinò
il suo corpo fino a scuola; dopo qualche ora si trascinò a
casa, poi ancora nel
vicolo scuro, deserto, giacendo a ridosso del muro grigio, le gambe
piegate e i
capelli che celavano il suo viso cadaverico. Ben presto il vicolo si
riempì di
fan preoccupate o esaltate, che le rivolgevano parole confuse, volti
ignoti o
indistinti schiamazzavano intorno a lei in una lingua a lei
sconosciuta.
Abbracciato ad una ragazza bionda arrivò infine Mike, che
blaterò qualcosa che
suonava come: “Siamo una coppia aperta, vero?”
Ma lei non ascoltò nessuno di loro, rinchiusa nella
solitaria torre del suo castello fortificato.
Finché,
attraverso una feritoia, giunse la debole
eco di un canto antico...
...una
melodia...
...delle
parole...
...da
quanto non le sentiva? Da anni? Secoli?...
...e
l’eco si fece più forte, più deciso,
soggiogandola, risvegliando qualcosa dentro di lei...
...qualcosa
che aveva il gusto amaro dei ricordi...
E
qualcuno, da qualche parte dentro di lei cominciò
a cantare, a volteggiare e a ridere a crepapelle, a sentire, a
desiderare di
correre via e di percepire il vento sulla faccia...
Com’era?
...poi
d’improvviso mi sciolse le mani,
e
le
mie braccia divennero ali
quando
mi chiese “conosci l’estate?”
io per un giorno, per un momento
corsi a vedere il colore del vento...*
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Vorrei ringraziare spleen (dopo aver letto la tua recensione sono stata euforica per una buona mezz'ora) e lucillaaaaaaa (grazie per la sincerità, in effetti questa roba è nata in un momento di depressione)...spero che vi piacciano i futuri sviluppi della 'trama'...a persto...