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Autore: Sueisfine    17/01/2008    2 recensioni
Questa storia è nata per caso, spinta soprattutto dalla mia grandissima ed insaziabile passione per il gruppo musicale The Cure. Mi sono permessa di prendere spunto dalla storia del gruppo, accumulata attraverso interviste, libri, biografie autorizzate etc., negli anni che vanno dal 1981 in poi, per narrare un po' gli avvenimenti dal punto di vista di Robert Smith, leader del gruppo, e Simon Gallup, bassista.
Diverse situazioni sono frutto della mia ( bacata ) immaginazione, però ho cercato e cerco, nei limiti, di dare una certa contestualizzazione al tutto.
DISCLAIMER : Con questo mio racconto, ovviamente scritto e pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo né diffamare né fornire una rappresentazione veritiera dei fatti accaduti, ma semplicemente rivedere il tutto secondo una mia particolare ( condivisibile o meno ) prospettiva.
Buona lettura ;_;
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Twenty

~ The Snakepit

O Capitano ! Mio Capitano ! Il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l’ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,
Gli occhi seguono la solida chiglia, l’audace e altero vascello;
Ma o cuore ! Cuore ! Cuore !
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.


Chiusi piano il libro che stavo distrattamente sfogliando, un romanzetto scialbo e stucchevole che avevo trafugato dalla libreria della madre di Mary. Mi alzai dal pavimento soffice di cuscini, sofferente di dolori al collo e stanchezza, quindi mi avvicinai alla finestra. Un leggero manto di candida neve ricopriva come glassa i tetti di Londra, donandole un aspetto nuovo e forse un po’ fuori luogo. Facevo quasi fatica a guardare il paesaggio con occhi fissi, tanto era il bagliore. E mi sorpresi a volere lì davanti, di nuovo, la Londra fumosa e grigiastra, la triste Londra, la mia Londra, fedele compagna di tanti malumori, con i suoi indimenticabili ed indimenticati parchi immersi nel verde nebbioso, incontrastata regina di lusso e povertà, che ora si era tramutata in una gentile Biancaneve, danzante su scarpette di lago ghiacciato. Eravamo ormai a febbraio, e nessuno di noi era riuscito a prendersi una pausa degna di questo nome.
Io avevo visto i miei genitori per appena quattro giorni, giusto per festeggiare insieme il Natale, e lo stesso fece Simon. Lol rimase un paio di giorni in più, a causa di suo padre, che si era sentito poco bene. Il mese di gennaio quindi passò con estrema velocità, quasi non ci fosse mai stato. Il tutto inghiottito dall’enorme disagio provato da tutti – e dal quantitativo esorbitante di droghe ed alcool che circolavano alla completa luce del sole.
Le tensioni tra noi tre sembravano essersi allentate, ma solo grazie al fatto che parlavamo lo stretto indispensabile. Ci scambiavamo informazioni relative al lavoro, ma ormai poco o niente di estremamente personale. Il divertimento era quasi ridotto a zero, ed io sentivo i miei passi affondare in una sempre più intensa e melodrammatica solitudine, che il costante tasso alcolico sopra la norma mi faceva inevitabilmente esagerare. In particolar modo Lol sembrava il più provato del trio. Il suo ruolo era quello di mediatore/banderuola, tra me e Simon. Lo vedevi trotterellare da una parte all’altra degli studi, scambiando battute, commentando, ridendo o lamentandosi per via dell’aria consumata, chiedendo un po’ di cocaina, dando sporadici consigli sulla ritmica delle canzoni, o semplicemente cercando di smaltire l’alcool che aveva continuamente in circolo. Dal mio bivacco fatto di coperte e cuscini a ridosso del divano fino all’accampamento che Simon condivideva con quell’emerito imbecille di Gary Biddles. Lui e il cretino ormai facevano coppia fissa, e questo non poteva far altro che accrescere la mia irritabilità. La confidenza che si prendeva con Simon mi assaliva assieme ad un perenne senso di nausea, e la sopportazione, già labile di suo, che avevo nei confronti di quel patetico parassita nelle ultime settimane era pericolosamente arrivata al limite. Non potevamo fare una session in santa pace senza che quell’idiota mi si presentasse costantemente tra le palle. Non che facesse chissà cosa di particolarmente fastidioso, ma il suo solo guardarmi con quegli occhietti scuri, socchiusi in tono derisorio mi faceva salire una voglia matta di pestarlo a sangue, fino a sentirlo implorare pietà. E il modo in cui ti girava intorno, come una mosca più che molesta, sempre ubriaco e strafatto, e la sua risatina !, lui che rideva di me, con Simon come complice, loro che ridevano di me… Tutto questo mi mandava in bestia. Dentro di me lo apostrofavo nei modi peggiori – e non solo dentro di me. Ogni tanto mi scappava qualche cattiveria, ma alla fine erano davvero sentite. Se esisteva una cosa che non riuscivo proprio a sopportare era che qualcuno mettesse bocca nel mio lavoro, e lui puntualmente si esercitava in questa maledetta arte, riuscendo in poco tempo a farmi andare fuori di testa.
«Non lo sopporto, lo ammazzerei», dissi una sera a Lol, che stava passando il suo “turno” assieme a me dietro il divano. Lui si stava scolando l’ennesima birra, il faccione rossastro e gli occhi infossati e lucidi. Completamente ubriaco.
«Ma perché ti dà tanto fastidio ? Che fa di male, eh ?». La sua risposta suonava un pochettino annoiata, come se stesse rispondendo allo stesso quesito da mesi. E, beh, in effetti la presenza di Biddles mi dava da pensare da qualche tempo, e Lol era l’unica persona con cui potessi sfogarmi. Nei limiti della sua sporadica lucidità. «Ah, aspetta un momento qui, faccio una cosa e poi torno», fece per alzarsi ed uscire da sotto la “tenda”, «Pensa bene alla risposta mi raccomando». Dopo una manciata di secondi lo sentii tirare su col naso in maniera poderosa, e poi tossicchiare. Tornò dopo un paio di minuti, con una nuova lattina di birra, «Eccomi, di nuovo tutto per te». Mi sorrise, per poi tossire di nuovo. Il naso arrossato attorno alla zona delle narici riusciva a darmi una neanche tanto vaga idea di ciò che aveva appena fatto.
Ero comunque troppo nervoso e pieno d’alcool, così ci passai sopra con disinvoltura. «Ma come diavolo faccio a sbarazzarmi di lui, Lol, dimmelo tu…», dissi, con vocina lagnante, «Voglio che se ne vada… Cioè, ma l’hai visto prima ? Stavo suonando Siamese Twins, e secondo me era perfetta, perfetta, cioè, quando inizia a ridere dal nulla in quel suo cazzo di modo, perché secondo lui il testo era veramente ridicolo ! Ha usato proprio questa parola qui, “ridicolo”, sì, ed ha rovinato le prove, e anche Simon a dargli corda, ma come cazzo si permette, come cazzo…».
«Mh, sì, c’ero anche io Rob. Prima, intendo», mi interruppe Lol, aprendo con uno scatto la lattina, «Si è comportato di merda, sì, concordo, sì». Bevve un sorso.
«Stai cercando di zittirmi per caso ?». Inarcai un sopracciglio.
«Mannò Rob, è che sei un tantino paranoico ultimamente, ti dirò. Cerca di stare più calmo». Alzò gli occhi e agitò la lattina verso di me, «Vuoi ?».
Paranoico. Ah è così che mi vedevano tutti adesso ? Solo perché mi stavo lamentando, più che giustamente oltretutto, dei fastidi che quel cazzone ci arrecava ? «Ma cristo Lol, ha interrotto l’ennesima prova ! Ma che andasse a ingozzarsi di quella merda che prende da qualche altra parte. Ovunque, ma non qui ! Voglio che se ne vada». Ribadii il concetto, e non potevo fare a meno di sbraitare, «E non cercare di cambiare discorso offrendomi da bere».
«Ma dove cavolo vuoi che vada, eh ? E’ praticamente ubriaco 24 ore su 24…».
«E lo difendi anche ?! Frega un cazzo dove va, basta che stia lontano da me, dalla mia musica e dai miei amici, i miei amici, con cui non può prendersi certe libertà. I Cure sono composti da tre persone, tre, e lui non ne fa parte. Sempre qui a rompere i coglioni… Ma non ce l’ha una famiglia ?». Non potevo mica permettere che il primo sfigato con l’aria da saccente mi soffiasse via tutto ciò che avevo da sotto il naso.
«Se vuoi che se ne vada, vai a dirglielo in faccia, dai, vediamo che ti risponde». Lol si voltò verso di me ridacchiando scherzosamente, ma il suo risolino si spense nel realizzare che sarei realmente corso all’istante da Biddles a chiedergli gentilmente di andarsene – o, meglio, a spaccargli la faccia. «Rob, dai, fermati, scherzavo !», cercò di urlarmi da dietro, ma io avevo già deciso sul da farsi.
Attraversai a grandi falcate il corridoio, e piombai nell’altra stanza, quella che Simon e Gary condividevano. Quest’ultimo dormiva, rannicchiato a terra, mentre Simon era alla finestra, in piedi ed apparentemente sveglio, fumando quella che immagino fosse stata una delle tante sigarette della giornata. Entrando venni investito da una zaffata mista di birra e calzini. Simon si voltò immediatamente, schermandosi gli occhi arrossati con la mano, giacché la porta aveva improvvisamente lasciato entrare un po’ di luce nella penombra di quella dimora soffocante e poco accogliente.
I suoi capelli nerissimi in completo disordine, l’aria stravolta, le scarpe abbandonate a loro stesse da qualche altra parte, e la maglia nera che indossava sembrava chiazzata in più punti, ma evitai accuratamente di indagare sulla natura delle suddette macchie.
«Ah», disse, rivolto a me, «Pensavo fosse Lol». Spense la sigaretta, ancora a metà, nel posacenere, con vigore tale da sbiancargli le falangi.
«Io voglio che se ne vada». Esplosi.
Simon cercò di apparire disorientato, ma era troppo stanco per riuscirvi. «Eh ? Tu vuoi che se ne vada chi ?», chiese, con evidente sorpresa nel tono della voce.
Indicai il pallone gonfiato che ronfava a terra. «Lui. Lui deve sparire».
Il suo volto si rabbuiò. Abbassò lo sguardo, e la sua voce si fece improvvisamente cupa e tetra. «Ah ecco, arrivi qui in questo modo e dai ordini, certo Robert, è così che funziona, continua pure. Ma non è detto che ti ascolterò», ribatté, voltandosi nuovamente a guardare fuori dalla finestra.
Scattai rapidamente verso di lui e lo presi per la spalla, facendo in modo che tornasse a fissarmi, «E’ fastidioso ed insolente, hai visto come mi ha trattato prima». Cercavo di giustificarmi.
Simon mi fissava con una durezza che non vedevo da un po’ nei suoi occhi. Si liberò dalla mia stretta. «Sì, sarà anche fastidioso ed insolente, ma è mio amico», esalò tra i denti.
Suo amico ? Cosa aveva fatto questo stronzo in più del sottoscritto ? «E che dici di me Sim, eh ? Sono anche io tuo amico, e da più tempo !». Una scenetta da scuola elementare. Ma in quel momento risultavo talmente su di giri che queste scemate non riuscivo ad evitarle.
«Sì, certo. E, dimmi, sei mio amico solo quando ti fa comodo ? Quando io ho bisogno di te, tu dove sei ? Te lo dico io dove sei. Sei altrove. In un’altra stanza, in un altro mondo, sei dovunque ma non dove io e Lol abbiamo bisogno di te. Tu non ci sei mai Robert, mai». Vedevo i suoi occhi scuri come fiammeggiare al buio, e mentre mi puntava il suo indice bianco sul petto, battendo proprio sul cuore come per smuoverlo alla vita, seppi con certezza che avevo agito nel peggiore dei modi. E come sempre avevo finito per fare un gran casino. «A te basta il nostro appoggio solo quando sei giù, mh ? Ricevere, ricevere, ricevere. Beh, ti informo che hai un concetto di amicizia un po’ distorto. Questa cosa non mi piace più».
Rimase alcuni istanti a sostenere il mio sguardo perso, poi si allontanò in direzione del tavolo nell’angolo, dove aveva lasciato il pacchetto di sigarette. Quindi se ne accese un’altra, appoggiandosi con la schiena alla parete. Avevo l’impressionante capacità di farlo innervosire oltre ogni limite, e quando litigavamo il suo tasso giornaliero di nicotina aumentava in maniera preoccupante.
Io rimasi lì, in piedi, cementificato nel terreno ed inebetito, intento a leccare le mie ferite ad occhi bassi, pulendomi il viso da tutto il veleno che il mio amico mi aveva appena sputato addosso. Evitavo accuratamente di guardarlo, avevo accumulato troppa vergogna per me stesso. Sapevo come le sue parole rispecchiassero la pura verità, ed anche lui lo sapeva. Aspettavo con terrore che infierisse, supportato dall’evidenza dei fatti, come ogni amico ferito a morte avrebbe potuto tranquillamente fare, senza obiezioni di sorta. Ma lui no. Non aprì bocca per diversi minuti. E la sua splendida onestà così mi stupì di nuovo, riuscendo in poco tempo a spazzar via ogni putridume dal mondo. Sentivo i suoi occhi su di me, riuscivo a percepire il loro movimento convulso alla disperata ricerca di una traccia, anche minima, dell’amico perduto. Ma quest’amico da lui tanto agognato non abitava più qui - passato, finito, superato.‘Questa cosa non mi piace più’.
Questa cosa.
Le sue parole mi trapassarono da parte a parte come tanti piccoli ed appuntiti pezzi di vetro, marchiando a fuoco il mio dolore.
Però una vocina dentro di me continuava a ripetermi che non potevo lasciarmi abbattere così, e lo ripeteva fino allo stremo.
Combatti per le cose che ami, con le unghie e con i denti. Non ricordo chi me lo disse, ma me lo disse, questo è certo.
E, mentre pensavo queste cose, eccolo lì, il maledetto bastardo, la causa dei miei mali, che si stava rumorosamente svegliando dal torpore sonnolento. Biddles. Un ritorno all’odio. In quel momento l’unica cosa che riuscivo a vedere con chiarezza è che avrei voluto ucciderlo. Non desideravo più semplicemente che se ne andasse da lì.
Io volevo la sua morte.
Si tirò su a sedere, sbadigliando. Gli occhi gonfi, ancora visibilmente sballato e ubriaco, nonostante la pesante dormita. Guardò prima Simon, poi si voltò verso di me. «Toh, guarda chi si vede, il Boss !», esclamò a gran voce, quello stupido sorrisetto beffardo appiccicato in faccia. Maledetto piccolo bastardo, sei tu ad aver rovinato tutto quanto. «Beh, non si usa più salutare ?». Inclinò leggermente il capo, cercando di capire il perché del mio sguardo ferino. «Vedo che comunque ti sei degnato di far visita a questi due poveri derelitti» disse storcendo la bocca in un mezzo sorriso, indicando anche Simon.
«Fosse per me avrei fatto volentieri a meno di vedere la tua faccia», risposi secco.
«Ehi ehi, calma, mi sono appena svegliato e non ho le forze per reagire». Sbadigliò di nuovo, senza curarsi di coprire la bocca con la mano, «Cosa sono ‘ste facce da funerale ? Morto qualcuno ?». Si alzò in piedi, scacciando coi piedi scalzi la coperta grazie alla quale aveva potuto farsi una dormita più o meno al caldo. Guardò ancora entrambi, le mani sui fianchi come una massaia indispettita, aspettando che qualcuno dei due gli rivolgesse uno straccio di spiegazione. «Beh ?».
La voce bassa e pastosa di Simon spezzò finalmente il silenzio. «Niente di rilevante, Gary. Robert era venuto per darmi qualche consiglio riguardo le parti di basso di alcune canzoni, ma stava giusto andandosene», disse, sputando il fumo di sigaretta in aria e piantando gli occhi nei miei, gelido e distaccato.
Però io non avevo alcuna intenzione di abbandonare il campo di battaglia, almeno non fin quando il mio obiettivo fosse stato raggiunto.
«No Simon, è lui a doversene andare», sbottai, indicando Biddles.
«Eh ? Io me ne dovrei andare ?», chiese sorpreso lui, «E dove ?».
Simon fece qualche passo, per poi fermarsi di nuovo ad aspirare dalla sua cicca, «Rob, abbiamo già discusso di questo, adesso basta».
Il suo tono perentorio iniziava ad agitarmi. «Non abbiamo discusso di un bel niente invece, ed io non posso lasciare che questo… Questo stronzetto presuntuoso rovini tutto quanto, ok ?».
Biddles sembrò resuscitare dal dormiveglia, sobbalzando. «Ehi, brutto pezzo di merda, stronzetto presuntoso lo dici a qualcun’altro», strepitò nella mia direzione, ed era la prima volta che vedevo un filo di rabbia inorgoglita su quella sua faccia strafottente.
Ma al momento sinceramente non v’era proprio posto per la sua incazzatura, perché era la mia che stava per sommergerlo fino al collo.
«No, lo dico proprio a te, guarda un po’. Chi è che continua a starmi tra le palle mentre suoniamo, a correggermi quando sbaglio e anche quando non sbaglio, a credersi chissà quale grandissimo musicista vissuto quando neanche un flauto traverso sai tenere in mano… Cos’è, sei invidioso perché io sono parte di una band e tu no ? Cosa ci trovi di tanto gratificante nel rompere i coglioni alle persone che ti stanno intorno ? Ti credi mister simpatia ? No perché, se così fosse, sappi che non vali proprio un cazzo. Sei solo un povero patetico deficiente e borioso, che crede di aver capito le regole del gioco. Ma ora il “Boss” ti comunica che sei fuori, totalmente e definitivamente. Torna da dove sei venuto, devi sloggiare, levarti di torno». Cercavo di colpirlo alla cieca con affermazioni varie e casuali, e questo mio sfogo mi stava pian piano rendendo più leggero ed aggressivo al contempo. «Nessuno di noi vuole più vedere la tua schifosa faccia sbronza in giro per gli studi, né tantomeno ad un’altra session». Affondare il mio coltello nella sua piccola piaga mi donava una sensazione di immensa goduria, e vedere i suoi occhietti socchiudersi lentamente in preda all’ira mi caricava di una nuova energia. «Preferirei vederti sotto un treno piuttosto che di nuovo in tour con noi». Stoccata finale.
L’arringa è stata appena completata e già sento la mascella tremare sotto i pugni di Biddles. Mi attacca, spingendomi verso la parete, incastrandomi ed inchiodandomi lì, senza dire una parola, io che arranco nel vano tentativo di una difesa. Ma il piccoletto picchia duro, nonostante sia magrolino.
«Che cazzo fate, piantatela !». Simon ci urla contro e si mette in mezzo, cercando con estrema violenza di staccarmi il pidocchioso di dosso, che sembra veramente inviperito. Passa una frazione di secondo ed è come se non fosse successo nulla. Biddles di fronte a me, io che mi asciugo il mento – il bastardo è riuscito a spaccarmi un labbro – e Simon che fa da paciere, guardando in modo truce prima me poi Gary. «Beh ? Ma si può sapere che cazzo avete nel cervello tutti e due ?».
«Ma hai sentito che m’ha detto lo stronzo ?» fa Biddles, incredulo, tentando di giustificarsi, «Ma come minimo che gli spacco il muso». Però intanto chi le prende di continuo è il sottoscritto. Bella fregatura.
«A me basta non vedere più la tua faccia e sto a posto, credimi» ribatto, alzando lo sguardo su di lui e cercando di caricarlo con un bel po’ di disgusto.
«Col cazzo che me ne vado». Dio, se odio il suo ghigno.
«Ti farò passare la voglia di ridere, pezzo d’un demente». Sì, sarebbe bello strapparti i denti ad uno ad uno.
«Ma la volete piantare ? Dove siamo, all’asilo ? Porca puttana», geme Simon, le mani che torturano nervosamente i capelli. «Porca puttana». Non riesco a capire se quella nel suo sguardo sia delusione o amarezza. L’ho messo davvero in difficoltà, ed il vederlo così, con quasi le lacrime agli occhi, mi fa male. Un male che si somma a quello precedentemente esperito. «Non va bene, non va affatto bene, è impossibile, con voi è impossibile». Indietreggia, piano. Ci guarda, di nuovo. Bianco come un cencio. «Andate affanculo, tutti e due». Si volta e, deciso ma palesemente sfiancato, esce, sbattendo rumorosamente la porta dietro di sé.
Io e Biddles rimaniamo immobili per qualche istante, ognuno aspettando che sia l’altro a proferire parola. Per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione di star qui un minuto di più con questo imbecille, così mi mobilito per uscire anche io dalla stanza, e magari andare a chiarire con Simon. Ma la voce impertinente di Gary si schiarisce, prima di esplodere in un «Ehi, aspetta». Mi giro a fissarlo. Sembra preoccupato e anche un po’ imbarazzato. La sbronza gli è passata a furia di menar le mani.
«Che c’è, vuoi picchiarmi ancora ? Non t’è bastata ?» gli faccio io, sperando di irritarlo a tal punto da indurlo a scomparire magicamente.
«Mh, no, anche se mi prudono veramente le mani, ti assicuro, e se non avessi uno straccio di coscienza ti avrei già fatto a pezzi», risponde, guardandomi con malcelato disprezzo, «Ma hai visto anche tu come ha reagito Simon, e non mi va’ che si scazza per colpa nostra, per cui io direi che può anche finire qui».
Il suo discorso non faceva effettivamente una grinza in quanto a logicità da “vero amico”, ma il tutto mi lasciò un po’ interdetto. Da lui non mi sarei aspettato simili frasi. Il senso di colpa saliva lentamente, pronto ad affogarmi definitivamente, ed inutile dire che mi sentii un perfetto idiota. Ingrato ed insensibile. Per di più col torto più marcio dalla mia parte.
Biddles sembrava invece tutto pompato dalle sue splendenti ed altruistiche parole, così tanto che mi appariva più alto di una decina di centimetri. Dentro di me si faceva pian piano strada l’idea che lui fosse senz’altro un amico migliore per Simon di quanto non lo fossi mai stato io, e poco contava la mia considerazione per lui in tutto questo. Ero io che avevo intimato a Gary di andarsene, in malo modo, arrogandomi il diritto di scegliere al posto di Simon.
Simon.
Non avevo neanche pensato un solo istante a lui, preso com’ero dal mio orgoglio ferito.
Egoista.
Accecato così tanto dall’invidia per il loro nuovo e apparentemente profondo rapporto – perché alla fine di questo si trattava – da permettermi di agire nel modo più sbagliato che potessi scegliere. E non solo ! Ora anche questo stronzetto mi superava in sensibilità ! Uno smacco che il mio povero cuore non poteva sopportare, non ora.
«Hai ragione, era proprio quello che stavo pensando», dissi, rivolgendomi a Biddles con falsa affabilità, «Per il bene di Simon e per la tranquillità della situazione, forse è meglio mettere da parte certi rancori. Per ora, almeno», conclusi, lasciandogli intendere che il mio taglio sul labbro sarebbe costato un bel po’ a quei suoi capelli scuri e stopposi. Riecco comparire sul suo volto quel sorrisetto che detestavo dal più profondo dell’anima, ed ero lì lì per rimangiarmi quello appena detto. «Bene, visto che ora siamo finalmente d’accordo… Io andrei a pisciare. E’ da quando mi avete svegliato che la tengo, cazzo». Questa sì che si chiama poesia.
Mi precipitai subito alla ricerca di Simon, pensando di dover chiarire l’equivoco prima di Biddles. Non volevo che lui si prendesse il merito di questa genialata della tregua. Svoltai l’angolo ed eccolo lì, a parlottare con Lol di chissà cosa, una lattina di birra in mano e la cicca penzolante dalla bocca. Lol mi vede e mi sorride, salutandomi calorosamente.
«Roooob». Completamente andato. «Ma dov’eri ?», mi chiede tutto concitato. Poi sembra che il ricordo di una mezzora fa lo folgori improvvisamente, ed esclama un «Aaaah, è vero !». Si accosta all’orecchio di Simon, il cui sguardo non avevo ancora avuto il coraggio di incontrare, e borbotta «Doveva picchiare Biddles, sì», facendo cenno con la testa. E bravo il mio caro, sbronzo Lol.
«No Lol, è successo il contrario, sai» ribatte Simon, la voce allegramente tetra.
«Vuoi dirmi che…», e Lol torna a fissare me, con quegli occhioni languidi ed i riccioli sulla fronte, «Ti ha picchiato ?» domanda incredulo. Io, beh, annuisco leggermente, nella speranza che l’alcool gli sia d’aiuto per dimenticare questa poco produttiva confessione, e lui mugugna un «Cazzo» a mezza voce, prima di chinarsi a raccogliere il pacchetto di sigarette sfuggitogli di mano. Ed è in quel frangente che Simon, soffiando fumo dalla bocca, mi fa cenno di seguirlo.
Io, la coda tra le gambe e la testa bassa, tengo dietro al suo passo fino in terrazza.
Quassù fa così freddo. Il vento gelido si insinua sotto il mio maglione. Mi incanto a fissare il cielo lattiginoso mentre avanzo, e per poco non scivolo sul trabocchetto di ghiaccio che si allarga sopra il cemento.
Simon si appoggia con il fianco destro al davanzale, una delicatezza quasi femminile, disinvolta ed insita nel suo modo di fare, incrocia le gambe ed inizia a fissarmi quasi con malizia.
«Allora, Mr Tutto-mi-è-dovuto ?». La sua voce ora è quasi divertita, come se la sceneggiata di prima fosse ormai storia vecchia. Massì, ridiamoci su, che importa.
«Ho detto le cose come stanno a quello lì e lui in tutta risposta mi ha picchiato». Sì, è l’ennesima stupida giustificazione, una difesa inutile, ed anche Simon lo sa.
Annuisce compiaciuto, e sembra che io abbia detto esattamente ciò che lui si aspettava che dicessi. «Sì, sì, so perfettamente ciò che avresti da dire in tua discolpa. Che Gary è un fesso, un idiota senza cervello che dà solamente noie e che si meritava ogni tuo singolo insulto o mala parola… Ma adesso cosa vuoi aspettarti da me ?». C’è pena nei suoi occhi ? Pena per me ? «Cosa vuoi che ti dica ? O, meglio, cosa vuoi sentirti dire ?». Distoglie lo sguardo e lo precipita di sotto, sulle londinesi distese bianche. Io, a dirla tutta, inizio a sentire un gran freddo. «Vuoi che ti dica che va tutto bene ? Che siamo felici di come sta andando il lavoro, che sprigioniamo allegria da tutti i pori ogni singolo secondo, che ci divertiamo addirittura ? Vuoi che», e si volta di nuovo a guardarmi, «Vuoi che il nostro rapporto torni ad essere com’era prima ?». Sì, ecco, aveva centrato il punto ! Era esattamente quello che desideravo in quel momento ! Desideravo che tutto – tutto quanto – tornasse com’era qualche mese prima. «Ma tu, Robert, sai che questo non è più possibile». Quell’espressione, quei lineamenti che si fanno intensi nell’affrontare un discorso impegnativo, quel viso che sembra indurirsi, sfocando la sua aria sorniona e simpatica. «Tu sei incostante. Oggi fai di tutto per la mia amicizia e domattina potresti odiarmi. E da qualche tempo a questa parte i tuoi comportamenti si stanno estremizzando in maniera eccessiva. Sarà lo stress, sarà l’alcool, ma questo mi spaventa. Io sono stanco di avere paura. Sono sfinito. Non voglio più temere le tue reazioni, e non voglio tornare a quell’assetto di cose che tu ora brami. No, non è più possibile. Semplicemente perché sono cambiato, ho bisogno di altre cose, di altre compagnie che non siano sempre e solo tu e Lol. Gary non è un ripiego, perché a lui voglio bene sul serio… Sai che non prenderei mai in giro nessuno su questo fronte». La sincerità è scritta nei suoi occhi. Sì, lo so. Lui è fedele fino alla fine. Ed io che l’avevo trascinato sino a questo punto. Così dilaniato da essere costretto a mollare la presa. «Se tu sei disposto a scendere a compromesso con me, ed accettare quello che io ora sono – quindi spesso anche con Gary al fianco – ne sarò felice. Ma quello che c’era prima non c’è più, non potrà più ritornare. Non lo voglio. E faresti bene a non volerlo nemmeno tu». La sincerità e la dolcezza che si sciolgono insieme in un acido e letale miscuglio di avvilente sconforto.
E cosa può esserci di più buio e desolante ?
Guardare il tuo migliore amico, quello con cui hai condiviso gioie e dolori degli ultimi anni, di cui punzecchi ogni difetto e decanti ogni pregio, sì, proprio lui, voltarti le spalle e tornarsene al caldo, imprimendo le suole delle sue scarpe su una neve che non avevi mai visto così bianca.
  
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