Lechatvert
Ho scritto questa storia molto, molto tempo fa.
Non è vero, ha al massimo quattro, cinque mesi di vita, e il
fatto che non l'abbia ancora pubblicata denota la sua
qualità.
Ad ogni modo, tanto vale. Preferisco vederla qui, che nell'hard disk a
prendere polvere.
Yutzi è ebraico, significa stupido.
Il personaggio principale, invece, è il protagonista di una
storia più grande, che forse un giorno narrerò.
Buona lettura.
Yutzi
- Stupido
La sua stanza puzzava di morto e il fetore delle anime che
l’avevano abitata traspirava dalle pareti assieme al profumo
della donna dell’appartamento accanto.
La sua prigione, invece, il condominio in cui si era rinchiuso quando
il mondo l’aveva rifiutato, odorava di ricco, di carta
stampata e di salotti eleganti. Lo stesso locale a cui quella camera
apparteneva sapeva di nobile, con i tappeti di lana e il pianoforte
nell’anticamera.
Quel buco in cui era relegato non era che l’armadio in cui
tutti i condomini scaricavano le paure e tutta la spazzatura a loro
indesiderata.
A David spettava quindi un materasso lercio sul legno cigolante del
pavimento, una finestra oscurata che dava su Rue Madame e un centinaio
di vecchie fotografie come latrina. Sì, perché
quelle vecchie memorie non valevano più della carta straccia
con cui puliva il vomito da terra dopo essere stato male e aver
rigettato anche l’anima. Quegli scatti non erano che ricordi
dispersi di giorni bruciati, inutili immagini da un passato andato
perduto. I volti sorridenti su quelle fotografie non erano esistiti che
per un istante, un effimero attimo di perfezione che era sfiorito non
appena l’obbiettivo si era abbassato.
Quella era l’unica felicità che David avesse mai
avuto modo di conoscere. Momenti in cui niente pareva andare storto, in
cui un lui ancora bambino si stringeva alla sciarpa rossa di Isabel, la
sua bella madre che mani arroganti gli avevano strappato. Le sue
fotografie non erano in grado di restituirgli niente di tutto
ciò; né i riccioli biondi della donna che lo
aveva messo al mondo, né la sciarpa rossa con la quale era
sparita.
Ancora una volta, tutto ciò che gli restava era il ricordo
di un momento, di un istante incantato che avvolgeva nella sua dolcezza
le coperte di quel letto sfatto e imbrattato di passione, del profumo
di lei, della ragazza che sedeva sul materasso leggendo ad alta voce le
parole di un libro trovato per strada.
Lei, il raggio di sole che si tramutava in tempesta, colei che era sua
e di tutti gli altri, che in sé aveva la perfezione e tutti
gli sbagli del mondo.
David ne ricordava i fianchi morbidi, le sue lente cantilene in qualche
parco di Berlino, il lento volteggiare della sua gonna quando la spiava
mentre usciva dall’università con il volto sporco
di china.
A Parigi la prendeva per mano e la guidava attraverso la sua stanza,
pestando sulle fotografie ancora intatte e sui suoi disegni un tempo
esposti all’Accademia di Belle Arti. Lo sapevano tutti che
erano i più belli eppure, quando il rettore li aveva
staccati dalle loro cornici per rimpiazzarli con qualche altro orribile
scarabocchio, nessuno aveva opposto resistenza.
Nessuno tranne lei, la sua musa, il suo temporale nel mese di maggio.
La perfezione dei momenti che David era tanto andato cercando si celava
nei suoi occhi nocciola chini sui cuscini sporchi di parole mai dette
di sospiri mozzati. Perché il loro amore era perfetto ma
muto, discreto e silenzioso come il più cauto dei tradimenti.
E mentre lei osservava con dita tremanti gli scatti sparsi per terra,
David percorreva con lo sguardo i suoi contorni, studiandone il viso e
l’armonia delle forme che non gli appartenevano anche se
erano sue.
Con i suoi gesti indecisi, quella ragazza gli ricordava la sciarpa
rossa di Isabel, quando ancora si muoveva liberamente, scossa dal vento
delle vie di Berlino mentre lui la faceva girare tenendola per
l’estremità.
« Attento, se fai così volerà via!
», gli diceva suo padre. Lui non gli aveva mai creduto,
continuando a far volteggiare la sciarpa ridendo nel suo cappotto di
pezza.
E poi, com’era andata a finire?
Isabel lo aveva lasciato portandosi via la sua famiglia e gli amici che
da un giorno all’altro gli avevano cominciato a sputare sui
piedi come lui faceva con i cani randagi.
Viveva in una soffitta che odorava di morte e sentiva su di
sé il lento scorrere del tempo.
Come un macellaio affila i suoi coltelli così, con la
stessa, insopportabile calma i secondi sfilavano davanti ai suoi occhi.
E lui aspettava, quieto nel silenzio che era la sua vita, che la porta
si aprisse con il suo sinistro cigolio, che lei scivolasse in quel
letto sfatto che sapeva di baci rubati e raccogliesse da terra il libro
trovato per strada, leggendone frasi senza significato, solo per
aspettare che un altro, effimero attimo di perfezione svanisse nel
nulla.
Così, ogni volta che la vedeva sfogliare le pagine umide del
loro romanzo, le cingeva i polsi per fermarla.
“Yutzi”,
la chiamava, sottovoce. In realtà quella parola la stava
solo ripetendo a se stesso. “Yutzi, yutzi”.
Perché sapeva che continuando a giocare con lei su un
materasso di una soffitta l’avrebbe persa come aveva perso
Isabel e la sua sciarpa rossa. Ma che poteva farci? In fondo il loro
non era che un amore fatto di sguardi e quelle che lei pronunciava non
erano altro che inutili frasi di un romanzo trovato per strada.
Non si trattava di paranoie, il loro era un patto, un contratto
stipulato da entrambe le parti. E così David tornava a
ripeterselo ogni sera, quando la vedeva sparire nel suo appartamento
che profumava di ricco e i suoi occhi si riempivano di lacrime amare.
“Yutzi”,
perché avrebbe tanto voluto fermarla e tenerla stretta a
sé sotto le sue coperte sporche di vita.
“Yutzi”,
perché non poteva e mai avrebbe potuto.
“Yutzi”,
perché, dopotutto, la bellezza di lei si celava
nell’attimo perfetto, in ciò che appariva per i
rari momenti che passavano insieme.
Se lui l’amava era per via del finto candore che le
illuminava il viso, lo stesso che aveva paura di scoprire falso e
intriso di fantasie.
“Yutzi”,
perché così, maledicendo giorno dopo giorno
quella perfezione che sembrava prenderlo in giro, sognando la fugace
bellezza della donna a cui era legato, David non avrebbe mai scoperto
l’amore.