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Autore: Lechatvert    04/07/2013    9 recensioni
E lui aspettava, quieto nel silenzio che era la sua vita, che la porta si aprisse con il suo sinistro cigolio, che lei scivolasse in quel letto sfatto che sapeva di baci rubati e raccogliesse da terra il libro trovato per strada, leggendone frasi senza significato solo per aspettare che un altro, effimero attimo di perfezione svanisse nel nulla.
| Una oneshot senza pretese scritta in un momento particolarmente propenso al melodramma. Nessuna paura: non è autobiografica. |
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lechatvert
Ho scritto questa storia molto, molto tempo fa.
Non è vero, ha al massimo quattro, cinque mesi di vita, e il fatto che non l'abbia ancora pubblicata denota la sua qualità.
Ad ogni modo, tanto vale. Preferisco vederla qui, che nell'hard disk a prendere polvere.
Yutzi è ebraico, significa stupido.
Il personaggio principale, invece, è il protagonista di una storia più grande, che forse un giorno narrerò.
Buona lettura.







Yutzi - Stupido


La sua stanza puzzava di morto e il fetore delle anime che l’avevano abitata traspirava dalle pareti assieme al profumo della donna dell’appartamento accanto.
La sua prigione, invece, il condominio in cui si era rinchiuso quando il mondo l’aveva rifiutato, odorava di ricco, di carta stampata e di salotti eleganti. Lo stesso locale a cui quella camera apparteneva sapeva di nobile, con i tappeti di lana e il pianoforte nell’anticamera.
Quel buco in cui era relegato non era che l’armadio in cui tutti i condomini scaricavano le paure e tutta la spazzatura a loro indesiderata.
A David spettava quindi un materasso lercio sul legno cigolante del pavimento, una finestra oscurata che dava su Rue Madame e un centinaio di vecchie fotografie come latrina. Sì, perché quelle vecchie memorie non valevano più della carta straccia con cui puliva il vomito da terra dopo essere stato male e aver rigettato anche l’anima. Quegli scatti non erano che ricordi dispersi di giorni bruciati, inutili immagini da un passato andato perduto. I volti sorridenti su quelle fotografie non erano esistiti che per un istante, un effimero attimo di perfezione che era sfiorito non appena l’obbiettivo si era abbassato.
Quella era l’unica felicità che David avesse mai avuto modo di conoscere. Momenti in cui niente pareva andare storto, in cui un lui ancora bambino si stringeva alla sciarpa rossa di Isabel, la sua bella madre che mani arroganti gli avevano strappato. Le sue fotografie non erano in grado di restituirgli niente di tutto ciò; né i riccioli biondi della donna che lo aveva messo al mondo, né la sciarpa rossa con la quale era sparita.
Ancora una volta, tutto ciò che gli restava era il ricordo di un momento, di un istante incantato che avvolgeva nella sua dolcezza le coperte di quel letto sfatto e imbrattato di passione, del profumo di lei, della ragazza che sedeva sul materasso leggendo ad alta voce le parole di un libro trovato per strada.
Lei, il raggio di sole che si tramutava in tempesta, colei che era sua e di tutti gli altri, che in sé aveva la perfezione e tutti gli sbagli del mondo.
David ne ricordava i fianchi morbidi, le sue lente cantilene in qualche parco di Berlino, il lento volteggiare della sua gonna quando la spiava mentre usciva dall’università con il volto sporco di china.
A Parigi la prendeva per mano e la guidava attraverso la sua stanza, pestando sulle fotografie ancora intatte e sui suoi disegni un tempo esposti all’Accademia di Belle Arti. Lo sapevano tutti che erano i più belli eppure, quando il rettore li aveva staccati dalle loro cornici per rimpiazzarli con qualche altro orribile scarabocchio, nessuno aveva opposto resistenza.
Nessuno tranne lei, la sua musa, il suo temporale nel mese di maggio. La perfezione dei momenti che David era tanto andato cercando si celava nei suoi occhi nocciola chini sui cuscini sporchi di parole mai dette di sospiri mozzati. Perché il loro amore era perfetto ma muto, discreto e silenzioso come il più cauto dei tradimenti.
E mentre lei osservava con dita tremanti gli scatti sparsi per terra, David percorreva con lo sguardo i suoi contorni, studiandone il viso e l’armonia delle forme che non gli appartenevano anche se erano sue.
Con i suoi gesti indecisi, quella ragazza gli ricordava la sciarpa rossa di Isabel, quando ancora si muoveva liberamente, scossa dal vento delle vie di Berlino mentre lui la faceva girare tenendola per l’estremità.
« Attento, se fai così volerà via! », gli diceva suo padre. Lui non gli aveva mai creduto, continuando a far volteggiare la sciarpa ridendo nel suo cappotto di pezza.
E poi, com’era andata a finire?
Isabel lo aveva lasciato portandosi via la sua famiglia e gli amici che da un giorno all’altro gli avevano cominciato a sputare sui piedi come lui faceva con i cani randagi.
Viveva in una soffitta che odorava di morte e sentiva su di sé il lento scorrere del tempo.
Come un macellaio affila i suoi coltelli così, con la stessa, insopportabile calma i secondi sfilavano davanti ai suoi occhi.
E lui aspettava, quieto nel silenzio che era la sua vita, che la porta si aprisse con il suo sinistro cigolio, che lei scivolasse in quel letto sfatto che sapeva di baci rubati e raccogliesse da terra il libro trovato per strada, leggendone frasi senza significato, solo per aspettare che un altro, effimero attimo di perfezione svanisse nel nulla.
Così, ogni volta che la vedeva sfogliare le pagine umide del loro romanzo, le cingeva i polsi per fermarla.
Yutzi”, la chiamava, sottovoce. In realtà quella parola la stava solo ripetendo a se stesso. “Yutzi, yutzi”.
Perché sapeva che continuando a giocare con lei su un materasso di una soffitta l’avrebbe persa come aveva perso Isabel e la sua sciarpa rossa. Ma che poteva farci? In fondo il loro non era che un amore fatto di sguardi e quelle che lei pronunciava non erano altro che inutili frasi di un romanzo trovato per strada.
Non si trattava di paranoie, il loro era un patto, un contratto stipulato da entrambe le parti. E così David tornava a ripeterselo ogni sera, quando la vedeva sparire nel suo appartamento che profumava di ricco e i suoi occhi si riempivano di lacrime amare.
Yutzi”, perché avrebbe tanto voluto fermarla e tenerla stretta a sé sotto le sue coperte sporche di vita.
Yutzi”, perché non poteva e mai avrebbe potuto.
Yutzi”, perché, dopotutto, la bellezza di lei si celava nell’attimo perfetto, in ciò che appariva per i rari momenti che passavano insieme.
Se lui l’amava era per via del finto candore che le illuminava il viso, lo stesso che aveva paura di scoprire falso e intriso di fantasie.
Yutzi”, perché così, maledicendo giorno dopo giorno quella perfezione che sembrava prenderlo in giro, sognando la fugace bellezza della donna a cui era legato, David non avrebbe mai scoperto l’amore.

   
 
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