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Autore: Lacus Clyne    05/07/2013    4 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti!! *---* Seconda parte del nuovo capitolo... come anticipavo, ho pensato di dividerlo perché è davvero lungo... intanto c'è abbastanza da leggere! XD Nel palazzo Devereaux, Aurore e Damien, infiltratisi, si ritrovano alle prese con una grande festa... a cui partecipa un invitato d'onore! Chi mai sarà? <3 Ringrazio come sempre i miei silenziosi lettori e la mia Taiga-chan, sperando che il brutto quarto d'ora non me lo faccia passare... ho aggiornatooooooooo!! XDDD Ovviamente, se vi va di lasciare un commento, scrivete!! >_< Buona lettura!!

 

 

 

 

Nascosti dai mantelli, riuscimmo a raggiungere le cucine del palazzo. Fummo fortunati, perché come da previsione nessuno fece caso a due infiltrati. Anzi, il nostro folle piano si rivelò vincente, almeno in quella fase, perché fummo prontamente scambiati per due membri della servitù e una volta cambiatici, fummo spediti a contribuire ai preparativi della festa. Con in mano un vaso di profumatissime peonie bianche, fui mandata nel corridoio antistante il salone della festa, mentre Damien, portando dei vassoi, avrebbe dovuto servire le prime portate. Tuttavia, sapevamo che il nostro obiettivo era salire ai piani superiori evitando i saloni, e Damien fu piuttosto abile a fare cambio di portata con una cameriera, dicendole che dal momento che si trattava di una festa in maschera e non avevamo ancora indossato le nostre, non eravamo pronti. La giovane, che sembrava avere su per giù la mia età, acconsentì, e potei notare il rossore sulle sue guance, seminascoste dalla mascherina in pizzo nera. Per qualche ragione, quella timidezza mi riportò alla mente la sera alla tavola calda con Evan e con Vivien. Una volta ottenuto lo scambio, comunque, Damien e io salimmo al piano superiore, dove si trovavano le stanze degli ospiti. Mentre ci inoltravamo nei corridoi della residenza Devereaux, sui quali spiccavano affreschi porporati, indossammo le maschere. Io riuscii anche ad intrecciare i capelli e a tirarli su in uno chignon, e dovetti ringraziare la mamma per avermi insegnato anche questo. Quante cose avevo imparato grazie a lei senza rendermene nemmeno conto a momenti…

Mentre cercavamo Jamie, il vociare dal piano inferiore aumentava, e quando sentimmo le prime note, ci rendemmo conto che la festa era iniziata, cosa che, dal nostro punto di vista, era un serio problema.

- Che facciamo?

Domandai a Damien, che ascoltava attentamente le voci provenienti dall’interno delle stanze, alla ricerca di quella inconfondibile del fratellino.

- Continuiamo a cercare.

Disse, avvicinandosi all’ultima porta del piano.

- Ma potrebbe essere giù in questo momento…

- Potrebbe, o potrebbe non ess--  

Non fece in tempo a terminare la frase, che una donna di mezz’età, il cui doppio mento faceva più bella mostra di sé che dei vistosi abiti e della maschera intagliata con inserti di stoffa blu di Prussia e oro, uscì dalla stanza, rivolgendoci un’occhiataccia.

- Che state facendo?!

Sbottò, con una voce piuttosto stridula rispetto alla stazza.

Io mi affrettai a spiegare che ci stavamo sincerando che tutto andasse secondo il programma, ma la donna mi scoccò uno sguardo del tipo “Non osare replicare” e si rivolse a Damien.

- Stavi spiando?

Inorridii. Damien non perse il controllo, e al contrario, profuse lo stesso impeccabile inchino che avevo visto alla locanda.

- Milady, vi prego di perdonare questo servo. Stavo per bussare, per avvertirvi che la festa è cominciata.

La donna aguzzò lo sguardo, gli occhi neri ben visibili sotto la pesante maschera. Le labbra carnose di carminio si chiusero in una smorfia compiaciuta.

- Fatti vedere, ragazzo.

Ordinò, avvolgendo meglio uno scialle di chiffon intorno alla spalla. Era incredibilmente florida. Damien annuì e si raddrizzò, sostenendo il suo sguardo indagatore. Del canto mio, avevo il cuore che mi batteva forte, tant’era la tensione. Se per caso si fosse resa conto che non eravamo del posto, proprio come era accaduto a me con Lord Delgado durante la notte della Renaissance?

- Avessi qualche anno in meno… hai un così bel viso…

Deglutii. Ci mancava solo la pervertita. Sollevai un sopracciglio, sperando che Damien mantenesse il controllo abbastanza da non risponderle col suo solito tono spocchioso, sebbene quell’impudente lo meritasse, soprattutto quando la nobile gli sollevò il viso con la punta del ventaglio che portava con sé.

- Permettete che vi scorti fino al salone, Milady.

Propose Damien, con nonchalance, ma soprattutto, con una cadenza bassa e seducente.

- M-Ma…

Balbettai, quando la donna si sporse oltre le spalle di Damien per guardarmi.

- C’è qualche problema?

- N-No, certo che no! Perdonatemi, Milady!

Esclamai, inchinandomi.

La donna sbuffò, poi tornò a rivolgersi a Damien.

- Andiamo.

Disse, incamminandosi. Damien le rivolse un altro inchino, poi si voltò a guardarmi con la coda dell’occhio. Il suo sguardo fu eloquente. Sebbene fosse rischioso, l’unico modo per capire se Jamie fosse o meno in quel palazzo, era dividerci e di certo, rispetto a me, lui era il più indicato a entrare nei saloni. Annuì e mi rassettai al volo. Damien mormorò qualcosa che non riuscii a comprendere, poi si allontanò con la grassoccia verso le scale. Rimasta sola, quando vidi gli ultimi nobili in maschera lasciare le stanze, mi nascosi nel sottoscala del piano, attendendo il momento giusto per salire al piano superiore. Così feci, notando come il palazzo Devereaux fosse diverso dal palazzo Trenchard. L’arredamento era molto più lussuoso, mentre Amber preferiva i fiori, tanto che il profumo che si sentiva nei corridoi della sua residenza, così difficile da replicare, era pressoché assente. Imboccato il corridoio, sul cui fondo spiccava una elegante porta finestra con delle vetrate colorate, mi accorsi di essere nella solitudine e nel silenzio più assoluto. C’era soltanto una porta ad arco coperta da un leggero tendaggio blu notte, e mi avvicinai prudentemente. Una volta scostata, mi ritrovai in una galleria, sulla cui parete destra spiccava un dipinto che raffigurava la famiglia Devereaux. Sebbene non li conoscessi, avevo capito di chi si trattava, dal momento che anche a Karelia avevo visto qualcosa di simile, e rappresentava la famiglia di Amber. C’erano la Lady del lapislazzuli, che potevo riconoscere dal pendente noto come “cuore dell’oceano”, una donna alta, snella, dai capelli ricci e nerissimi, e dagli occhi azzurro cielo. Dietro di lei, un uomo che riconobbi come Lord Devereaux, su per giù della stessa età del padre di Amber, dai lunghi capelli bianchi, intrecciati lungo la spalla sinistra, l’aria composta. Abbracciata alla Lady, una bambina dagli occhi azzurri e dai capelli di un biondo chiarissimo che sorrideva felice.

- Livia Devereaux…

Mormorai. Notando poi che non c’erano stanze in quella galleria, uscii, ritrovandomi nel corridoio vuoto e sperando che al piano di sotto, Damien avesse avuto più fortuna di me. Raccolsi la mia catenina, che avevo nascosto sotto i vestiti da cameriera, e notai che aveva assunto la sua colorazione argentata. Mi affrettai a nasconderlo nuovamente e stetti all’erta, tirando dritta verso le scale, per tornare ai piani inferiori. Non appena scesi il primo scalino, vidi movimento al piano delle stanze e in particolare, vidi alcune guardie imperiali muoversi. Impallidii quando vidi un ragazzino con loro. I capelli neri, poco più lunghi di quanto ricordassi, una mascherina blu scuro che gli copriva metà viso, e gli abiti, del tutto diversi dal pigiama che aveva indosso l’ultima volta. Una camicia bianca dal collo alto e dalle maniche a sbuffo rivestita da un farsetto scuro con i bottoni dorati, dello stesso colore dei pantaloni che arrivavano a metà polpaccio, bordati di calzini con delle piccole rouches.

Jamie… Jamie era lì, a pochi scalini da me e conversava con le guardie della Croix du Lac che lo scortavano. Sembrava tranquillo, segno che era stato trattato bene, dopotutto, durante tutto questo tempo. Ringraziai il cielo per questo, ma poi mi chiesi come avrei potuto fare. Ero letteralmente bloccata tra i piani. Non potevo scendere senza passare loro in mezzo, e Jamie mi avrebbe riconosciuta, probabilmente. Avrei rischiato di compromettere tutto, e se da una parte, Damien stava girando a vuoto nei saloni, in mezzo a chissà quanti invitati mascherati, alla ricerca del suo fratellino, fuori dal palazzo, Leandrus ci aspettava per stabilire il da farsi assieme a Blaez, e più lontano, avevamo amici che stavano rischiando tanto per noi, e per creare un futuro migliore. Mossi un passo indietro, aspettando, col cuore in gola. Poi Jamie si voltò verso le scale, e mi vide. Quell’istante fu probabilmente tra i più lunghi della mia vita. Sentivo tutto il peso della catenina premermi sullo sterno, e forzatamente, gli rivolsi un inchino. Non rispose né fece cenni di avermi riconosciuta, ma al contrario, si voltò e si allontanò seguito dalle guardie. Tirai un sospiro di sollievo, soprattutto quando quella strana sensazione di oppressione di diradò, ma poi pensai a Damien, e alla sua reazione se si fosse trovato davanti Jamie. Così, prestando quanta più attenzione potessi, scesi e raggiunsi il corridoio principale, quello che dava sul salone. Mentre mi accingevo a entrare nella sala sfolgorante di luci, voci e musica, fui richiamata da uno dei maître che mi affidò un vassoio con dei calici scintillanti. Champagne, o qualcosa di simile, supposi. Quando entrai in sala, i partecipanti alla festa, in pomposi abiti e maschere possenti, stavano discorrendo tra loro, chi mangiando, chi danzando. Cercai subito con lo sguardo Damien, e quando lo intravidi, vicino alla tavolata principale, imbandita con ogni ben di Dio, notai che aveva lo sguardo fisso verso una grossa poltrona, che, ci avrei giurato, sembrava d’oro massiccio con intarsi in stoffa. Jamie era seduto comodamente, e accanto a lui, c’erano due guardie. Cercai di raggiungere Damien facendomi largo, quando fui fermata da due donne, una delle quali piuttosto giovane e un uomo, che le teneva entrambe sottobraccio.

- Oh, finalmente qualcosa di fresco.

Disse quest’ultimo, ridacchiando sotto il baffo scuro. Era un uomo di mezz’età circa, di corporatura media e, sotto la maschera piumata, si intravedevano gli occhi blu. Le donne sorrisero.

- Prego, Milord, My Ladies.

Dissi, allungando il vassoio verso di loro.

Una delle due donne, sotto la cui maschera dorata di intravedevano occhi di un verde intenso, mi zittì posandomi un dito sulle labbra. Quel gesto mi stupì, tanto che il vassoio vacillò sopra il mio palmo.

- E’ bella. Guarda che capelli, più neri dell’ebano. E le labbra, poi, sono morbide. Sembrano fatte apposta per essere baciate.

Ridacchiò, con un tono giocoso che mi fece trasalire. Istintivamente, mi ritrassi, accorgendomi di essere arrossita. Quelle parole mi mettevano a disagio, e per di più, dovevo raggiungere Damien, che del canto suo, non sembrava nemmeno essersi accorto che ero lì anch’io.

- Che c’è, mia cara? Sembri preoccupata.

Osservò la seconda donna, mora, bassa almeno di una spanna rispetto al nobile baffuto. Prese due calici, e ne porse uno alla compagna e uno al compagno.

- Niente, Milady… è soltanto che sono una semplice cameriera…

Risposi, abbassando lo sguardo, sperando che mi lasciassero in pace il prima possibile. La donna che mi aveva accarezzato le labbra fece un risolino.

- Qual è il tuo nome?

Mi domandò. Ancora quella domanda. Ma stavolta, sapevo cosa rispondere.

- Gracie, Milady. Mi chiamo Gracie.

- Gracie? Un nome alquanto grazioso.

Intervenne l’uomo, divertito.

- Mi piace. Dovremmo prenderla. Sembra così pura… sarebbe davvero interessante vederla servirci in un altro contesto.

Esclamò. A quel punto sollevai lo sguardo, sconvolta. Prendermi? Servire in un altro  contesto? Che diavolo di gente era quella?

- Mi dispiace, non so-- 

- Non vi sembra di scherzare un po’ troppo, My Lords?

Sopraggiunse una voce più profonda, alle mie spalle. Prima che mi voltassi a vedere chi aveva parlato, i tre nobili si guardarono tra loro, poi rivolsero un inchino alla persona che aveva parlato e si scusarono, dicendo che non avevano cattive intenzioni. Sono più che certa che non ci avrebbero messo la mano sul fuoco, tuttavia. Mi voltai tirando un mezzo sospiro di sollievo, che rimase in gola quando vidi una delle guardie della Croix du Lac, precisamente, quella che era entrata nella locanda, proprio di fronte a me. Se non ricordavo male, il suo nome era Liger. Comandante Liger. Indossava la stessa maschera e gli stessi abiti che avevo visto alla locanda. Con fare sicuro, prese un calice, e me lo agitò davanti al viso. Il liquido trasparente all’interno si mosse, liberando le bollicine frizzanti.

- Delizioso.

Disse, in tono assolutamente neutro, dopo averlo trangugiato. Mi limitai a un cenno d’assenso, quando rimise al suo posto il calice.

- Con permesso, Milord.

Mi scusai, defilandomi. Avevo il cuore che mi batteva all’impazzata, e speravo che non si fosse accorto della mia tensione. Per qualche motivo ancora ignoto, il comandante Liger mi inquietava. Finalmente riuscii ad affiancare Damien, e dovetti dargli un colpetto sul braccio per farlo rinsavire. Capivo, del resto, che il suo shock andava oltre l’aver scoperto che il su fratellino stava bene. E Jamie in effetti stava bene, ma c’era qualcosa in quell’aria divertita e sicura di sé mentre osservava compiaciuto la festa, che sembrava innaturale.

- Dobbiamo andare via…

Mormorai, posando il vassoio su uno dei grandi tavoli del buffet.

- Q-Quello…

Balbettò.

- Damien, lo so, ma non possiamo fare niente ora! Torniamo da Leandrus. A quest’ora avrà sicuramente un piano migliore…

Suggerii a voce bassa, tirandolo per la manica della camicia di seta scura. Si decise a guardarmi, gli occhi verdi che risaltavano sotto la maschera di pizzo nero. Sperai che il mio sguardo fosse altrettanto convinto.

- Ci sono troppi occhi indiscreti. Non possiamo fare niente adesso. Ti prego…

Mormorai.

A malincuore, e sapevo quanto questo gli stava costando, Damien annuì.

- Sai che sta bene…

Continuai, accennando un sorriso, nella speranza che almeno questo bastasse, anche se solo momentaneamente, a rincuorarlo. Si lasciò sfuggire uno strano verso, poi si diresse velocemente verso l’uscita del salone, passando in mezzo ai nobili che ridevano e scherzavano tra loro, ignari di quale dramma interiore stesse vivendo il mio amico. Lo seguii, guardando il profilo che ogni tanto compariva, quando si voltava verso Jamie nella vana speranza che si voltasse, e forse, che lo riconoscesse. Suo fratello era lì, ma non poteva mantenere la promessa di stargli accanto. Quel pensiero mi riportò alla mente il mio Evan, e feci un enorme sforzo per non piangere in quel momento. Avvistai ancora una volta Liger, con la maschera nera che gli copriva metà viso e il sigillo della Croix du Lac sulla manica del soprabito, e vidi che era voltato verso di noi. Deglutii e feci un piccolo inchino, augurandomi che non avessimo dato troppo nell’occhio. Quando lasciammo la sala, ci rendemmo conto che non potevamo passare dalle cucine per uscire, né potevamo scegliere l’uscita principale. Damien si guardò intorno, studiando la situazione alla ricerca di una via di fuga, poi andammo a riprendere i nostri abiti, lasciati in una stanza al pianterreno.

- Potremmo uscire dalla finestra.

Suggerii, raccogliendo il mio vestito, gettato sul letto.

- E con le grate come la mettiamo? Immagino che soltanto ai piani superiori non ce ne siano. Guarda.

Disse, avvicinandosi all’imposta e aprendola. Effettivamente, delle grate a maglia stretta rendevano impossibile una via di fuga. Per giunta, si sentiva lo scorrere dell’acqua poco lontano. Il canale doveva sicuramente lambire la residenza.

- Accidenti…

Mormorai. Poi prestai maggior attenzione e feci mente locale. In effetti, al secondo piano, non mi sembrava che ci fossero delle grate di sicurezza. Ma scappare dal secondo piano non mi sembrava tuttavia un’idea plausibile, almeno, non senza i nostri grifoni.

- Che facciamo allora?

Domandai. Damien sospirò. Fu un sospiro frustrato, poi sbattè l’anta della finestra, che si richiuse con un rumore secco e forte.

- Damien!

Esclamai, trasalendo.

- Merda!

Imprecò lui, sbattendo il pugno sul muro. Fu allora che posai i miei vestiti, raggiungendolo. Aveva lo sguardo basso e si stava mordendo con forza il labbro inferiore. Quel gesto mi intristii, ma capii che in quel momento, la sua impotenza aveva raggiunto il limite. Raccolsi le sue mani, stringendo i pugni nei miei palmi.

- Damien…

Non mi guardò, nè i pugni si allentarono.

- Ascolta… so che adesso è difficile. Avresti voluto raggiungerlo, non è così? Dirgli che sei qui, e che sei venuto per riportarlo a casa… per proteggerlo…

Un fremito tra le sue sopracciglia brune e nelle labbra. Addolcii la voce.

- Verrà il momento giusto, Damien, vedrai. Devi soltanto avere pazienza… ricordi quando volevo irrompere per affrontare tuo padre, da Amber? Tu mi hai fermata, e mi hai detto che non era quello il momento giusto, o avrei mandato al diavolo tutti gli sforzi della nostra amica. Se fossi intervenuto ora, le guardie della Croix du Lac ti avrebbero catturato subito, e Dio solo sa cosa ti avrebbero fatto…

Trasalii a quel pensiero, e mi ritrovai a tremare, all’idea che gli potesse accadere qualcosa di male. Perché mi sentivo così se ci pensavo? La voce mi vacillò all’improvviso, e il viso di Damien mi apparve velato, tra le lacrime.

- Ricordi? Niente di sconsiderato… no?

Sentii la morsa dei suoi pugni allentarsi, poi le sue dita sfiorare le mie, facendosi largo nei miei palmi, e stringendomi le mani. Il braccialetto d’argento, un tempo appartenuto a mio fratello, toccò l’incavo del suo polso. Poi i suoi occhi verdi furono nei miei. Smeraldo liquido.

- Stai piangendo.

Mormorò. Annuii, sorridendo.

- Scusami…

- Grazie.

Disse, lasciando la presa di una mano e raccogliendo sul dorso le mie lacrime. Alcune, cadendo, avevano bagnato la mia mascherina, che pizzicava. Poi, aprì la mano, accarezzandomi la guancia. Istintivamente, chiusi gli occhi, sentendo il calore del suo palmo e accomodando metà del mio viso in quella culla morbida. Col pollice, mi sfiorò gentilmente le labbra, percorrendole dal centro sino all’angolo più esterno. Il tempo, in quell’istante, era scandito soltanto dai battiti accelerati del mio cuore in subbuglio. Mi sentivo accaldata e quella sensazione era terribilmente piacevole. Ingoiai, mentre la mano che aveva stretto nella mia, finì con l’incrociarsi alla stessa, così che ci trovammo con le dita affondate l’uno nella mano dell’altra. Eravamo così vicini che potevo sentire il suo corpo atletico premuto contro il mio, il battito del suo cuore, petto contro petto, e il suo respiro sul viso. Dischiusi le labbra, e per un istante, un solo attimo, ebbi quasi l’impressione di sentire le sue labbra che sfioravano appena le mie. Poi, all’improvviso, tutto fu immerso nel buio. Non facemmo in tempo a rendercene conto, perché di lì a poco sentimmo grida terrorizzate, come mai sentite prima d’ora, provenire dal salone.

- Il cellulare, Aurore!

Ordinò Damien, sconvolto, correndo fulmineo a riaprire la finestra per avere un po’ di luce.

- S-Sì!

Annuii, correndo a prenderlo dallo zainetto che portavo con me. In poco, ritrovammo la luce, e ci guardammo. Cosa diavolo era successo? Un black out… ma le urla? Poteva essere la reazione di panico, ma perché all’improvviso non si sentiva più nulla? Guardai Damien terrorizzata e compresi che aveva provato la mia stessa sensazione. Che cosa ci aspettava?

  
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