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Autore: E m m e _    07/07/2013    2 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 17
Il miracolo compiuto (DI ENGI)

Mikael
L’impresa più ardua non fu convincere Gabriel che Hesediel fosse vivo, ma trovare un valido veicolo che potesse trasportarci. Io ero troppo spossato per correre, Gabriel non sarebbe mai riuscito a portare due persone in una volta e Hesediel non era sicuramente d’aiuto in quello stato.
Mi guardai intorno. Ci trovavamo nel mezzo di un quartiere di case completamente distrutte, ridotte in cumoli di macerie tutti uguali e accalcati tra loro. Le strade erano squarciate da profondi solchi che sembravano portare direttamente agli Inferi. O era quello l’Inferno? 
- Se anche la trovassimo, come faremo a metterla in moto?
Domandò Gabriel, dimostrandosi un vero e proprio pivellino nel campo del furto.
- Pff, si vede proprio che sei di famiglia ricca.
Feci, ruotando gli occhi al cielo.
Gabriel mi guardò, aspettando che rispondessi seriamente. Ricambiai con un’occhiata accigliata e un sorrisetto mi comparve sulle labbra.
- Lascia fare a me, tu non preoccuparti.
Lui non disse nulla e, a quel punto, fu Hesediel a prendere la parola con un lungo gemito dolorante. Le sue palpebre chiuse ebbero un leggero tremito, ma non si aprirono.
Gabriel lo sorreggeva, tenendosi uno dei bracci del giovane dietro al collo.
Mi bloccai davanti ad un furgoncino color ruggine. Sembrava in buone condizioni, a parte per lo sportello del guidatore completamente assente, le ruote anteriori sprofondate nel fango, un fanale mancante e l’altro rotto.
- Non sembra male.
Dissi, più per convincere me stesso che Gabriel, anche perché lui non sembrava molto contento della scelta.
- Sicuro che questo catorcio sia funzionante?
- Lo scopriremo subito.
E così dicendo mi sollevai le maniche blu della maglietta e mi avvicinai al camioncino, pronto ad azionarlo o, almeno, a provare ad animarlo.
Mi chinai sotto il volante e iniziai a trafficare con i vari fili, alla ricerca di quelli che avrebbero fatto si che l’auto prendesse vita.
- Ah!
Gridai, improvvisamente.
- Cos’è successo?
Trasalì Gabriel, gli occhi spalancati dalla sorpresa.
- Ho preso la scossa!
Mi portai il dito alla bocca.
- Idiota, mi hai fatto prendere un colpo!
Sbottò l’Angelo, innervosito dal mio comportamento.
Ridacchiai e tornai al lavoro, pronto a sentire il rombo del motore dentro le orecchie. Fallii per altre tre o quattro volte, ma, senza perdermi d’animo, alla fine riuscii a farla partire. 
Mi raddrizzai, soddisfatto, sia dal mio successo e sia dall’espressione di tacita sconfitta di Gabriel.
- Ora dobbiamo solo levarla dal pantano.
Dissi tutto sorridente, come se questo fosse il lavoro più facile del mondo, come se l’avessi già fatto. Gabriel mi lanciò un’occhiataccia.
- Quindi?
- Tu ingrani la marcia e schiacci l’acceleratore… io spingo dietro.
Gabriel non disse niente e ubbidì, salendo sul furgoncino.
Mi sistemai dietro al veicolo, posando le mani contro il porta bagagli senza copertura.
Il cielo si faceva sempre più chiaro, man mano che l’alba cedeva il posto al mattino. Si poteva già udire il cinguettio di qualche uccellino, che esprimeva tutta la propria felicità per il nuovo giorno ormai arrivato.
- Dai gas.
Spinsi l’auto con forza e, mentre questa faceva un passo avanti uscendo dalla piccola fossa, tutto il fango sul quale le ruote scivolavano si sparse sulla mia maglietta, compresi collo e volto.
Gabriel lasciò l’acceleratore e si affacciò dall’auto e, vedendomi, scoppiò a ridere.
Imprecai e, stringendo i denti, salii in macchina, dicendogli chiaramente di levarsi dal posto del guidatore. Ingranai la prima e, schiacciando con foga l’acceleratore, partimmo.
- Non ti sembra di andare troppo veloce?
Domandò Gabriel, preoccupato nel vedere quei pochi alberi superstiti ai lati della strada sfilare così velocemente davanti ai suoi occhi.
Hesediel disse la sua gemendo, quasi con rabbia. Gli lanciai un’occhiata. Era proprio messo male: la pelle macchiata da lividi violacei, il sangue che gli usciva dal labbro inferiore e dal naso, probabilmente rotti entrambi, l’intero corpo percosso da brividi di freddo e il sudore che gli imperlava la fronte erano chiari segni di febbre.
Provai ad accelerare ancora, ma non ci fu molta differenza da prima. Gabriel non disse nulla a riguardo e si mise a guardare fuori dal finestrino, perso nei suoi pensieri.
- Tu sei l’Arcangelo.
Senza rendermene conto le parole mi rotolarono fuori dalle labbra, senza controllo, come se volessi liberarmi da una simile verità. Gabriel continuò a guardare fuori dal finestrino, ma sapevo che mi aveva sentito.
- Gabriele.
E lui si voltò, gli occhi accesi da una strana scintilla.
- Tu sei dell’ordine delle Virtù, invece.
Fece, come per ribattere a ciò che avevo appena detto io, come per proteggersi dalle mie parole, per spostare il riflettore da lui a me.
Tenni gli occhi sulla strada, anche se il rischio di fare un incidente era quasi nullo.
- Ero.
Precisai, contro la mia volontà. Non adoravo parlare di me stesso, del mio passato, con altre persone, specialmente con altri Angeli.
- Perché la tua aura è così potente?
La voce di Gabriel suonava distante anni luce. Evitai i suoi occhi, costringendomi a guardare l’asfalto. Non volevo che mi leggesse dentro, non lo permettevo a nessuno da anni, perché con lui doveva essere diverso?
- Non ho idea di quello che stai dicendo.
Mi limitai a ribattere, sperando di chiudere il discorso, ma Gabriel continuò:
- La tua energia… Insomma è strana.
Quello che diceva non aveva alcun senso. Ma sapeva cos’ero in quel momento? 
- Non capisco come possa essere possibile.
Fece tornando a guardare fuori dal finestrino, come cercando una risposta in mezzo alle macerie delle abitazioni e dentro le crepe della strada.
Non capivo, proprio non ci riuscivo. Cos’aveva la mia energia di anomalo?
Il viaggio verso la Resistenza si fece più silenzioso che mai. In poco tempo le case martoriate vennero sostituite dai tronchi degli alberi e l’asfalto squartato della strada dal terreno selvaggio di un sentiero, che portava dritti dentro il bosco.
Lasciammo Hesediel nelle mani di Caliel, che lo portò in infermeria, e subito dopo Gabriel scomparve, come fumo nell’aria, lasciandomi solo.
Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcuno che potesse farmi compagnia. Chiunque. Ma non c’era anima viva nel corridoio. Sospirai e andai nella mia stanza per farmi una doccia.
Provai a lavare i vestiti nel lavandino, usando il sapone per le mani al posto del detersivo; e debbi ammettere che pulire le macchie di fango non fu per niente un lavoro facile, ora potevo dire di sapere cosa patissero ogni volta le madri con i propri figli.
Aprii la finestra e posai i capi sulle ante, lasciando che il sole, con i suoi raggi di giorno in giorno più caldi, li asciugasse lentamente.
Mentre aspettavo mi legai un asciugamano ai fianchi e mi stesi sul letto.
Lia
Raggiunsi la sua camera e avvicinai le nocche al legno della porta, ma, ripensandoci, abbassai la mano.
Guardai a terra e mi morsi con forza il labbro inferiore.
Dai bussa, mi incitai.
Respirai profondamente e pensai a tutte le sue possibili reazioni: avrebbe potuto aprire la porta e dirmi che era occupata in quel momento, oppure aprirla e richiuderla immediatamente senza lasciarmi il tempo di dire o fare nulla, o sorridermi e invitarmi ad entrare, come se ci conoscessimo da una vita, sennò anche non aprire affatto.
Strinsi occhi e pugni.
Non mi costa nulla provare.
Non mossi un muscolo. Braccia e gambe erano paralizzate, completamente immobili.
Aprii gli occhi e guardai la superficie liscia della porta.
Ok, pensai, conto fino a tre poi busso, senza pensarci ancora.
Presi a contare, senza nemmeno accorgermi di smettere completamente di respirare.
Due.
Sperai con tutto il cuore che la porta si aprisse da sola, per propria volontà, ma subito ci ripensai: meglio di no, vedrebbe una pazza impalata all’entrata della sua stanza.
Tre.
Bussai, prima che cominciassi a pensare.
Sentii dei passi avvicinarsi e poi arrestarsi.
La porta si spalancò.
Sulla soglia comparve Gabriel con i suoi occhi luminosi come l’oro, che mi guardavano, prima duramente, tanto che temetti mi avrebbe urlato di andarmene, ma poi, il tempo che mi identificasse, si ammorbidirono.
Continuai a guardarlo negli occhi, rapita, con in sottofondo il battito accelerato del mio cuore, che parve impazzito. 
Aprii la bocca ma le parole rimasero incastrate tra le corde vocali.
Gabriel mi guardò confuso, evidentemente si era accorto del mio tentativo fallito.
- Devi dirmi qualcosa?
Domandò, provando a sbloccarmi.
- Lo siento, pensé que era la habitación de Hariel.
Dissi velocemente, quasi sovrapponendo una parola all’altra.
- Scusami, ma io non capisco.
Fece lui, scuotendo il capo. 
Legai le mie dita tra loro, cercando una domanda che potesse riuscire a capire facilmente. Lui intanto continuò a fissarmi, apprezzando il mio sforzo.
- ¿Dónde está Hariel?
Provai anche a parlare più lentamente possibile e il viso di Gabriel s’illuminò, ma poi si incupì. Abbassò lo sguardo a terra.
- Non lo so…
La sua voce era fievole, quasi che pensai che non avesse parlato affatto.
- Cómo .. ¿Qué ha sucedido?
Il ragazzo si affacciò fuori dalla porta e guardo chi ci fosse nel corridoio.
- Vieni, entra.
Mi prese per il braccio e chiuse la porta alle nostre spalle, lasciando fuori il resto, escludendo chiunque, oltre noi, abitasse in quel posto.
- Penso l’abbiano rapita.
I miei occhi vagarono lungo le pareti bianchissime, identiche a quelle della mia stanza, poi si fermarono su Gabriel, il cui sguardo era perso nel vuoto, pieno di dolore e rabbia.
- ¿Sabe quién puede haber sido?
La domanda mi sfuggì di bocca e, come mi aspettavo, Gabriel non ci capì nulla.
- Sai… chi?
Fu tutto ciò che riuscii a dire, ma a lui sembrò bastare.
- No.
Disse con occhi lucidi. Strinse con forza le mani in pugno, tanto che i palmi divennero bianchi.
Trattenni il fiato e feci in modo che allentasse la stretta, convinta che si sarebbe ferito con le proprie unghie se avesse continuato. Il contatto della mia pelle con la sua mi provocò una cascata di scosse.
Il mio sguardo corse al comodino vicino a uno dei letti singoli. Sopra c’era un braccialetto, una semplice catenella argentata con il ciondolino di una croce.
Se Gabriel disse qualcosa allora non lo sentii, perché riuscivo solo a percepire la strana forza che proveniva dal piccolo oggetto.
Senza dire nulla mi avvicinai al comodino e lo afferrai.
Un uomo dagli occhi giallo-ocra e la strana pupilla parlava con qualcuno, diceva di chiamarsi Azazel, poi riflessa nei suoi occhi vidi Hariel, che gridava tra le visioni che la tartassavano. Sentii un nome, sussurrato all’orecchio, come un segreto: Hariel Sangreal.
Infine, prima che tutto svanisse, comparve Hariel per intero, che sorrideva, ma non guardava verso me. In braccio teneva una bambina dagli occhi celesti.
“Ciao, Hariel” disse la ragazza, rivolta alla bambina che le restituiva allegramente l’identico sguardo celeste, “Sono Hariel”.
Sbarrai gli occhi, stupita, e osservai il braccialetto che tenevo sul palmo della mano.
- Cosa hai visto?
Domandò Gabriel, avvicinandosi velocemente.
Mi voltai verso di lui.
- Ho visto Hariel.
Dissi senza sbagliare nemmeno una parola, senza mischiare nemmeno con un po’ di spagnolo. Parlai come se quella fosse la mia lingua da sempre.
- Com’è possibile?
Mi portai una mano alla bocca, sconvolta.
- Dove essere il bracciale.
Disse Gabriel, avvicinandosi ancora. Me lo prese dalle mani e lo esaminò.
- Parla.
Tornò con gli occhi nei miei.
- ¿Qué puedo decir?
Strabuzzai gli occhi e Gabriel sorrise, orgoglioso di sé per essere arrivato così in fretta alla risposta.
Me lo restituì.
- Indossalo e spiegami ciò che hai visto.
Fece, guardandomi mentre allacciavo il bracciale al polso.
Controllai che non mi fosse troppo largo e poi gli raccontai tutto. Lui mi ascoltò, impassibile; solo quando nominai Azazel i suoi occhi s’illuminarono di una strana fiammata.
- Partiamo immediatamente.
Disse appena finii di parlare.
- Cosa? Ma se non sappiamo nemmeno dove si trovi!
Esclamai, sperando di riportarlo a ragionare.
- Invece sì.
E la fiamma nel suo sguardo divampò, diventando un vero e proprio incendio.
   
 
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