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Autore: Yellow Canadair    07/07/2013    5 recensioni
Siamo ad Impel Down, e si sa che le visite ai condannati sono più che vietate, salvo eccezioni che hanno del miracoloso. Ma Ace nel suo lungo peregrinare aveva conosciuto tanta gente, tra cui una ragazza che, pur senza penetrare all'interno della prigione, riesce a far arrivare qualcosa di sé al condannato...
Spin-off alternativo di "Flyin'high - il volo del Canadair", è però indipendente dal racconto principale.
[REVISIONATA]
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crocodile, Jinbe, Nuovo, personaggio, Portuguese, D., Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Flyin’ high'
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Questa storia è uno spin-off della long fiction "Flyin'High - Il volo del Canadair", che però può essere letta indipendentemente dal racconto principale. 

Lilian è una ragazza conosciuta da Ace mentre viaggiava in cerca di Barbanera che quando ha saputo che l'amico era finito ad Impel Down non rimane con le mani in mano e rispolvera antichi rituali per arrivare -in un modo o nell'altro- da lui. In questo universo alternativo non si sa se Lilian sia effettivamente riuscita nel suo intento di liberarlo, noi speriamo di sì. Del resto, nella trama principale non si fa mai nemmeno accenno a questi antichi riti di sua conoscenza. Chiedo scusa ai lettori per eventuali imprecisioni, o se nel descrivere Impel Down mi sono presa qualche licenza poetica, come la sparizione (o la sordità?) sistematica di tutti i secondini. E adesso vi lascio a...



VISITE NOTTURNE AL PRIGIONIERO CONDANNATO


Ace! Ace, mi senti?

Lilian non l’aveva detto a nessuno che il suo potere andava oltre la semplice difesa dall’Haki. Niente Frutti del Diavolo. Semplice collegamento mentale, rituali antichi di millenni, improvvisazione, canzoni nell’aria, formule scritte su cartigli arrotolati e tenuti fra le dita. Il suo corpo non sarebbe riuscito ad entrare in quella squallida prigione o ad uscirne vivo, ma una sua proiezione, una sua immagine, uno spirito tremolante e sfocato, voleva far arrivare qualcosa di sé in quel luogo angusto, qualcosa che dicesse al ragazzo di non preoccuparsi, che lei sarebbe arrivata in qualche modo, che gli era grata di averla fatta scappare ma che lei avrebbe tentato disperatamente di tirarlo fuori da quella orribile situazione.

Ace! Dove sei, Ace?

In ginocchio in una radura in piena notte, con la falce di luna calante dritta davanti a lei, le baciava i capelli umidi e gli occhi chiusi dalle ciglia nere, la lunga gonna sventolava come una bandiera al centro del cerchio disegnato sulla nuda terra. Cercava un collegamento, l’alito di vento giusto che portasse il suo pensiero da quell’isola selvaggia e deserta a quella prigione affollata e torbida. Sua nonna. Sua nonna, anni e anni prima le aveva insegnato quegli antichi rituali, ma lei era una davvero una sensitiva, una di quelle donne che sollevano i chicchi di grano col pensiero e ritrovano i bambini nei pozzi. Anche la nonna di sua nonna doveva avere un dono simile, oltre un secolo prima, ma lei riusciva persino a comunicare con i morti. Ogni generazione il potere sfumava. Quello di Lilian Rea non era che una briciola di quello dell’ava.

Ma non le importava. Era difficile, la distanza fisica da colmare era troppa, però lei era testarda.

-Ehi! Ehi, ragazzo! Ace!- Jinbe, in quella cella dove il sole e la luna si fondevano in unico giorno tetro e senza fine, era l’unico sveglio. Inizialmente aveva creduto che fosse un’allucinazione, un frutto della sua mente ormai stanca, le prime avvisaglie di un cedimento, ma poi notò che dall’altra parte del corridoio altri carcerati stavano puntando proprio da quella parte, incuriositi da un avvenimento che li scuoteva dal torpore di quella giornata senza ore.

Era una sorta di luce, che però non illuminava, un riflesso, come un’ombra di quando si rimane sulla spiaggia al mattino presto però al contrario: non nera ma bianca, non solo una sagoma ma dei lineamenti precisi.

-Meno male, non la vedo solo io.- ghignò il prigioniero dall’altra parte del corridoio, notando lo sguardo di Jinbe che si guardava attorno per capire se vedesse solo lui quello strano fenomeno.

 

Dove sono!? Non posso aver sbagliato strada!

Vedo solo tanto nero, sembra di scendere in una caverna, però ci sono persone attorno a me. Le sento. Mi guardano con attenzione. Concentrati, trattieni il fiato come fai sott’acqua: sbarre, catene, bastonate. Sangue che scende a rivi, sudore, febbre.

 

Dopo alcuni minuti in cui non si capiva cosa fosse, ridotta com’era a fasci bianchi tremolanti, ora si vedeva chiaramente che si trattava di una donna dall’aria smarrita che cercava disperatamente qualcosa. Muoveva la bocca portandosi lì le mani a imbuto, come in una ricerca disperata, ma non produceva alcun suono. Ogni tanto spariva per alcuni secondi, ma poi ricompariva subito, come l’immagine di una televisione in bianco e nero disturbata da un temporale. I suoi piedi scalzi non poggiavano per terra, i capelli ondeggiavano come se fosse sott’acqua, la lunga gonna bianca si attorcigliava attorno alle sue gambe, ora scoprendole, ora nascondendole. Le braccia erano lunghe e le muoveva come se nuotasse nell’aria, il petto era coperto da una fascia bianca. Ogni tanto prendeva dei lunghi sospiri con la bocca aperta, come se si trovasse in immersione. Dopo alcuni minuti riuscirono ad intendere nitidamente la sua voce.

-Ace! Svegliati!- ormai Jinbe e Crocodile avevano assodato di non essere pazzi, ma l’uomo-pesce doveva svegliare quel testone del suo compagno di prigionia che si stava perdendo quella figura che si materializzava a fatica proprio davanti a lui e sembrava non poterli vedere, ma che chiamava distintamente il suo nome.

 

Ace! Ace, dove sei? Lo so, ne sono sicura, questa è una prigione! Non ce ne sono poi così tante, ma dammi una mano anche tu! Dimmi che non sto gridando alla luna come una pazza per nulla, dimmi che questa notte mi risponderai!

 

Lo spettro cominciava a perdere speranze, quindi Jinbe chiamava a gran voce quell’addormentato, sperando che i secondini non sentissero. Ma quali che fossero le conseguenze, Ace doveva assolutamente vedere quella donna che lo chiamava, chiunque fosse e qualsiasi cosa volesse.

-Che diavolo c’è, Jinbe?- biascicò il ragazzo.

-Davanti a te!- rispose l’uomo-pesce. Nell’attimo esatto in cui Ace aveva riaperto gli occhi, Jinbe aveva visto la ragazza portarsi le mani sulla bocca e saltare all’indietro dall’emozione, spaventata e angosciata.

 

Ace! Che diavolo ti hanno fatto!? All’improvviso, tra tutte quelle presenze, in quel maledetto pozzo nero in cui mi sento sprofondare, appare lui. Non mi aspettavo di vederlo comparire dal nulla così violentemente, pensavo emergesse dalle tenebre come avevano fatto le sensazioni che mi trasmetteva la prigione sotterranea, o gli altri prigionieri attorno a lui che mi avevano percepita.

 -Ace…- lo chiamo prendendo coraggio e avvicinandomi.

 

-Che c’è, Jinbe?- domandò il ragazzo, stanco.

-Non…  non la vedi?

-Ma cosa?- fece spaesato Ace aggrottando le sopracciglia. Guardò fisso davanti a sé, c’era Crocodile che guardava la scena con un interesse mai visto da parte sua. Quei due gli stavano facendo uno scherzo? Però in quella cella c’era effettivamente qualcosa di nuovo, un odore, una sensazione, una presenza… c’era odore di mare, di erba, di disordine e un’eco lontana…

 

Perché non mi vedi, stupido testardo!? Sono qui, sono vicino a te, sto accarezzando il tuo volto stanco e sporco di sangue, ma dove guardi!? Sono qua davanti! Dove mi cerchi?

Mi ero preparata a qualsiasi spettacolo che mi si sarebbe parato davanti, lo so che una prigione è il luogo peggiore dove si possa finire, che c’è chi non ne esce vivo per il trattamento riservato ai galeotti, che ci sono torture che non si possono nemmeno immaginare tanta il loro sadismo.

Ace è davanti a me ma non ci posso fare niente. Non credevo che sarebbe stato così crudele, per me, vederlo e non poter demolire la sua cella con qualcosa, un piccone, una pala, anche a testate avrei preso quel muro, pur di staccarlo da quell’agonia.

Mai e poi mai avrei voluto vederlo in quello stato, seduto all’indiana e con le braccia legate con le manette di algamatolite “ad angelo”, in alto, nella posizione più orribile e dolorosa, con il capo chino, i capelli arruffati e sporchi di polvere e sangue, il petto martoriato da ferite vecchie e nuove, sento la mia immagine tremare, qualcosa nel mio cuore e nel mio stomaco che va in frantumi e grida da qualche parte.

Mi avvicino, le mie dita inconsistenti gli accarezzano il volto e cercano di spostargli i capelli dagli occhi, ma lui non mi vede, non mi sente, si guarda intorno e io purtroppo non ho tutta la notte. Fossi stata mia nonna forse avrei potuto far di più, ma sono solo Lilian Rea.

 

L’immagine della ragazza tremolava e scompariva, mentre il suo volto era teso e si vedeva che faticava a non piangere. Jinbe la vide galleggiare timorosa verso il ragazzo, chiamandolo, ma lui continuava a non vederla, a guardarsi attorno smarrito; si era avvicinata e gli aveva preso il volto tra le mani eteree, cercando di farsi vedere dal prigioniero che qualcosa intuiva, ma non riusciva a vedere l’immagine opalescente davanti a lui, che lo guardava spaventata e cercava inutilmente di ravviargli i capelli e fermare il sangue che gli colava sulla fronte dopo l’ultima visita dei carcerieri.

-Lilì?- azzardò lui. -Lilì, sei tu?-

 

-Sì! Sì, sono io! Mi vedi, Ace?- ma lui non mi vede, me ne accorgo dallo sguardo. E adesso? E adesso!? L’intenzione era quella di rassicurarlo, non di stare ancora più in apprensione dopo aver visto com’è ridotto.

 

Le nuvole stavano accorrendo da nord, Lilian non aveva che pochi minuti per tentare l’impossibile prima che l’astro d’argento scomparisse e la lasciasse sola. La radura era ancora silenziosa, lei era ancora inginocchiata per terra come un crociato, con le braccia a croce davanti al volto.

Jinbe vide la ragazza fare due passi all’indietro, aggraziata e lenta, e descrivere un cerchio attorno a lei con le braccia tese. Per alcuni secondi non successe niente, e la figura lattea si inginocchiò per terra come il suo corpo nella radura, poi il cerchio si illuminò come se fosse fatto di fiamme blu, che cominciarono a vorticare attorno a lei, e scomparve alla vista del prigioniero risucchiata dal turbinio che si estinse in una fiammata più alta, portandosi via il fantasma.

 

Va bene, devo aver sbagliato qualcosa. Forse la formula, forse il cerchio. L’ho fatto in senso antiorario, sì? Allora riproviamo.

 

Lilian voleva tentare il tutto e per tutto; aveva eseguito il rituale in quella radura con la falce di luna e una sua proiezione aveva raggiunto Impel Down, ma Ace non riusciva a vederla: lui forse non aveva una particolare propensione per il soprannaturale, forse era troppo sfatto, probabilmente aveva sbagliato qualcosa nella formula, molto probabile se tutti la vedevano meno l’effettivo destinatario di tutto l’ambaradan, allora decise di  far eseguire il rito anche alla sua stessa proiezione, magari avrebbe funzionato. Tutta la prigione che percepiva attorno a lei svanì, ma rimase il ragazzo davanti ai suoi occhi.

Finalmente sollevò la testa e i suoi occhi neri incontrarono, senza ombra di dubbio, quelli della ragazza. Stando a quello che sapeva, era così che doveva andare: doveva esser vista dal prigioniero, non da tutto il resto della prigione.

-Lilì!- esclamò lui, con il volto finalmente solcato da un sorriso.

Lilian uscì dal cerchio di fiamma, che lentamente si spense.

Seduto dov’era incatenato, Jinbe non vedeva più la ragazza né la percepiva, però vedeva Ace che parlava verso qualcosa che era proprio davanti a lui. Crocodile aprì la bocca per proferire qualche battuta ironica, ma lo fulminò con lo sguardo, senza nemmeno ricorrere all’Haki: non si azzardasse a disturbare quel dialogo, per quanto potesse sembrare ridicolo vedere un compagno di cella parlare con il nulla.

 

Finalmente mi vede, ma per me è faticosissimo mantenere quel collegamento. -Mi senti?- chiedo timorosa avvicinandomi ancora e inginocchiandomi davanti a lui.

-Ma certo che ti sento… e ti vedo anche, quindi smetti di piangere così.- e per un attimo rivedo quel sorriso, che in realtà è un ghigno che sa di presa in giro.

 

Lilian non sapeva nemmeno di star piangendo, si sentiva le guance calde ma pensava fosse per l’emozione. Tentò di pulirsi con il dorso della mano, ma essendo un puro spirito come non aveva potuto toccare Ace non riuscì a toccare neppure se stessa.  

 

Fisso le braccia muscolose e le spalle da lottatore tese verso l’alto, e quella maledetta catena. Ci guardiamo senza sapere esattamente cosa dire, ma non c’è dolcezza nei nostri sguardi. Solo un’immensa tristezza, un senso di impotenza che ci schiaccia.

Una mia mano bianca e trasparente gli accarezza il collo, lui si gira per toccarla con il volto.

-Si percepisce qualcosa, sai?- mi sorride. -Sei all’aperto, vero?

Lo ignoro, dove mi trovo non ha importanza.  -Resisti, ti prego, verrò a prenderti in qualche modo.-

-Non venire.- interrompe lui. -Non correre rischi inutili per me.- sussurra mesto.

-Maledetto stupido.- bisbiglio cercando di abbracciarlo, ma sono così trasparente che per poco non lo oltrepasso, cadendo nel muro che ha dietro. -Basta con questa storia, me ne frego chi sei o chi pensi di essere, se ti voglio salvare lo faccio.- termino con un ringhio. -Questa forma era l’unico modo per venire qui, se ci fossi davvero avrei distrutto tutto il muro pur di liberarti.-

 

Lilian si staccò dal ragazzo, cadde sul pavimento gattoni portandosi una mano alla testa; la sua immagine era sempre più trasparente, sempre più tremula, vedeva sfocato e non riusciva a tirarsi su. Ormai la concentrazione la stava abbandonando, e anche la luna, lì alla radura, cominciava a cedere il passo alle nubi cariche di pioggia.

-Ehi! Lilì! Che succede?- esclamò lui preoccupato, facendo tintinnare le pesanti catene nel tentativo di lanciarsi in avanti.

-Cazzo, non ce la faccio più!- imprecò la ragazza. Ormai stava per cedere, come quando si corre per troppo tempo e si vorrebbe solo stramazzare al suolo.

-Lilì! Lilì ti prego!- supplicò Ace facendo voltare persino Jinbe che per lasciargli un po’ di privacy che naturalmente non aveva si era girato dall’altra parte. -Lilì, non venire! Non ne vale la pena, davvero.

 

Sollevo la testa e lo guardo furibonda. - Se avessi trovato il modo di venire qui, ti avrei già portato via da un pezzo! Troverò una soluzione, te lo giuro… non ti abbandonerò così!

-Lasciami perdere.-

-No, Ace. Non io.- ringhio. Ringhio e piango nel tentativo disperato di aggrapparmi a lui, di proteggerlo con questo inutile corpo fatto di aria, di fumo e di lacrime.

-Volevo salutarti in maniera decente, e invece guarda che mi fai fare…- sorrido mentre sparisco perdendomi negli occhi del ragazzo, neri e lucidi come l’ossidiana in riva al mare. 

  
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