Fanfic su attori > Orlando Bloom
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Autore: Sundance    20/01/2008    3 recensioni
... I miei occhi risalirono il suo braccio fino al torace, proseguirono sul collo e si fermarono sulle labbra. Notai che sembrava giovane, cosa che si ricollegava bene alla voce, e che si era fatto la barba evidentemente. Poi in un impeto di coraggio estremo alzai di scatto gli occhi e li puntai nei suoi.
E mi sciolsi.
E capii perchè conoscevo quella voce.
Perchè la sentivo risuonare nella mia testa nei momenti più impensabili, perchè aveva pronunciato frasi che avrei sempre ricordato, perchè un "Depends on the one day" assume tutt'altra forma e sensazione quando è quella voce che lo dice.
E compresi anche che se mai avessi potuto sperare di incontrarlo, non sarebbe mai, MAI stato con il trucco sbavato da lappate di cane, i pantaloni sporchi per la caduta e l'espressione di una che sta per collassare.
Completata (sorpresa: capitolo 39 più epilogo)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina dopo, fatta colazione, presi il bus e andai a lavoro. Ci mettevo davvero poco, perciò me la presi comoda. A lavoro, la prima grande novità fu il "Good morning, Luna" di Mrs Meadows, e i segni di vittoria da parte delle mie compagne. Trovammo il tempo, durante la pausa pranzo, anche per insegnarci a vicenda come mandare a quel paese uno scocciatore in quattro lingue, il che generò una serie di risate, perchè io con il tedesco sono sempre stata una frana, e Cynthia la erre francese non sapeva proprio arrotolarla.
Passai una buona seconda giornata di lavoro, e così una terza. Arrivai al venerdì stanca ma entusiasta.
Visto che avevo pagato in anticipo la casa, decisi che col mio primo stipendio sarei andata a fare compere. Perciò il sabato mattina mi diressi a Oxford Street e da lì girai ogni singolo negozio.
Acquistati una camicia bianca, una giacca lunga scura, due dolcevita bordeaux e un paio di jeans scuri, mi sentii abbastanza soddisfatta da non spendere oltre. Era quasi l'ora di pranzo, perciò mi fermai in un cafè molto carino che avevo adocchiato all'andata, prima di gettarmi nei negozi. I tavolini neri e lucidi e le sedie del medesimo colore mi attiravano particolarmente, oltre al fatto che era in un posticino tranquillo e riparato.
Mi sedetti e posai le buste a terra, presi un menu e controllai la lista.
Passò un filo di vento, e mi strinsi nella giacca, chiudendo gli occhi. I miei erano contenti per me, mia sorella stava già programmando una visita, avevo decorato l'appartamento con il mio stile personale aggiungendo qua e là un quadretto colorato, un vaso con dei fiori, e quegli animaletti di sabbia e peluche che si comprano alle bancarelle, cosicché adesso lo sentivo proprio mio. Avevo un lavoro che mi piaceva ed uno stipendio decisamente ok. Respirai profondamente l'aria e qualcosa mi attrasse. Un profumo, leggero ma intenso al tempo stesso, una fragranza che, pensai, fosse uscita dal reparto profumeria di un negozio, ma in qualche modo più familiare, più... conosciuto.
Un flashback improvviso.
Conoscevo quel profumo.
E spalancai gli occhi.
"Hi."
... E mi si fermò il cuore.
"... hi."
Stava di fronte a me, avvolto in una giacca scura, una sciarpa color miele a nascondergli la gola. Un sorriso gli illuminava il viso, e fui catturata dal suo sguardo. Era profondo, e mozzafiato come ricordavo.
*Riprenditi.*
Sgranai un sorriso malizioso e domandai: "Sidi oggi non c'è?"
Lui sorrise divertito:
"No, non è il caso che lo porti con me oggi. Devo andare... in un posto."
"Oh."
*Fai qualcosa, non stare a fissarlo e basta.*
Mi salva lui.
"Ti ho disturbata? Stavi..."
"Eh? Oh, no, no, affatto. Mi godevo l'aria. Hai fatto bene a fermarti."
"Ti ho vista qui, stavo passando, e ho pensato di salutarti, vedere come stavi..."
Pronuncia queste parole con una tenerezza che mi stringe l'anima.
"Sono contenta che tu l'abbia fatto. Siediti, dai, non restare in piedi."
"Oh, beh... va bene."
Si siede e si toglie la sciarpa. Il suo profumo adesso è più forte, e mi investe in pieno. Faccio finta di nulla.
"Ho fatto un pò di shopping, ma devo pranzare. Mi fai compagnia? Se non sei di fretta, naturalmente."
"No, ho tempo. Ma non ho voglia di mangiare... Ho lo stomaco chiuso."
"Oh no, che c'è, stai male?"
*Ci hai messo troppo interesse, non sbilanciarti!*
"No, grazie, sei carina a chiederlo. No, è che... sono teso."
Lo guardo incuriosita, ma lui ha chinato la testa sul menu. Sta facendo finta di leggerlo, lo vedo bene: i suoi occhi non si muovono di un centimetro.
"Qualcosa non va?"
Alza lo sguardo e incontra il mio. Non lo distolgo, prendo coraggio di nuovo.
"Vuoi parlarne?"
Sorride e risponde:
"Non è niente di grave. E' che ho un provino."
Devo controllare la mia espressione perplessa. Lui è in crisi per un provino?
"Per il teatro. Sai, è da diverso tempo che non faccio teatro, ultimamente ho recitato solo in film, e ho paura di essere un pò arrugginito. Il teatro non è come il cinema: inutile avere un curriculum prestigioso, se dipendi troppo dalla camera di ripresa."
Lo capisco. Certo che è diverso: gli attori di teatro non possono permettersi di sbagliare, nè di rileggere le battute tra una scena e l'altra per impararle. Quando si apre il sipario, tutto deve essere al suo posto, fino alla fine.
"A che ora lo hai il provino?"
"Alle 15."
Sto maturando una decisione disperata e folle.
"Senti, se non ti dà fastidio nè ti mette a disagio, posso accompagnarti. Così non affronti la prova da solo. Io sono libera."
In tutti i sensi, ma concentriamoci sul discorso e basta.
Lo vedo passare dal preoccupato al sorpreso, poi al pensieroso. Temo di aver detto qualcosa con troppa foga. Chino lo sguardo e faccio finta di niente, ma non mi riesce, per cui lo guardo di nuovo.
"Verresti?"
Mi sento spalancare la bocca.
"Vuoi seriamente che venga?"
"Solo se non è un problema o un peso, però..."
*Ma sei scema, articola qualcosa!*
"No, altrimenti non te lo avrei proposto. Non è affatto un peso e tantomeno un problema. Te l'ho detto, sono libera. Se posso accompagnarti, lo faccio molto volentieri." E sorrido convinta.
Anche lui mi regala un sorriso. E anche ora mi parte un battito in più.
"Grazie. Davvero. Sono sicuro che se mi andasse male non mi permetterai di deprimermi."
Mi sciolgo a questa affermazione. Posso prenderla come un seppur vago e distratto "ho bisogno di te"?
Rispondo con convinzione e calma.
"Io sono sicura che non ti andrà male, ma se accadesse l'impossibile, garantisco che non avrai tempo di deprimerti. Ho un'ottima tattica."
Sorride: "Davvero? Quale sarebbe?"
"Non ne ho idea, ma mi verrà in mente."
Scoppia a ridere, e lo imito.
"Scusa, non voglio rischiare di portarti sfortuna dicendola prima del tempo. E poi non ti ci fissare. Pensa che sei un attore con la A maiuscola, che dopotutto hai iniziato col teatro e che quindi puoi farcela. Il resto verrà da sè."
Mi lancia uno sguardo divertito e ironico:
"Allora qualcosa di me sai."
*Brava, brava, complimenti.*
"Sei inglese, tutti gli attori inglesi fanno rodaggio in teatro."
*Brillante replica. Scema.*
Mi guarda divertito.
"Penso. Poi non lo so, dimmelo tu."
"Per un certo verso hai ragione, dopotutto."
"E dall'altro?"
"Sei una brava scalatrice di specchi." E ride. E io arrossisco, ma lo imito comunque.
"Concedimelo, sei sulla scena da quando ero al liceo, tutte le mie compagne cercavano di saperne di più su di te... evidentemente qualcosa in mente mi è rimasto." Parlo a bassa voce perchè non mi senta nessuno. Lui lo capisce, perchè si avvicina tendendosi verso di me:
"Allora è solo buona memoria?"
Lo guardo. Ma il brillìo ironico delle pupille non mi frega, stavolta:
"In realtà no, la sola ed unica verità è che sono cotta di te."
E aggiungo, da attrice consumata, un sospiro drammatico:
"Che vuoi farci, l'amore e la vita sono alleati crudeli."
Faccio finta di asciugarmi una lacrima e lo vedo ridere di cuore. Ma stavolta resto solo a guardarlo. E' radioso, è perfetto... aria fresca quando fa caldo e un morbdio abbraccio nel freddo pungente. E' essenziale. Ecco la parola giusta. Lui mi è essenziale.
E mi sento sorridere guardandolo.
Il cameriere ci viene vicino e sorride anche lui. Poi chiede se siamo pronti per ordinare.
"Ops." Io non ho nemmeno controllato, alla fine.
"Andiamo sul classico sapore di casa... spaghetti al ragù."
Orlando sorride e annuisce:
"Lo stesso, grazie."
"Pensavo non avessi fame", esclamo stupita.
"Sono meno nervoso. Se la tua tattica era questa, funziona alla grande."
Mi si imporporano le guance, lo sento. Ma con nonchalance riprendo:
"Visto? Non posso deludere chi conta su di me."
"Ne ero certo già da prima."
Colpo basso. Allora dillo che ti piace vedermi arrossire.
Quando alzo nuovamente lo sguardo noto che, come prima, si è avvicinato. Mi sta studiando con lo stesso sguardo che gli ho visto utilizzare nei suoi film, quando l'occasione richiede attenzione e sicurezza. Balbetto:
"Che cosa c'è?"
Sbatte le palpebre, ma non smette di fissare i miei occhi. Il suo sguardo si posa a turno sul destro e sul sinistro, poi spalanca i suoi e si tira un poco più indietro.
"Hai gli occhi verdi. E... di due colori diversi."
Tu-tump. Tu-tump. Vale la pena di morire di infarto per un'occhiata così intensa.
"Ehu... s-sì. Il sinistro è più chiaro, si nota di più."
"Quando ti vidi ai Kensington Gardens, infatti, mi era sembrato di aver notato la sfumatura. Ma l'ultima volta credevo di essermi sbagliato."
"Oggi c'è il sole, con la luce è diverso. O con l'acqua di mare. Dovresti vedere la mattina quando mi sveglio!"
*ZITTA, TACI, PER L'AMOR DEL CIELO!*
O mamma! Mica lo avrà preso come un invito eh?!
"Comunque sì, sono verdi. Mh-mh" concludo, abbassando la testa e incrociando le braccia sul petto. Che idiota. Ma quanto sarò scema da uno a dieci? Novemila?
Silenzio. Non oso alzare la testa. Sento uno sbuffo. Arrischio un'occhiata. E lo vedo sghignazzare, cercare di trattenersi e di nuovo ridere.
"Che c'è?"
Scoppia a ridere e indica il cucchiaio: lo alzo e mi ci vedo riflessa. No, aspetta, non sono io. E' un pomodoro coi miei vestiti e i miei capelli, quello.
Rimetto giù il cucchiaio e sospiro: "Non riuscirò mai a restare del mio colore naturale, così."
"Posso... sapere..." non ce la fa a dirlo, per quanto ride. Poi scuote il capo e si trattiene:
"Posso sapere cosa hai pensato di tanto imbarazzante per diventare bordeaux?"
"Nulla, lascia stare, ti supplico."
Arrivano gli spaghetti. Grazie cameriere, mi hai salvata. Ti lascerò una super mancia. Acqua? Che acqua?
"Naturale ti va bene?"
"Oh, ehm, si, benissimo, grazie."
Il cameriere segna tutto e va via.
"Bene, ehm..."
"Buon apetì-to."
Lo guardo a bocca aperta. E lui stavolta non sembra così sicuro:
"Ho sbagliato? Non dite così?"
"Eh? No, no, cioè, sì, sì, esatto. Bravo. Buon appetito"
Sorride e impugna la forchetta. E io controllo il cuore, di nuovo.

Qualche nuvola nasconde il sole. Speriamo che non piova. Lui sembra pensare lo stesso, poi alza la bottiglia dell'acqua e mi lancia uno sguardo interrogativo. Faccio cenno di no. Che bello, adesso comunichiamo anche a gesti, e ci capiamo pure.
*Ma va? Nessuno dei due è deficiente. Lui certamente no, di te sono meno sicura.*
"Cosa hai comprato?"
"Ahm... jeans, giacca, camicia e due dolcevita."
"Che colore?"
Rifiuto di arrossire.
"Bordeaux."
"Sarai in tinta unita."
Lo sapevo. Lui ridacchia, io gli lancio uno sguardo che nelle mie intenzioni dovrebbe essere assassino.
"Perfido. Non vale prendere in giro."
Alza la testa sorridendo e mi fissa.
Non vale neppure togliermi il respiro. Si fa serio, poi di nuovo sorride.
"Avevi ragione: senza luce sembrano più scuri dei miei."
Ah, gli occhi. E già. Faccio per sorridere, ma percepisco che qualcosa non va. E' diventato troppo serio. I miei occhi non c'entrano.
"Che cosa c'è?"
"Scusa?"
"Qualche brutto pensiero? Hai un'aria... amareggiata."
Infatti da perplesso torna cupo. Poi senza guardarmi risponde. Piano.
"Non sei la prima persona che incontro ad avere un occhio diverso dall'altro."
"Oh. Qualche tuo amico?"
E ricordo.
Un altro flashback tremendo.
Tremendo perchè è maligno per lui.
Lo ricordo mentre alza lo sguardo a incrociare il mio.

///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////FlashBack///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
"Ma possibile che questa qui, dico questa qui, che è scialba e non sa di niente, con quel ghigno sempre stampato in faccia come se lo avesse murato, stia con un figo da paura come lui da anni? Cioè, ma è da ricovero!"
Mia sorella è precisa nelle descrizioni di chi detesta. Ci mette tutta una grazia mefistofelica.
"Magari lo ama."
"Magari è imbecille."
"Chi, lui o lei?"
"Ma come si fa! Ma lo sai che si erano lasciati, e quando lui le ha comprato l'anello allora subito è corsa da lui?"
"Ma Linda, ma che ne sai, saranno affari loro... noi che c'entriamo. Non ne sappiamo nulla."
"Tu fai pure la brava. Io mi riservo di pensare tutto il male possibile. Preferisco credere ai giornaletti, per una volta."
Ed era uscita dalla stanza. E guardando la posa rigida della ragazza bionda dagli occhi azzurro-castani, unico pregio che le riconosco perchè mi ricordano quelli di Alessandro Magno, accanto a Orlando, paragonandola alla dolcezza con cui lui le stringe il fianco, mentre lei sembra scostarsi per non sgualcire il vestito, rifletto tra me e me che forse mia sorella, più giovane ma più sveglia, ha ragione. Ma non so che cosa farci, perciò ripiego la pagina ed esco dalla camera.
///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////FineFlashBack///////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////

Per questo frammento di passato immagino la sua risposta prima che la pronunci.
"La mia ex-fidanzata."
Stavolta non sono capace di arrossire. Le mani mi diventano gelide, e anche le mie guance devono essere impallidite.
Chino lo sguardo e la testa, maledicendomi.
Perdonami, ti prego perdonami, non avrei mai, mai voluto farti male.
"Mi dispiace tanto. Sono profondamente mortificata."
Scuote il capo, con finto disinteresse.
Mi conficco le unghie nelle mani. Stupida. Anche la voce interiore tace. Certo, non posso offendermi più di così. Mi sono fatta male da sola. Mi fermo su quel pensiero. Mi sono fatta male da sola perchè temo di aver ferito lui.
*Andiamo male, ragazza.*
Alzo lo sguardo e mi butto:
"Posso picchiarmi da sola per aver toccato un tasto dolente, ma se vuoi farlo tu comincia pure."
Riporta lo sguardo su di me e mi guarda perplesso. Poi sorride.
"Ma non ci pensare. Non è colpa tua. Che cosa ne sapevi?"
"Potevo farmi gli affari miei" mormoro.
Lui si sporge in avanti e posa le sue mani sulle mie. Di scatto alzo lo sguardo e lo punto nel suo. Sta sorridendo dolcemente.
"Luna, stavamo chiacchierando. Non hai infranto nessuna privacy, praticamente ti ho messo in bocca io la domanda, il primo a parlarne sono stato io. Non colpevolizzarti."
Azzardo un sorriso, che lui ricambia.
"E' una cosa passata. E poi ne sto parlando con te, non con un giornalista."
Fingo di rilassarmi.
"Oh, sicuramente sono più simpatica io."
"Puoi scommetterci."
E mentre mi lascia andare le mani sorridendo, mi colpiscono due pensieri.
Aveva notato la sfumatura dei miei occhi al primo incontro.
Sta parlando con me, non con un giornalista. Perchè i giornalisti sono estranei a caccia di notizie. Io non sono opportunista.
E allora mi colpisce una terza riflessione: significa che per lui non sono nemmeno solo un'estranea.

A fine pranzo, dopo un bel caffè, ci alziamo. Tira fuori il portafoglio prima che lo faccia io, ma non ascolta minimanente le mie proteste.
"Ma scusa, ti ho invitato io a pranzo."
"Siamo in Inghilterra, patria dell'educazione, per cui sta a me offrire."
"Che fai, prendi in giro?"
"No, ti cito."
Mi blocca a metà gola la replica che volevo fare.
Si ricorda ogni mia frase?
No. Si ricorda ogni mia gaffe.
Razionalizza un pò, Luna. Lo guardo mentre mi aiuta con le buste, insistendo per portarne almeno un paio.
Lo lascio fare sorridendo, poi scocco la mia domanda-frecciatina:
"Quindi adesso siamo pari?"
Mi guarda incuriosito, poi afferra la sua citazione e risponde ironicamente:
"Solo finchè Sidi non ti butta ancora per terra."
E al ricordo della famosa scena ci allontaniamo dal cafè ridendo di gusto.
  
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