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Autore: Acinorev    08/07/2013    20 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Capitolo 11

 

Vicki.
 
Ok, dovevo solo respirare tranquillamente e smetterla, di camminare avanti e indietro sotto lo sguardo stranito di Stephanie.
Insomma, si trattava solo di un messaggio.
«E se non risponde? Magari… Magari ho solo fatto la figura della stupida! Perché diavolo gliel’ho mandato?» sbottai, stritolandomi le mani l’una con l’altra mentre le mie labbra chiedevano pietà, sofferenti per tutti i morsi che dovevano subire.
La mia amica alzò gli occhi al cielo, sbuffando: «Vic, piantala – ordinò, guardandomi come una madre guarderebbe la figlia adolescente in piena crisi adolescenziale. – Gli hai mandato quel messaggio perché sei una persona matura – nonostante credo che tu stia solo perdendo tempo - e, se lui non risponderà, vorrà dire che non lo è altrettanto. Devi solo stare tranquilla» cercò di rassicurarmi, incrociando poi le braccia al petto.
Io per attimo mi fermai a guardarla, con la fronte corrugata e mille pensieri per la testa: «No, no e ancora no – sospirai, riprendendo a camminare. – Sono una stupida» decretai, passandomi una mano tra i capelli.
Non era normale che fossi così agitata, non lo era affatto.
«Oh, guarda – esclamò Steph, prendendo in mano il mio vecchio Nokia, lasciato volontariamente sulla superficie di pietra di una delle fontane di Trafalgar Square dove eravamo. – È giusto arrivato un messaggio» annunciò, alzando un sopracciglio.
Mi immobilizzai, spalancando gli occhi per la sorpresa e il terrore: terrore di cosa, poi?
«Ok. Ti passo a prendere tra poco. Dove sei?» lesse lei ad alta voce, facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva.
Mi voltai per osservarla e per qualche secondo non dissi nulla, rielaborando le informazioni nella mia testa: fu proprio Stephanie, però, a riscuotermi.
«Vic, mi sembri una deficiente, sul serio» disse, inclinando il capo da un lato.
«Senti, non lo so nemmeno io perché sia così agitata!» ammisi, arrendendomi alle sue parole, tanto vere quanto difficili da accettare. Si trattava solo di un incontro per parlare: un pacifico scambio di opinioni e spiegazioni. Niente di più e niente di meno. Il mio corpo, però, sembrava essere restio a capirlo.
«Ma sei sicura di volerlo incontrare? Insomma, a me sembra solo un gran casino: da come si è comportato, non mi ha dato l’impressione di essere… come dire? Abbastanza a posto col cervello» spiegò, cercando di convincermi. Secondo lei non avevo nessun motivo per agire in quel modo, perché era convinta che mi sarei messa solo in grandi casini, e io sospettavo di sapere a quali si riferisse.
«A meno che non ci sia dell’altro» aggiunse, assottigliando gli occhi come se stesse scrutando la mia reazione.
Io scossi la testa velocemente, avvicinandomi a lei per riprendermi il telefono e rileggere il messaggio appena ricevuto: ora che ci pensavo, avrei anche dovuto chiedergli come avesse ottenuto il mio numero.
«Non c’è dell’altro» la corressi, senza guardarla.
«Avanti, ammettilo – mi spronò, assumendo quel tono di voce che sembrava urlare “tanto ti conosco, so di aver ragione”. – Ammetti che quel bacio rubato ti ha scombussolata; che il suo modo di scappare dopo aver parlato della sua ex ragazza morta ti ha mozzato il fiato; che, le sue labbra, le ricordi ancora…»
«Steph, non dire stronzate» la ammonii, a disagio. Aveva pronunciato quelle parole solo per prendermi in giro, per prendersi gioco del mio modo d’essere, e io ero stata colta sul vivo. Non perché Zayn mi interessasse davvero o perché quei piccoli baci stonanti mi fossero piaciuti, ma solo perché c’era qualcosa che mi invitava a… A fare non so nemmeno cosa. Avevo ripensato a quello che era successo tra di noi davanti a quella tavola calda, è vero, ma non per le ragioni che insisteva a ripete Stephanie.
«Allora perché non hai fatto lo stesso con Louis?» domandò, guardandomi come se stesse aspettando che io le dessi ragione da un momento all’altro.
Louis.
Quel nome mi provocava ancora del movimento, al centro del petto. Ed io ero un’ipocrita, perché non era solo quello a farmi un determinato effetto: erano i suoi occhi, impressi nella mia mente, le sue mani, la sua pelle, i suoi capelli, i suoi tatuaggi sulle caviglie e quella sua strana espressione beffarda. Tutto di lui provocava una specie di uragano dentro di me: e mi mancava, anche se il suo comportamento era stato abbastanza discutibile, anche se mi aveva portato quella stupida foto due giorni prima, anche se io ero una povera illusa che si era aggrappata disperatamente all’idea di un ragazzo con il quale era uscita solo poche volte.
Abbassai lo sguardo e strinsi la presa sul mio cellulare: «Perché lui… - mi morsi una guancia, cercando le parole adatte. – Perché è un maledetto stronzo e non mi va di incontrarlo» dissi poi, stupendomi per prima.
Lo sguardo di Steph, d’altronde, non era da meno: «Sei consapevole del fatto che questa storia non sta in piedi? – chiese poi, stringendosi la coda di cavallo che le raccoglieva i capelli bruni. – Fino a prova contraria, Zayn è stato più stronzo di Louis, se vogliamo essere precise: ti ha trattata da schifo sin da subito, senza parlare poi di quel bacio che Dio solo sa cosa volesse dire. E tu non ti sei fatta problemi a chiedergli di vedervi per… chiarire – disse, mimando le virgolette su quell’ultima parola. – Da come parlavi di Louis sembrava ti avesse praticamente conquistata, eppure quando ti ha piantata in asso non gli hai nemmeno risposto: non hai fatto nulla per chiedere spiegazioni» concluse. E aveva maledettamente ragione.
Inspirai profondamente, tornando a fissare lo schermo del telefono, sul quale lampeggiava ancora il messaggio di Zayn: gli risposi velocemente, sospirando subito dopo mentre mi guardavo intorno.
Come potevo spiegare a Stephanie che avevo paura di Louis? Che il suo sguardo, quello che mi aveva rivolto quando mi aveva scaricata senza tante storie, era ancora davanti a me, a mettermi a disagio? Che, nonostante avessi sospettato una certa gelosia da parte sua per quello che era successo con il suo amico, continuavo a temere un confronto con lui? Come se avesse potuto ridermi in faccia nel momento della verità?
Il mio ragionamento era illogico, ma c’era qualcosa che mi impediva di andare da Louis e chiedergli spiegazioni: non volevo ripetere la scena di me, imbambolata davanti ai suoi occhi di ghiaccio a scrutarmi come se fossi una sconosciuta.
«Lascia perdere» mormorai, fissando il cemento ai miei piedi.
La mia amica sospirò e si alzò dalla fontana per avvicinarsi a me: «Sto solo cercando di dirti che devi stare attenta…»
«Perché mi conosci» la anticipai, spostando i miei occhi scuri nei suoi, di un verde stranamente brillante a causa del sole del primo pomeriggio.
«E perché so che il tuo smisurato romanticismo potrebbe… Sì, insomma, hai capito» disse, gesticolando.
Annuii e mi crogiolai nel pensiero che la mia migliore amica mi conoscesse così bene: non stava più parlando di Louis, ma di qualcos’altro. Sapeva perfettamente che io ero una specie di cacciatrice di emozioni, di passioni, di sentimenti. Ovunque andassi, non potevo non soffermarmi sui tormenti degli altri, soprattutto quelli che riguardavano quel dannato cuore: forse aveva già capito che Zayn rientrava in uno di quei casi. Forse, dal racconto che le avevo regalato sulle sue espressioni, sui suoi occhi che sembravano chiedere aiuto, era riuscita a cogliere l’attrazione che sentivo verso di lui: un’attrazione dettata dalla sua situazione e dal suo tormento.
Ero strana, questo era risaputo, ma ero in qualche modo curiosa di rivedere di Zayn.
«Cazzo, è tardi - imprecò all’improvviso Steph, battendosi una mano sulla fronte. – Quindi dico a Clarissa che non ci raggiungerai?» mi chiese, riferendosi alla nostra amica, che ci aveva invitate da lei per un pomeriggio tra ragazze. Annuii e risposi con un’alzata di spalle: «Dille che mi dispiace».
«Ok – acconsentì lei. – Ma tu fammi sapere tutto, quando torni a casa!»
«Ti chiamo» le assicurai, prima di lasciarle un bacio su una guancia e guardarla allontanarsi.
Trafalgar Square, intanto, cercava di placare la mia agitazione con la sua caoticità.
 
Cercai di inspirare quanta più aria possibile, mentre un uomo scendeva dall’auto scura per sorridermi cordialmente ed aprirmi la portiera: io ricambiai il sorriso ed entrai nell’abitacolo, dove Zayn era seduto affianco al finestrino con gli occhi seri puntati su di me.
«Ciao» salutai, sentendo la portiera chiudersi dietro di me. Lui mi rivolse un cenno del capo e la macchina ripartì, senza che io sapessi dove ci stesse portando.
Mi strinsi nelle spalle, godendo dell’aria condizionata che contribuiva a formare un enorme sbalzo termico con la temperatura troppo alta dell’esterno.
«Va bene se andiamo da me?» chiese Zayn, attirando il mio sguardo su di sé.
Annuii e «Avrei potuto raggiungerti lì» esclamai, sentendomi quasi come un peso.
«Ero già in giro» spiegò. Mormorai un “grazie” e cercai di accompagnarlo con un sorriso, che però lui si limitò ad osservare: il mio stato d’animo si stava pian piano tranquillizzando, forse perché mi stavo finalmente rendendo conto che tutta la mia agitazione non aveva motivo d’esistere. Guardai fuori dal finestrino, per niente propensa ad accennare all’argomento di cui volevo parlargli di fronte all’autista, o guardia del corpo, o qualsiasi cosa fosse.
Nessuno di noi disse un’altra parola, fin quando l’auto si fermò di fronte casa di Zayn: la ricordavo vagamente dal giorno della festa di compleanno di Abbie, ma alla luce accecante del sole era diversa. Cacciai via i pensieri di quello che era successo nella sua cucina, delle parole dure che mi aveva rivolto, quando mi ritrovai sul marciapiede, con l’uomo di prima che mi sgridava bonariamente per non aver aspettato che si dimostrasse un cavaliere aprendomi la portiera. Dopo alcuni convenevoli e sorrisi di cortesia, mi decisi a seguire Zayn all’interno del grande portone dentro il quale si era rifugiato in fretta e furia, forse cercando di non essere riconosciuto da nessuno nei paraggi.
Il silenzio, lo stesso che ci stava accompagnando come se non potesse essere altrimenti, divenne insopportabile per me, quando ci ritrovammo soli nell’ascensore: gli occhi scuri di Zayn erano puntati di fronte a sé, mentre i miei scrutavano i suoi, facendomi chiedere cosa nascondessero.
«Come procedono le registrazioni del nuovo disco?» azzardai, ricordandomi di Louis che mi aveva accennato della cosa in una delle nostre uscite.
Louis.
Attirai la sua attenzione e forse anche il suo stupore: «Bene, grazie» rispose semplicemente, tornando a guardare le porte dell’ascensore. Non aveva usato un tono sgarbato, né annoiato, ma semplicemente… civile. Le sue labbra si erano mosse come se ci tenessero, a mantenere la calma e a tenere la situazione sotto controllo, ma anche come se avessero cercato di non lasciarsi scappare qualcosa che era meglio tenere per sé.
Sospirai per il sollievo, quando un paio di note registrate annunciarono l’arrivo al piano di destinazione: Zayn camminava tranquillo, con i pantaloni neri che rendevano ancora più magre le sue gambe e la maglietta a maniche corte bianca che lasciava scoperti i numerosi tatuaggi sulle sue braccia. Io non potevo fare altro che seguirlo, impaziente di parlargli e di mettere le cose in chiaro: d’altronde, se aveva accettato di vedermi, era anche plausibile che fosse stato pronto ad affrontare l’argomento.
Mi fece entrare in casa, comportandosi come un gentile padrone di casa mentre mi chiedeva di accomodarmi e se volessi qualcosa da mangiare o da bere: io avevo preso posto sul divano, lo stesso sul quale ci eravamo seduti per giocare al karaoke quella sera, ma avevo declinato ogni altra sua offerta.
Quando lui tornò dalla cucina con una bottiglietta d’acqua naturale, lo osservai sedersi al mio fianco e bere a grandi sorsi: la pelle olivastra accolse un rivolo d’acqua sfuggito dalle sue labbra, ma fu subito asciugata con un movimento del dorso della mano.
Poggiò la bottiglia a terra e si voltò verso di me, come se stesse aspettando di sentirmi parlare. L’avrei accontentato, perché anche io non aspettavo altro.
«Perché mi hai baciata?» chiesi, senza peli sulla lingua. Schietta e decisa. Non avevo intenzione di girarci intorno.
Potevo giurare che per un attimo le sue iridi avessero rispecchiato una certa sorpresa, ma non mi arresi quando lui non rispose alla mia domanda: «Vorrei davvero saperlo, perché sinceramente mi hai un po’… confusa» ammisi, continuando a guardarlo. Lui non sembrava avere problemi nel ricambiare lo sguardo, a differenza di quando si ostinava ad armeggiare con l’iPhone mentre era al tavolo con me: era come assorto e il suo viso non esprimeva nessuna emozione.
All’improvviso, però, un sospiro lo portò a passarsi una mano tra i capelli: alzò gli occhi al cielo e fissò un punto di fronte a sé, immobile.
«Avevo voglia di farlo» esclamò, facendomi corrugare la fronte.
«Avevo voglia di baciarti» ammise, tornando a guardarmi. In quell’esatto momento, mi accorsi di star trattenendo il respiro: c’era qualcosa, nel suo modo di osservarmi, che sembrava incatenarmi a lui. Inoltre, quella confessione mi aveva leggermente sconvolta: certo, era normale che avesse voluto baciarmi, dato che l’aveva effettivamente fatto, ma erano altre le cose che non mi spiegavo.
Deglutii a vuoto, cercando di mantenere la calma: «È questo che non capisco. Perché? - insistetti, provando ad esprimermi meglio. – Non siamo mai stati in buoni rapporti, anzi, fino a quel giorno avrei giurato che mi odiassi. Non mi aspettavo nemmeno che mi chiamassi per chiedermi scusa, figuriamoci il resto» spiegai. Ricordavo ancora le sue scuse, frettolose e tormentate, come se avessero faticato ad uscire dalla sua bocca: ricordavo perfettamente come erano state pronunciate sulle mie labbra. Era tanto orgoglioso? O quelle semplici scuse volevano significare anche altro? Dimenticai quel dubbio, convincendomi di non dovermi fare così tanto paranoie, e tornai a concentrarmi su Zayn.
«Stupida» borbottò, scuotendo la testa con l’accenno di un sorriso sul volto. In realtà era l’ombra di un accenno, dato che solo gli angoli della sua bocca si erano inclinati leggermente all’insù.
«Come, scusa?» domandai incredula, sbattendo più volte le palpebre.
Quando Zayn alzò il viso verso di me, i suoi occhi mi immobilizzarono: era come se avessero voluto scavarmi dentro, sviscerarmi dei miei pensieri più profondi e riempirmi con i loro. Mi destabilizzavano e riuscirono persino a farmi dimenticare il mio sdegno per il suo commento, per un attimo.
L’attimo dopo, infatti, mi stavo già chiedendo perché Zayn si fosse avvicinato a me, strisciando sulla pelle del divano: «Io non ti odiavo» precisò, continuando a guardarmi allo stesso modo.
Alzai un sopracciglio: era poco credibile, quella sua affermazione. Insomma, o lui stava mentendo spudoratamente, oppure io ero davvero una stupida. E di sicuro la prima opzione era più accreditabile.
Si fece ancora più vicino, inondandomi di stupore: ormai avevo il suo volto a circa venti centimetri dal mio.
«Aiutami, Victoria» sussurrò con la voce smorzata da chissà quale emozione, guardando per un paio di secondi le mie labbra, come se stesse cercando di capire cosa fare, come se ne fosse stato attratto.
Il mio cuore sussultò a quelle parole: aiutarlo?
«Non…» capisco, avrei voluto dire, ma lui mi anticipò: «Ti prego» aggiunse, avvicinandosi ancora.
Ad ogni centimetro che lui toglieva tra di noi, io ne aggiungevo un altro, indietreggiando impercettibilmente e facendo aderire la mia schiena al bracciolo del divano.
«Zayn, che stai…»
Che stava facendo? Mi stava baciando, di nuovo. Aveva appoggiato di nuovo le sue labbra sulle mie, sfiorandole delicatamente, in modo diverso dall’ultima volta, quando le aveva letteralmente prese d’assalto.
Mi ritrassi, con il cuore che mi martellava nel petto e il profumo di Zayn che sembrava volermi convincere a lasciarmi andare: i centimetri che ci dividevano mi confondevano, così come i suoi occhi, quei maledetti occhi che avevano improvvisamente perso ogni distacco e che volevano quasi pregarmi.
«No» dissi, appoggiando una mano sul suo petto.
Lui, però, non mi diede ascolto. Fu più veloce, quella volta, nel riunire le nostre labbra, ma io non ero d’accordo. Non volevo che mi baciasse. Non capivo nemmeno perché lo facesse.
«Zayn, smettila!» esclamai, alzandomi frettolosamente dal divano. In piedi di fronte a lui, lo guardavo con una mano tra i capelli, mentre lui sembrava essere stupito da quella mia reazione. Cosa si aspettava? Che ricambiassi? Che diavolo gli passava per la testa?
«Si può sapere qual è il tuo problema?» continuai, smaniosa di ricevere una dannata spiegazione per quei suoi comportamenti contraddittori.
«Sei tu! – sbottò Zayn, mettendosi in piedi. – Sei tu, il mio fottuto problema!»
Indietreggiai di un passo alle sue parole: il respiro accelerato e i pensieri confusi. Perché? Cosa avevo fatto, per essere un suo problema?
Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli ancora di più: le sue iridi si muovevano velocemente sul pavimento, ma non si alzavano mai su di me; avrei voluto che lo facessero, perché speravo che mi sarebbe servito per capire cosa gli passasse per la testa.
«Vuoi sapere perché ti ho sempre respinta? – domandò, spiazzandomi. – Vuoi sapere perché ho cercato di allontanarti in tutti i modi?»
Sì.
Quando spostò improvvisamente il suo sguardo nel mio, mi ritrovai a deglutire, come se avessi potuto buttar già anche il disagio e la confusione, e lui prese quella mia reazione come una risposta affermativa.
«Perché mi fai sentire in colpa – disse, abbassando il tono di voce, come se fosse una confessione da tenere segreta. – Perché quando ti ho vista, a casa di Louis… Ti avrei baciata anche lì, davanti a loro. Ma Leen…»
Osservai l’espressione che gli deformava il volto, e improvvisamente mi sembrò di capire: che provare un’attrazione verso di me lo facesse sentire in colpa nei confronti di Kathleen?
In un attimo tutto sembrò essermi più chiaro: ogni momento in cui mi aveva uccisa con lo sguardo, ogni volta che aveva cercato di respingermi, di allontanarmi il più possibile, tutto era più chiaro.
Schiusi le labbra, come per dire qualcosa, ma non ne uscì nulla. In compenso, fu proprio Zayn a continuare per me.
«Per la prima volta mi ritrovo a pensare a qualcun’altra, ad una persona che non sia lei – riprese, stringendo i pugni. – Ed io non voglio farlo. Non voglio dimenticarla, ma… So anche che non è giusto continuare a vivere nel suo ricordo. Non è questo che avrebbe voluto per me».
Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso: erano così piene di contraddizioni, di sofferenza, di… amore. Corrugai la fronte, rilassando tutti i muscoli: cosa si provava a ritrovarsi improvvisamente a pensare ad una persona che non era quella di cui si era innamorati, quella da cui si era stati strappati tanto brutalmente? Cosa si provava a vivere con il senso di colpa e allo stesso tempo con la voglia di andare avanti?
Le risposte erano tutte lì, in quegli occhi che mi guardavano in cerca di un appiglio, di una risposta, di un aiuto. E io cosa potevo fare, per andar loro incontro?
«Quindi, per favore. Aiutami» ripeté, facendo un passo verso di me.
La sua richiesta di aiuto era così esplicita, così disperata, che mi spiazzava. La mia mente era affollata da pensieri, dubbi, rivelazioni, domande, e non riuscivo a ragionare lucidamente.
«Come… Come dovrei fare?» chiesi, con la gola secca a rifiutarsi di emettere ulteriori suoni. In realtà credevo di sapere la risposta a quella mia domanda, ma non volevo dirla ad alta voce, non prima che lui me ne avesse dato conferma.
«Stai con me» disse in un sussurro. Tutto nel mio corpo smise di muoversi, di vivere, per un attimo interminabile: quando riprese, era tutto troppo caotico per essere controllato a dovere. Mi stava davvero chiedendo una cosa del genere?
Scossi la testa, sia per allontanare quella possibilità troppo reale, sia per rispondere alla sua proposta: «No, Zayn».
Louis.
«Provaci» insistette.
«No – ripetei, indurendo lo sguardo come se avessi potuto farmi forza. – Io non… Non ci riuscirei. Non provo… Non provo le stesse cose» conclusi. Non sapevo perché mi ostinassi a balbettare, ma avevo l’impressione che esprimere quel rifiuto potesse farlo stare male. E quello mi confondeva ancora di più, perché mi ritrovavo inspiegabilmente ad interessarmi al suo stato d’animo, cosa che non avrei mai pensato potesse essere possibile, fino a poco tempo prima. Forse era la compassione a farmi pensare in quel modo? Forse era l’idea di un amore così forte da superare anche la morte, da tormentare una persona anche dopo così tanto tempo?
«Allora non stare con me – si affrettò a continuare lui, correggendosi, colto da uno strano entusiasmo. Sembrava cercare un compromesso a tutti i costi. – Lascia… Lascia che sia io ad innamorarmi di te: lascia che io continui a pensarti, lascia che il tuo pensiero sia più forte del suo. Non fare nulla, solo… Restami vicino e fammi innamorare di te».
Spalancai gli occhi, mentre cercavo di capire come mai il mio cuore avesse preso a correre all’impazzata, quasi avesse voluto scappare via e allontanarsi il più possibile. Cosa avrei dovuto dirgli?
Ero così stupita da quella richiesta straziante che non ero nemmeno capace di parlare, di articolare un suono. Ero completamente rapita dall’idea dell’amore di Zayn, così profondo e intenso da essere per lui una tortura.
Lui era lì, davanti a me, a chiedermi disperatamente di salvarlo, di offrirgli una via di fuga e io non riuscivo a fare altro se non fissare i suoi occhi scuri supplicarmi.
«Non ti chiedo niente – riprese, senza darmi il tempo di metabolizzare tutto. – Puoi anche continuare ad odiarmi, perché so di non essere in cima alla lista dei tuoi amici più cari, ma ti prego, lascia che mi innamori di te. Magari non succederà, magari conoscendoti meglio scoprirò di non sopportarti nemmeno: per ora, però, sento questa… cosa, dentro di me, e sto cercando a tutti i costi di non lasciarla sfuggire, perché è la prima fottuta emozione che provo oltre quello schifo di dolore che mi accompagna da un anno. L’unica cosa che ti chiedo è di non farla scomparire, di tenerla in vita, qualsiasi cosa sia destinata a diventare».
Indietreggiai ancora: forse, se avessi aumentato le distanza tra di noi, avrei anche potuto allontanarmi dalle sue parole, da quello che sentivo io. Perché non avrei voluto, ma sapevo esattamente cosa mi stava consigliando di fare quel mio stupido cervello, accompagnato – come raramente accade – dall’altrettanto stupido cuore.
Per qualche secondo gli unici rumori che riuscii a sentire furono il mio respiro profondo ed irregolare, ma, di nuovo, Zayn riprese a parlare. Era come se si trattasse di una questione di vita o di morte per lui, come se non vedesse l’ora di convincermi, di arrivare ad una conclusione: «È Louis il problema? È perché pensi ancora a lui?»
Louis.
Sì, ovvio che pensavo ancora a lui, per qualche strano e malsano motivo, ma non era l’unico particolare che mi spingeva a rimanere in silenzio dinanzi alle sue richieste.
«Potresti sfruttare l’occasione per provare a dimenticarlo – disse, senza lasciarmi il tempo di rispondere, ancora una volta. Era la prima volta che parlava così tanto e che avrei voluto che tacesse per un solo istante. – O magari lui potrebbe ingelosirsi, anche se ora è tornato con El».
«Zayn, fermati» sbottai, alzando il palmo della mano come se avessi potuto evitare che le sue parole si avvicinassero a me. Stava esagerando, stava cercando qualsiasi appiglio per convincermi e intanto mi stava confondendo ancora di più, tirando in ballo Louis ed Eleanor, l’ultima cosa di cui io avevo bisogno.
«Ho capito cosa mi stai chiedendo, non c’è bisogno di… Stai un attimo zitto, per favore» continuai, forse stupendolo per il modo in cui avevo risposto dopo tutto quel tempo in cui non avevo aperto bocca. Le mie mani si stritolavano l’una con l’altra e riflettevano tutto il disagio che provavo in quel momento.
Gli avevo spiegato che io non ero attratta da lui in quel senso, che non sarei mai riuscita a formare una coppia con Zayn Malik, nonostante lui sembrasse averne bisogno: eppure poi mi aveva chiaramente fatto capire che gli sarebbe bastato molto di meno, una semplice vicinanza. Gli serviva la mia presenza, qualsiasi sfumatura essa avesse, solo per continuare a… provare qualcosa. L’idea che si stesse aggrappando così disperatamente ad un’emozione, che stesse cercando in tutti i modi di conservarla dentro di sé, mi spezzava in due.
Eppure, per quanto fosse poco quello che mi stava effettivamente chiedendo, non sarei stata crudele nell’accettare? Nel permettergli di sviluppare quel qualcosa che sentiva, nel dargli la possibilità di trasformarlo anche in amore - in una lontana possibilità che mi sembrava ancora assurda - pur sapendo di non ricambiare quel sentimento?
E non sarei stata altrettanto crudele nell’ignorare quegli occhi torvi e nel far finta che Zayn non mi stesse implorando di aiutarlo?
«Vicki…» mi richiamò in un sussurro. Piantai le mie iridi nelle sue e aspettai qualche secondo, prima di parlare.
 


Abbie.
 
Deglutii a vuoto, spalancando gli occhi sempre di più, quasi con la paura che avessi superato il limite umano.
«Zayn, che cazzo hai fatto?» chiesi poi con un fil di voce. Il telefono ancora attaccatto all’orecchio e il silenzio dall’altra parte della cornetta.
Me l’aveva raccontato. Mi aveva detto del suo incontro con Victoria, della sua richiesta e di tutto il resto. Mi aveva lasciata senza parole, mentre una morsa si era impossessata del mio stomaco, forse per il dispiacere di essere così vicina alla sua sofferenza eppure così lontana dal poterlo aiutare. E mi aveva letteralmente sconvolta, quando mi aveva confessato che Vicki aveva effettivamente accettato la sua proposta.
«Io… Non lo so, Abbie» mormorò lui, dopo qualche istante. Potevo immaginarlo mentre si passava una mano tra i capelli, mentre alzava gli occhi al cielo e sospirava sconfitto.
«Avevi… Avevi detto che l’avresti evitata come la morte – gli feci presente, ancora sbalordita da quella notizia. – Come…»
«Non ci sono riuscito – è la sua semplice risposta. – Non ci riesco, a starle lontano».


 



 

ANGOLO AUTRICE
 
Ok, contro ogni previsione, sono in ritardo solo di un giorno! VIVA ME ahahha
Tra ieri sera e oggi sono riuscita a finire il capitolo, anche se ora devo sbrigarmi ad aggiornare
perché devo studiare D: D:  D:
Allora, cercherò di essere il più breve possibile, nonostante io abbia una marea di cose da dire!
Iniziamo dall’inizio: spero sia chiaro perché Vicki senta il bisogno di parlare con Zayn, a parte
il bacio tra di loro! Ogni volta cerco di presentare il suo carattere al meglio, ma non sono
mai sicura di riuscirci: lei vive di emozioni; è attirata dagli amori passionali, tormentati,
proprio come un’inguaribile romantica e sognatrice. Per questo la situazione di Zayn la “stuzzica”.
E non si comporta così con Louis perché è anche una fifona, nonostante non lo abbia
di certo dimenticato: e di questo si conosce il perché, dato che si è capito come sia facile
per lei illudersi e rimanere aggrappata a qualcuno anche se ha condiviso con lui davvero poco.
Ma passiamo a Zayn, che davvero, mi ha fatto disperare in questo capitolo:
mentre scrivevo avevo anche io una morsa allo stomaco, proprio come Abbie. Prendetemi per scema,
ma scrivere di lui in questi termini è terribile, soprattutto perché so a cosa pensa in realtà…
Ecco, vi avevo detto che il suo personaggio si sarebbe capito meglio, perché avrebbe detto
qualcosa che vi avrebbe fatto rizzare le orecchie (?): tutto questo discorso disperato che fa a Vicki,
è un’enorme, gigantesca bugia. Ha questo profondo bisogno di lei, ma non perché ne sia attratto
come persona, non perché sta pensando ad un’altra, dopo così tanto tempo, come ha detto lui.
Penso che il motivo sia chiaro a tutte: Vicki è Leen, per lui.
E lo so, so che è qualcosa si portato al limite, di profondamente “sbagliato” in qualche modo,
ma Zayn sta affrontando un percorso, che è un po’ alla base di questa storia: per ora lui, nonostante
all’inizio abbia davvero provato a starle lontano (e non perché si sentisse in colpa, ma solo perché era sconvolto),
non riesce a stare separato da lei. Arriva addirittura a supplicarla di stargli vicino
come semplice amica, lasciando che di lui venga fatto quello che si deve: poco gli importa se si
innamorerà di lei o se invece arriverà ad odiarla. Per il momento vuole solo stare vicino a qualcosa
che gli ricordi Leen. Non so se mi sono spiegata, ma ho cercato in tutti i modi di farvi capire
quanto il personaggio di Zayn incarni la “disperazione”: il suo insistere, tutte le sue parole, i suoi
comportamenti, sono urgenti, disperati, appunto. 
Spero davvero di avervi fatto capire cosa intendo e cosa intende lui, ma soprattutto spero
che questo capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate, please!
Questo capitolo è parecchio importante! Inoltre, mi farebbe piacere sapere le vostre ipotesi :)
Vicki ovviamente non sa nulla di questo lato di Zayn, quindi come si evolverà il loro rapporto?
(Lei ha accettato, anche se non ho riportato quella parte, mettendola solo in bocca ad Abbie:
ovviamente Vicki, per come è fatta, non avrebbe mai ignorato la richiesta di aiuto di Zayn).
 
Grazie di tutto, come sempre fjdsfsalk E scusate se ho scritto tutto di fretta ma devo proprio scappare D:
Un bacione,
Vero.
 
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