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Autore: Dzoro    08/07/2013    0 recensioni
Angelo è un ex marine veterano della guerra del golfo. Vive in una città americana, da solo, il suo unico amico è un barista di colore. Angelo è un assassino a pagamento. Questa è la sua storia.
Per fan di Cormac McCarthy, Quentin Tarantino e Garth Ennis.
Genere: Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Angelo Strano'
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- Chi vuole seppellire in quella fossa?- chiese il vecchio Carter, accompagnando la frase con un risolino nervoso, tentando di buttarla sul ridere.

L’uomo si trovava davanti a lui, in mezzo alla radura. In mano teneva una vanga.

- Chi vuole seppellire in quella fossa?- rise, figurarsi se voleva seppellire qualcuno.

- Oh, purtroppo, mentre stavo andando con l’auto per la strada qua vicino, un cerbiatto mi ha tagliato la strada. L’ho tirato sotto.- Rispose l’uomo. Il suo tono era pacato, forse leggermente impregnato della stessa ironia che si leggeva nei suoi occhi.

- Mio Dio! È morto?- domandò Carter, con sincera preoccupazione.

- Stecchito.-

- E lei sta bene?-

- Certo, solo un po’ di sangue sul cofano.- rispose lui con una risata nervosa quanto fuori luogo. Poi continuò:

- Sono pericolose, queste bestie. Da quando non ci sono più predatori si moltiplicano come conigli. E quando meno te lo aspetti, te ne ritrovi uno spiaccicato sul cofano.- Mentre parlava, l’uomo affondò qualche altra volta la sua vanga nel terreno, con rinnovato vigore. Carter, si grattò la testa, rifletté, rispose:

- Ma in fondo cosa vuole farci? Sono solo delle povere bestie.-

- Ucciderle. È una buona soluzione, e anche facile da farsi.-

Carter si scandalizzò:

- Ma che dice! Non si può fare una strage di animali solo perché causano di tanto in tanto qualche incidente!-

L’uomo sembrava aver finito di scavare. Buttò la pala fuori dalla fossa, e si issò lentamente in superficie. Rispose, come al solito, con un mezzo sorriso stampato in volto:

- Alcuni incidenti sono mortali. Vuole dire che alla fine è meglio un uomo morto che cento cerbiatti stecchiti?-

La domanda lasciò il vecchio Carter in imbarazzo. Balbettò qualche parola di risposta:

- No, non intendevo quello. Dicevo soltanto che ucciderli non è la cosa migliore. In fondo sono anche loro esseri viventi. O no?-

L’uomo si frugò nella tasca sinistra, estraendo dopo una calma ricerca un pacchetto di Pall Mall. E, dopo aver tratto un lungo sospiro, disse infine:

- Voglio dirle una cosa. Conosco uomini che vivono come animali.- si frugò nella tasca destra, ed estrasse un accendino, con cui subito diede fuoco alla sigaretta - ma animali che vivono come un essere umano, non li ho mai visti. Se mi vuole scusare, ora lo seppellisco. Con permesso.- detto ciò, si incamminò verso la macchina. Il vecchio, dopo un attimo di indecisione, chiese:

- Ah. Signore! Posso vederlo? Il cerbiatto, intendo.- pronunciò la domanda timidamente, a bassa voce, quasi vergognandosene. L’uomo aspirò una boccata di fumo, quindi la soffiò fuori lentamente. Carter si chiese se non stesse prendendo tempo, se non si stesse inventando una qualche scusa. Ma alla fine, l’uomo rispose:

- E perché? Le piacciono i cadaveri?-

Ancora ironia fuori luogo. Carter provo quasi schifo.

- No, ma cosa dice? È solo per curiosità.- Farfugliò il vecchio, imbarazzato.

- Se le fa piacere vederlo, si accomodi. Ma non è un bello spettacolo, sa? Gli ho schiacciato il cranio con una ruota. Le ossa del cranio hanno lacerato il cervello, c’è tutta la roba grigia che esce fuori come un tubetto di dentifricio strizzato.-

- Ho capito, lasci stare. Fa niente. Arrivederci.- Carter si morse la lingua: stava balbettando. L’uomo si limitò a salutarlo con un cenno, e poi sparì oltre la boscaglia.

Pochi minuti più tardi, Carter era di nuovo sulla via di casa. Incontrare quell'uomo gli era sembrato strano, sgradevole: era stato come aver guardato dentro un pozzo troppo profondo. Un abisso di cui non si riesce a vedere il fondo.

“Fantastichi troppo, vecchio scemo. Era un uomo, non il diavolo. Era solo un uomo.”

***

L’ultima palata di terra, intanto, si era appena posata sulla buca, ormai interamente ricoperta. L’uomo vi pestò sopra con i piedi, e constatò con piacere che era bella compatta: aveva fatto un buon lavoro. Lasciò cadere a terra il mozzicone della sigaretta, quindi si lasciò alle spalle la fossa appena riempita.

- Un altro cerbiatto morto.- borbottò tra se, mentre ritornava alla sua macchina. Pochi minuti dopo, la portiera della sua auto si chiudeva, la chiave si girava nella toppa d’accensione, il motore riprendeva a funzionare, e la Desoto abbandonava quel luogo.

***

La macchina della polizia parcheggiò esattamente nel posto dal quale la Desoto se ne era andata due giorni prima. La chiave venne girata, il motore si spense, le portiere si aprirono, e uscirono due rappresentanti della polizia dello stato. Erano due bianchi, sudaticci, con la divisa in disordine: stavano continuando una discussione già iniziata da tempo:

- Quindi eravamo d’accordo. Io stavo in auto, e lo aspettavo, mentre lui entrava nel bar e parlava al colombiano. Io gli dico dieci minuti, non di più, e lui okay. Se non fosse uscito entro il tempo stabilito, allora davo il segnale e facevo irruzione insieme all’altra pattuglia.- Diceva il primo, alto, occhiali scuri.

- Ah, non eravate solo voi allora.- il secondo era più basso, più grasso, più sudato. Quando non parlava continuava a lisciarsi i suoi due scarni baffi castani.

- No, no, non te l’avevo detto? C’erano anche quegli altri due, quegli altri due nuovi. MacCall e… come si chiamava l’altro?-

- Parson, mi pare che fosse Par…- la frase dell’altro agente venne troncata dal collega:

- Smith! Era Smith, e dire che è pure facile da ricordare.-

- Ma no, che dici? Con MacCall c’era Parson, erano amici quei due.-

- MacCall stava con Smith, non dire cazzate!-

- Guarda che ti sbagli.-

- Cazzate.-

Quello coi baffi sospirò. Sembrava l’ultimo sospiro di una lunga serie.

- Fa niente, lascia stare. Dove?-

- Il sentiero per la casa del vecchio dovrebbe essere quello. Andiamo.-

I due imboccarono la stradina sterrata, mentre il poliziotto con gli occhiali continuò a raccontare:

- Allora, dicevo, lui entra, e io sono calmo. Mi accendo una sigaretta e aspetto. Passano cinque minuti, e me ne accendo un’altra. Inizio a preoccuparmi: a quell’ora avrebbe dovuto già essere di ritorno.-

- Oddio, lo avevano ammazzato?-

- Cosa? No, no, magari. Ma fammi andare avanti.-

- “Magari”?-

- Come?-

- Hai detto “magari”, che intendevi?-

- Aspetta, ora ci arrivo! Dicevo, lui non si vede più. Io ho finito le sigarette, e inizio davvero a diventare nervoso. Undici minuti. Porca vacca, dico io, ora mi tocca davvero fare irruzione in un bar in cui un intero cartello colombiano si sta facendo il bicchierino della staffa. E lo sto per fare, quando lui, il coglione, esce, tutto tranquillo. Io con lui non ci avevo mai lavorato, pensavo sapesse il fatto suo, no?-

- Certo, lo pensavo anch’io. E invece?-

- E Invece, quel cazzone, mi dice: Martinez non c’era. Sono andato un attimo in bagno. Ti eri preoccupato?-

L’agente con i baffetti emise una sonora risata:

- Ma dai, dici sul serio? Non ci credo!-

- Credici, amico, gli era scappato da cagare. Non mi ci far pensare, mi viene voglia di ucciderlo ogni volta che ci penso.- Il poliziotto con i baffi continuò a ridere di gusto, finché i due non arrivarono a destinazione: la baita si trovava davanti a loro.

- Chi bussa?-

- Lascia, faccio io.- Quello con gli occhiali si avvicinò all’uscio, e vi bussò sopra tre volte, in rapida successione. Gli agenti sentirono dei passetti concitati dall’altra parte, di qualcuno che si avvicinava per aprirgli. Il signor Carter si affacciò alla soglia:

- Agente?- lo chiese come a dire “desidera?” Ma risultò più simile a un “cosa ci fa qua?”

- Lei è il signor Theodore Carter?- chiese quello con gli occhiali.

- Si sono io. Cosa succede?- disse il vecchio, irrigidendosi.

- Stia tranquillo, non siamo qui mica per arrestarla!- disse con una delle sue solite risate quello con i baffi. – Dobbiamo solo farle alcune domande. Nei dintorni, ha notato qualche movimento sospetto, negli ultimi giorni?-

Il vecchio si grattò la testa:

- Dunque, lasciatemi pensare. Qui non passa molta gente... Eh, che stupido sono, l’altro ieri! È arrivato un uomo che non avevo mai visto prima in vita mia.-

- Può dirci di chi si trattava, per favore?-

- Certamente, non ho… non ho nulla da nascondere.- Carter ridacchiò mentre pronunciava quelle parole.

Il signor Carter quella mattina stava trascinandosi per il bosco intorno alla sua baita, impegnato nella sua passeggiata di routine consigliatagli dal medico. Sua moglie aveva scelto quel luogo come meta delle loro vacanze per la sua quiete e per il suo isolamento. E, in effetti, quel posto era rimasto isolato almeno fino a vent’anni prima: poi il governatore aveva ben pensato di violentare quell’eden con un po’ del buon vecchio progresso. Ora, la grigia colonna vertebrale della strada statale si snodava lungo le colline, raramente interrompendo il cinguettio degli uccelli con il rombo di un motore. Nonostante la statale fosse lì, sembrava che le auto la snobbassero per altre strade, dirette verso altre destinazioni, lasciando il suo asfalto ad una lentissima agonia sotto le ruote di camioncini fatiscenti in transito verso il paese più vicino, che per inciso distava almeno trenta miglia.

Durante il periodo estivo, il signor Carter non riusciva più a chiamarle vacanze da quando era iniziata la pensione, rimaneva la maggior parte del tempo da solo, con un qualche libro aperto davanti, più spesso dormendo che leggendo, e sperando che qualche faccia nuova si facesse viva per rompere la fastidiosa quiete tutt’intorno a lui: esattamente il contrario di quello che desiderava la signora Carter, che borbottava ogni volta che qualcosa di soltanto vagamente umano proiettava la sua ombra all’orizzonte.

Quella giorno il signor Carter aveva visto una vecchia Desoto parcheggiata al limitare della strada, e aveva sorriso. Pochi si fermavano da quelle parti: l’ultima volta erano stati una giovane coppia, con il figlio che doveva fare pipì. Il vecchio si era avvicinato all’auto e aveva a lungo rimirato l’imbottitura dei sedili e i cerchioni, e guardando il cofano si era immaginato il motore. Sembrava ferma già da un po’ di tempo, era del tutto fredda. I suoi occupanti non sembravano nei paraggi. Dovevano essersi inoltrati nel bosco, e dato che c’erano solo due sentieri che conducevano in quello spiazzo, e Carter non aveva visto nessuno mentre veniva lì, imboccò subito il secondo, speranzoso di potersi fare una bella chiacchierata prima di pranzo.

Non ci era voluto molto tempo prima di poter chiaramente distinguere, poco distante dal sentiero che stava percorrendo, il rumore di un attrezzo metallico che affondava ritmicamente nel terreno. Incuriosito, Carter si era addentrato nella boscaglia seguendo il rumore che si faceva sempre più vicino, fino a che non era riuscito a vedere di cosa si trattava.

L’uomo stava scavando una fossa, abbastanza larga perché qualcuno potesse sdraiarcisi dentro.

Carter si era domandato in cosa fosse incappato, e stava giusto per iniziare a formulare qualche congettura a proposito quando si accorse che l’uomo aveva posato la vanga, e lo stava fissando. I suoi occhi erano spenti, privi di gioia. E questo era strano, dato che le sue labbra erano contratte in un sorriso storto. Improvvisamente Carter si era sentito a disagio. Aveva farfugliato un saluto, per spezzare l’imbarazzo, e poco dopo la curiosità gli aveva tirato fuori di bocca quella domanda. Chi vuole seppellire?

-Era un tipo. strano, il modo in cui parlava...- si bloccò. L’immagine dell’abisso gli si ripresentò davanti. - No. Lasciate stare. Guidava una Desoto bianca, una bella macchina. Però aveva appena investito un cerbiatto, sulla strada. Io l’ho incontrato mentre lo seppelliva.- disse Carter agli agenti.

- Un cerbiatto?- i due agenti si guardarono l’un l’altro, con un’espressione che quasi poteva dirsi soddisfatta. Quello con gli occhiali riprese a parlare:

- E l’ha visto, il corpo di questo cerbiatto?-

- No, non l’ho visto. perché, è importante?- chiese incuriosito Carter. Subito vide sul volto dei poliziotti apparire un sorriso strano, compiaciuto e infelice allo stesso tempo.

- Bingo.- fece quello coi baffi.

***

Carter sentì di nuovo la pala affondare nel terreno, come due giorni prima. La buca scavata da quell’uomo misterioso, stava venendo riaperta, mentre ai sui lati si ammonticchiava lentamente la terra soffice della radura.

- Sigaretta?- gli chiese l’agente con gli occhiali, tendendogliene una. Era seduto su di una sasso, lasciando il collega scavare con l’unica pala che erano riusciti a procurarsi. Il vecchio scosse la testa, senza distogliere un attimo lo sguardo dalla buca che, una vangata dopo l’altra, si svuotava lentamente. E più si svuotava, più Carter capiva che non avrebbero trovato un cerbiatto la sotto. Il suo contenuto era incomprensibile, come i pensieri dell’uomo che l’aveva scavata.

La pala si fermò. Si immobilizzò con un rumore strano, mai sentito, eppure subito riconosciuto per quello che era. Il poliziotto emise un gemito, e alzò con un rapido gesto la vanga: la punta era tinta di un rosso vivo, mischiato alla terra fresca.

- Ralph! Credo che ci siamo.- balbettò.

L’agente con gli occhiali buttò a terra la sigaretta, e la calpestò con forza. Con due rapidi, larghi passi si buttò nella buca. Iniziò subito a raspare con le mani sul fondo, spostando il terriccio dal cadavere. Era di qualche giorno, sembrava. I primi vermi lo stavano giusto iniziando ad intaccare. Carter si avvicinò timidamente alla fossa, per osservare meglio.

- Cazzo!- esclamò poi improvvisamente Ralph. Ora il cadavere era chiaramente visibile, agli occhi di tutti i presenti. Ed era il corpo senza vita di un cerbiatto, con la scatola cranica sfondata.

- Che razza di granchio!- disse il poliziotto con i baffi, grattandosi la testa con un’espressione a metà strada tra il deluso e l’imbarazzato. Ralph si alzò da terra, afferrò la pala e la buttò contro il suo collega:

- Ricoprilo. Inizia a puzzare.- Issatosi al di fuori della fossa, si rivolse a Carter, mentre si infilava di nuovo gli occhiali da sole:

- Sembra che la fortuna non sia dalla nostra parte. Comunque avrebbe dovuto avvertire un’autorità forestale, riguardo al cerbiatto, lo sa?- disse poi, come per ostentare che sapeva fare il suo lavoro.

- Sì. Mi scusi. Non ci avevo pensato.- balbettò Carter. – Davvero.-

***

Il ristorante non spiccava particolarmente, era un locale come tanti, l’ennesimo locale lungo l’autostrada, in cui la gente entrava e usciva una sola volta nella vita. Il suo interno era illuminato abbondantemente, nonostante vi fosse davvero ben poco su cui valesse la pena far luce. Solo qualche tavolo sporco, con qualche avventore ritardatario che raccoglieva gli ultimi rimasugli di bistecca e patate dal proprio piatto.

Angelo era appena arrivato: dopo aver parcheggiato la Desoto lì vicino, era entrato, e quindi aveva ordinato una bistecca e una birra. E la suo ordinazione era appena arrivata, quando sentì il cellulare squillargli nella tasca della giacca. Lo afferrò pigramente, quasi nella speranza che se lo avesse lasciato squillare abbastanza a lungo alla fine avrebbe smesso, lasciandolo in pace. Ma quando lo ebbe portato all’orecchio, il telefono continuava imperterrito a trillare. Rispose:

- Pronto?-

- Ciao bello, sono io, Steve.-

- Ehi, Steve, è un piacere sentirti. Lavoro?- Angelo non aveva voglia di chiacchierare, e nessuno lo avrebbe chiamato solo per fare due chiacchiere.

- Sì. Dove ti trovi ora?-

- Un ristorante, sulla strada per tornare a casa. Ero in campagna per un altro impiego, ma ho appena finito.-

- Ottimo, torna in città appena puoi. Ti va se ti spiego tutto nei dettagli domani a pranzo, che ne so, al “Golden Tower”?-

- Mi sta bene. Riguardati, vecchio.-

- Stammi bene, figliolo.- e riattaccò. Angelo riprese in mano le sue posate, intenzionato a finire la cena il prima possibile. “Torna in città”, gli aveva detto. Angelo sorrise, come aveva sorriso a Carter molte ore prima. Si tornava in città. Tagliò la bistecca a metà, con un movimento veloce e nervoso.

***

Carter era a letto, ma non riusciva a dormire. L’immagine della fossa era continuamente davanti ai suoi occhi. La vedeva piena, vuota, poi di nuovo riempita, poi ancora svuotata. Era un po’ come il passare delle stagioni, un albero che perde le foglie e poi le riacquista a primavera.

Pensava al suo fondo incomprensibile, al suo contenuto. Un cerbiatto investito da un’auto: un errore, una distrazione umana, un animale morto. Eppure, era inquieto. Era come la paura di un buio diffuso, spezzato da non abbastanza luce. Una realtà parziale.

Carter sentì le palpebre farsi pesanti: era tardi, era stanco. Chiuse gli occhi, e i pensieri iniziarono a confondersi. E tra la veglia e il sonno un’immagine sfuocata occupò la sua mente. Era come guardare al cinema una vecchia pellicola graffiata. Vedeva se stesso, che si allontanava dalla radura. E poi quell’uomo, che tornava dentro la fossa, e che ricominciava a scavare, a scavare una buca più profonda. Una buca in cui un uomo potesse giacere insieme ad un cerbiatto.


 

   
 
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