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Autore: nephylim88    08/07/2013    1 recensioni
Giorgia Casiraghi non può essere definita fortunata. a diciassette anni è stata rapita e stuprata. Quindici anni dopo, dopo tutti gli sforzi fatti per lasciarsi tutto alle spalle, si ritrova con sua figlia in ospedale, malmenata e stuprata anche lei...
ogni riferimento a fatti e persone esistenti è puramente casuale.
Spero che la storia vi piaccia! Come ho promesso ne "la cacciatrice di anime", la storia qui presente è già completa. Pubblicherò in capitoli ogni due o tre giorni al massimo! Buona lettura!
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Era tarda mattinata. E io ero al commissariato a scatenare un putiferio.

“COME SAREBBE A DIRE CHE LO AVETE RILASCIATO???” urlai. Il commissario Brandi sembrò rimpicciolire davanti alla mia ira. Non potevo biasimarlo. Una mamma di trentadue anni furiosa col mondo intero non doveva essere esattamente un problema da affrontare a cuor leggero. Ma nessuno poteva biasimare neanche me. Scoprire che quello che mi aveva violentata tanto tempo prima era uscito senza che ne sapessi nulla e, guarda caso, se l'era presa con mia (e sua!) figlia... beh, diciamo che non era una cosa che volevo lasciar correre.

“Signora, la prego si calmi!”

“Giorgia, non serve a niente urlare così.” la voce della psichiatra, Loredana, era sorprendentemente calma. Ormai la conoscevo bene, era una dottoressa che collaborava con la polizia, e che mi aveva seguita quando avevo intrapreso un percorso terapeutico per superare quello che mi era successo. Eravamo praticamente amiche, ormai. Io la ammiravo per la sua calma e decisione. Lei mi ammirava perché, nonostante tutto quello che mi era successo, io comunque amavo mia figlia. In effetti, sapere di essere incinta e aver accettato di portare a termine la gravidanza era stato un ottimo stimolo a intraprendere la terapia. Non esisteva al mondo che io riversassi la mia rabbia su mia figlia!

La sua voce tranquillizzante, però, non servì a niente. Anzi, fu come sventolare un telo rosso davanti a un toro.

“NON SERVE A NIENTE??? MIA FIGLIA È IN OSPEDALE, DANNAZIONE! È IN COMA, NON SI SA QUANDO SI SVEGLIERÀ! E TUTTO PER COLPA DI QUEL FIGLIO DI PUTTANA! CHE PERALTRO AVETE RILASCIATO VOI! E MI DICI CHE NON SERVE A NIENTE URLARE? LOREDANA, HAI DECISAMENTE SBAGLIATO APPROCCIO, CON ME!” ormai urlavo talmente forte che la mia gola cominciava a irritarsi. Loredana mi rifilò un'occhiata gelida. Ecco. Quella funzionò. Mi calmai. Brandi assunse un'espressione più rilassata.

“Signora, mi spiace molto per quello che è successo...”

“Lo spero bene! Perché diavolo Leto è fuori di galera?”

“È stato rilasciato per buona condotta.”

“Per buona condotta.”

“Sì.” il commissario prese un'espressione circospetta. Intuiva che stavo per esplodere di nuovo.

“Cioè, mi sta dicendo che lui si è comportato da bravo bambino negli ultimi quindici anni, e voi gli avete detto 'bravo, esci!'?”

Questo giro, Brandi si offese sul serio. Il che mi fece quasi ridere. Dopotutto, avevo passato l'ultima ora a urlare come una psicopatica per tutto il commissariato, sbraitando contro tutti, dal poliziotto in portineria, fino a lui stesso, tanto che avevano dovuto chiamare Loredana per calmarmi, e lui se la prendeva perché criticavo il fatto che avessero rilasciato uno psicopatico!

“Signora!” esclamò.

“Mi chiami pure Giorgia, tanto siamo tra amici, no?”

“Veda di non offendere più il nostro modo di lavorare! Non prendiamo così sottogamba il nostro lavoro! L'uscita per buona condotta avviene attraverso un procedimento piuttosto complesso, che va da una perizia psichiatrica al sentire diversi testimoni sulla condotta del detenuto! E Leto ha passato l'esame!”

“Fantastico! E la prima cosa che fa è stuprare una ragazzina! Peggio, salta fuori che la ragazzina in questione è la sua figlia biologica!” gli risposi, in un crescendo sarcastico.

Loredana fece per parlare. Poi tacque.

“Che c'è? Loredana, che c'è?” sbottai, tagliente.

“Niente, davvero.”

Stavolta l'occhiata gelida partì da me. Lei sospirò.

“Volevo dire che potrebbe essere che non l'abbia neanche riconosciuta. In fondo era buio, stando alle ricostruzioni, e non sa di essere padre.”

“Ne dubito. Non so se hai presente la faccia di Leto.” la mia voce si spezzò “è uguale. Mia figlia è uguale a lui. Lo so che potrebbe non averla riconosciuta, razionalmente lo so. ma... ma... insomma, non ci credo, ecco. Ora mia figlia è in coma, e non si sa che danni potrebbe averle provocato quello stronzo...” repressi un singhiozzo. Loredana e Brandi annuirono, comprensivi. Mi passai una mano sugli occhi.

“Perché lo avete rilasciato? Dannazione, perché?” singhiozzai. Brandi fece per alzarsi e venirmi vicino, ma Loredana lo fermò. Sapeva che non mi andava di venire toccata, in certi momenti.

“Giorgia, mi dispiace davvero. In effetti, la mia perizia psichiatrica andava presa sul serio, più di quanto io stessa abbia fatto. Leto è un soggetto estremamente pericoloso. È preda di un disturbo ossessivo-compulsivo. Quando vede una donna che gli piace, la deve stuprare, punto. È una droga. Ma durante gli anni di prigione non ha manifestato alcuna tendenza violenta. Anzi, era molto tranquillo. E a questo punto sospetto che sia perché non c'erano donne in carcere. Credo che la sua ossessione si manifesti solo in presenza di ragazze sui diciassette, diciotto anni, o anche un po' più giovani, come tua figlia. Finché non le frequenta, e per frequentare intendo anche semplicemente l'incrociarle per strada, il suo problema non sussiste. Purtroppo, però, la perizia psichiatrica comprendeva anche il comportamento tenuto in carcere, quindi non ho potuto fare niente per lasciarlo dentro.”

Fu come se avessi inghiottito del piombo. Fu con un certo sforzo che chiesi “Avete guardato dappertutto? Dico, per i luoghi dove può essersi nascosto.”

“Sì, signora Casiraghi. Anche nel posto dove... dove...”

“Dove mi aveva tenuta prigioniera l'altra volta.”

“Sì.”

Stetti zitta ancora per un po'. Poi... “E i suoi complici? Che ne è di loro?”

“Uno è ancora in carcere. L'altro è morto per le percosse subite dal compagno di cella.”

Mi alzai.

“Fatemi sapere se avete sue notizie. Io vado a casa a cambiarmi, poi vado da mia figlia.”

“Certo, Giorgia. E tu chiamami se ci sono novità.” rispose Loredana.

Annuii, poi me ne andai.


Una volta in strada, dovetti stare ferma per un attimo a respirare profondamente per calmarmi. Ancora non potevo crederci. Davvero Leto era uscito di prigione? Davvero aveva ricominciato a stuprare ragazze? Davvero aveva stuprato anche mia figlia?? Sua figlia?? Inspirai un'altra boccata di smog. Fottuto bastardo nato dal didietro di quella gran vacca di sua madre! Avevo bisogno di una sigaretta. Era da quindici anni che non fumavo più. Da quando ero rimasta incinta. Ma ora ne sentivo un bisogno atroce. Mi diressi verso una tabaccheria lì vicino, comprai un accendino e un pacchetto di sigarette con l'intento di fumarmele tutte, una dietro l'altra.

Con il pacchetto in mano, camminai nervosamente verso casa. Una volta entrata, mi fissai allo specchio dell'appendiabiti. Una donna sulla trentina, con i capelli castani tagliati corti e pettinati all'indietro, tipo Trinity di “Matrix”, mi guardava di rimando. In realtà, dopo una nottata e una mattinata infernale come quella, i miei capelli non erano poi così messi bene. Per di più avevo delle borse profonde sotto agli occhi, la mia polo azzurra era tutta stropicciata, e la mia carnagione in quel momento si intonava perfettamente alla maglietta. Andai in salotto, svaccandomi completamente sulla poltrona a sacco verde acido, che mia figlia adorava, ma io trovavo alquanto ributtante.

“Dovrei lavarmi e andare da lei” sospirai. Forse non era un pensiero tipico da mamma, ma in quel momento non ce la facevo proprio a pensare che dovevo tornare in ospedale. Anche se mia figlia aveva bisogno di me. Anche se sapevo che, se si fosse svegliata, trovare la nonna invece della mamma al suo fianco l'avrebbe ferita. Feci per aprire il pacchetto di sigarette.

“È più che giusto che tu voglia prenderti una pausa, no?”

'Oh, no! Non di nuovo!' pensai.

“Forse” risposi “Ma è mia figlia. È solo mia. Ha solo me. È mio dovere assisterla.”

“Uh” continuò il pacchetto di sigarette “che parole fredde, da dire!”

“Ma è quello che sento!” quasi strillai. Dannato pacchetto, che ne sapeva lui dell'inferno che stavo passando?

“Non è solo quello che senti, vero? Quelle belle parole su tua figlia suonano così forzate per un altro motivo.”

“Ma io le voglio bene...” borbottai, afflitta.

“Certo che le vuoi bene, tesoro!” intervenne l'accendino “nessuno lo mette in dubbio. Ma c'è qualcosa che ti lacera dentro, vero?”

Rimasi zitta per un po'. Poi... “Leto la deve pagare.”

“Oh, ecco qui la mia ragazza!” esclamò la poltrona a sacco.

'Sì' pensai 'Leto la pagherà!'. Buttai via pacchetto e accendino. Poi andai a lavarmi.

  
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