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Autore: but honestly    09/07/2013    1 recensioni
«Diventa chi vuoi, studia quello che vuoi: noi saremo amici, al di là di tutto questo.» lo sguardo di Ren si fece improvvisamente più sicuro «Per sempre, giuralo!». Questa è la richiesta che un Ren Jinguuji di 11 anni rivolge al giovane erede degli Hijirikawa. Ma, dopo il debutto degli STARISH nel mondo della musica, l'affascinante biondo sembra improvvisamente perdere interesse per il gruppo, distaccandosene apparentemente senza ragione. Cosa lo spinge a questa fuga immotivata? Il filo rosso del loro destino, logorato dalle pressioni familiari e dai contrasti di rivalità, terrà stretti i cuori dei due ragazzi o finirà con lo spezzarsi?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Masato Hijirikawa, Ren Jinguuji
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Musica leggera, un ricco buffet, un centinaio di invitati e fin troppi falsi sorrisi.
Ren era lì. Tra le mani teneva un calice di vino, che lasciava oscillare tra le dita senza, tuttavia, mai prenderne un sorso.
Lo teneva in mano da più di un’ora, da quando gliel’aveva offerto una donna di cui, a dire di suo padre, avrebbe dovuto ricordare il nome, ma della quale, per la verità, aveva impressa nella memoria solo quell’espressione assecondante e ipocrita che sembravano avere un po’ tutti, ai ricevimenti dell’alta società.
E lui rispondeva a tutti allo stesso modo: un sorriso leggero, un lieve inchino col capo, dopodichè si allontanava accennando un “con permesso”.
 
Non gli interessava frequentare, né tantomeno farsi favorevoli, nessuno di quei personaggi opportunisti e carichi solo dei propri interessi. Fosse dipeso da lui, non si sarebbe neanche avvicinato alla sala. Sarebbe fuggito abbozzando una scusa qualunque o, magari, non si sarebbe neanche presentato.
Suo padre non avrebbe notato la differenza. Non gli era mai interessato.
 
Ren è un ragazzo sveglio, ma non sarà mai all’altezza dei fratelli.
 
Finalmente si decise a prendere un sorso da quel calice che torturava da più di un’ora, dapprima inumidendo appena le labbra fine nel liquido violaceo, poi assaggiandone il sapore rosso pungente. Stirò appena le labbra in una smorfia.
Il vino era raffinato, ma non faceva per lui.
 
Almeno è di bell’aspetto. E’ utile solo a migliorare la nostra immagine.
 
Un altro sorso. Un sospiro.
Dieci minuti, ancora dieci minuti. Se poi non l’avesse visto, sicuramente se ne sarebbe andato senza curarsi di salutare.
L’unico motivo per il quale non aveva deciso di restarsene a casa, o di andare a creare guai da qualche parte in un locale di città, era lui.
Masato Hijirikawa.
Bastava quel nome a fargli sussultare il cuore. Si morse appena il labbro inferiore, mentre lo cercava tra la folla di invitati. Esattamente come tanti anni prima, a quella prima festa. Non importa cosa farai, noi saremo amici per sempre.
Anche quella bella canzone, come tutte, era destinata ad avere una fine… no?
Continuò a ripetere quel nome tra sé e sé, come per ricordarsi il motivo per il quale si era presentato a quell’unica celebrazione, dopo tanto tempo di assenza.
Masato Hijirikawa. Masato… «Oh, sei tu, Hijirikawa.»
Ren si voltò di scatto.
Era bastato udire quel nome per fargli scivolare il bicchiere di mano, lasciandolo infrangersi sulla moquette rossa della sala. Irrimediabilmente macchiata. Qualcuno rise, additandolo… ma non ci fece neanche caso. Un sorriso soddisfatto di sé stesso gli illuminava il  volto, spiccando sulla carnagione olivastra.
Masato si era voltato verso di lui e aveva notato subito quello sguardo su di sé, quelle labbra fine stirate in un’espressione di compiacimento. Scosse il capo e fece finta di nulla. Ma questo non bastò affatto a scoraggiare il biondino. Aveva già puntato la sua preda.
 
Mosse qualche rapida falcata in direzione del giovane ospite, portando entrambe le mani alle tasche. Non per un gesto di noncuranza, piuttosto perché le dita gli tremavano sensibilmente e far notare questo spasmo al rivale, più che alla folla, l’avrebbe messo in una condizione di estremo disagio.
Quando gli fu vicino e potè osservare i suoi occhi limpidi e il suo sguardo assorto, mentre si districava silenziosamente tra i discorsi frivoli dei presenti, il suo cuore ebbe un fremito. Ma diede la colpa del fatto all’alcol e si ripromise di non toccare più un calice di quel pregiato vino rosso per parecchio tempo.
 
Affiancò Masato, ma questo fece finta di non notarlo. Quando gli fu inesorabilmente vicino, però, e gli rivolse la parola davanti a tutti i suoi interlocutori, ignorarlo fu praticamente impossibile. «Vorrete perdonarmi se allontano il vostro giocattolino solo per qualche secondo, vero?» esordì Ren, con le labbra distese in un sorriso sicuro di sé, mentre ammiccava vivacemente.
Masato avvertì una goccia di sudore freddo scivolargli lenta lungo la schiena e un brivido percorrergli la spina dorsale. Gli invitati guardavano già entrambi con un certo sdegno. «V-Vogliate scusarmi…»  balbettò, allontanandosi al seguito del biondo che già considerava l’idea di trascinarlo via con la forza, pur di avere un colloquio con lui in privato.
Si allontarono dalla sala a passo svelto ed in silenzio assoluto, percorsero corridoi ed attraversarono porte, fin quando non si trovarono nel giardino esterno alla residenza dove si teneva il ricevimento.
 
Lo sguardo severo di Masato penetrò subito attraverso gli occhi di Ren, affilato come una lama,  in contrasto con le fiamme azzurre e sfavillanti del compagno. «Che cosa vuoi, Jinguuji?».
Lui rise. Rise di gusto, passandosi una mano tra i capelli in un gesto rilassato. In realtà, sentiva i muscoli irrimediabilmente tesi. «Ehi, ma così mi spezzi il cuore! Adesso mi chiami per cognome anche in privato?» sorrise, sfacciato «How cruel!» ammiccò con complicità, ma Masato congedò quell’espressione con un gesto stizzito della mano.
«Se vuoi fare il pagliaccio con me, stai perdendo tempo. Io torno dentro.» lo avvisò, con fermezza di spirito, ma no, Ren non aveva affatto concluso. Al contrario, aveva appena cominciato.
 
«Himawari Kinomoto.»
 
L’avanzata di Masato si arrestò di colpo. Gli occhi azzurri spalancati a fissare il vuoto.
Era bastato quel nome.
Ren avvertì distintamente qualcosa dentro di lui lacerarsi, lentamente.
 
«Cosa c’entra Kinomoto, adesso?»
Ren scrollò le spalle, fingendo una certa noncuranza. «Oh, non saprei, sei tu che ti sei fermato.» commentò, con un ghigno furbo stampato sul viso, che Masato non si voltò nemmeno a guardare. Si limitò a tenere i pugni serrati, le braccia distese lungo i fianchi.
Ancora quella fitta al petto: Ren cominciava seriamente a pensare che l’alcol potesse avere effetti terribili sul suo corpo.
«Per caso ho toccato un tasto delicato?» si passò la lingua fra i denti di madreperla, quasi assaporando un sapore che poteva soltanto immaginare «Ti interessa parecchio, vero?»
«È una ragazza del mio corso… tutto qui.»
Oh, Ren era astuto. Sapeva già che Masato avrebbe negato fino alla morte l’esistenza di qualunque legame che potesse essere per lui fonte di soggezione. Anche se fosse stato coinvolto sentimentalmente, anche se… «Allora non ti dispiace se diventa mia, no?».
 
Masato si voltò verso di lui, con uno sguardo incendiato celato dietro il suo volto impassibile. Non rispose. Forse credette che dovesse trattarsi di una provocazione, di un gioco.
Ma Ren probabilmente non era mai stato così serio.
Quello era decisamente stato il principio del declino.
 
Tu devi guardare… soltanto me.
 
 
Delle volte se lo chiedeva anche: se fosse stata proprio quella sua decisione cambiare il volto delle cose. Ed era ciò a cui aveva pensato per tutto il lasso di tempo impiegato per spiegare al preside dell’accademia, ovvero anche il manager degli STARISH, il motivo fondamentale per il quale aveva intrapreso un preciso cammino.
Una decisione irrevocabile.
«Non avrai un’altra occasione come questa.»
«Adesso non ne ho più bisogno.»
Quell’uomo vide spegnersi sulle labbra del ragazzo il sorriso e comprese. Qualcosa doveva davvero essersi rotto dentro di lui, in frammenti così piccoli da rendere impossibile qualsiasi tentativo di riparazione. Lo  sguardo stanco, provato, lasciava intuire che doveva aver riflettuto a lungo sulla questione, prima di poter trovare il coraggio necessario per farsi avanti.
Quell’espressione… non era da lui. O forse, era la prima vera immagine di Ren Jinguuji dopo l’incrinatura della sua ultima maschera.
La fine delle bugie.
Non disse nulla,  lo congedò con un cenno del capo ed un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
Ren chinò appena il capo in segno di rispetto, quindi si voltò verso la porta con passo flemmatico. Pensava che quel cambio di prospettiva gli avrebbe subito giovato, ma bastò varcare la porta e incrociare lui nel corridoio per lasciare che tutta la sua ansia investisse di colpo la sua sicurezza.
 
«Jinguuji.»
Il modo in cui pronunciava il suo nome. Lentamente, con quel tono gelido che lo sottoponeva ad una lenta agonia ogni volta. Ogni parola che usciva da quelle labbra rosee corrispondeva ad un passo che lo separava da lui.
No, non rispose, non era nemmeno in grado di alzare lo sguardo sul suo viso ancora una volta. Voleva riuscire a ricordarlo con il suo sorriso ingenuo, da bambino, quando ancora non poteva fare a meno della sua presenza.
Quando, nel suo piccolo universo, esisteva soltanto lui.
«Jinguuji!» chiamò ancora, ma era già troppo tardi. A passo svelto, con le mani affondate nelle tasche, lo stava scavalcando per uscire in fretta dai corridoi. Le dita di Masato formicolarono appena, quando si voltò per fermarlo. Non riuscì neanche a sfiorargli la mano.
Lo vide allontanarsi silenziosamente nella penombra della sera, mentre si trascinava dietro il pesante fardello della sua sofferenza. Quel dolore anonimo che non poteva condividere con nessuno. Neanche con lui. Da quel giorno, non era cambiato per nulla.
 
Sfuggente e incomprensibile. Ogni volta che gli sembrava interessato, in realtà era annoiato, mentre se intendeva essere serio appariva sempre tutto come un gioco.
Il gioco dell’amore… non è perso al primo segno di cedimento?
Masato si portò una mano al petto, imboccando la direzione opposta per raggiungere i dormitori del piano inferiore.
Decise solennemente che quella questione non avrebbe dovuto toccarlo mai più.
Allora, perché fa così male?
Era sempre stato un ragazzo incredibilmente razionale. Le relazioni, i legami, i sentimenti… tutto questo non faceva parte del suo mondo. E non perché non fosse capace di apprenderli, no. Era una sua scelta. Era stato lui.
Lui aveva scelto di non avvicinarsi alla fiamma della candela, per non doversi mai bruciare. Perché aveva assaporato il gusto amaro della perdita una volta, così da imparare la lezione… e aveva deciso di non legarsi più a nessuno che avesse potuto rappresentare così tanto, per lui, da lasciargli un vuoto dentro.
Perché poteva deciderlo, no? Se il suo cuore non lo avesse ascoltato, si sarebbe imposto. Se avesse potuto, gli avrebbe impedito di battere.
Decido io.Doveva seguire le sue regole.
Doveva essere così.
La fioca luce che trapelava dalle finestre innestate nella parete di destra scandivano il suo camminare lento come il ticchettio di un orologio. Si ordinò di allontanare ogni pensiero da quanto aveva visto. Qualunque fossero stati i motivi di Ren… di Jinguuji, per aver assunto un comportamento tanto diverso dal solito, sicuramente non lo riguardavano.
Erano, anzi, dovevano essere irrilevanti. Si ordinò di liberare la mente da tutti i pensieri e le preoccupazioni che inspiegabilmente la affollavano, ma dovette stringere i pugni fino a graffiarsi i palmi delle mani con le unghie.
Smetti di riflettere e vai a dormire.Ormai era vicino alla sua camera. Domani registreremo, con o senza di lui.
Che avesse voluto o meno dargli spiegazioni, avrebbe comunque dovuto passare da quella stessa stanza per riposare. Cosa pensava di ottenere, evitandolo? Come poteva sperare di…? No, no, ecco che l’immaginazione ricominciava ad annebbiargli l’intelletto.
 
Allungò la mano destra verso la maniglia d’ottone, tirando fuori la chiave dalla tasca con la sinistra. Prima di infilarla nella serratura, lasciò correre lo sguardo sulla porta.
Era un gesto semplice, che aveva compiuto miliardi di volte da quando era stato accettato all’accademia. Eppure… Eppure uno strano presentimento stava cominciando ad assumere il controllo del suo corpo, come paralizzandolo. Si irrigidì di colpo. Fu come un lampo, un presagio.
Non seppe spiegarsi il motivo di uella sensazione.
Era come tenere il cuore in una stretta di ferro. Faceva male.
Improvvisamente il corpo sembrò rianimarsi come folgorato da un fulmine. Inserì rapidamente la chiave nella serratura. Uno, due, tre scatti. Clack.
La porta si aprì.
E lo notò subito.
 
«Cosa diavolo…?» mormorò, sottovoce, come un sussurro a sé stesso.
Mancava qualcosa. Anzi, mancava una metà. Della camera. Di lui stesso.
Il letto sfatto, la giacca della divisa abbandonata alla sedia sulla destra, il bersaglio per le freccette che lui utilizzava spesso per diletto, il sassofono adagiato in un angolo con cura, fuori dalla custodia nera che troneggiava in terra, aperta, il CD che non gli aveva mai permesso di toccare e che doveva essere incredibilmente importante per lui; era sparito tutto, come se fosse evaporato, dissolto in un odore impersonale di sapone appena passato che aveva incancellato anche il suo profumo che aveva pensato indelebile.
E non riuscire a ricordarlo, improvvisamente, lo spaventò.
Se ne era andato.
 
Fu come essere trafitto in pieno petto da una spada avvelenata. Non solo bruciava: quel dolore si diffondeva rapidamente in tutto il suo corpo, prendeva il  cuore, la testa, gli toglieva il respiro. Ed era esattamente come lo ricordava.
 
 
Masato era un bambino estremamente fragile.
Di salute cagionevole, costantemente messo sotto sforzo dal suo fisico instabile, tenuto lontano dal resto del mondo. Non poteva frequentare la scuola pubblica, non poteva allontanarsi da casa se non per i ricevimenti ufficiali del padre. Sempre acccompagnato dai fratelli, che non si curavano di lui come avrebbe voluto. Non aveva amici.
Nella sua notte brillavano sempre troppe poche stelle. Ad Oriente, all’alba, solo lui era il Sole.
Da quando aveva avuto modo di incontrarlo, non aveva passato un giorno solo senza passare almeno un’ora del suo tempo con lui. Ad ascoltarlo. Il modo con cui le sue dita scorrevano sui tasti del sassofono aveva un qualcosa di prodigioso.
Amava immensamente e, allo stesso tempo, odiava quella musica. Perché quel talento era qualcosa che a lui mancava e che sapeva di non poter raggiungere senza un impegno mostruoso ed indefesso.
Ma fintanto che aveva modo di ascoltarlo ed averlo vicino, questi due sentimenti costrastanti riuscivano a compensarsi a vicenda. Non c’era mai un eccesso d’invidia o ammirazione. Soltanto il piacere pieno nell’ascoltare quelle melodie che gli avvolgevano l’anima con il loro tepore.
Ren aveva la musica dentro e ne aveva regalata un po’ anche a lui.
Era la sua stella. L’unica del suo cielo.
 
Poi, improvvisamente, smise di fargli visita.
«Non dimenticarti di me… io non ho dimenticato nulla di te.»
Attese una, due settimane. Senza il suo sorriso solare, i suoi capelli biondi ed i suoi modi un po’ bruschi, ma pieni di buona volontà.
Forse fu allora che si accorse che, più che la sua musica, era lui a mancargli da morire.
E faceva male.
Fu suo padre a spiegargli che non sarebbe tornato.   «È un Jinguuji. La loro famiglia è una nostra rivale.» il suo tono era freddo e distaccato, riuscì ad infilare completamente il dito nella ferita del cuore di Masato fino a spaccarlo del tutto «Non voglio che tu lo veda ancora. Probabilmente voleva avvicinarti solo per arrivare a qualche informazione.».
Quelle parole penetrarono nella sua essenza come colpi di fucile. Aveva davvero abusato del loro legame? «Tutti gli uomini sono uguali, Masato, tutti si curano dei propri interessi. Prima lo imparerai, prima potrai difenderti da loro.».
Suo padre era un uomo rigido, severo, calcolatore, probabilmente tutto ciò che aveva desiderato in quel momento era impartire un insegnamento a suo figlio.
Ciò che ottenne, però, fu una cicatrice indelebile che non sarebbe mai riuscito a lavare via con un colpo di spugna.
Se fa così male, non voglio più legarmi a nessuno.
 
Lui era la sua unica stella.
Gliel’avevano portata via.
 
 
Richiuse la porta di colpo, davanti a sé. Qualcosa lo stava travolgendo come un fiume in piena. Emozioni, ricordi, speranze mai rivelate a nessuno.
Tutta una parte del suo mondo stava lentamente scivolando via dalle sue mani, come sabbia tra le dita. Mutilo di una parte di sé, finchè non l’avesse ritrovata.
Lo aveva rincorso per tutta la vita, limitandosi a guardarlo da lontano.
Tutto ciò che aveva voluto era scaldarsi con il tepore piacevole della luce di quella stella distante, che non avrebbe mai più potuto pretendere solo per sé. Passò rapidamente lo sguardo sulle mani, i palmi aperti davanti a lui. Tremavano. Non è possibile…
Una parte di lui si rifiutava con sdegno e riluttanza di accettare quella sensazione come testimonianza di un legame. Non voglio soffrire. La consapevolezza di essere soli è un peso insopportabile per chiunque. Specialmente per lui. Non voglio avvicinarmi. Per lui… e per me.
Ma mentre si ripeteva questo, cercando di convincersi a restare in camera e riposare, le sue gambe avevano già incominciato a muoversi verso l’uscita. Non riusciva a fermarsi, né a rallentare. I rumore ritmico dei suoi passi scandiva il tempo più del suo respiro affannato, irregolare. Correva a perdifiato, lo sguardo determinato ma, allo stesso tempo, iniettato di paura, di insicurezza. Paura di bruciarsi a contatto con quella fiamma.
Ma non avrebbe permesso più a quella stella di fuggire da lui, né il contrario.
Non dimenticarti di me.


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Note dell'autrice ~


E allora... eccoci di nuovo qui! Chiedo umilmente perdono a tutti i lettori per aver impiegato così tanto per scrivere, ma sono stata impegnata con alcuni problemi e, soprattutto, con la maturità i cui risultati mi sono arrivati solo oggi. Avevo anche perso un po' l'ispirazione, perchè questo doveva essere un "capitolo di passaggio", intermedio, e avevo paura di risultare scontata o ripetitiva. Adesso ho più che altro timore di essere diventata pure confusionaria, ma nel prossimo capitolo cercherò di spiegare il tutto al meglio. Vi anticipo che la fanfiction si avvia verso la fine, i nodi presto verranno al pettine! Conto di fare un altro paio di capitoli al massimo, vedremo. 
Stavolta ho puntato molto su Masato, spero di non pentirmi di questa scelta, perchè fino a questo momento il perno è stato Ren.
Ah, ho visto anche che è stata subbata la seconda serie di Utapri... chiedo venia ma non ho ancora avuto modo di vederla, me la godrò appena avrò tempo... quindi prendete questa fanfic come un seguito alternativo della prima stagione :3
Detto ciò, ringrazio tutti coloro che mi supportano e vi chiedo di recensire se avete qualche consiglio da darmi, anche critiche purchè siano costruttive (L)
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo!

River ~

   
 
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