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Autore: honeyes    09/07/2013    7 recensioni
Barbara, ragazza di 19 anni, decide, andando contro tutto e tutti, di inseguire il suo più grande sogno:
lascia la sua città e vola dritta a New York per studiare nella miglior scuola di recitazione della metropoli statunitense, dimenticando però che non è sempre tutto rose e fiori e che per potersi definire un'artista completa avrebbe dovuto imparare anche una disciplina da lei mai studiata prima d'ora... la danza.
L'insegnante severissima del corso di danza le affianca un "Tutor" per le lezioni intensive, al fine di farla migliorare... sarà davvero l'unico fine per questi due ragazzi che da un giorno all'altro si ritrovano a dover stare sempre insieme?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 2

betato da MedusaNoir


 

Quella sera tornai a casa verso l'una, subito dopo essere stata a Central Park e aver ricevuto il messaggio da Matt. Passai il resto dell'intera nottata a leggere l'unico libro che ero riuscita ad infilare in valigia alla partenza: Divergent. Ricordai di averne sentito parlare da una mia compagna di classe l'anno precedente ma non ebbi modo di leggerlo prima di quel momento, così sfruttai la mancanza di sonno più che giustificata per catapultarmi nel mondo dispotico di Veronica Roth. Fu inevitabile: mi innamorai dei personaggi principali in pochissime pagine e, una volta conclusa la lettura, presi il computer per cercare maggiori informazioni sulla scrittrice. Un sorriso apparve sul mio volto non appena scoprii che era presente una stesura cinematografica del libro, trovai addirittura delle foto prese dal set e dagli scatti pubblicati dalle riviste più importanti.

Mi domandai se un giorno anche io avrei avuto l'onore di poter interpretare il ruolo di un'eroina come Tris, indubbiamente diverrebbe uno dei momenti più incredibili della mia vita.

Continuai a girovagare per la rete, scoprendo l'esistenza di un secondo libro, Insurgent, e pensai di comprarlo in lingua originale nei giorni a seguire. Guardai l'orologio, sentendo dei brontolii arrivare dal mio stomaco: erano le otto del mattino così pensai di prepararmi la colazione per poi recarmi a scuola e prendere le chiavi della mia stanza.

«Buongiorno!» esclamai, entrando in cucina e trovando Amy e Justin già pronti per uscire.

Entrambi risposero al saluto. Avvisai velocemente Amy, dicendole che quel fine settimana mi sarei trasferita a scuola, nella stanza che finalmente era pronta per me. Fu felice e dispiaciuta allo stesso tempo. Lasciò un bacio sulla mia guancia e si incamminò controvoglia verso la redazione del suo stage che, per fortuna, il sabato prevedeva solo quattro ore. Entrambi iniziavano l'orario di lavoro verso le otto e mezza, perciò erano di fretta quella mattina.

Terminata la colazione, tornai in camera, infilai dei jeans scuri e una camicia a quadri colorata, presi anche una giacca leggera da portarmi dietro. Il tempo si era guastato la sera precedente, i gradi erano scesi bruscamente e forse avrei indossato anche la giacca leggera per non prendere freddo. Uscii e, mentre chiudevo la porta con le chiavi, girai lo sguardo verso casa di Matt: quel pomeriggio sarei stata da lui, finalmente avrei visto dove viveva. Avrei studiato nei dettagli ogni angolo dell'abitazione, cercando di scoprire qualcosa in più di lui tramite il luogo in cui alloggiava. Desideravo ardentemente conoscerlo più nel profondo, nonostante mi rifiutassi di pensare ad un mio coinvolgimento nei suoi confronti.

Chi se la beve?

Scossi il capo, tolsi rapidamente le chiavi dalla serratura e chiamai l'ascensore. Fu ovvio il rossore delle mie guance dopo aver fissato l'ingresso di casa di Matt per qualche minuto; avrei potuto fare una delle mie splendide figure se avesse aperto e fosse uscito scoprendomi a guardare la sua porta. Fortunatamente non capitò, arrivò l'ascensore e scrollai di dosso l'imbarazzo.

Mi stupii, una volta arrivata al campus, di trovare così tante persone anche il sabato mattina: dimostrazione di quanti risiedevano nell'edificio piuttosto che cercare case in affitto e condivise con chissà quanta altra gente. Entrai in segreteria, stranamente vuota, e mi diressi verso la signora seduta alla scrivania.

«Buongiorno» esordii, educatamente.

«Buongiorno, signorina» rispose con un sorriso la donna senza nome.

«Sono Barbara Loveti! Ieri è passato per mio conto Matthew Clarke, un ragazzo del terzo anno. Mi ha detto di venire qui in mattinata per le chiavi della stanza.»

La signora si alzò subito dalla sedia e si diresse verso uno degli scaffali presenti nel fondo della segreteria, poi tornò indietro porgendomi un mazzo di chiavi.

«Sono Caroline McNighty, spesso troverai me qui in segreteria. Ti lascio qualche informazione, così che tu possa muoverti senza troppi problemi all'interno del campus: le stanze sono tutte dotate di un bagno personale con doccia, la tua è singola, una delle poche disponibili... non so se per te sia una bella notizia o meno, ma il lato positivo è che non dovrai gestire i tuoi orari tenendo conto della presenza di un'altra persona. La cucina non c'è, non in stanza perlomeno. Puoi trovare però la mensa aperta fino alle dieci di sera, oppure uno spazio comune all'interno del quale potete cucinare qualcosa... solitamente viene utilizzato per la colazione, difficile trovare studenti vogliosi di cucinare. Ah, stavo dimenticando, c'è anche la lavanderia in comune! Penso di aver detto tutto...» concluse, gentilmente.

«Per quanto riguarda dei lavori? Io non ho molto da parte, ho bisogno di lavorare per potermi permettere gli studi e... l'alloggio.» risposi, leggermente preoccupata.

«Cara Barbara, ogni studente viene trattato a seconda della propria situazione. L'accademia è a conoscenza del fatto che sei qui completamente sola, che non sei cittadina americana e sei senza un lavoro. Esistono delle agevolazioni: diamo la possibilità agli studenti stranieri di poter pagare tutto a fine anno, così che non dobbiate “anticipare” le rette nel caso in cui otteniate la borsa di studio. Se ti impegnerai e risulterai un'ottima studentessa, vista la situazione economica in cui ti trovi, non potremo negarti la borsa di studio.» replicò, esaustiva.

«La ringrazio, Caroline... volevo dire Signora McNighty!»

Salutò sorridendo, mi voltai e andai verso l'uscita della segreteria.

Avevo la mia stanza, un posto tutto mio, la cosa più simile ad una casa che si potesse avere nella condizione in cui ero. L'emozione mi fece venire la pelle d'oca.

Camminai lungo il corridoio del primo piano, avevo il numero 135 ed ero al 107, ero così impaziente da sembrare una bambina in attesa di andare alle giostre. Una volta davanti alla stanza entrai senza esitazione: era semplice, la classica stanza di college, eppure rimasi a fissarla ammaliata da ogni singolo dettaglio. Alla destra della porta d'ingresso c'era l'appendiabiti, alla sinistra uno spazio libero fino al comodino con accanto un letto a una piazza e mezza; davanti all'appendiabiti una parete era quasi completamente occupata da un grande armadio e subito dopo una scrivania e una sedia; sulla parete opposta alla porta c'era una finestra con vista campus, mentre più a destra c'era una cassettiera; infine, a sinistra della cassettiera e a destra del letto notai una porta che doveva condurre al bagno.

Che meraviglia...

Fremevo dalla voglia di riempire quel luogo e renderlo mio, volevo fare in modo che chi entrasse riconoscesse subito che quella era la mia stanza... la mia 135.

Tornai a casa di Amy per recuperare tutte le mie cose: immensa valigia, zaino, computer, lasciai lì solo una borsa che avrei recuperato la sera dopo essere stata da Matt.

Oh, Matt!

Sospirai, pensando al pomeriggio, per poi prendere tutti i miei bagagli e incamminarmi nuovamente verso il campus. Avevo lo zaino in spalla, la borsa tracolla, il computer in una mano e nell'altra trascinavo la valigia che grazie al cielo era dotata di ruote. Con fatica, sudata e sfinita arrivai alla mia nuova casa, impiegandoci più del solito.

Porta meno cose la prossima volta!

Come se non avessi lasciato già troppe cose a Milano, pensai.

Nonostante la stanchezza, frutto di una notte in piedi, misi in ordine tutti i miei vestiti e cianfrusaglie varie. Sul comodino posizionai una foto incorniciata, ero ritratta con mia sorella, ci abbracciavamo in una giornata di mare. Fu un suo regalo, datomi qualche giorno dopo la litigata con mio padre. Sembrava quasi avesse compreso tutto, come se intuisse che sarei andata via e volesse lasciarmi un pezzo di lei. Continuai a guardare la foto, sperando con tutto il cuore che lei non ce l'avesse con me per averla abbandonata senza nemmeno un saluto.

Quando scostai lo sguardo verso la sveglia notai con stupore come fosse volato il tempo: erano già le due del pomeriggio e l'appuntamento a casa di Matt si avvicinava.

Corsi subito in doccia, feci uno shampoo veloce e, per non perdere troppo tempo, decisi di lasciare asciugare i capelli al naturale. Indossai un paio di jeans chiari, una canotta con fantasia floreale, le mie solite converse e per il tratto di strada un giubbotto di pelle nero. Decisi di truccarmi: non avrei chiuso occhio fino a sera e un po' di trucco avrebbe mascherato la stanchezza. Un filo di matita nera, eyeliner, mascara e del burrocacao per ammorbidire le mie labbra costantemente secche ed ero pronta.

Non mi diressi subito verso casa di Matt, passai prima dalla mensa per mangiare qualcosa così arrivai da lui alle tre e mezza.

«Ciao, piccolo danno!» salutò, abbracciandomi.

Era incredibile come riuscisse a darmi quella scarica di adrenalina con un semplice contatto. Gli sorrisi ed entrai in casa, curiosa e impaziente di vedere ogni singola stanza.

Cinse i miei fianchi per fare strada: l'ingresso era in soggiorno, grandissimo e con delle portefinestre che davano su un balcone, c'era un divano con davanti la televisione e diversi mobili in stile contemporaneo. Il soggiorno aveva tre porte, una a sinistra che conduceva in cucina - una stanza leggermente più piccola ma anch'essa molto spaziosa - mentre le altre due sulla destra davano l'una accesso a un bagno grandissimo, con vasca idromassaggio, l'altra alla camera da letto. Non mi dispiaceva la casa, era accogliente e moderna, piena di dettagli che le regalavano quel tocco unico e personale.

Finito il giro della casa mi fece sedere sul divano e prese posto accanto a me dopo avermi offerto un bicchiere d'acqua.

«È una bella casa, complimenti!» mi sentii di dire.

«Sì, mia zia è arredatrice di interni... perciò, direi che ho barato.» sorrise, rivelandomi che la bellezza della casa non era tutta farina del suo sacco.

Mi alzai per portare il bicchiere in cucina e gli chiesi quali fossero le sue intenzioni per le nostre lezioni.

«Penso dovremo vederci in serata...» rispose, seguendomi. «Ho lezione quasi tutto il giorno, essendo l'ultimo anno.»

Annuii, pensando al mio orario ben più blando del suo.

«Tutto bene?» chiese, notando la mia scarsa loquacità.

«Sì, scusa... sono distrutta! Ieri, avendo dormito fino alle dieci di sera, ho passato la notte a leggere, mentre questa mattina ho trasferito tutte le mie cose al college. Credo di essere sul punto di crollare!» confessai.

«Capisco, mi spiace per la botta di ieri... ma non puoi capire che scena!»

Lo spinsi, fingendomi offesa, ma lui non si mosse di un passo. Lo sentii prendere invece la mia mano e con estrema professionalità farmi fare una giravolta seguita da un casqué che mi tolse il fiato. Avevo il suo viso vicinissimo, riuscivo perfino a sentire il nostro respiro mescolarsi. Le mie labbra si schiusero automaticamente, erano incontrollabili, mentre tutto il resto del mio corpo si irrigidii, segno della tensione che percepivo in quel momento. Avvertii la sua mano scorrere lungo la mia schiena, provocandomi dei brividi; Matt avvicinò il viso al mio fino a toccare il lobo del mio orecchio con le labbra.

«Ho bisogno di fare una doccia veloce prima di parlarti delle prossime lezioni... ti va di aspettare?» sussurrò.

Chiusi gli occhi istintivamente, cercando in qualche angolo del mio corpo la forza di reagire a quel contatto estremamente pericoloso. Riuscii, sorprendentemente, a staccarmi da lui e annuire incamminandomi verso il divano. Tutto senza proferire parola.

Mentre Matt entrava in bagno accesi il televisore: fortunatamente aveva accesso ai canali satellitari a pagamento, trovai così quelli dedicati al cinema e lasciai su un film in prima visione.

Prima visione statunitense, accidenti!

Era incredibile, credetti di provare le stesse emozioni di Colombo quando pensò di aver trovato le Indie.

Tolsi le scarpe per dispormi comodamente sul divano, stesi le gambe e poggia la testa su uno dei cuscini, sporgendomi leggermente per prenderne un altro e abbracciarlo – cosa che facevo abitualmente. Bastarono pochi minuti: comodità e stanchezza mi cullarono fino a farmi addormentare sul divano di casa di Matt.

 

Aprii gli occhi, li stropicciai e confusa mi guardai attorno. Ero su un letto ma non era quello di casa di Amy. Portai nuovamente le mani agli occhi per provare a togliere la vista annebbiata e mi resi conto di non essere nemmeno al college: ero sul letto di Matt.

«Oh, cazzo!» esclamai a voce alta. Un istante dopo entrò Matt dalla porta di camera sua.

«Dormito bene?» sorrise, facendo l'occhiolino.

«Scusa... non pensavo di essere ven... insomma, arrivata al tuo letto!» dissi, guardandomi intorno e arrossendo per l'imbarazzo.

«No, no... uscito dalla doccia ho visto che ti eri addormentata e ho pensato di farti stare più comoda.» rispose Matt con innocenza.

«Grazie e scusa, davvero...»

Mi alzai dal letto, guardai l'orologio e per fortuna notai di non aver dormito fino a tardi. Se fossi rimasta nel mondo dei sogni per tutto il pomeriggio mi sarei ritrovata a vagare ogni notte per New York.

«Hai voglia di una cena veloce?» chiese, mentre lo superavo per raggiungere il soggiorno.

Lo fissai un secondo. Improvvisamente avvertii il suo odore sulla mia pelle, doveva essermi rimasto addosso mentre dormivo sul suo letto, fu una gradevole sensazione che però non riuscivo a spiegarmi. Lui mi guardò alzando un sopracciglio, era in attesa di risposta che diedi con un cenno del capo.

Con un po' di fatica, conquistai il mio posto in cucina e preparai la cena: cucinai una carbonara arrangiata, considerando la scarsa quantità di ingredienti presenti, molti dei quali non erano nemmeno del tutto esatti. Ciò nonostante il risultato conquistò il palato di Matt che spazzolò tutta la pasta in breve tempo. Mi sorpresi nel vederlo mangiare così velocemente un mio piatto; quando ero a casa, a Milano, cucinavo raramente perché mia madre era particolarmente gelosa della sua cucina e salvo rare eccezioni cucinare era off-limits per tutti.

«Era buonissima, Barbi!» disse, leccandosi i baffi.

«Grazie. Tu sai cucinare?» chiesi, curiosa.

«No, altrimenti sarei perfetto!» rispose con una modestia inesistente.

Scossi il capo e mi alzai per sparecchiare la tavola, lui cercò di fermarmi ma lo respinsi in maniera abbastanza convincente, mandandolo in soggiorno a guardare la televisione mentre cominciavo a lavare e sistemare tutto.

Una volta finito lo raggiunsi in soggiorno, volevo sapere cosa avremmo fatto nelle prossime lezioni e magari strappargli qualche consiglio per non passare le ore di danza con Malefica intenta ad umiliarmi davanti a tutti i compagni di corso.

 

Primo giorno di lezione: avevo l'intera mattina occupata dalle ore con Malefica. Mi diressi verso l'edificio con largo anticipo, sperando di non trovare nessuno e poter provare in santa pace quel che Matt mi aveva insegnato.

Se ti impegnassi di più invece di pensare a lui...

Entrai in aula, sbuffando con me stessa, e appena alzai lo sguardo trovai una ragazza concentrata a eseguire degli esercizi. Era una bella ragazza, bionda, bel fisico e decisamente molto brava nell'eseguire quei passi. Decisi di avvicinarmi e salutarla, avrei dovuto parlare a qualcuno prima o poi e sicuramente non era il contesto adatto per far emergere il lato timido che mi contraddistingueva.

«Ciao! Sono Barbara...» dissi, porgendole la mano.

Lei interruppe i passi e si voltò, squadrandomi dalla testa ai piedi. Una scossa percorse tutto il mio corpo, quella ragazza cominciava ad essere davvero inquietante. Alzò un sopracciglio, come contrariata, e tornò ai suoi esercizi. Era davvero maleducato da parte sua non rispondere proprio a un saluto, non pretendevo diventassimo migliori amiche ma “il saluto non si toglie nemmeno ai cani” diceva sempre mia madre. Ignorai il suo gesto scortese e andai a sedermi in un angolo.

Addio esercizi!

Ovviamente con Misssono bella, brava e tu cosa sei” lì non avrei osato muovermi più del dovuto. Fortunatamente passarono pochi minuti prima che l'aula cominciasse a riempirsi. Una volta entrate altre persone iniziai a sentirmi meno tesa e cercai di convincermi che probabilmente sarebbe andato tutto bene.

Quando arrivò Malefica notai, forse impressionata, che tutti quelli che erano in piedi a provare qualche passo si erano catapultati a terra quasi senza respirare e in attesa che lei aprisse bocca. Era davvero necessario terrorizzare i propri alunni? Se era così brava come sosteneva alla presentazione, perché doveva atteggiarsi in quel modo? Proprio non riuscivo a comprendere.

Diede ordine di metterci accanto alla sbarra e constatai priva di stupore che la ragazza poco educata si era posizionata proprio vicino all'insegnate.

Classica lecchina!

Eleonor diede un rapido controllo a tutta la stanza, quasi come volesse fare l'appello incenerendoci in silenzio, e appena incrociò il mio sguardo si avvicinò.

Mayday, mayday! Stiamo precipitando!

Altroché, avevo come la sensazione che da quel momento non avrei mai più detto no ad un invito a fare bungee jumping. Cosa poteva essere peggio della mia insegnante di danza?

«Spero tu abbia imparato qualcosa durante questi giorni, occhi blu.»

Ero pietrificata, la sua sola vicinanza mi causò un arresto cardiaco seguito da palpitazioni. Forse non avrei dovuto pensare a un'eventuale borsa di studio: non avrei mai ottenuto quei maledetti crediti, era ovvio quanto mi detestasse.

La lezione si rivelò una delle peggiori esperienze della mia vita: Eleonor non fece altro che umiliarmi, ogni scusa era buona per avvicinarsi e deridermi insieme alla classe – classe capitanata dalla biondina maleducata che non aveva risposto al mio saluto. Ero furiosa, frustrata e in estremo imbarazzo. Appena terminate le ore mi lanciai verso la borsa per scappare da lì, non avrei voluto sentire la parola “danza” almeno fino al giorno successivo, ma sfortunatamente non era ancora conclusa la fase terribile della mia giornata.

«Non sapevo questa scuola accettasse anche i casi disperati! È proprio vero allora, quest'anno va di moda la beneficenza...»

All'affermazione della ragazza maleducata seguirono le risate fastidiose del suo gruppetto di amiche.

«Sei sempre la solita, Erika!» rispose, ridendo, una compagna al suo fianco.

Che dici, spacchiamo i denti a questa Erika?

L'istinto animale che era in me suggeriva proprio quello: prendere il bel visino di Erika e darle una bella ginocchiata sui denti in modo che avrebbe smesso di sorridere... ma farsi espellere dalla scuola il primo giorno di lezione non era poi così brillante come idea. Usando ogni cellula del mio corpo, uscii dall'aula e andai dritta alla mensa.

Come sospettavo la sala era piena di gente rumorosa in fila per il cibo. Aveva proprio ragione la povera Caroline della segreteria dicendo che era davvero difficile trovare giovani studenti vogliosi di cucinare. In nostro favore pensai al fatto che avevamo davvero poco tempo, soprattutto all'ora di pranzo.

Mangiai un piatto leggero, la lezione di danza mi aveva chiuso lo stomaco e non volevo rischiare per poi star male durante le ore di recitazione che avrei avuto quel pomeriggio. Per fortuna avevo un'ora prima dell'inizio del corso da me più atteso, così colsi l'attimo e andai a fare una doccia veloce.

Arrivata davanti l'aula del corso di recitazione mi soffermai a leggere un volantino:

 

The Great Gatsby

Iscrizioni ai casting aperte 1-15 Ottobre

Rivolgersi a Alexander D'Oneil (Insegnante di recitazione)

Guest Star: Nathaniel Harding nel ruolo di Jay Gatsby

 

Improvvisamente sentii una mano toccarmi la spalla: una ragazza a me sconosciuta mise il braccio intorno alle mie spalle, trascinandomi verso l'ingresso dell'aula.

«Ciao, bellezza! Io sono Jennifer, sono del secondo anno ma l'anno scorso ho fallito questo esame...» esordì, con movenze curiose. «Qual è il tuo nome?» chiese, concludendo la presentazione.

«Ehm... Barbara...» le risposi, ero molto imbarazzata a causa del suo atteggiamento espansivo poco conforme alla mia timidezza.

«Hai un accento quasi impeccabile, mia cara! Ma sono una newyorkese doc, quindi non mi sfugge nulla... di dove sei?» domandò, squadrandomi dalla testa ai piedi.

Mi sentii quasi sotto interrogatorio, speravo solo non fosse un'altra Erika: una per corso era eccessivo pure per un santo.

«Milano... sono italiana» dissi, cercando di liquidarla e tornare ai miei programmi.

«Oh, pizza!» esclamò, facendo l'occhiolino.

Alzai gli occhi al cielo ma un sorriso si impossessò del mio viso e fu impossibile nasconderglielo.

«So cosa stai pensando, te lo si legge negli occhi: chi è questa pazza e cosa vuole da me?» sospirò, per poi riprendere: «Questa scuola è frequentata sempre dalle stesse persone. Sembrano quasi tutti fatti con lo stampino, hai presente? Sedicenti che girano per il campus credendo di poter comandare tutto e tutti; decidere dove, come e quando dare una festa; arrivare dove vogliono nella vita... insomma, ci siamo capite. Mi sei sembrata diversa, nessuno studente si è mai fermato davanti agli annunci prima d'ora. Solitamente è il professore a dover implorare per una partecipazione, spesso anche minima. Si sentono tutti figli d'arte già arrivati chissà dove!»

«Tutto questo è assurdo!» obiettai con irritazione.

Jennifer annuì, concordando.

«Nessuno è obbligato a frequentare questa scuola, stare qui e studiare questo genere di discipline e per di più non è gratis! Quale assurdo motivo spinge questa gente a non partecipare a delle iniziative come una rappresentazione teatrale? Se sono qui per diventare attori è il minimo che possano fare. E lo stesso vale per ballerini, cantanti e tutto il resto...»

Cominciavo a innervosirmi, mi sembrava così assurdo che una persona si potesse imbarcare in un percorso di studi come quello per poi prendere il tutto così superficialmente.

Adesso non sfogare la tua frustrazione con questa povera anima arrivata qui per caso!

«Scusa, Jennifer. So di aver fatto una pessima impressione ma sono molto timida e mi hai parlato di un argomento che mi scalda parecchio. Possiamo ricominciare? Oggi è stata una pessima giornata.» ammisi.

Jennifer gentilmente sorrise.

Entrammo in aula in attesa dell'arrivo dei compagni e dell'insegnante che arrivarono a distanza di pochi minuti.

La lezione passò velocemente: Alexander D'Oneil, il nostro insegnante, ci fece presentare davanti a tutti compagni ma, a differenza di ciò che provavo durante il corso di danza, non sentii alcun disagio. Era sempre così, in ogni scuola di recitazione la prima cosa era la presentazione, era un modo come un altro per dar modo al professore di conoscere qualcosa di te, di studiarti mentre eri al centro dell'attenzione di un'intera platea, una sorta di test d'ingresso.

Il professore si congedò rapidamente e andò via prima che potessi avvicinarmi per parlare dello spettacolo al quale avrei voluto presenziare, ma fortunatamente l'avrei rivisto il giorno successivo perciò non mi allarmai più di tanto. Ero felice di aver terminato le lezioni, anche se avrei dovuto vedere Matt più tardi, così mi diressi verso i dormitori, sognando già qualche momento di relax più che meritato.

 

Uscii dalla mia camera verso le otto e mezza, l'incontro con Matt era fissato per le nove – pensammo fosse l'orario migliore per entrambi: non era troppo tardi né presto e, tenendo conto le due ore fisse che pretendeva Eleonor, non saremmo andati a dormire a un orario indecente.

Il campus era deserto, a quell'ora solitamente i ragazzi sono in camera, a mangiare o al massimo in giro per New York a godersi le meraviglie di una città che non dorme mai. Arrivata all'edificio sede del male notai le luci accese, cosa che non era assolutamente presente in tutti gli altri, escluso il complesso dove risiedevamo noi studenti.

Entrai, cercando di non farmi sentire, volevo fare uno scherzo a Matt e farlo spaventare: era seduto a terra, sembrava concentrato con l'iPod in mano e in cerca di qualche canzone.

«Bu!» esclamai, augurandomi di averlo spaventato.

Matt fece un salto, segno che il mio piano aveva riscosso successo, e un sorriso apparve istantaneamente sul mio volto.

«Ma razza di piccola peste» sussurrò.

Si alzò di scatto e mi prese in braccio, facendo uscire un lieve urlo che ricoprì l'intera stanza. Cominciò a farmi il solletico, pur mantenendo salda la presa per non farmi cadere: lo soffrivo dannatamente così, tra risate incontrollabili, urla, e preghiere del genere “Matt, ti scongiuro, mettimi giù”, cercavo di scappare dalla sua presa... cosa che si rivelò impossibile.

«Chiedi scusa al tuo splendido Tutor, piccolo danno!» ordinò, continuando senza sosta a solleticarmi ovunque.

Ovunque? Ti piacerebbe...

«Scus...»

Non riuscivo a terminare la parola, non con le risate che mi soffocavano.

«No, no... devi dire testuali parole: “Scusa, mio insuperabile e super attraente Tutor”»

Ah, però...

Gli diedi dei pugni sulle spalle, implorandolo di farmi scendere.

«Non ti dirò mai quella frase, brutto idiota!» lo provocai.

Matt mi buttò a terra, facendo attenzione che non prendessi colpi dolorosi, e si inginocchiò con le gambe che stringevano le mie per tenermi ferma. Aveva stretto in una sola mano i miei polsi e con l'altra continuava a farmi il solletico. Pensai di morire priva di ossigeno se non avesse smesso in breve tempo. Avvicinò il suo corpo, portandolo sopra il mio, e questo non mi aiutò a immagazzinare aria ed evitare di collassare.

«Chiedi scusa, ora!» disse, cercando di fare il serio. Per mia fortuna smise di fare il solletico così potevo preoccuparmi esclusivamente del suo viso a pochi centimetri dal mio.

Chiusi gli occhi e inspirai profondamente.

«Scusa, mio insuperabile e super “menoso” Tutor!» risposi, facendo scivolare una delle sue gambe.

Non mi ero accorta che con quella mossa, più la spinta che diedi al suo copro e le sue mani che mi stringevano perfettamente, era ovvio che il mio corpo seguisse i suoi movimenti: così mi ritrovai esattamente seduta sopra il suo bacino.

«Oh, mio Dio, scusami ti prego!» cercai di giustificarmi, con le guance che diventavano rosse più di quando andavo al mare senza mettere la protezione.

Alzai entrambe le mani, che si slacciarono dal contatto con Matt, a nascondermi il viso.

Smettila di fare la suora, oh!

No, era troppo imbarazzante. Se fosse stata una persona qualunque probabilmente non mi sarei sentita così a disagio ma lui era Matt, il mio Tutor...

Un ragazzo molto bello e attraente!

La mia mente è sempre molto gentile nel precisare ogni cosa.

«Tranquilla, Barbara! Stavamo solo... giocando.» mi rassicurò.

Mi alzai, quel contatto comprendeva parti del corpo che era meglio rimanessero nel loro lungo letargo. Anche Matt si alzò e, invece di andare verso lo stereo, tornò da me. Cinse il mio fianco destro con la sua mano sinistra e prese la mia mano sinistra con la sua destra. Lo guardai confusa, non sapevo cosa volesse fare o forse non volevo capire per paura.

«Nella danza, soprattutto quando si tratta di balli di coppia, i corpi dei due ballerini devono entrare in sintonia.» cominciò a spiegare, guidandomi in quelli che dovevano essere dei passi.

Lo stavo seguendo e questo mi stupii.

«Quello che è successo poco fa è incredibile. I nostri corpi si sono rincorsi, come se l'uno dovesse necessariamente seguire l'altro... è esattamente quello che si deve fare nella danza, Barbi.»

Abbassai lo sguardo, dopo quelle sue parole e quel che era successo non riuscivo a reggere il suo sguardo.

Inizia a piacerti, eh?

Sentii gli occhi inumidirsi, erano emozioni che non provavo da tanto, forse troppo tempo. Ero totalmente spiazzata e intimorita.

Cercai di seguire i passi dei nostri piedi, cercando di capire come lui potesse guidarmi, quando improvvisamente gli calpestai un piede.

«Scusa...»

«Tranquilla, è normale. Prima eri troppo scossa e imbarazzata, sono riuscito a portarti grazie a quello.» replicò Matt.

Lo guardai negli occhi, erano scuri ma così pieni di luce che era impossibile non cadere dentro le mille emozioni che riuscivo a provare solo in sua presenza. Mi perdevo sempre, anche solo con una frazione di secondo, con un impercettibile incrocio dei nostri sguardi. Erano magnetici i suoi occhi, così come lo era lui stesso.

Si staccò da me, senza preavviso, e si avvicinò allo stereo: da lì, partì la nostra vera lezione.

Arrivai in camera verso le undici e mezza, recuperammo il tempo perso all'inizio da bravi studenti. Subito dopo la doccia mi infilai sotto le coperte, ancora non troppo pesanti, e i pensieri invasero la mia testa: cosa stava accadendo? Se fossi stata una ragazza meno razionale, probabilmente non mi sarei soffermata più di tanto su quel che era accaduto quella sera, ma io non sapevo spegnere il cervello. Avevo bisogno di tenere sotto controllo ogni mia singola emozione, di capire da dove proveniva e perché, se ero in grado di sopraffarla, nasconderla o annullarla per sempre in qualche modo... cosa che non accadeva quasi mai. Percepivo qualcosa di strano nello stomaco e la cosa non mi faceva per niente piacere. La paura era troppa, ero troppo spaventata all'idea di potermi lasciare andare con un ragazzo, di poter sentire qualcosa per lui, senza contare che era il mio tutor e non un ragazzo qualunque conosciuto in vacanza o in un locale, mi sembrava tutto estremamente inopportuno.

Tu pensi troppo, figliola!

Avrei potuto creare un mio marchio di fabbrica con quella frase, non esisteva persona al mondo che dopo avermi conosciuto non mi avesse detto quelle maledette parole.

Mi rigirai nel letto per diverse ore e quando, finalmente, ero riuscita a prendere sonno sentii il mio cellulare suonare: era un messaggio di Amy.

 

SOS – Domani vengo da te al campus verso cena... ci sono news dall'Italia.

 

Oh cazzo.

 

* * * * *

SPAZIO AUTRICE

Voglio cominciare ringraziandovi tutte: grazie di vero cuore per essere entrate a leggere questa storia, aver recensito e apprezzato, per i likes messi ai capitoli... grazie per tutto, apprezzo davvero tanto ogni singola persona pronta a entrare e immergersi nelle vicende di questi due curiosi personaggi.
Un grazie speciale alle ragazze che mi hanno lasciato le recensioni, è stato incredibilmente gradevole leggere i vostri pensieri, dubbi, supposizioni ecc... mi riempite sempre di gioia.

 

Un mega grazie, come sempre, alla mia cara Beta che pazientemente corregge e mi fa morire dalle risate con i suoi commenti scritti nelle correzioni... a volte so essere davvero ingenua. ;)
Siamo al secondo capitolo, quindi terzo aggiornamento, e mi ritrovo con un grandissimo sorriso stampato il volto. Non credevo di poter trovare così tante visite, lettori e recensioni – sì, non saranno cifre astronomiche ma considero il fatto che è la mia prima storia e su EFP sono completamente sconosciuta. :)


Spero sia stato piacevole per voi leggere questo nuovo capitolo, così come per me è stato scriverlo.

 

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Il gruppo: honeyes

Grazie ancora a tutti!
Willa 
   
 
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