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Autore: Aleena    09/07/2013    1 recensioni
Shasta, un drow dalle grandi ambizioni, intesse una relazione proibita con Kania che lo porterà davanti al giudizio della sua Dea. La sua condanna all'eterno dolore, però, si trasforma nell'occasione di potere e di libertà che per tutta la vita aveva, inconsapevolmente, atteso.
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1a Classificata al contest "Imprisonment: because there isn't only happiness in our life" indetto da Visbs e Tallu_chan sul forum di EFP.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I fantasmi di Che'el Phish'
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X – SEGRETI

 
 
  Da quella notte Shasta aveva ucciso più persone di quante avrebbe potuto ricordare.
Gabriel ne era compiaciuto: aveva intuito ben presto il potenziale di quell’essere così raro e aveva atteso pazientemente che fosse immerso senza ritorno nel suo incantesimo prima di affidargli il compito cui l’aveva destinato. Ora, il lento agitarsi di quella massa sonnolenta che percorreva le strade di Soham era un segno che i suoi desideri si stavano realizzando.
Nove vampiri antichi vivevano a Soham quando, non meno di sette secoli prima, Gabriel vi era giunto. Nove algidi assassini, in continuo conflitto per quelle prede che si nascondevano e tramavano, cercando il modo di togliere loro la vita. Di quelli iniziali, solo cinque ora vivevano: durante la grande rivolta e il sollevamento del popolo osteggiato, Gabriel aveva stretto un’alleanza e proposto una tregua, che comprendeva il divieto di caccia nei confini della città. Non tutti lo rispettavano, ma cosa importava? Il commercio degli schiavi era ripartito e quelli che, a differenza sua, erano così sciocchi da non avere un serraglio fedele, potevano acquistare il cibo al mercato, come ogni altra persona comune.
Gabriel non era mai stato uno sprovveduto: quando, un tempo infinito prima, la sua vita come uomo era finita, aveva ricevuto il dono di ammaliare, un potere che gli era apparso modesto se confrontato con quello dei suoi simili, ma che gli aveva permesso di emergere. Nessuno poteva resistere alla sua voce, ai suoi modi, al suo sguardo: qualunque anima, fosse anche la più dura, cedeva e si gettava incontro alla sua rovina… eccezion fatta per i vampiri più anziani di lui.
Era per loro che aveva bisogno di Shasta. In città Gabriel era rispettato e nel suo serraglio amato, cosa che non valeva per la maggior parte degli altri vampiri, che non avevano mosso una moneta per farsi amico il popolino. Pensavano forse di poter tenere la città solo con la forza del timore? Non era mai stata una buona scelta, Gabriel lo sapeva. Il popolo vuole solo vivere al meglio delle sue possibilità, senza patire la fame né avere abbastanza per impigrire. Il dolore e l’ozio davano modo alle masse di pensare quanto il lavoro e una vita regolare non facevano, il vampiro l’aveva capito subito.
Su questo avrebbe giocato, per diventare il solo padrone di Soham.
 
D’un tratto di vicoli bui di Soham erano divenuti la sua casa.
Shasta scovolava attraverso gli archi e fra le ombre dei grandi viali senza essere visto, silenzioso come lo spettro che un tempo era stato. Spia, l’aveva definito Gabriel, ma l’albino non era sicuro che le spie avessero anche il compito di togliere la vita; lui l’aveva fatto senza rimorso – erano nemici del suo padrone, dopotutto, non meritavano di vivere se l’osteggiavano.
Per quello ora si trovava lì, in attesa, al limitare della città bassa - la depressione che accoglieva il popolino più modesto, i lavoratori e gli schiavi, dividendolo dall’ala dei commercianti, nobili e mercanti. Doveva uccidere un uomo e incontrarne un altro, scivolare fra le umide travature della taverna e scendere nella sala comune in cui, spacciandosi per un reietto, fomentare la rivolta.
Il malessere serpeggiava da giorni fra i vicoli nebbiosi, diffondendosi di bocca in bocca, le parole come un torrente agitato che rumoreggiava sempre più forte in attesa che la rabbia rompesse gli argini. Di lì a qualche ora, quando la notizia della morte della bambina sarebbe arrivata alle orecchie della città alta, la folla avrebbe ceduto.
Cecile, così si chiamava la piccola: figlia del giudice della città, uomo stimato per l’integrità, l’onestà e la mitezza, l’elfo che dai tempi della rivolta era stato fermo sostenitore dell’indipendenza dalla nobiltà e che già aveva perso il primogenito e la moglie, stroncati nel cuore della notte da qualcosa che ne aveva prosciugato il sangue. Gabriel aveva pianto al loro funerale, unico della schiera nobiliare ad essersi presentato, e le sue guardie da giorni pattugliavano la città alla ricerca del colpevole. Ogni tanto, qualcuna di loro veniva ritrovata pallida e con la gola aperta e rinsecchita. Allora il padrone scendeva in strada e accendeva fiaccole, donando la sua comprensione e una generosa ricompensa monetaria, quindi si intratteneva in strada ad ascoltare testimonianze e raccogliere lamentele.
Gabriel usciva molto più spesso da quando Shasta scivolava nelle ombre, talvolta riportando indietro ampolle piene del sangue delle sue vittime come dono per il suo signore, che aveva gustato il plasma del giovane eroe del popolo e della sua cara, placida madre, con soddisfazione pari alla contrizione che aveva manifestato col giudice.
Nessuno sospettava di Gabriel perché sapeva come farsi amare. Lui e il giudice, assieme ad un piccolo contingente della nobiltà, erano stati vicini nella stesura del patto che aveva posto fine alla caccia vampirica all’interno di Soham e , da quei tempi, erano rimasti in rapporti di cordiale amicizia. Come poteva un essere tanto amabile e nobile, bello e cordiale poter solo pensare di ordire l’assassinio della giovane figlia del suo stimato amico?
Shasta scivolò oltre la muraglia e si calò, stingendo forte la corda fino a terra. Un’ora prima dell’alba, il periodo in cui tutti dormivano, perfino coloro che avevano eletto della notte la loro dimora. Due strade a sud, completamente deserte e ammorbate dal tanfo della Cyhan, la piccola figlia - in quella stagione poco meno di un rigagnolo paludoso – poi a ovest, davanti alla distilleria e oltre il tempietto coperto d’edera e a sinistra.
Scalare la bassa murata che circondava il chiostro del santuario fu facile: il legno era poroso e i chiodi penetravano con facilità, lasciando segni che sarebbero passati facilmente inosservati.
Nel vestibolo tutto era silenzio: gli inni alla Terra sarebbero incominciati solo all’alba. Da dietro una porta un russare femminile, sommesso e smorzato dal legno, come i rumori di lenzuola, il gracchiare di una molla, il tonfo di un corpo che si gira. Shasta sapeva dove andare: terza porta in fondo, subito dopo le latrine comuni.
Il giudice – Shasta aveva dimenticato quale fosse il suo nome, ma gli era rimasto in mente quello della bambina – aveva mandato la figlia laggiù, nella più modesta casa della sua dea della Natura, sicuro che nessuno l’avrebbe cercata. Gabriel gli aveva detto di essere cauto: uccidi la piccola e qualche sacerdotessa nelle stanze intorno, non abbastanza perché si pensi ad una casualità ma non troppo poche da destare immediati sospetti. Lascia che la notizia ribolla, che crescano come fiori amari le congetture.
Dunque si infilò nella stanza della piccola e la tenne fra le braccia, osservandone il volto ancora modellato dalle rotondità tipiche dell’infanzia – non poteva avere più di novant’anni1 eppure ne dimostrava molti di meno - i capelli marrone tenue tipico della sua stirpe, l’innocente tranquillità del sonno: da qualche parte dentro di lui, il vecchio odio per quegli esseri perfetti che avevano bandito la loro genia dalla luce riaffiorò.
Raccolse il sangue della piccola e uscì, dirigendosi verso altre stanze, verso altre vittime casuali, prima di lasciare il tempio. Aveva un appuntamento poco prima dell’alba e non l’avrebbe fatta attendere.
 
La demonessa gli si era seduta accanto, seni accentuati lasciati quasi scoperti e occhi di brace che sapevano come accendere il desiderio.  Disse a Shasta che gli avrebbe volentieri mostrato l’amore in forme che non aveva mai sperimentato e lui la respinse senza mezzi termini, lasciandola contrariata e affamata.
«Cosa vuoi, femmina?» le disse; lei chiese tre donne di giovane età l’anno come pagamento e Shasta acconsentì a nome del suo padrone.
«Il lavoro che mi proponi è pericoloso. Se mi scoprissero… ma i sogni di qualcuno che non vive sono una tentazione. Cosa desidera colui che non può più desiderare? Quali passioni infiammano un cuore che non batte più?» domandò la femmina, sognante. Aveva la bocca carnosa e amava morderla, sicura dell’effetto che avrebbe avuto sui maschi… o almeno, sulla maggior parte di loro. La parte stupida, pensava Shasta, quella che per una trombata stanotte finirà a farsi succhiare via la vita e i sogni.
«Fatti trovare domattina davanti casa sua con questa. È una lettera di presentazione firmata dal mio padrone in persona. Non aprirla, non leggerla, non lasciarla in mano d’altri, è chiaro? Quando avrai fatto, bruciala senza guardarla e torna qui. Chiedi di Dresden.»
«È il tuo nome?»
«Cosa credi che sia? Fatti trovare qui e avrai la tua ricompensa, non ti serve di sapere altro. E mettiti qualcosa di più adatto ad una donna della città alta, per la dea!» concluse Shasta, sbottando irritato. Odiava trattare con le femmine, gli ricordavano le matrone del sottosuolo, perfette idiote capaci solamente ad aprire le gambe. Si alzò senza dirle nulla, conscio che di lì a tre giorni quella puttana sarebbe finita con la gola tagliata a galleggiare nella Cyhan, un lavoro che gli avrebbe dato soddisfazione.
Uscì in strada che quasi albeggiava: il lontano chiarore del giorno gli ricordava la casa di Gabriel, bianca come la luce e gialla come il sole, due cose che a entrambi erano precluse. Un senso di disagio e frenesia percorse i muscoli di Shasta, che si mise a correre, la corda che sbatteva sul fianco contro il pugnale corto, entrambi nascosti dal mantello.
Gli rimaneva una sola cosa da fare: avrebbe atteso il pomeriggio nella taverna e, quando infine la notizia avesse preso a girare, sarebbe giunto il suo momento.

 


1 dal punto di vista elfico e drow, un razze dalla vita infinitamente lunga e dallo sviluppo lento, quell’età dovrebbe corrispondere circa ad una bambina di cinque/sei anni umana.
 

  
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