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Autore: Chu    09/07/2013    3 recensioni
Raccolta eterogenea di one-shot ispirate dai prompt della Summer Klaine Week 2013.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Titolo: Being alive
Pairing: Klaine
Prompt: AU dalla Summer Klaine Week 2013.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Romantico
Rating: PG
Avvertimenti: angst, AU fantascientifico, flashback, slash.
Note: Questa storia prende spunto dal manga shonen-ai Hybrid Child di Shungiku Nakamura. E' ambientato in un non ben specificato mondo del futuro, ma se ne vede molto poco perché la fantascienza è difficile da scrivere ed io sono una ficcynara estremamente pigra XD
La frase iniziale, come scritto sotto, è ripresa dal film "Blade Runner" (ed è poi usata, modificata, nel testo della storia), mentre all'interno del testo troverete il titolo del racconto da cui il libro è tratto, ovvero "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" di Philip Dick.
Ah, sì, il titolo è ripreso pari pari dalla canzone cantata da Kurt nella 4x11. Perché, grazie ad un'illuminazione dell'ultimo momento, mi reso conto che è piuttosto appropriata per questa storia XD
Anche questa storia è dedicata alla mia meravigliosa beta e  Tessoro Michiru perché ha detto delle cose adorabili su questa storia ♥


Being alive
 


“Io penso, Sebastian, pertanto sono.”
(Blade Runner)


Blaine lo guarda con gli occhi che brillano di meraviglia, come se lui fosse la cosa più preziosa del mondo e fosse sua. Kurt pensa che non sia poi così tanto lontano dalla realtà.

“Dimmelo ancora,” lo prega Blaine, con le labbra che si piegano involontariamente verso l’alto, come se non riuscisse a controllare i suoi muscoli facciali e forse non ci riesce davvero, ma non perché è guasto, solo perché è felice.

Kurt ride, gli occhi che quasi si chiudono mentre guardano quelli di Blaine. “Ho detto che ti amo anch’io…”

“E va bene? Cioè, è giusto? Non è sbagliato?” Nonostante la sua espressione sia di pura gioia, nei suoi occhi corre un guizzo di paura, l’agitazione che gli corre nervosa lungo tutto il corpo, facendolo tremare d’energia a malapena repressa.

Stavolta Kurt si limita a sorridere, afferrando la mano di Blaine e intrecciando le dita, in un gesto perfetto e perfettamente naturale. “No, non è sbagliato, perché tu ed io siamo uguali. Ora lo vedo.”

La risata di Blaine è la cosa più bella che Kurt abbia mai sentito.

***

La prima volta che Kurt aveva visto Blaine era stato nel laboratorio di suo padre. Burt l’aveva trascinato lì, con un sorriso largo ed entusiasta, dicendogli che aveva una sorpresa per lui; Kurt l’aveva seguito con l’espressione esasperata ed affettuosa che aveva ogni volta che suo padre si mostrava così esaltato, non aspettandosi di trovarsi davanti un hybrid child.

Kurt rimase immobile al centro del laboratorio, a guardare il ragazzo minuto e dai tratti ancora un po’ infantili che stava seduto sul lettino, le gambe che ciondolavano oltre il bordo e l’espressione neutrale di un automa.

Burt gli aveva spiegato che erano mesi che stava lavorando a quel prototipo, ma che ci era voluta poco meno di una settimana per insegnare a Blaine (l’ho chiamato Blaine, so che è un nome che ti è sempre piaciuto) a camminare e muoversi autonomamente.

“Il resto dovrai insegnarglielo tu,” aveva poi detto Burt, con l’espressione affettuosa e un po’ preoccupata che gli rivolgeva di tanto in tanto.

Kurt l’aveva guardato con irritazione: lui non voleva un androide, non ne aveva bisogno, ne aveva visti troppi rompersi e venire portati al laboratorio di suo padre per le riparazioni; a volte non si poteva fare niente e gli androidi venivano ‘rottomati’. Kurt trovava inquietante l’idea che pezzi di un organismo artificiale potessero essere riutilizzati per crearne un altro, uguale, ma mai identico al precedente.

Blaine è diverso, gli aveva detto Burt, insistendo, è un hybrid child, non si rompono e hanno una durata di vita più lunga, molto più lunga di un essere umano.

Kurt non aveva capito la necessità di un essere che gli sarebbe sopravvissuto e suo padre l’aveva guardato per un attimo in più, con un velo d’amarezza negli occhi. Gli aveva detto che lui non ci sarebbe stato per sempre e che sperava che Blaine potesse dargli compagnia, visto che Kurt non aveva amici.

Kurt non aveva ribattuto a quello, vedendo la preoccupazione sul viso di suo padre.

Aveva annuito e da allora Blaine era stato il suo hybrid child.

***

Un hybrid child è diverso da qualsiasi altro organismo artificiale: di solito, viene creato con le fattezze di un bambino o di un adolescente per poi crescere man mano che il suo padrone gli insegna a vivere. Oltre alle funzioni basilari del camminare, del muoversi e del parlare, per far sì che un hybrid child cresca bisogna insegnarli anche la parte emotiva dell’essere umano, mostrargli emozioni e sensazioni, positive e negative, in modo che anche lui possa apprenderle e farle sue.

Un hybrid child non è un essere umano, ma non è nemmeno un androide. È semplicemente un hybrid child e richiede più cure di un androide; non ha diritti, perché è un organismo artificiale, ma i pochi che ne possiedono uno tendono a trattarlo come un figlio, come un bambino vero.

Un hybrid child è una rogna da avere.

Kurt ne era convinto e Blaine non faceva nulla per farlo ricredere.

Gli ciondolava dietro tutto il giorno, che Kurt stesse in laboratorio o che rimanesse dentro casa; lo fissava mentre metteva a posto la sua camera, mentre puliva la casa, mentre cucinava, o mentre aggiustava qualche pezzo di ricambio e aiutava suo padre con gli androidi più malandati.

Non parlava mai – del resto non sapeva ancora farlo – ma dopo una settimana, Kurt l’aveva visto aprire la bocca, muovere le labbra come per dire qualcosa, ma tutto quello che era uscito fuori era stato un lungo gemito senza forma.

Kurt lo aveva guardato con esasperazione e poi si era chiuso in camera sua, cercando rifugio e solitudine lì. A ora di cena, uscendo, aveva trovato Blaine in piedi, davanti la sua porta.
“Che cosa ci fai qui?” aveva chiesto Kurt, sorpreso.

Blaine, ovviamente, non aveva detto nulla, ma gli aveva messo una mano sul braccio.

Kurt non aveva capito, ma aveva poggiato la mano sulle sue dita, domandandosi cosa significasse quel comportamento bizzarro, fissando l’hybrid child attentamente.

Per la prima volta, allora, Blaine aveva sorriso.

***

C’era voluta un’altra settimana prima che Blaine imparasse qualcos’altro.

Burt e Kurt erano seduti davanti alla televisione, una sera dopo cena, e Blaine era seduto a terra, su un cuscino. Non guardava mai lo schermo, ma studiava con attenzione i volti dei suoi padroni con quella che Kurt aveva imparato a riconoscere come curiosità.

Blaine era curioso in maniera quasi fastidiosa e Kurt aveva capito che quando lo fissava per tutto il giorno era per studiarlo; questo non lo rendeva meno inquietante, ma almeno Kurt sapeva che il suo comportamento non era dovuto ad un malfunzionamento o a qualche bizzarria, ma alla semplice curiosità.

Qualcosa – Kurt non ricorda mai che cosa – li aveva improvvisamente fatti ridere, lui e suo padre, e dopo qualche momento alle loro risa si era aggiunta quella di Blaine.

Burt e Kurt erano ammutoliti e avevano guardato il ragazzo ibrido con gli occhi sorpresi e perplessi; Blaine però aveva continuato a ridere, osservandoli con ilarità e, dopo qualche attimo, la stanza si era di nuovo riempita con le loro risate.

Blaine aveva imparato a ridere e Kurt lo trovava divertente e – in una maniera del tutto incomprensibile - anche molto adorabile.

***

“Kurt.”

Da quando Blaine aveva imparato a dire il suo nome, non faceva che ripeterlo tutto il giorno.

“Kurt!”

Kurt tentava di ignorarlo, nonostante all’inizio ne fosse rimasto così sorpreso e felice da trovare molto carino il fatto che lo ripetesse costantemente.

“Kurt!”

Kurt aveva alzato gli occhi al cielo e si era chiuso in camera sua.

***

“Quella è una nuvola,” aveva spiegato pazientemente Kurt, steso sull’erba del giardino di casa; Blaine gli stava accanto ed ogni tanto indicava un oggetto o un animale per chiedergli come si chiamasse.

“Ho letto cos’è una nuvola,” aveva risposto l’hybrid child, passando poi a spiegargli che una nuvola è una massa di vapore acqueo condensato e che esistono varie tipologie di nuvole e che vengono classificate in base alla loro altezza nell’atmosfera terrestre.

Kurt ascoltava fingendosi annoiato, ma era in realtà meravigliato dalla quantità di informazioni che Blaine era riuscito a raccogliere nelle due settimane in cui aveva imparato a leggere – poco dopo aver imparato a parlare. Gli hybrid child erano straordinariamente veloci nell’apprendimento, ma Kurt pensava che Blaine fosse un caso speciale. Non sapeva perché, e non l’avrebbe mai ammesso né con suo padre né tanto meno con Blaine, ma gli piaceva l’idea che Blaine fosse diverso dagli altri bambini ibrido, che fosse migliore.

***

Poi c’era stato il vento e Blaine aveva riso per tutto il tempo, perché i capelli di Kurt continuavano ad arruffarsi e lui non ne era per niente contento e continuava a fare delle smorfie irritate. Alla fine aveva lasciato perdere ed aveva riso insieme a Blaine.

Poi c’erano stati la pioggia, la neve, i biscotti, il Natale, il camino acceso e le trapunte calde.
La cosa che però più piaceva a Blaine – e che non smetteva mai d’emozionarlo e renderlo felice – era la musica e sentire Kurt cantare.

All’arrivo della primavera, Blaine era cresciuto: non era più un adolescente con le guance ancora morbide dell’infanzia, ma un ragazzo con le braccia forti e gli occhi che ancora guardavano tutto con curiosa meraviglia.

Kurt non pensava più che avere un hybrid child fosse una rogna: Blaine era il suo primo e unico amico e non l’avrebbe cambiato con nulla al mondo.

Se solo Blaine avesse smesso di guardarlo come se Kurt avesse in mano il sole e la luna, come se fosse la cosa più straordinaria che avesse mai visto in quel mondo che continuava a stupirlo e a farlo sorridere.

Ogni volta che Blaine lo guardava faceva male in una maniera deliziosa.

***

“Kurt?”

Kurt non aveva alzato lo sguardo dal braccio d’androide a cui stava lavorando, la pelle sintetica aperta in due per mostrare i fili sottili come vene; aveva invece fatto un mugugno d’assenso, prima di allungare una mano. Blaine gli aveva porto l’attrezzo di cui aveva bisogno e poi aveva ricominciato a parlare.

“Ti amo.”

Kurt aveva bloccato il suo lavoro, sbattendo le palpebre come se l’azione avesse potuto aiutarlo a realizzare d’aver sentito male; aveva alzato gli occhi ed aveva visto Blaine fissarlo con un sorriso trasognato sulle labbra e gli occhi che lo guardavano davvero come se lui fosse stato la cosa più bella del mondo.

Kurt aveva sentito una fitta al cuore, un nodo alla gola, ed aveva scosso la testa. “No, non puoi.”

Blaine aveva aggrottato la fronte e arricciato le labbra. “Perché no?”

Le parole erano uscite dalla bocca di Kurt prima ancora che potesse davvero registrarle.

“Perché siamo diversi: io sono un essere umano e tu sei…”

Blaine l’aveva guardato con gli occhi larghi e l’espressione ferita – come la prima volta che gli aveva chiuso la porta in faccia, solo molto, molto peggio. Si erano fissati per un tempo che era sembrato incredibilmente lungo, ma in realtà si era trattato solo di qualche secondo; poi Blaine aveva fatto un cenno secco e affermativo, le spalle piegate e l’espressione mortificata.

“Ho capito,” aveva detto prima di voltarsi e andare via.

Kurt l’aveva seguito con lo sguardo, lo stomaco che si torceva in nodi sempre più stretti per i sensi di colpa, e l’aveva sentito entrare nella stanza dove stava lavorando suo padre.

Burt l’aveva accolto con un sorriso – lo sentiva nella sua voce ovattata – e quando gli aveva chiesto, un attimo dopo, se tutto andasse bene, Blaine aveva risposto che no, sto per morire.

“Perché?” aveva chiesto Burt.

“Perché ho il cuore spezzato.”

***

Quella sera stessa, Burt aveva chiesto a Kurt cos’era successo; Kurt sapeva che Blaine gli aveva già spiegato tutto, così lui aveva alzato le spalle e Burt aveva sospirato.

“Ci ho messo tutto il pomeriggio per spiegargli che nessuno è mai morto di crepacuore,” gli aveva detto poi Burt, cercando di sollevare l’atmosfera tesa e carica di rimorso che aleggiava nella stanza di Kurt.

Kurt non aveva detto niente, aveva solo pensato, stringendosi il petto, che forse lui sarebbe stato il primo a morirne.

***

La settimana successiva era stata orrenda.

Blaine gli ciondolava intorno, come durante la prima settimana, ma non lo guardava, non gli parlava; nonostante le spalle costantemente piegate e la testa ostinatamente bassa, Kurt poteva però vedere che Blaine era cresciuto di qualche centimetro.

Gli ho insegnato il rifiuto, aveva pensato, gli ho insegnato cosa significa avere il cuore a pezzi.

Burt li guardava durante la cena e Kurt evadeva il suo sguardo, non sopportando di vedere la delusione e l’amarezza negli occhi del padre.

Gli bastava Blaine ed anche lui da solo era troppo.

***
Burt lo aveva chiamato nella soffitta, una domenica pomeriggio, e Kurt l’aveva trovato accanto ad un album di fotografie.

Kurt conosceva bene quell’album, lo sfogliava sempre da piccolo, per rivedere sua madre, appena dopo che lei se n’era andata. Dopo essersi avvicinato, si era seduto accanto a suo padre ed erano rimasti in silenzio per un tempo lunghissimo, sfogliando l’album, stranamente a ritroso.

Kurt guardava sua madre, in ogni foto, farsi sempre più sana, sempre più bella e radiosa ed era come se magicamente stesse guarendo e fosse di nuovo lì.

Suo padre aveva iniziato a parlare, poi, fermandosi su una foto che ritraeva Elizabeth e Kurt, lei inginocchiata davanti a lui, uno scricciolo di poco più di sei anni, intenta ad abbottonargli la camicia.

Burt gli aveva chiesto cosa ricordi di lei? e Kurt aveva iniziato a parlare del suo profumo, del suo sorriso e di come gli avesse insegnato a cucinare e cucire.

Suo padre aveva annuito. “Ti amava così tanto… e tu le volevi così tanto bene…” aveva mormorato, prendendo poi un profondo respiro; aveva accarezzato la fotografia, la mano grande e forte – come la conosceva Kurt da bambino – che copriva l’immagine quasi interamente.

“Vorrei tanto che lei fosse qui, in questo momento,” aveva detto Burt e Kurt aveva annuito, poggiando la testa sulla sua spalla. “Perché lei avrebbe saputo come dirtelo.”

“Cosa?”

Burt, invece di rispondergli, gli aveva raccontato com’erano nati i bambini ibridi; non per capriccio di un qualche collezionista di bambole, non per la felicità di una coppia che non poteva aver figli, ma per il dolore di uomo che aveva perso l’amore della sua vita.

Il primo bambino ibrido era la copia fisicamente esatta dell’amato, scomparso anni prima; era nato dal dolore, forse, ma era cresciuto ed aveva imparato soprattutto dall’amore.

Kurt conosceva quella storia e, un po’ innervosito per l’inaspettato cambio d’argomento, aveva chiesto cosa c’entrasse quello con tutto il resto.

Burt aveva sorriso amaramente, ma aveva continuato a raccontare di come, pian piano, i bambini ibrido avessero iniziato ad essere richiesti da coppie giovani che non potevano avere figli.

“Anche tua madre ed io chiedemmo, ma il creatore degli hybrid child era molto vecchio e molto lontano da qui, così… così iniziai a studiare il suo metodo.”

Kurt, allora, aveva allontanato la testa dalla spalla del padre, guardandolo con confusione; un terrore crescente gli si era bloccato alla bocca dello stomaco e gli aveva man mano riempito il petto.

“Ci vollero due anni per avere il primo prototipo e altri due per modificarlo e renderlo perfettamente funzionante, vivo.”

“Papà?”

“Blaine non è il primo hybrid child che ho creato, Kurt,” aveva detto Burt e tutto era crollato.

***

Il tempo, per i bambini ibrido, è un concetto molto relativo, specialmente all’inizio della loro vita; man mano che essi vivono insieme ai loro genitori umani o ai loro compagni umani, si abituano alla loro concezione del tempo, ma ne hanno comunque una visione distorta, che segue il loro ritmo, il loro tempo.

Un hybrid child invecchia molto più lentamente e non arriva mai oltre la prima giovinezza: Blaine non sarebbe mai cresciuto oltre i suoi apparenti vent’anni e Kurt nemmeno.

Ma era stato solo dopo quella sera in soffitta che Kurt aveva notato che il volto di suo padre era molto più segnato di quanto lo ricordasse un attimo prima; solo allora si era accorto che l’anziana dirimpettaia di casa non usciva più a prendere il latte e non si fermava più a chiacchierare con lui da anni.

Il tempo, per i bambini ibridi, è un concetto che si può ignorare e Kurt, fino a quel momento, l’aveva ignorato insieme a tutti i suoi segni.

***

Non era stato facile.

Kurt aveva rifiutato di parlare con suo padre per giorni e giorni; Blaine aveva tentato di avvicinarlo, ma la sua sola vista rendeva Kurt instabile, nervoso, estremamente consapevole di chi fosse, di cosa fosse.

Si domandava come avesse fatto a non accorgersene prima di allora; come aveva potuto ignorare una parte così fondamentale di se stesso.

Non è colpa tua, gli aveva detto Burt, confinato dall’altro lato della porta, sono stato attento che non te ne accorgessi mai.

Nessun taglio, nessuna malattia, niente.

Kurt, dopo quella conversazione, aveva preso un taglierino e si era fatto un lungo graffio sul braccio. Aveva fatto male, ma dalla ferita non era uscito del sangue: solo una linfa biancastra, quella che aveva visto uscire dal ginocchio di Blaine quando era caduto, la prima volta che si era arrampicato su un albero.

Faceva male, ma faceva più male sapere d’essere vissuto nella bugia, per tutto quel tempo.

***

Perché?, aveva chiesto a suo padre, dopo essere uscito dalla sua stanza.

Tua madre voleva che non sapessi, aveva risposto Burt, pensava che solo così saresti stato un bambino vero.

Come Pinocchio?, aveva chiesto Blaine, facendo sorridere l’uomo.

Qualcosa del genere.

Noi però non saremo mai dei bambini veri, aveva commentato amaramente Kurt, un sorriso ironico sulle labbra e lo sguardo mesto.

Noi pensiamo, Kurt, quindi siamo.

Kurt aveva riso e li aveva lasciati in cucina, scuotendo la testa. Ma la frase gli era rimasta impressa nella mente.

***

Quando passerà?, aveva chiesto una notte a Blaine.

Aveva iniziato ad avere gli incubi – ma gli androidi sognano pecore elettriche? -; Blaine lo sentiva ed andava a dormire con lui. Kurt si lasciava abbracciare, trovando conforto in quel calore che sembrava così umano, così vero, ma che non lo era.

Blaine e lui non erano umani, ma erano. Questo aveva in qualche modo senso ed era confortante.

Quando sarà ora che passi, gli aveva risposto Blaine, posandogli un bacio sulla fronte. E lui l’aveva lasciato fare, perché anche quello faceva parte del loro essere.

***

Poi era andata un po’ meglio.

Kurt un giorno era tornato ad aiutare suo padre al laboratorio; erano rimasti in silenzio per tutto il giorno, con Blaine che li osservava nervosamente, passando gli attrezzi a Kurt.

Tornati a casa, avevano cenato e poi si erano messi a guardare la TV. Avevano riso insieme per qualcosa di stupido – Kurt non ricorda cosa di preciso – e tutto era sembrato normale.

***

Ora tutto è a posto.

Burt sembra più vecchio, ma l’affetto nei suoi occhi è sempre lo stesso e le linee preoccupate che ogni tanto gli solcavano il viso prima di quella storia Kurt non le ha più viste.

È felice che Kurt sappia e che non sia solo. Kurt sa che pensa d’aver fatto bene a creare Blaine.

Da parte sua, Kurt pensa sia stata un’idea meravigliosa, ma non lo ammetterà mai con nessuno – anche se tutti lo sanno.

Blaine gli sfiora la mano, mentre gli passa un attrezzo, divisi dal tavolino del laboratorio; Kurt sente il suo cuore – non umano, ma che comunque gli dà la vita – accelerare un po’ a quel contatto.

Alza gli occhi allora e sorride a Blaine, che ricambia in quel modo genuino che lo contraddistingue da sempre.

“Ricordi quando mi hai detto di amarmi?” chiede e vede una piccola ombra oscurare l’espressione di Blaine, prima che annuisca.

Kurt sorride, perché quello che sta per dire è importante e bello e spaventoso. Kurt non è un essere umano, ma sente, tocca, ama, è.

“Ti amo anch’io.”

Blaine lo guarda con gli occhi che brillano di meraviglia, come se lui fosse la cosa più preziosa del mondo e fosse sua. Kurt sa che Blaine sbaglia, perché la cosa più preziosa del mondo sono loro, insieme, noi.


Fine
  
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