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Autore: Ilarix96    10/07/2013    1 recensioni
Seconda parte. Le pagine sono tratte dal punto di vista di Erika, che vive in una situazione differente da quella di Andry, ma con un unico punto in comune: essere costretti a fare qualcosa che non vogliono.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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14 maggio
Caro Andry
-Ery, Ery! Svegliati, stiamo atterrando!!- ma perché tutte le volte devo svegliarmi così! -Mamma…- -Macchè, mamma! Sono Christie!- -Christie, cos’è tutta questa fretta?- dissi con voce assonnata -Stiamo atterrando,non ti puoi alzare già a terra!- -Oh no, ti prego! Christie..- non si poteva fare altro, così mi sono alzata. Ho aperto la porta facendo un grosso sbadiglio. -Oh, ma guarda chi si vede!- mia mamma mi corse incontro -Come hai dormito, dormigliona? Ti sei addormentata prima di tutti e ti sei svegliata per ultima!- ha cominciato a riempirmi di baci -Mamma….- detestavo queste dimostrazioni di affetto in pubblico. -Che c’è? Non ti piace?- NO, non mi piace che tu mi stia abbracciando davanti a tutti! Mio padre, come se mi avesse letto nel pensiero -Dai, Anne, lasciala andare, queste dimostrazioni di affetto si possono fare anche un’altra volta!- Grazie papà! Dopo questa scena imbarazzante (come se il viaggio non lo fosse stato abbastanza)mi sono avvicinata a un tavolo pieno di cibo. Ma come fanno a procurarselo in un aereo? Ho guardato fuori dal finestrino. Era una giornata bellissima, il sole era abbagliante. Si potevano vedere le pianure e montagne. Il paesaggio era desertico, ogni tanto c’era qualche campo.”Così è questo il posto dove andrò a vivere. Che tristezza.” ho pensato.
Mia mamma, che era eccitata alla morte  mi incitava a vestirmi in fretta, andava in su e in giù per la stanza mandando sguardi a tutti. A un certo punto si è sentito uno strano rumore, che non posso rifare e la voce del capitano che chiedeva di mettersi seduti per l’atterraggio. Alla parola “atterraggio”i miei genitori hanno fatto un urletto e si sono abbracciati. Davvero patetici. Io mi misi la cintura con moolta calma. Si è sentita una botta e poi ho sentito una vertigine e una sensazione di vuoto nello stomaco. Finalmente potevo uscire da quel posto. All’aria aperta sono stata colta da un senso di malinconia infinito: infinite distese di sabbia si allargavano a vista d’occhio e l’”aeroporto”,se così si poteva chiamare era un’insieme di baracchette che non si tenevano in piedi.
C’era pochissima gente, anzi, non c’era anima viva. Non sembrava un posto molto accogliente. Faceva un caldo bestiale e c’era un sole che sembrava concentrasse tutta la sua forza e energia in quel luogo. Un uomo basso con la barba ispida e grigia ci ha accolto. Teneva un mitragliatore sulla schiena e aveva un velo blu che gli lasciava scoperta la faccia. Quando parlava si vedevano dei denti ingialliti e storti. Che orrore!
Ci ha guardato e ha cominciato a parlare con un altro dietro di noi, vestito con giacca e pantaloni color kaki e un altro mitra in mano. Poi ci hanno guardati si sono scambiati un sorriso e  ci hanno detto,in un pessimo inglese: -Benvenuti in Afghanistan. Prima di andare, mettere voi contro quel muro, a controllarvi.- Avevano preso un oggetto enorme, una antica forma di metal detector sembra, poi ci hanno controllato da cima a fondo. Finita questa operazione, ci hanno spinto verso una navetta blindata. Non c’erano finestrini a eccezione di quello del guidatore. Sembrava un cassonetto ambulante. Era tutto così triste che anche l’eccitazione dei mie genitori per un attimo era scomparsa.
Il viaggio è durato un quarto d’ora. Tra scossoni e rumori metallici, siamo arrivati, finalmente. Mio padre è saltato giù e mi ha chiamato”Ery,guarda un po’ dove ti abbiamo portato!”alzando gli occhi al cielo sono scesa con un tonfo e ho guardato. All’inizio si vedeva solo un boschetto. Guardando bene c’era anche una stradina. Abbiamo percorso quest’ultima  e dopo un paio di minuti di camminata, siamo sbucati in una casa in campagna, molto carina, devo ammetterlo: non ci sono tutte le comodità a cui ero abituata, ma appena sono scesa ho subito sentito una sensazione piacevole. Sembrava una casa italiana(eh sì, nel mio vagabondare per il mondo sono stata anche lì): con una veranda con seggiole e un tavolino…solo il tetto era diverso, era un terrazzo o qualcosa del genere. All’interno non ci sono molte decorazioni e i muri non sono dipinti, però sembra tutto abbastanza nuovo.
Ci sono dei mobili di legno…Al piano di sopra ci sono cinque camere. Ho subito scelto camera mia: spaziosa e con una grande finestra. Il balcone è un po’ instabile, ogni volta che mi muovo fa un rumore sinistro.
I miei come al solito hanno una camera enorme e si sono fatti portare, direttamente dall’America, una vasca idromassaggio, che sembra più una piscina, tanto è grande.
Per il resto è molto semplice: la cucina è abbastanza grande e con dei bei mobili antichi con decorazioni orientali, il frigorifero l’abbiamo dovuto portare dall’Europa perché qui sono piuttosto scadenti. Ah, vorrei anche vedere! da un paese in guerra non è che escano vasche Jacuzzi! Per di più era povero anche prima. Beh, è un bel cambiamento, adesso mi trovo qui e prima…no, non ci devo pensare.Ho sempre alcuni lussi qui. Ci sono tre o quattro camere da letto per gli ospiti, un bagno abbastanza nuovo, uno studio/biblioteca per mio padre e una terrazza che fa da tetto con delle piantine e sedie sdraio. Ci hanno detto che lì non potremo andarci molto perché se vedono delle persone dall’alto potrebbero prenderci di mira. Insomma,non è esattamente quello che mi aspettavo.
Adesso vado,mia madre mi chiama
 
  
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