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Autore: KuromiAkira    11/07/2013    3 recensioni
Quando fu di fronte all'edificio, Gran toccò l'entrata con la mano. Chiuse gli occhi, pronunciò un'antica formula magica nella lingua arcaica. La Porta si aprì. L'interno si presentava come uno spazio infinito, oscuro. Cerchi nebulosi aleggiavano lenti, illuminandosi.
Senza alcuna paura, benché fosse uno spettacolo a lui sconosciuto, il principe fece un passo avanti. Una misteriosa forza lo risucchiò all'interno. La porta si richiuse.
Per un attimo, al demone sembrò di perdere conoscenza.
[HiroMido - AU]
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya , Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Puro disagio. Questo era l'unico sentimento che riusciva a provare in quel momento. Dimenticatosi del dolore, della paura e dell'angoscia, lì, in quel lungo e fin troppo illuminato corridoio, ad almeno un metro di distanza da Ulvida, Ryuuji, o meglio, Reize, camminava quasi affannato, rigido e stanco, cercando di tenere il passo senza però fare troppo rumore, quasi temesse di disturbare, o fare innervosire la guardia reale.
Si era svegliato solo da pochi minuti, non aveva ancora visto Hiroto; quella ragazza gli aveva semplicemente detto di seguirlo, e l'aveva fatto con un tono tale da impedirgli di dire alcunché. Non sapeva nemmeno dove stessero andando, ma sperava di raggiungere presto l'amico, ovunque egli si trovasse in quel momento.
In quel momento, però, Ulvida si voltò e gli lanciò uno sguardo severo.
- Datti una mossa - ordinò al ragazzo dai capelli verdi. - Non stiamo ad aspettare te! -
Il neo-demone della terra sobbalzò, impaurito dal tono di voce della fanciulla. La sua presenza lo faceva sentire nervoso, le occhiate che gli rivolgeva gli sembravano uguali a quelle degli abitanti del villaggio: ostili e pericolose.
Distogliendo lo sguardo, Reize si affrettò a raggiungerla, arrivandole di fianco. Poi, sforzandosi di guardare davanti a sé, riprese a camminare con lei.
Ulvida sbuffò. - Allora, qual'è il tuo nome, adesso? - chiese, con una certa indifferenza.
- Reize - mormorò l'ex-umano, senza voltarsi a guardarla.
La ragazza si voltò verso destra, impedendosi in quel modo di osservare la persona accanto a lei, senza commentare. Sapeva che, se tutto andava come il re aveva pianificato, presto avrebbe dovuto portargli rispetto.
Eppure non riusciva ad essere gentile, mai. Non lo faceva con cattiveria, era il suo modo di fare. Solo col re non osava essere scortese, più per l'immensa adorazione che provava verso l'uomo che altro. Con nessun altro riusciva a sorridere o ad essere gentile.
Ma Sua Maestà Seijirou le aveva ordinato di occuparsi del nuovo demone, del futuro fidanzato ufficiale del principe Gran e, anche solo per questo, lei avrebbe voluto mostrarsi più simpatica. Senza contare che non riusciva a dimenticare le parole che gli aveva rivolto lo stesso principe durante la sua fuga: la persona che voleva raggiungere sulla Terra le somigliava.
Tornò a guardare a sottecchi Reize. Che fosse nervoso si capiva benissimo e, pensandoci, forse era vero che erano simili. Quel ragazzo le ricordava lei tanti anni prima, quando era appena arrivata al castello. Poteva intuirne benissimo i pensieri e i sentimenti.
Sospirò e, arrivati a destinazione, aprì con decisione una porta sul lato sinistro del corridoio.
Il neo-demone entrò e, riconoscendo la stanza, capì perché era stato condotto in quel luogo.
Il bianco delle pareti e dei mobili rifletteva la luce delle fiamme sulle fiaccole e rendeva l'ambiente molto illuminato. Tra quelle quattro mura risuonava lo scrosciare dell'acqua che, da alcune fessure dei muri a qualche centimetro dal pavimento, si riversava all'interno di una grande vasca al centro della camera. Altre due, più piccole, erano agli altri due lati.
Lì, inginocchiate a terra, tre giovani ragazze vestite con tuniche semplici si alzarono e si avvicinarono con calma ai nuovi arrivati, sorridendo loro con dolcezza. Il ragazzo dagli occhi neri non ricordò di averle viste, due giorni prima.
La prima indossava una semplice tunica viola scuro, dello stesso colore dei capelli, tenuti sulla nuca da uno chignon. Avanzava con sicurezza e con passo allegro verso di loro, fissandolo con genuina curiosità.
Poco dietro di lei, una ragazza più bassa, dai capelli corti e blu. Due ciuffi davanti erano legati con dei grossi nastri gialli e il portamento era più posato. La tunica era leggermente più corta, senza maniche, ed era di un azzurro molto intenso.
La terza fanciulla aveva vaporosi capelli scuri, lunghi e tenuti sciolti. La veste era arancione ma certamente nessuno ci faceva caso, poiché il prosperoso seno era fonte di distrazione per chiunque.
- Benarrivati, Ulvida-sama, Reize-sama - disse la prima delle tre, accennando un inchino. - Saremo onorate di prenderci cura di Voi, Reize-sama, l'umano venuto dal mondo senza magia. Non vedevo l’ora di conoscerVi, futuro sovrano di Aliea! - dichiarò con eccitazione.
- Pandora! - la richiamò Ulvida, facendola sussultare. - Non perdere tempo in chiacchiere, sbrigatevi. Tu spogliati e fatti lavare come si deve - ordinò, rivolgendosi a Reize.
- Posso lavarmi da solo - osò obbiettare il demone della Terra, con un leggero imbarazzo della voce. Era già stato lavato prima del rito, ma nel bagno c'era solo la principessa Meena che, dopo un primo tentativo di pulirlo lei stessa, gli permise di fare da solo. Non era abituato ad affidarsi ad altre persone e la sola presenza di tante ragazze lo innervosiva parecchio.
La guardia reale si accigliò e poggiò i pugni chiusi sui fianchi. - Presto diventerai un nobile, e dei membri della famiglia reale si deve occupare la servitù. Queste solo le regole, quindi vedi di non fare tante storie e cerca di farci l'abitudine. Clara, prendi quegli stracci che indossa e buttali da qualche parte: vado a prendergli une veste di Genesis. Pandora e Bonitona, comportatevi bene e non iniziate a porre domande inopportune. Ricordatevi che presto si fidanzerà ufficialmente col principe Gran e un comportamento irriverente nei suoi confronti verrà severamente punito! - tuonò, prima di lasciare il bagno.
Reize sospirò sconsolato e, senza opporre resistenza, lasciò che Pandora e Clara lo spogliassero, mentre Bonitona preparava i sali profumati e si accertava della temperatura dell'acqua.
- Spero la perdonerete, Reize-sama - mormorò a un certo punto la ragazza dai capelli blu, piegando per bene il kimono, nonostante l'indumento dovesse poi essere buttato. - Ulvida-sama sa essere molto dura, ma è una brava ragazza. Non ce l'ha con Voi in modo particolare. Non abbiate paura di lei, per favore. -
- Dici? - ribatté lui senza pensarci, voltandosi verso la porta ormai chiusa. - Non sarebbe strano se mi odiasse, dato che sono uno straniero. -
- Oh, no! Ulvida-sama non oserebbe mai giudicare una persona per un motivo del genere! - esclamò Clara, con decisione ma mantenendo un tono dolce. - Nessuno di noi lo farà, Reize-sama. Adesso Voi siete un demone di Aliea e verrete trattato come tale. È stata una decisione di Sua Maestà Seijirou e noi non ci opporremo. -
- Sopratutto Ulvida-sama - si intromise Pandora, slegando i capelli al ragazzo. - D'altronde sa bene cosa si prova ad essere disprezzati. -
Reize le lanciò uno sguardo interrogativo, ma Clara si avvicinò alla collega.
- Pandora-san! -
La ragazza con i capelli viola rise. - Sì, scusa. Mi è scappato - cercò di rimediare, sorridendo. Poi spinse Reize nella vasca, ridendo ancora.
Il ragazzo riemerse dall'acqua ormai sporca del sangue del rito, scuotendo la testa come per riprendersi dallo spavento.
- Pandora-san, ti prego, smettila! - supplicò la serva dai capelli corti, non riuscendo però a modulare la voce in modo convincente. Così sospirò e si voltò verso l’altra collega. - Bonitona, per favore, pensaci tu. -
La ragazza dalla veste arancione si alzò e diede alla Pandora i flaconi con i sali. - Tieni, riponili e prendi degli asciugamani. E fai pure con comodo - le disse, con fare sbrigativo.
- Pensi di liberarti di me in questo modo? - la provocò l’altra, ghignando.
- Se non vuoi che avverta Ulvida-sama, direi proprio di sì - minacciò Bonitona, assolutamente tranquilla.
Pandora, senza ribattere, uscì immediatamente dalla stanza insieme a Clara.
Rimasta sola con Reize, la ragazza si voltò, i seni ondeggiarono al movimento. - Bene, sarò io ad occuparmi di Voi, Reize-sama. Siete fortunato, poiché sono la più abile delle tre - mormorò con un ghigno, accarezzandosi i lunghi capelli mossi.
Il neo-demone la fissò con perplessità ma lei, ignorando quello sguardo, iniziò a strofinare un braccio del ragazzo con attenzione.

Ulvida tornò con la veste quando ormai il bagno era finito. Reize era ancora immerso nell'acqua, poiché Pandora non era ancora rientrata con gli asciugamani; e Bonitona, a cui, ora che era rimasta la sola ad occuparsi di lui, era vietato lasciare un nobile da solo in bagno, gli aveva impedito di uscire dalla vasca.
La guardia reale sbuffò dopo aver sentito le spiegazioni della ragazza. Clara era stata chiamata dal re, per cui lei era già consapevole che la ragazza dai capelli blu non aveva più potuto aiutare la collega.
- Pandora ti ha preso alla lettera. Scommetto che è in giro a bighellonare - si lamentò. - Vai a prendere gli asciugamani, resto io con lui - affermò, facendo un cenno verso la porta con la testa.
Bonitona obbedì prontamente e Ulvida si avvicinò alla vasca, sospirando.
- Posso uscire, ora? - domandò rassegnato Reize.
- Non ci provare - le rispose immediatamente lei, appoggiandosi al muro e incrociando le braccia al petto.
Pandora raggiunse i bagni prima di Bonitona. Quando si accorse della presenza della guardia reale, la servitrice si bloccò e l'espressione allegra che aveva sempre avuto sul viso scomparve. Ulvida la guardò male e le tolse malamente i panni dalle mani. Reize notò che erano finemente ornati ai bordi con delle decorazioni dorate e intuì da quel particolare che fossero ad uso esclusivo della famiglia reale. - Esci - ordinò. - Dopo facciamo quattro chiacchiere. -
La ragazza si affrettò ad uscire dal bagno e la guardia aprì l'asciugamano che era stato precedentemente piegato. - Ma guarda cosa mi tocca fare... - mormorò, prima di voltarsi verso Reize, ancora dentro la vasca - Coraggio, cosa aspetti ad uscire? -
Reize fece ciò che gli era stato detto, e la ragazza lo fece sedere sul bordo della vasca, iniziando ad asciugargli i capelli.
Nonostante il comportamento rude, il neo-demone si accorse che nei modi di fare lei era attenta e delicata, come se volesse evitare di fargli anche solo un po' di male.
Ulvida non parlò, concentrata su ciò che stava facendo. Fissava i capelli del fidanzato del principe, notò che, ora che erano stati lavati decentemente, avevano acquistato lucentezza.
In tutto l'ambiente si percepiva il lieve profumo di Ta-ksa, un tipo di terra profumata proveniente da Epsilon e che le donne del posto utilizzavano da secoli come profumo, sfregandosi la pelle con le polveri del posto, polveri che presto venivano portati via dal vento lasciando solo il profumo sul corpo.
Lei, che nella terra più povera di Aliea era nata e cresciuta nel quartiere più misero in assoluto, non era mai stata in quelle terre. Tuttavia ogni tanto il vento ne portava il profumo. E la sua mente non riusciva a non tornare agli orribili anni della sua infanzia, quando era completamente sola.
Fu solo dopo qualche minuto di riflessione che si accorse che l'aria in quella stanza era davvero molto simile a quella di Epsilon. Si chiese il motivo, si domandò cosa fosse quella strana, e immotivata, nostalgia che l'aveva colta in quel momento.
Infine abbassò lo sguardo, tornò a fissare i capelli di Reize e comprese che la causa era lui.
Nonostante fosse stato lavato con i sali e fosse rimasto ammollo per molti minuti, infatti, dal suo corpo proveniva ancora un leggero odore di terra e di erba, l'odore tipico della terra selvaggia.
Ulvida non dubitava che quel ragazzo fosse vissuto per strada, come gli aveva fatto capire Gran qualche giorno prima. Non sarebbero certo bastati uno o due bagni per cancellare il segno del suo passato che, come un marchio imposto dal destino, rimaneva impresso sul suo corpo sotto forma di profumo. Lei stessa, ancora adesso, ogni tanto aveva ne percepiva l'odore sul proprio corpo.
- Tu sei... - si ritrovò a mormorare, senza volerlo. Si bloccò subito, sobbalzando.
Ma ormai Reize l'aveva sentita e si voltò leggermente verso di lei.
Si fissarono qualche istante, durante i quali Ulvida si mostro stranamente imbarazzata. Infine distolse lo sguardo.
- Cosa c'è? - domandò allora lui.
- Niente! - sbottò la guardia reale, cercando di riprendere ciò che stava facendo. Reize non aggiunse più nulla, nonostante la curiosità. Il neo-demone avrebbe voluto anche chiederle perché Pandora avesse detto che lei sapeva cosa significava essere disprezzati ma, oltre a mettere in difficoltà la serva, temeva la reazione di Ulvida a quella intromissione.
Tuttavia, dopo qualche altro minuto di silenzio, la guardia reale si bloccò e abbassò le braccia.
- Tu sei vissuto per strada, vero? - gli chiese, senza più quell'arroganza che l'aveva contraddistinta fino a quel momento. Il tono era, anzi, triste e malinconico.
Reize rimase sorpreso e, per un primo momento, non rispose. Dopodiché abbassò lo sguardo, osservando l'acqua nella vasca.
- In un bosco - le rispose con tranquillità. - Immagino tu sappia qualcosa di me. -
- No, affatto. Ma Gran ha detto che mi somigli. -
Il ragazzo rimase immobile, strinse le labbra, nervoso. Ulvida si riprese e tornò a strofinare le ciocche verdi sull'asciugamano. - Credo abbia ragione. Abbiamo lo stesso odore. -
Reize chiuse gli occhi, iniziò a respirare profondamente, come se avesse bisogno di calmarsi e meditare. Poi li riaprì. -
Può darsi - bisbigliò. - Prima Pandora ha detto qualcosa che mi ha fatto effettivamente pensare la stessa cosa - confessò.
- Cosa ti ha detto? - domandò lei, e la voce tornò dura e severa.
L’ex-umano sussultò, rendendosi conto dell’errore. Tuttavia ormai era troppo tardi per rimediare, così tenne lo sguardo fisso sulla vasca. - Nulla, solo che sai cosa significa essere disprezzati. Tutto qui, davvero - rivelò, sottovoce.
Ulvida fissò il ragazzo qualche istante, poi sbuffò, visibilmente seccata. - Non mi stupisce. Quella ragazza non sa farsi gli affari propri - commentò, senza mostrarsi arrabbiata.
- Allora, se non sono indiscreto… - iniziò cautamente il neo-demone della terra, girandosi appena per guardarla, - posso chiedere cosa intendeva dire? -
- Non vedo cosa ti importi. -
- È solo che pensavo che cose simili a ciò che accade sulla Terra qui non succedessero. Ho creduto che il re avesse sempre cercato di impedirle, almeno - mormorò, con evidente delusione.
- Certo che prova ad impedirle. Ma non credere che questo sia il mondo perfetto - sbottò la guarda reale, per qualche ragione irata. - Non è colpa di Sua Maestà! -
- Non ho detto questo - cercò di difendersi lui, girandosi del tutto, ma la ragazza lo interruppe.
- Sua Maestà fa del suo meglio per garantire al suo popolo equità e dignità. Ma non può controllare tutti, e l’egoismo esiste anche qui - spiegò, in qualche modo turbata.
Reize la fissò con curiosità. Piegò appena il capo di lato, quasi stesse riflettendo. Infine accennò ad un sorriso.
- Se ti raccontassi la mia storia, poi tu mi parleresti di te? - domandò all’improvviso, e con una tranquillità fino a quel momento mai mostrata davanti a Ulvida.
La fanciulla lo guardò con diffidenza. - Perché? - chiese, stupita.
- Perché è la prima volta che incontro qualcuno simile a me, con alle spalle le mie stesse esperienze. Vorrei… accertarmene - provò a spiegare, timidamente. Sapeva quanto fosse difficile parlare di certe cose, ma era certo che si sarebbe sentito meglio, sapendo che c’era qualcuno, in quel mondo, davvero simile a lui. Non aveva ancora scordato la delusione nello scoprire che Hiroto, o meglio Gran, non era chi pensava che fosse.
Ulvida rimase in silenzio, studiò con attenzione il futuro nobile davanti a sé. Ragionò sulle stesse cose. Infine si fece seria e annuì. Iniziò a provare la stessa curiosità mostrata dall’ex-umano.
Reize le sorrise, quasi riconoscente. Le diede di nuovo le spalle e iniziò a dondolare leggermente le gambe; l'acqua della vasca gli arrivava al polpaccio e schizzava appena al movimento. Con lo sguardo assorto iniziò a parlare di sé, aggiungendo poi ciò che aveva saputo da Kira Seijirou. Durante il racconto sentì le mani della fanciulla bloccarsi e fremere più volte tra i suoi capelli e si chiese se qualcosa, nelle sue esperienze personali, fosse identica a quelle che aveva vissuto la ragazza.
Ulvida ormai era a conoscenza delle origini umane del re e dei motivi che l'avevano spinto a rinunciare alla propria identità. Ma, ora che sapeva nei dettagli il legame tra lui e Reize, iniziò a comprendere perché aveva voluto portarselo dietro e permettergli di vivere come demone.
Quando l'ex-umano finì di parlare i suoi capelli erano ormai asciutti. Ulvida lo fece alzare e iniziò, senza alcun indugio o imbarazzo, ad asciugargli il corpo con un secondo panno. Reize si allontanò di scatto, così lei lo guardò, pronta a sgridarlo, prima di vedere l'espressione negli occhi scurissimi di lui.
- Vorrei almeno asciugarmi da solo - spiegò lui, con nervosismo. Sembrava che raccontare la propria storia avesse riacceso in lui la diffidenza verso gli altri, e il bisogno di cavarsela da solo com'era stato costretto ad abituarsi a fare fin dall'infanzia.
La ragazza dai capelli azzurri e bianchi sospirò. - Ormai ho cominciato. Lasciami finire - disse, con tono più comprensivo.
Reize la guardò sorpreso. La fanciulla era assorta ma lui la percepiva meno ostile di prima, forse a causa della storia che aveva appena raccontato. Probabilmente adesso lo comprendeva meglio, sopratutto se davvero avevano un passato simile.
- E tu, di me, cosa sai? - gli chiese lei, quando poté riprendere il lavoro. - Gran ti ha detto qualcosa? -
- Nulla. -
Ulvida gli lanciò un'occhiata, quasi volesse accertarsi che non avesse mentito. Poi tornò ad asciugare.
- Sono stata abbandonata anche io - iniziò. - E sono cresciuta per strada, mangiando frutti e verdure. Non conosco l'identità dei miei genitori, ma credo siano ancora vivi, da qualche parte a Epsilon... -
Esattamente come prima, la sua mente tornò immediatamente a quei tempi, in quei luoghi che suo malgrado non avrebbe mai dimenticato.


Epsilon era famoso, in tutta Aliea, per essere il continente più povero.
Ai tempi della grande guerra era normale convivere con delle privazioni ed Epsilon non era l'unico luogo in cui mancavano il fuoco e l'acqua.
Tuttavia, una volta raggiunta la pace, solo il Paese dell'aria non poté sfruttare al meglio i vantaggi degli accordi tra i continenti, a causa dei forti venti che rendevano difficili gli scambi commerciali.
L'ambiente, infatti, era estremamente ventoso, caratterizzato da frequenti tifoni, che rendeva impossibile controllare gli altri elementi. Il fuoco si spegneva con molta facilità, l'acqua cadeva a terra ben prima di poter essere portata alla bocca.
Solo con duri allenamenti gli abitanti riuscirono a controllare i propri poteri in qualche modo, ma le creature dell'aria non possono vivere senza generare venti, anche senza volerlo. È anche per questo che le abitazioni, lì, sono senza tetti e fatte di terra mista ad una resistente colla ricavata da una pianta, in modo che rimangano ben salde al terreno.
Su Epsilon non pioveva mai. Il clima era mite, ma ogni tanto il vento portava l'aria calda della vicina Prominence sulle sue terre.
I paesaggi erano tra i più cupi di Aliea, dominati dai colori nero e grigio. Persino il terreno assumeva la tinta di un marroncino sbiadito e spento.
I popoli di quella terra, prima di ottenere cibo da Genesis, avevano dovuto nutrirsi per lunghi secoli delle rare bacche ed erbe che riuscivano a crescere su Epsilon, tutte caratterizzate da un gusto molto amaro.
La vita era dura e la gente non aveva l'abitudine di aiutarsi a vicenda, a meno che non si trattasse di stretti consanguinei. E, anche in quel caso, capitava che i bambini venissero abbandonati, per non avere un'altra bocca da sfamare in famiglia.
La situazione migliorò con la fine della guerra, quando iniziarono ad arrivare i rifornimenti, seppur a intervalli irregolari. I viveri erano gratuiti, ma solo se possedevi un lavoro.

Ulvida era sempre stata sola, sin da quando ne aveva memoria.
La fanciulla ricordava bene come passava gran parte delle giornate nel suo Paese natale, un piccolo paesino molto distante dalla città principale del continente, un luogo in cui, bene o male, tutti conoscevano tutti.
Solitamente sedeva a terra, con la schiena appoggiata ai muri grigi delle case, o sopra grandi massi scuri situati nei pressi della strada principale che conduceva alla capitale, riparandosi dalla terra sollevata dai forti venti. Lì vi rimaneva e osservava la gente.
Per i primi anni, aveva provato a parlare con qualcuno, a chiedere elemosina o cibo.
Era piccola, esile e troppo magra; era spaventata e non aveva mai conosciuto il calore di una madre e l'affetto di una famiglia.
Ma nessuno si voltava, mai; era come se non la vedessero nemmeno. Gli orfani come lei non venivano maltrattati, semplicemente ignorati. Tra senzatetto, invece, si consideravano come nemici, avversari nell'ottenere quel già poco cibo che cresceva selvaggio nei radi boschi.
Ben presto Ulvida si convinse che era del tutto inutile chiedere aiuto e smise di mendicare.
L'altruismo non era un concetto conosciuto dal popolo dell'aria e ognuno pensava solo per sé e per i famigliari più stretti, senza interessarsi del resto.
Ancora bambina, iniziò a diventare violenta, a fare a botte con gli altri orfani anche solo per un paio di bacche, e a rubare il cibo alle donne che, cestino tra le braccia, tornavano dalla capitale, dove venivano distribuiti i rifornimenti che provenivano dagli altri continenti.
Sopravvisse così. Rubando, aggredendo, facendo del male.
E nessuno le risparmiava botte e insulti, sebbene lei fosse solo una bambina. La gente fu infatti costretta a smettere di ignorarla e a passare alla violenza a sua volta. Ben presto iniziò a venir aggredita appena avvistata, anche senza che lei facesse qualcosa. Se la sorprendevano a mangiare, le portavano via ciò che aveva in quanto cibo sicuramente rubato.
Non incontrò mai qualcuno che avesse pietà di lei. Non poteva andare nella capitale: anche usando la magia, era un viaggio troppo lungo per una ragazzina della sua età, senza contare che non le avrebbero dato niente, siccome era troppo piccola per lavorare. E, dato che era una senzatetto, nessuna scuola l'aveva mai accettata.
Gran aveva avuto ragione, il giorno del loro confronto: a quei tempi odiava tutto e tutti, e non capiva perché lei dovesse vivere in quel modo mentre molti anni potevano avere una famiglia, una casa e del cibo.
Un giorno vide, per caso, una scena che le rimase impressa nella mente per lungo tempo.
Un uomo, anch'egli solo al mondo e senza casa, giaceva riverso a terra in mezzo alla strada in terra battuta. Era immobile e in una posizione troppo innaturale per essere una persona che si era addormentata.
La bambina si avvicinò e prese le poche bacche che egli aveva con sé. Solo allora comprese che quella persona era morta.
Si bloccò e guardò i piccoli frutti, indecisa se lasciarli lì per rispetto o se prenderglieli lo stesso, dato che all'uomo non sarebbero più serviti.
Li portò istintivamente con sé quando, sentendo dei forti rumori, si allontanò di corsa e si nascose dietro un muro di roccia. Osservò poi la scena da lontano.
Alcune persone, abitanti della piccola città, si riunirono attorno al corpo ormai consumato dalla fame, lo portarono via e lo seppellirono secondo le usanze di Aliea, con tutti gli onori del caso.
Ulvida, rimasta sempre a debita distanza, ne fu sconcertata.
"È così, allora?" si domandò tra sé. "Noi, soli al mondo, siamo degni d’attenzione solo da morti? Perché darsi tanta pena per una persona senza vita, quando si poteva evitare la sua morte dividendo anche solo una minima parte di cibo con lui?"
Quel giorno comprese cosa fosse ipocrisia. Quel giorno il pensiero che nessuno meritasse pietà influenzò tutte le sue azioni: iniziò ad allenarsi per evitare che anche gli uomini più robusti della cittadina riuscissero ad avere la meglio su di lei. Da quel giorno non si fece più scrupoli.

Era una giornata più calda del solito, sembrava che il vento avesse deciso di portare con sé l'ardente atmosfera del continente del fuoco.
Ulvida si sedette ai piedi di un secco albero, poggiando il braccio destro sul ginocchio. Aveva ormai l'equivalente di nove anni terrestri, addosso aveva pochi stracci sporchi e un perenne cipiglio infastidito sul volto.
Le braccia e le gambe erano coperte da numerose ferite e lividi e il colore della pelle e dei capelli era nascosto da un leggero strato di terra e sabbia.
Osservò in lontananza la città a cui, almeno tecnicamente, apparteneva. Era stranamente rumorosa e vivace, e sin dal mattino non si era fatto altro che parlare dell'imminente visita della famiglia reale di Genesis.
La ragazzina sbuffò, distogliendo lo sguardo. A lei non importava nulla della famiglia reale. Invidiava e odiava chiunque fosse più fortunato di lei e riteneva che andare in un luogo così povero, per delle persone agiate, fosse una mancanza di rispetto e decoro.
"Cosa vogliono fare, rinfacciarci la differenza tra noi e loro?" pensò, tremando di rabbia.
Naturalmente lei era convinta che non li avrebbe mai incontrati. Dubitava che il sovrano intendesse anche solo avvicinarsi ad un paesino sconosciuto come quello in cui era nata. Era l'idea stessa che i nobili di Genesis mettessero piede nel continente più povero a infervorarla.
Data la sua situazione, a lei non arrivò alcuna notizia della famiglia reale, benché li sentisse nominare spesso.
In quei giorni, ogni volta che rubava il cibo, sentiva gli altri invocare il nome di Re Seijirou, come se l'uomo potesse intervenire in qualche modo. Quel comportamento la infastidiva.
Le sue riflessioni furono interrotte da dei rumori. Sbirciò un lato della strada e, agitando un bastone ricavato dal duro e resistente legno grigio degli alberi di Epsilon, la bambina si alzò ed avanzò minacciosa, decisa a farsi dare da una coppia di sposi i rifornimenti prelevati dalla capitale.
La donna, bassa, scura di pelle e dai capelli castani, gridò, quando Ulvida si sollevò con la magia e si scagliò su di loro: mise entrambe le mani sul volto, osservandola con terrore. Il marito si frappose tra loro e si lasciò colpire alle braccia.
Ulvida dovette ammettere che quell'uomo era stato coraggioso: aveva affrontato e sconfitto tante persone molto più robuste di quel mingherlino dagli occhi troppo sporgenti e dal colore troppo chiaro per i suoi gusti.
Nonostante l'esile mole, l'avversario le lanciò un'occhiataccia gelida.
- Infida mocciosa che se ne va in giro a rubare il nostro meritato cibo - sibilò, già pronto a fargliela pagare.
La bambina dai capelli blu e bianchi ghignò, quasi intenerita dalle minacce di una persona che, sicuramente, non aveva mai messo le mani addosso a qualcuno, e lanciò il bastone dietro di sé, pronta a combattere con la magia.
- Meritato? - rise con evidente diffidenza. "Perché? Solo perché siete sposati e avete un tetto dove dormire? Cosa avete fatto per meritarvi ciò che a me è negato?" pensò tra sé, prima di volare velocemente davanti all'uomo e creare un turbine che spinse via lui e la moglie.
La cesta col cibo ricadde a qualche metro di distanza e la donna gridò ancora.
Ulvida la ignorò e avanzò decisa verso i viveri.
- N-non te lo permetterò! - esclamò nuovamente l'uomo, rialzandosi. Tremava, ed era evidente che aveva paura della bambina davanti a sé. Per Ulvida non fu che una soddisfazione. - Essendo tu stata rifiutata dalle persone che ti hanno messa al mondo, non meriti nulla di più che un suolo in cui morire! -
La ragazzina si bloccò. Rimase qualche istante immobile; poi, lentamente, si voltò verso l'uomo e lo guardò quasi con occhi spiritati. Una strana aura oscura sembrò circondarla. Lui venne scosso da forti tremiti. Ulvida ghignò.
- Ancora con questa storia? - mormorò, sparendo per un istante alla vista di entrambi e riapparendo proprio a pochi centimetri da lui. Sollevò la mano, pronta a colpire a distanza ravvicinata, e presumibilmente ad uccidere, quella persona.
Non si era mai spinta a tanto, solitamente bastavano le minacce o le percosse, ma quelle parole avevano acceso in lei un risentimento che la guidò in quell'azione. - Sai, invece, cosa credo che ti meriti tu? - sputò, spietata.
Ciò che successe subito dopo, probabilmente non lo capì nemmeno l'uomo. Fatto sta che riuscì a bloccarla semplicemente colpendola al volto con la mano.
Lo sguardo di Ulvida si fece ancor più ostile.
- Ohi, ohi, cosa sta succedendo qui? - domandò qualcuno, in tono relativamente calmo considerando la scena a cui stava assistendo.
Ulvida si voltò verso la voce. Un tarchiato uomo dalla carnagione scura la stava fissando con curiosità, ma con un espressione piuttosto serena.
Dietro di lui un colorato e meraviglioso carro mosso grazie alla magia si fermò in mezzo alla strada, e una adolescente, fiera e senza paura, scese da esso, impassibile anche di fronte ai forti venti che le scombinava i lunghi capelli corvini e le stropicciavano la tunica chiara. Lo sguardo era decisamente più severo di quello dell'uomo, benché altrettanto curioso.
Immediatamente dopo un bambino dai capelli rossi si aggrappò alla lunga gonna gialla della veste della donna e guardò Ulvida impaurito.
- Chi...? - domandò, prima che il terzo urlo della donna riecheggiasse per l'aria.
- Vostra Maestà!? - esclamò l'abitante della città, stupita da quella visione.
Ulvida rimase sconcertata. Quella persona era il re, il sovrano di tutta Aliea? Non avrebbe mai pensato di incontrarlo in un posto come quello.
L'uomo avanzò, si chinò sulla cesta. Ignorò le guardie, che lo pregarono di lasciar perdere, e raccolse tutto il cibo raccolto. Poi lo porse alla donna, sorridendole.
Si rivolse all'uomo: - Vi pare giusto colpire in quel modo una bambina così piccola? - domandò, con una leggera durezza nella voce.
Lui sobbalzò e cercò di riprendere la propria compostezza, rialzandosi e inchinandosi, prima di rispondere. - Oh, Vostra Maestà. Voi non potete sapere. Questa bambina aggredisce la gente comune e ruba meschinamente cibo e acqua - spiegò, puntando Ulvida col dito.
Seijirou la osservò, e lei rispose con un'occhiataccia. - Fatti gli affari tuoi! - sibilò, seccata. - Non osare intralciarmi! -
- Non ha nemmeno rispetto per il nostro sovrano! - esclamò scandalizzata la donna che, tuttavia, tornò a coprirsi il volto quando la bambina guardò male anche lei.
Ulvida ringhiò, pronta, se necessario, ad aggredire il re e le guardie che avevano già impugnato le armi. Evidentemente nemmeno a Genesis si facevano molti scrupoli ad usare la violenza su una bambina.
Ma il regnante fece loro segno di rimanere immobili, si avvicinò a lei e si inginocchiò. - Perché vai in giro a derubare gli onesti cittadini, piccola? - domandò, con una gentilezza impensabile.
Dopo un primo momento di sconcerto, Ulvida ringhiò ancora e indietreggiò, diffidente.
Seijirou frugò nelle tasche e le porse del denaro. - Vai a comprarti qualcosa, se hai fame. Una ragazzina come te non dovrebbe fare certe brutte cose - la sgridò con dolcezza.
- Ah, è inutile! Non sprecate il vostro denaro per una come lei, Vostra Maestà - disse l'uomo, sentendosi più sicuro e osando avere un atteggiamento arrogante, ora che il re era presente. - Questa bambina è malvista da tutti, nessuno vorrà darle alcunché! -
Seijirou si voltò lentamente verso di lui, pur rimanendo chinato davanti alla bambina.
- Ti ho forse dato il permesso di parlare, giovanotto? - mormorò con durezza, accigliandosi appena.
L'uomo si irrigidì e si inchinò immediatamente. - M-mi scusi per la maleducazione, Vostra Maestà! -
Ulvida strinse nella manina il denaro, il calore dell'arto del re si percepiva ancora nel metallo color oro. Poi, però, lo buttò a terra.
- Ha ragione, nessuno sarà disposto a darmi del cibo. Questo Paese è abitato da bastardi ipocriti che guardano solo ai propri interessi, senza avere pietà nemmeno per chi non ha famiglia o casa! Non me ne faccio niente di questa roba! - gridò con rabbia.
Dietro di lei proruppe un'esclamazione di terrore; il principe Gran nascose il visino nella stoffa chiara della sottana della sorella, non abituato ad assistere a sfoghi così violenti.
Kira sospirò, lo sguardo divenne triste.
- Allora sei una povera, sventurata creatura - costatò l'uomo, accarezzando piano la testa della bambina. Ulvida spalancò la bocca. Quello era il primo gesto d'affetto che riceveva in vita sua e non ebbe la forza di fare nulla che non fosse fissare sbigottita il sovrano. - Ne ho visti molti come te, in questi giorni. Ciò mi addolora molto, non pensavo che la situazione fosse così grave. Nessuno dovrebbe permettersi di negare a qualcuno, specialmente ad un infante, i beni di prima necessità. È già così triste essere senza una famiglia. Avrei dovuto visitare prima questo continente, ma la mia fiducia nei rappresentanti di Epsilon è stata eccessiva. - mormorò, sincero. Dopodiché si rialzò e le sorrise. - Molto bene. Se non puoi utilizzare questo denaro, sarò io a procurarti il cibo - affermo, con decisione.
In quel momento, ad Ulvida parve che quell'uomo brillasse e ci fosse una forza misteriosa nelle sue parole. Per la prima volta percepì nei confronti di qualcuno un sentimento diverso dall'odio o dal risentimento.
Le guardie si opposero a quella proposta, ma nuovamente Seijirou li zittì, guardandoli.
- Io sono il Re di Aliea ed è mio dovere occuparmi di tutti i miei sudditi, compresi i più sfortunati. Non posso ignorare questa situazione - spiegò. Poi piegò la testa verso il basso. - Quel'è il tuo nome, bambina? -
- Ulvida - rispose immediatamente lei, ancora incantata. Quello era un nome che si era data da sola, aveva un suono forte e dignitoso. -
Coraggio Ulvida, vieni con me - intimò, porgendole la mano. - Sali nella carrozza. Ti darò da mangiare e da bere. Il popolo dell'aria è ancora influenzato dal crudo periodo della grande guerra e non è ancora capace di mostrare generosità. Ma su Genesis la situazione è ben diversa, e sarà facile trovarti una famiglia - disse solo.
La bambina afferrò l'arto senza esitazioni, guidata da uno strano sentimento di fiducia, continuando a tenere fisso lo sguardo sul volto benevolo del Re. Poi si chinò per raccogliere le monete e ridarle umilmente all'uomo, che tuttavia le disse di tenerle.
Si avviò con lei verso il mezzo di trasporto, ma si bloccò passando di fianco ai due sposi. - Spero che voi e la gente della città possiate perdonare questa bambina. Non è colpa sua, se per sopravvivere ha dovuto ottenere il cibo con la forza. È altresì vero che un po' di altruismo non farebbe male a questo Paese, in cui gli abbandoni sono frequenti. Di fronte a persone come questa bambina, la gente dovrebbe chiedersi cosa farebbe se fosse al suo posto - esalò, prima di tornare a incamminarsi.
Ulvida venne fatta accomodare di fianco al sovrano e inizialmente portata nella capitale, dove poté rifocillarsi come mai aveva avuto l'opportunità di fare. Poi partì con la famiglia reale verso Genesis.
Per tutto il viaggio parlò solo col Re, apprezzando l'interesse che egli aveva nei suoi confronti, senza riuscire a comunicare con i figli i quest'ultimo. Meena incuteva timore, Gran era ancora spaventato dal comportamento selvaggio della bambina ed evitava persino di guardarla.
Una volta al castello, il sovrano notò l'enorme talento di Ulvida per il combattimento e, nonostante preferisse affidarla ad una famiglia, acconsentì a tenerla al castello quando lei lo richiese.
La ragazzina voleva a tutti i costi ripagare il padrone per la sua gentilezza, per aver salvata da quella vita fatta di stenti e indifferenza.

- Ho ancora quelle monete - continuò Ulvida, sciogliendosi in un mezzo sorriso, mentre finiva di raccontare la sua storia a Reize e gli faceva indossare la veste di Genesis. - D'altronde non ho mai avuto bisogno di denaro, da quel giorno, e le ho conservate come il mio più grande tesoro. Quando le prendo in mano, seppur sappia che è solo un illusione, mi sembra di sentire ancora il calore di mio re e di rivivere la commozione di quel giorno - spiegò. - Fu la prima persona a mostrarmi gentilezza e affetto, e ho giurato di essergli fedele finché avrò vita. -
L'ex-umano la fissò stupito. Mentre parlava del suo primo incontro col re lo sguardo della fanciulla si era addolcito, e non le sembrava più così minacciosa. Si rese conto che la gratitudine che ella provava verso il sovrano era simile a quella che lui provava verso Gran.
- E a Epsilon le cose come sono andate? - domandò allora l'ex-umano, interessato. - Nessuno ha mai pensato di concedere i viveri anche a chi non lavorava o agli orfani? -
- È ciò che Sua Maestà ha ordinato dopo quell'avvenimento - esclamò la ragazza, orgogliosa. - E da quel giorno mi capitò spesso di distribuire io stessa i rifornimenti ai miei compaesani. In una di quelle occasioni incontrai la donna che avevo aggredito il giorno in cui conobbi il re. Seppi che, per una fatalità, aveva perso il marito ed era rimasta ferita agli occhi, così gravemente da non poter più lavorare. Aveva perduto anche la casa e, come me durante l'infanzia, si era trovata costretta a rubare, con scarsi risultati data la poca vista che le era rimasta. Ringraziò personalmente il nostro sovrano e si scusò con me. L'ho perdonata alla fine, ma ammetto che provai soddisfazione del sapere che aveva vissuto per un certo periodo ciò che avevo subito io. -
- Perdonata, mh? - borbottò Reize, figurandosi gli abitanti del villaggio sulla Terra in difficoltà. Nessun sentimento benevolo nacque nel suo cuore. La guardia reale lo fissò e, accorgendosene, lui scosse la testa. - Comunque, a conti fatti, il re per te è come Hiroto per me - disse, sorridendole.
- Smettila di chiamarlo in quel modo! - ordinò con rinnovata insofferenza la ragazza.
Subito il ragazzo si irrigidì, e mise entrambe la mani davanti. - Scusami, è che si è presentato così - spiegò, ridacchiando.
- Sì? Perché? - domandò lei quasi con scetticismo, piegando le braccia al petto.
- Suppongo fosse consapevole che il suo vero nome sarebbe suonato strano alle orecchie di un terrestre - ipotizzò. -
Comunque aveva ragione su di noi. Siamo molto simili. Grazie per avermi raccontato la tua storia. -
Ulvida scrollò le spalle, pettinò i lunghi capelli verdi al ragazzo e li legò con l'anellino d'oro, simbolo di regalità. Appena ebbe finito si diresse verso la porta. - Adesso andiamo. Sono certa che Gran sia riuscito a sfuggire al resto della cena e ti stia cercando per il castello - affermò con sicurezza, aprendo la porta.
Lì trovò Pandora e Bonitona, accucciate accanto all'uscio con l'evidente intento di origliare.
Una vena apparve sulla fronte della guardia reale e le due servitrici sussultarono e si alzarono in piedi di scatto.
- U-Ulvida-sama! - gridò spaventata Bonitona, indietreggiando.
- Voi due... se non sparite dalla mia vista in fretta giuro che vi faccio volare fino ai confini estremi di Aliea! - minacciò.
- Sicuramente, Ulvida-sama. Tra poco non sarà in grado di scorgerci nemmeno con una sfera magica! - disse Pandora afferrando la tunica della collega e girandosi. Tuttavia non si mosse e si voltò con la testa - A presto, Reize-sama. Prima della cerimonia di fidanzamento ci prenderemo affettuosa cura di Voi! - cantilenò, correndo poi via.
- Che ragazze superficiali - commentò la guardia proveniente da Epsilon, quando le due non furono più visibili.

Il giorno della cerimonia di fidanzamento arrivò in fretta. Reize si riprese completamente in pochi giorni e subito Ulvida e Maquia furono incaricate di spiegargli ciò che doveva fare durante i festeggiamenti.
Il ragazzo si impegnò e imparò in fretta, con somma soddisfazione delle due ragazze, che non dovettero faticare molto. Ulvida iniziò a provare più simpatia verso l’ex-umano.
Fu lei a rimanere di guardia alla porta che dava al salone principale, non essendo permesso ai servitori di assistere ad una funzione così importante e solenne, e ci rimase finché il re Seijirou non ebbe lasciato la stanza, dopo tutti gli altri.
Allora richiese la presenza della ragazza alla sala del trono, dove lei trovò anche Meena, Gran e Reize. Ulvida si inchinò al sovrano e poi anche al principe e al promesso sposo di quest'ultimo, come l'etichetta prevedeva.
- Padre, - esordì allora il principe, - posso chiedere perché ci avete convocati qui? - - Perché ho un favore da chiedere a Ulvida, ed è una cosa che vi riguarda - gli rispose il padre, guardandolo dall'alto del suo trono. - Come ben sapete, da questo momento in poi tu e Reize non potrete rimanere da soli, in nessun momento e luogo, fino al giorno del vostro matrimonio. Naturalmente io e Meena saremo molto occupati, dobbiamo impegnarci affinché il popolo torni ad aver fiducia in noi - spiegò. Poi volse lo sguardo verso la guardia reale. - Ulvida, vorrei che tu ti occupassi di Reize. Ha molto da imparare, come ben sai. -
La ragazza represse il fastidio di dover rinunciare agli allenamenti, si inchinò nuovamente e accettò.
Seijirou sorrise. - Sono certo che andrete d'accordo. Siete entrambi cresciuti soli, senza famiglia e, tuttavia, avete dentro di voi una forza di volontà senza pari. Per questo vorrei che ci pensassi tu, alla sua educazione. È compito molto importante, perché un giorno Reize, insieme a Gran, diverrà sovrano di questo mondo. -
A quelle parole Ulvida provò un forte senso d’orgoglio, poiché si rendeva conto che era davvero un incarico vitale. - Farò del mio meglio, Vostra Maestà - rispose quindi.
- Non ho alcun dubbio su questo. A dire il vero, mi piacerebbe se tu gli facessi anche da sorella maggiore, Ulvida - confessò, generando lo stupore generale.
- Sorella maggiore? Io? - chiese la ragazza, incredula.
- Sai bene cosa si prova a non aver mai ricevuto il calore e l'affetto di una famiglia. Per quanto io ti consideri come una mia figlia, non ho mai potuto comportarmi come un padre, con te. Il mio è un tentativo di rimediare, forse - disse, e si voltò anche verso Reize. - Nei confronti di entrambi, intendo - aggiunse con un sorriso, pensando alla storia dell'ex-umano e del legame che aveva con la sua.
In quelle parole Ulvida percepì la stessa dolcezza di molti anni prima, quando la prese con sé. E l'idea di poter avere qualcuno da considerare, seppur per pochi anni, un membro della sua famiglia, la commuoveva.
- Vi sono infinitamente grata, Vostra Maestà - sussurrò allora, chinando la testa per nascondere gli occhi lucidi e il sorriso. - Grazie davvero. -
Reize sorrise, implicitamente accettando quella nuova condizione, e anche Gran si sentì più sereno al pensiero che entrambi potessero contare sulla presenza l'uno dell'altro, benché sapesse che questo voleva dire dover fare i conti con la sorella adottiva ogni volta che voleva stare col suo ormai fidanzato ufficiale.







Note finali: primo capitolo speciale, la storia di Ulvida.
L'idea dei capitoli speciali mi è venuta per il desiderio di approfondire questo personaggio sin dalla sua prima comparsa nella storia, quindi lei è la prima.
Info per i maggiorenni: ho pubblicato recentemente una fiction a rating rosso chiamata 'Fume'. La segnalo perché la trama di quella fiction è l'idea originale de 'Il figlio dei demoni'.
Idea (con Hiroto vampiro) che decisi di scartare a causa della poca originalità. Ho voluto informarmi anche qui, dato che tutto sommato, se non fosse stata per quell'idea, questa long non sarebbe mai nata XD
  
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