Schiavi d’amore
III
A metà Gennaio, Sophia
si ammalò.
Trascorse quasi una settimana a letto
con le membra doloranti, in uno stato febbricitante che la portava a fare
lunghe dormite e a faticare a distinguere tra i momenti di sonno e i momenti di
veglia. Nonostante l’inverno fosse rigido, lei sentiva un gran caldo e cercava
di scoprirsi, ma una mano gentile, di sicuro appartenente a un altro schiavo,
ogni volta le rimboccava le coperte e le passava sulla fronte bollente uno
straccio imbevuto d’acqua fresca. Quella stessa mano, o forse un’altra, la
nutriva, le somministrava delle medicine, la lavava e le cambiava gli
indumenti. (1)
Quando si svegliò dal torpore in cui
era crollata, le sembrò che fossero passati dei secoli dall’ultima volta in cui
aveva potuto ragionare a mente lucida. Si passò una mano sul viso e lo sentì
fresco. Provò a mettersi a sedere, ma lo fece troppo di fretta poiché ebbe un
capogiro e dovette tornare a sdraiarsi.
– Sei ancora debole, sta’ attenta a
come ti muovi – le intimò una voce che conosceva fin troppo bene. Sophia si voltò lievemente nella direzione da cui l’aveva
sentita provenire e si trovò davanti Lucio, seduto su uno sgabello vicino al
proprio letto.
– Che ci fai qui, dominus? – gli chiese, con voce roca. Era sorpresa di vederlo
accanto al proprio letto; era un atteggiamento che non si addiceva ad un
padrone nei confronti dei propri schiavi.
– Ero un po’ preoccupato – rispose
Lucio, con un’alzata di spalle. – E anche i miei fratelli lo erano, ma non era
permesso loro di vederti. Sai, avrebbero potuto ammalarsi anche loro… Quindi ho promesso loro che ti avrei assistita per
un’ora al giorno per poi riferire come stavi.
– Oh… Beh,
grazie, dominus – borbottò Sophia, imbarazzata e lusingata da quel gesto. – Ma tu non
avevi paura di ammalarti?
– No, ho avuto i tuoi stessi sintomi ma
in forma più leggera e meno duratura, quindi penso di essere immune – rispose
prontamente il ragazzo. – Come stai adesso? – volle poi informarsi.
– Mi sento a pezzi, ma almeno riesco a
ragionare lucidamente – rispose Sophia.
– Hai avuto la febbre alta, e hai
delirato molto – disse Lucio. – E a tal proposito, vorrei farti una domanda.
Sophia rabbrividì, a quelle parole. Che nel delirio della malattia
avesse pronunciato il nome di Lucio, palesando così i propri sentimenti nei
suoi confronti?
– Dimmi, dominus – dovette però assentire, dato che non poteva rifiutarsi.
Si sarebbe inventata qualcosa.
– Chi è Alèxandros?
– domandò quindi Lucio, poggiando i gomiti sul letto. – Continuavi a invocare
il suo nome.
Sophia chiuse gli occhi, con un sospiro. Un po’ fu sollevata, ma
d’altro canto tutti i ricordi che in quei mesi aveva reso sopiti, tornarono
alla propria mente, vividi come non mai, e il dolore fu pari a quello di una
spada che la trapassava il cuore da parte a parte. Senza che se ne rendesse
nemmeno conto, le lacrime iniziarono a rigarle le gote.
– Sophia, mi
spiace! – si scusò Lucio, non appena notò quella reazione. – Non volevo
turbarti, ero… Ero solo curioso.
– Non… Non è
colpa tua, dominus – lo tranquillizzò
Sophia, passandosi una mano sul viso per asciugarsi
le lacrime, le quali però continuavano a scorrere, imperterrite. – Tu non
c’entri nulla, è solo che… Ricordare fa male –
proseguì, con un sospiro. – Ale… - si bloccò. Dovette
fare un respiro profondo. Pronunciare di nuovo quel nome, dopo ormai un anno,
le provocava quasi dolore fisico. – Alèxandros… era
mio marito – rivelò infine, facendosi forza. – Ed è morto circa un anno fa.
– Mi dispiace, Sophia
– disse Lucio, in un sussurro. – Lo amavi, vero?
La ragazza annuì, impercettibilmente. –
Siamo cresciuti insieme, e a un certo punto è diventato inevitabile innamorarmi
di lui…
– E come… Come… - provò a dire Lucio, ma poi si bloccò e si diede
dello stupido. – No, scusa. Fa nulla. Vedo che per te è doloroso ricordare, non
voglio costringerti.
– Non scusarti, dominus – disse Sophia. Si mise a sedere,
questa volta più lentamente, e non ebbe alcun capogiro. Appoggiò la schiena al
muro dietro di sé e si voltò verso Lucio. – Credo sia giunto il momento che tu
sappia chi ero prima di essere una schiava, ma soprattutto credo che sia ora
che io ne parli con qualcuno. Non ne posso più di tenermi dentro tutto questo
dolore.
– Sophia, non
sei costretta a farlo, davvero io…
– No, dominus – lo interruppe la ragazza. – Voglio liberarmi di questo
peso che mi opprime l’anima – decretò. – Come forse tu e la tua famiglia avrete
intuito, sono nata libera. Vivevo ad Atene con mio padre, in una piccola casa.
Mia madre purtroppo non l’ho mai conosciuta; come molte altre donne è morta
dandomi alla luce, e così mi ha cresciuta solo mio padre. Lui era un seguace
dello stoicismo, e presso casa nostra lo divulgava a giovani fanciulli di buone
famiglie. Tra questi c’era anche Alèxandros, il
figlio di un caro amico di mio padre. Aveva la mia stessa età. Ha sempre
frequentato la nostra casa e noi abbiamo sempre frequentato la sua, e la nostra
amicizia col passare degli anni si è trasformata in amore.
Sophia si interruppe e si asciugò nuovamente le lacrime.
– Tre anni fa, quando avevo diciotto
anni, mio padre è morto. Era malato già da tempo, e io ho voluto stargli
accanto fino alla fine – riprese poi. – Poco prima di spirare, ha chiesto ad Alèxandros e a suo padre di prendersi cura di me, e così
dopo qualche tempo ci siamo sposati. Mio padre mi mancava, e mi manca tutt’ora,
ma con Alèxandros al mio fianco mi sentivo al sicuro
e in grado di affrontare qualsiasi cosa, di superare ogni dolore. Siamo stati
felici per circa un anno, e stavamo anche per diventare genitori. Aspettavo un
bambino, sai? Ma poi…
Dovette interrompersi di nuovo. Fece un
respiro profondo e poi riprese: - La famiglia di Alèxandros
aveva dei nemici, ad Atene. Da generazioni si perpetua una faida di sangue che
ha finito per coinvolgerlo, e per coinvolgere anche me. (2) Una notte, più o
meno un anno fa, un sicario ha fatto irruzione nella nostra dimora. Stavamo
dormendo, ma Alèxandros aveva sentito dei rumori e mi
aveva svegliata. Nemmeno il tempo di renderci conto di cosa fosse successo, che
ecco che un uomo entra nella nostra stanza e uccide Alèxandros
davanti ai miei occhi, tagliandogli la gola. Non ho nemmeno urlato; l’ho
guardato morire in silenzio, con gli occhi sbarrati. Speravo fosse un incubo,
che di lì a poco mi sarei svegliata urlando e che lui mi avrebbe cullata fra le
sue braccia finché non mi fossi calmata, ma purtroppo non era così. Ero
paralizzata dalla paura. Ero certa che avrei fatto la stessa fine di mio
marito, ma poi ho visto un lampo di avidità brillare negli occhi di quel sicario,
che deve aver visto in me un’ulteriore possibilità di guadagno oltre alla somma
che doveva aver ottenuto dall’uccisione di mio marito. Mi ha portata via e mi
ha venduta come schiava ad un mercante. Per il dolore e per il trauma ho perso
il figlio che portavo in grembo. E dopo aver girato tante città alla ricerca di
un acquirente, sono arrivata qui a Roma. Il resto della storia lo sai già.
Finito il proprio racconto, Sophia si sentì svuotata. Era stato orribile ricordare; le
era sembrato di rivivere passo per passo quei momenti che tanto aveva voluto
cancellare dalla propria mente. Si prese il volto tra le mani e iniziò a
singhiozzare, a esternare tutto quel dolore e quel che malessere che sentiva
dentro.
Poco dopo sentì due braccia che
l’avvolgevano, infrangendo ogni protocollo e ogni rapporto gerarchico. In quel
momento, per Lucio, non si trattava più di consolare una propria schiava, ma di
dare conforto a una persona che soffriva.
– Mi dispiace, Sophia
– le disse. – Deve essere stato terribile. Ora capisco perché hai sempre quello
sguardo triste. Mi dispiace proprio tanto.
Sophia si aggrappò a quell’abbraccio con la forza della
disperazione e sfogò tutto il proprio dolore. Pianse tutte le lacrime che aveva
in corpo finché non fu esausta, finché ebbe l’impressione di aver buttato fuori
tutto, finché non sentì nascere in sé una nuova voglia di vivere, di andare
avanti, di ricominciare.
Certo, ora era una schiava, ma poteva
aspirare alla manumissio,
la pratica con la quale un padrone rendeva la libertà a un proprio servo. (3)
Poteva fare di quella aspirazione la
propria ragione di vita. E, una volta lontana da quella domus, avrebbe ricominciato da
capo, avrebbe dimenticato Alèxandros ma soprattutto
Lucio, quell’amore impossibile che ormai si stava radicando in lei, tanto da
farla sentire protetta e al sicuro tra le sue braccia, tanto dal farle provare
di nuovo quelle emozioni che aveva sentito solo col marito.
Sophia chiuse gli occhi, stanca e debole. Fece appello a tutta la
propria forza di volontà e si separò da Lucio.
– Grazie, dominus – gli disse. – Mi hai assistita, mi hai ascoltata, mi hai consolata… Hai fatto molto per me, più di quanto sia
richiesto a un padrone nei confronti della propria schiava, e lo ricorderò.
Lucio, in tutta risposta, sorrise e le
strinse una mano con affetto. – Sei molto più di una schiava, per me. Lo sei
diventata dopo quella passeggiata, Sophia. È solo
grazie a te se sono riuscito a capire cosa mi stava succedendo e a lasciarmelo
alle spalle.
Sophia gli sorrise debolmente, di rimando, e ricambiò la sua
stretta. Per la prima volta da quando era giunta a Roma si sentì a casa, ma
subito si impose di non dare retta a quell’emozione. Non voleva più stare male,
voleva ricominciare a vivere. E inseguire un amore impossibile non era certo la
strada migliore per farlo.
Due giorni dopo, Sophia
si sentì abbastanza in forze per rimettersi in piedi. Appio e Camilla le
corsero incontro e l’abbracciarono, non appena la videro, e il cuore della
ragazza si riempì di gioia, a quella dimostrazione d’affetto. Rimase con loro
per qualche ora, a conversare in greco per recuperare il tempo perso durante la
propria malattia. Da quando aveva iniziato a occuparsi di loro, i due bambini
avevano fatto molti progressi. Imparavano in fretta ed erano già in grado di
parlare il greco con abbastanza scioltezza e di leggere da soli le favole di
Esopo e i racconti di mitologia.
Oltre ai due bambini e agli schiavi,
quel giorno, nessun’altro era in casa. Lucio e il padre erano usciti quella
mattina presto, insieme, per andare da un’illustre famiglia. Quando tornarono,
verso sera, Sophia notò che il senatore Tito aveva
un’espressione soddisfatta dipinta in volto, mentre Lucio appariva rassegnato.
Dovette attendere quella notte, dopo
che tutti si furono coricati, per scoprire perché.
Era sotto le coperte da circa un’ora,
quando vide scostarsi la tenda che copriva la soglia d’entrata della propria
stanza e Lucio comparire davanti a sé, visibilmente turbato, più di quanto lo
fosse quella notte in cui era rientrato a casa ubriaco. Per lo meno questa
volta aveva avuto il buon senso di non darsi al vino.
Lucio emise un sospiro e appoggiò sul
comodino la lucerna che aveva usato per illuminare il tragitto dalla propria
stanza fino a lì.
Subito Sophia
si mise a sedere, allarmata.
– Che ci fai qui, dominus?
– Ho bisogno di parlarti, Sophia – rispose Lucio, mettendosi a sedere sul letto in
modo da trovarsi di fronte alla ragazza, che appoggiò la schiena al muro per
mantenere le distanze.
– Ora? Nel bel mezzo della notte? –
domandò Sophia con voce stridula, senza riuscire a
trattenersi.
– Non posso aspettare – ribatté Lucio,
come se fosse ovvio.
– Che cosa ti turba così tanto, dominus? Un’altra matrona ti ha spezzato
il cuore e ferito l’orgoglio? – chiese Sophia in tono
di scherno, ma subito se ne pentì. Si portò una mano alla bocca e abbassò lo
sguardo a terra, rimproverandosi mentalmente di aver dimenticato, anche solo
per un attimo, di avere di fronte a sé il proprio padrone e di aver fatto
trasparire una scintilla di gelosia.
– Ti chiedo scusa, dominus – sussurrò dunque, imbarazzata e continuando a tenere gli
occhi bassi.
Non poté tuttavia vedere Lucio
sorridere, così facendo, felice perché aveva avuto la conferma che cercava. Il
ragazzo osservò Sophia illuminata dalla debole
fiammella della lucerna e la trovò bellissima, con quei capelli color ebano che
le ricadevano sulle spalle in morbide onde e quegli occhi castani nei quali,
per un attimo, aveva visto vibrare un lampo di gelosia, di emozione. Per un
secondo, quello sguardo triste che l’accompagnava sempre era scomparso, e Lucio
aveva sentito il proprio cuore battere più forte all’idea che il merito fosse
suo.
– Che cosa ti turba, quindi? – incalzò Sophia, che voleva concludere quella conversazione il prima
possibile. Non voleva certo fare altri passi falsi.
– Mi devo sposare – annunciò Lucio, con
un tono per certi versi lugubre.
Sophia non si scompose. – Non è una novità, dominus – ribatté. – Me l’hai detto tu stesso tempo fa che tuo
padre aveva già preso accordi da tempo. È così che funziona tra voi patrizi.
– Oh, lo so anch’io che gli accordi
sussistono da un po’. Ora è arrivato il momento di onorarli, però. Non so
ancora di preciso quando, ma di sicuro entro la fine di quest’anno sarò un uomo
sposato.
Sophia si impose di non tradire alcuna emozione e cercò di restare
calma, ma dentro sé il cuore stava andando in frantumi, di nuovo. Il giorno
prima, quando aveva contemplato per la prima volta la possibilità di ottenere
la manumissio,
aveva dato per scontato che ciò accadesse prima del matrimonio di Lucio. Si era
sbagliata. Avrebbe sofferto nel vederlo sposare un’altra e avrebbe avuto
l’ennesima riprova del fatto che era stata una stupida a innamorarsi del
proprio padrone. Peggio ancora, avrebbe dovuto continuare a vivere sotto lo
stesso tetto di lui e della sua consorte, dato che era usanza che la moglie
andasse a vivere a casa del marito.
– Che gli dèi benedicano la tua futura
unione con gioia e prosperità – gli augurò, facendo appello a tutta la propria
forza di volontà. Doveva mostrarsi felice per lui, non doveva cedere nuovamente
alle proprie emozioni.
– Si tratta dell’ennesimo matrimonio
d’interesse nella storia dell’Urbe, Sophia. Puoi fare
a meno di complimentarti – ribatté Lucio, con una nota di scherno.
– Non vuoi sposarti, dominus?
– Quello che voglio non conta, non
posso oppormi al volere di mio padre.
– È vero. Le decisioni del pater familias
vanno rispettate – constatò la ragazza. – Puoi seguire l’esempio della maggior
parte degli uomini sposati e trovarti un’amante. Puoi cercare l’amore fuori dal
matrimonio – suggerì poi, continuando a mostrarsi indifferente.
– Non ne ho bisogno – respinse quel
consiglio Lucio, con un sorriso. – Credo di averlo già trovato.
– Oh! – esclamò Sophia,
sorpresa. Allora aveva ragione! Lucio non aveva perso tempo a trovarsi una
nuova matrona o una nuova donna da intrattenere. – Be’, allora il problema non
si pone. Qualunque sia il tuo problema, dominus,
perché ancora non l’ho capito. Con tutto il rispetto, sia chiaro. Se hai già
trovato l’amore non devi fare altro che mantenerlo anche quando sarai sposato.
Lucio non poté fare a meno di
trattenere una risata. – Non posso continuarlo! – ribatté. – Non è ancora
iniziato.
– E allora dichiarati, dominus! – lo spronò Sophia,
ormai perfettamente calata nel ruolo di confidente. – Non credo certo che
l’audacia ti manchi.
Lucio rise nuovamente. Perché si
ostinava a non capire? – Lo sto già facendo – disse dunque.
– E allora perché sei venuto qui a
confidarti con me, se hai già tutte le soluzioni ai tuoi problemi? – domandò Sophia, esasperata. Che si fosse accorto dei sentimenti che
provava per lui e che stesse quindi godendo nel torturarla a quel modo? Non vedeva
davvero l’ora di concludere quella conversazione e di andare a dormire, per
fare finta anche solo per un attimo che si trattasse soltanto di un brutto
sogno.
Lucio scosse la testa, altrettanto
esasperato. Sospirò e capì che era giunto il momento di usare le maniere forti.
Si sporse dunque verso Sophia, la afferrò per le
spalle e la spinse verso sé finché le loro labbra non si incontrarono.
Sophia sbarrò gli occhi, sorpresa, e si separò subito da lui.
– Ma domine! - esclamò, paonazza. – Che ti prende?
Forse stava iniziando a capire, ma
voleva delle conferme. Voleva essere sicura di ciò che Lucio stava facendo,
perché se così non fosse stato avrebbe inferto al suo cuore un’ulteriore
ferita.
– Sei tu, Sophia,
sei tu! È di te che sono innamorato, non capisci? Da quel pomeriggio, quando mi
hai aperto gli occhi mostrandomi la tua saggezza. Dall’altro giorno, quando mi
hai raccontato la tua storia e non ho desiderato altro che spazzare via tutto
quel dolore con l’amore che provo per te. Da questa notte in cui finalmente ho
posate le mie labbra sulle tue e mi sono sentito completo. Io…
– Parli come Catullo, domine! – lo
interruppe Sophia, con un’esclamazione. – Come posso
crederti? Come faccio a sapere che non ti sei preparato questo discorso a
tavolino? Sono una tua schiava, non puoi davvero esserti innamorato di me! –
proseguì, infervorandosi. Stentava a credere che quello che desiderava nel più
profondo del cuore e che non aveva mai ammesso a sé stessa, nemmeno nei propri
pensieri, stesse accadendo. Non poteva essere reale.
– Puoi credermi perché è da quando hai
curato le ferite del mio orgoglio che ho iniziato a guardarti sotto una nuova
luce. Ma a pensarci bene no, non puoi credermi. Perché è da allora che ti sei
allontanata da me e che non abbiamo più avuto occasione di parlare a
quattr’occhi, fino a due giorno fa. E fino a questa notte.
Fu a questo punto che le difese di Sophia crollarono, che la parte più combattiva di lei si
arrese e si lasciò vincere dalla sincerità e dalla verità di quelle parole.
Lucio aveva notato che lei si era allontanata da lui, dopo quel pomeriggio che
era stato rivelatore dei sentimenti di entrambi. Solo che, a differenza di lei
che si era ritratta e nascosta in un guscio, lui aveva dato retta a quelle
sensazioni, aveva aperto gli occhi e aveva lasciato che quel nuovo amore
curasse le proprie ferite, che durante la terapia si erano rivelate molto
lievi.
– Volevo farti sapere quello che provo,
Sophia. Sta a te se crederci o meno. So che provi lo
stesso e che vuoi reprimerlo, me lo sento. O forse me ne sono convinto
erroneamente – disse Lucio, interrompendo le riflessioni di Sophia.
Le diede le spalle e fece per alzarsi, ma lei, ormai arresasi, si buttò su di
lui e gli strinse le braccia attorno al corpo, poggiando il mento sulla sua spalla
sinistra.
– Non è una convinzione erronea – gli
sussurrò semplicemente all’orecchio, e a quel punto Lucio si sciolse dalla sua
stretta solo per tornare a guardarla in viso e sorriderle, prima di premere di
nuovo le proprie labbra sulle sue, ebbro di felicità. Questa volta Sophia non lo respinse; si abbandonò al suo abbraccio e ai
suoi baci, e si sentì anch’ella invadere da una grande felicità che non provava
più da tempo.
Nemmeno il tempo di rendersene conto, e
si ritrovarono sotto le coperte, nudi, a prendere confidenza per la prima volta
l’uno col corpo dell’altra, a completarsi a vicenda, ad amarsi, a godere di
quel dono che gli dèi avevano concesso agli uomini per dare loro delle
parentesi di gioia tra le difficoltà e gli affanni della vita di tutti i
giorni.
Quella notte Lucio e Sophia fecero l’amore, senza fretta e senza più paure,
senza dubbi, certi ormai dei sentimenti che provavano l’uno per l’altra.
Certo, il futuro restava un bel punto
di domanda, specialmente con il matrimonio di Lucio che incombeva su di loro
come una spada di Damocle, ma non era quello il momento di lasciarsi prendere
dallo sconforto. Dovevano vivere il loro amore, finché era loro concesso.
– Troveremo un modo, Sophia – sussurrò Lucio quando, stanchi ma felici e
appagati, lui e la ragazza stavano per essere accolti tra le braccia di Morfeo.
– Troveremo una soluzione – ribadì. – Ora che ti ho trovata non ti lascio
andare – le promise infine, dandole un bacio sulla fronte.
Sophia si strinse a lui, rincuorata da quelle parole. Quell’amore
che provava per Lucio non era più così impossibile, ora che lo sapeva
ricambiato con altrettanto ardore.
Ci sarebbero state delle difficoltà,
certo, ma le avrebbero affrontate insieme.
Note
(1) La malattia di
Sophia è una semplice influenza, solo che all’epoca
non c’erano gli antipiretici e quindi ho immaginato che il decorso sia stato
quello descritto. Le medicine di cui parlo sono ovviamente a base di erbe; i
medici infatti conoscevano molto bene le proprietà officinali delle piante e le
usavano per creare delle soluzioni, delle polveri e quant’altro. Ho cercato di
documentarmi, ma ho trovato ben poco, se non malattie gravi ed epidemiche,
perciò ho optato per la soluzione che avete letto. Spero di non aver fatto una
cavolata, onestamente.
(2) So che può
sembrare molto strano, ma sia in Grecia che a Roma era così; c’erano faide di
sangue che duravano per intere generazioni. Per farvi un esempio: a Pericle,
fautore dell’epoca d’oro di Atene nel V secolo a.C., si rinfacciava ancora di
appartenere alla famiglia degli Alcmeonidi, che nel
VII secolo a.C. si era resa responsabile dell’omicidio di Cilone,
il quale a sua volta aveva tentato un colpo di stato e avendo fallito si era
rifugiato nel tempio di Atena. Rifugiarsi in un tempio in età antica equivaleva
a cercare asilo nelle cattedrali in età medievale, perciò chiunque commettesse
un omicidio in un luogo sacro era considerato empio e sacrilego. Agli Alcmeonidi questa colpa non è mai stata perdonata, e più
volte nel corso dei secoli è stata tirata in ballo contro appartenenti illustri
a questa famiglia.
Per farvela breve, l’appartenenza ad una famiglia
era sentita come molto importante, e chiunque commettesse qualcosa contro essa
veniva perseguitato, insieme alla sua famiglia, anche per generazioni.
(3) La manumissio (che
poteva avvenire in vari modi che non sto ad elencare) era una pratica molto
frequente che permetteva l’inserimento di nuova linfa vitale nella società
romana. Una volta libero, lo schiavo diventava un liberto e otteneva la
cittadinanza romana (che nell’epoca di cui tratto qui era concessa solo alla
penisola italiana; per concederla a tutto l’impero bisognerà attenderà Caracalla nel 212 d.C, tramite la
Constitutio Antoniniana),
il che concedeva tutta una serie di privilegi, tra cui il diritto di voto e
alcuni sgravi fiscali. Il discorso sulla cittadinanza è abbastanza complesso e
copre un vasto arco temporale; vi basti sapere questo. xD
Eccomi
qui anche con il terzo capitolo. Scusate se le note sono un po’ noiose ma a
volte sono doverose e ci tengo a spiegare tutto con la massima precisione.
Allora,
come avrete letto, in questo capitolo Lucio e Sophia
si dichiarano. Può sembrare un po’ strano che un patrizio vada con una propria
schiava, ma vi assicuro che era più comune di quanto non si possa pensare,
anche se per diletto e non sempre per amore. La lettura del già citato “Amore e
sesso nell’Antica Roma” di Alberto Angela mi ha aiutata a capire molte cose a
riguardo, e quindi mi sono chiesta: e se tra un patrizio e una schiava fosse
nato l’amore? Ecco, ho cercato di rendere tutto il più credibile possibile,
spero di esserci riuscita. Questo è stato uno dei capitoli più difficili da
scrivere proprio per questo motivo xD
Spero
che vi sa piaciuto e che mi facciate sapere il vostro parere^^
Ringrazio
ancora chi ha letto lo scorso capitolo, chi ha recensito e chi mi ha inserita
tra le seguite/preferite/ricordate.
A
presto^^
Sara