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Autore: Wild Dragon    12/07/2013    2 recensioni
Questa storia è per Gale, che a mio parere alla fine della saga è rimasto irrisolto.
Sono passati tre anni. Tre anni da quando la mia freccia trafisse la presidente Coin, tre anni dalla morte di Snow, tre anni dalla fine della guerra. Tre anni dall’inizio della mia nuova vita. [...]
Vagando con lo sguardo nel cielo terso, non riesco a tener fuori quel pensiero che ancora mi assilla.
Gale. Non l’ho più visto dall’ultimo giorno nel 13.
Ogni tanto mi arrivavano sue notizie, di come stesse bene continuasse a prestare un egregio servizio nell’esercito. Ma da parte sua, nulla.
Pensare a lui mi provoca fitte di dolore. Ripenso alle nostre scorribande nei boschi, al mio migliore amico, al ragazzo che mi ha amato, e non mi capacito che sia tutto finito, che lui non mi voglia più vedere.
Sento i passi pesanti di Peeta alle mie spalle e sospiro quando mi cinge la vita con un braccio.
“Tornerà, vedrai.” Mi dice all’orecchio. “Quando sarà pronto.”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un fruscio tra le fronde di una quercia è sufficiente. Mi giro di scatto sui talloni, arco alla mano, e scocco la freccia. Liscio. Lo scoiattolo emette un grido terrorizzato e sfreccia via, scomparendo nel fogliame.

Sospiro. Oggi non è proprio la mia giornata migliore.

Inevitabilmente, il mio pensiero torna ancora una volta ad una persona che certamente avrebbe trafitto quello scoiattolo dritto nell’occhio.

Katniss.

Improvvisamente, torno a sentirne la mancanza, ma mi rifiuto di indugiare troppo. Devo andare avanti. Lei l’ha fatto. Con Peeta.

Torno sui miei passi, scoprendo che almeno una delle trappole che ho piazzato ha ucciso una grossa lepre. La raccolgo e mi incammino per uscire dalla boscaglia.

Quando arrivo sul litorale, comincio ad inerpicarmi verso il sentiero che porta alla casetta sulle rocce. Da quell’altezza, si ha una visuale mozzafiato sul mare e la spiaggia sottostante, ma io non sono in vena di sentimentalismi. Non lo sono più da anni.

Entro in casa senza bussare ed accedo al salottino tondo, semplicemente arredato. Su un divano è seduta una giovane e graziosa donna intenta a giocare con un ragazzino di meno di quattro anni dai fulvi capelli castani. Il bambino si volta di scatto verso di me, rivolgendomi uno sguardo carico di aspettative con i suoi occhi verdissimi. “Gale!” strilla a viene ad abbracciarmi una gamba.

Mi inginocchio per scompigliargli i capelli. “Ciao campione.” Alzo lo sguardo sulla donna ancora seduta. “Ciao Annie.”

Annie si alza e viene a salutarmi stampandomi un bacio sulla guancia. “Dovresti raderti un po’, sai?” cinguetta allegramente. Le porgo il coniglio e qualche erba aromatica raccolta nei boschi. “Ho fatto la spesa”

“E meno male! Allora oggi mangerò qualcosa di decente!” Johanna Mason appare dal corridoio. “Come stai, bellissimo?”

“Oh, me la cavo.” Sorrido. “Quando sei arrivata?”

“Stamattina” risponde Johanna appoggiandosi alla parete. “Volevo vedere come se la cava il marmocchio.”

Il marmocchio in questione, Florian, la assale dandole leggeri spintoni alle gambe. “Non sono un marmocchio!”

“O certo che no. Sei un uomo forte e saggio.” Dice Johanna. “Non pensavo di vederti.” Aggiunge rivolgendosi di nuovo a me.

“Sono qui per dare una mano ad Annie.”

“Ma certo che sì, sei un così bravo ed amabile ragazzo!”

“Johanna, invece di dare fastidio a Gale, perché non vieni a darmi una mano in cucina?”

“Non contarci, cara, fatti aiutare dal bel maschione.”

Ridacchiando, osservo Johanna. Ha un aspetto decisamente migliore di quello che aveva quando era ricoverata nel Distretto 13. Ha messo su un po’ di peso, il suo colorito è più roseo, i capelli ormai le superano le spalle.  Ha anche un’aria più serena.

Andiamo entrambi ad aiutare Annie con il cibo ed infine ci sediamo tutti e quattro a tavola. Per la prima volta dopo tempo, respiro qualcosa di molto simile all’aria di famiglia.

Finito di mangiare, io e Johanna ci ritroviamo seduti fuori sul portico ad ascoltare il rumore del mare. Johanna ha un’aria leggermente tesa e noto che fa di tutto per non guardare il mare sotto di noi. D’un tratto mi viene in mente una cosa. “Tu non sei qui solo per Annie e Florian, vero?”

“Non ti sfugge proprio niente, vero?”

Notando il mio sguardo serio, sospira e si decide ad aprirsi. “Sono qui per superare il mio trauma.” Pronuncia l’ultima parola con un misto di disgusto ed amarezza. “Sai, l’acqua e tutto il resto.”

Annuisco. Quando era prigioniera a Capitol City, Johanna veniva torturata soprattutto con l’acqua. La tenevano sotto la superficie tirandola fuori appena prima di farla morire annegata.

“Pensavo di essere andata oltre, ma poi ho realizzato che l’acqua in grandi quantità mi spaventa ancora, causandomi i flash back. Basterebbe tenermi lontana dai laghi ed i maggiori fiumi, ma non posso accettare che ci sia qualcosa capace di rendermi tanto vulnerabile e debole.” Il suo tono diventa sempre più duro man mano che parla. “Così sono venuta qui. Pensavo che una volta affrontato il mare, nulla mi avrebbe più spaventata.”

La guardo intensamente, cercando di non far trasparire neanche un goccio della pena che ho per lei. So che non lo sopporterebbe. “E come sta andando?”

“Non mi sono ancora avvicinata all’acqua, ma anche solo guardarla, da quassù, mi fa rabbrividire.” Ammette con aria avvilita, prima di ritrovare la solita sfacciataggine dicendo “Potremmo farci il bagno insieme, che ne pensi?”

Scoppio a ridere per il modo in cui l’ha detto, ma capisco che dietro a quella provocazione c’è una richiesta d’aiuto che il suo orgoglio non le permette di esprimere, e capisco che la voglio aiutare. Johanna è irritante, aggressiva, cinica e di una sfacciataggine infinita, ma mi sento legato a lei. Come potrei non esserlo, del resto? L’ho liberata da Capitol City, raccogliendola esanime dal pavimento sudicio della sua cella e sono stato anche al suo fianco quando andavo in ospedale per Katniss. Inoltre, lei mi diverte tantissimo, e non siamo neanche così diversi, in realtà.

Quindi, quando ritorno serio, le dico: “Se vuoi, farò il possibile per darti una mano.”

Sono sinceramente intenzionato ad aiutarla, e lei lo capisce, ma la gratitudine è un altro di quei sentimenti che ha difficoltà ad esprimere. Così si limita a rivolgermi un sorriso sghembo, dicendo: “Grazie caro, lo terrò in considerazione.”

  
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