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Autore: Fanny Lestrange    12/07/2013    0 recensioni
Seconda guerra magica.
Ninfadora - anzi, Tonks - è una novella sposa e una futura madre, giovane, idealista, coraggiosa, disposta a tutto pur di non tradire l'Ordine della Fenice. Catturata e rinchiusa nei sotterranei di Villa Malfoy.
Lucius è un marito e un padre assente, prostrato dalla paura e perseguitato dai propri fantasmi, disposto a tutto pur di riconquistare la fiducia del suo signore. Costretto a farle da carceriere.
Lucius/Ninfadora.
Prima classificata al "Crack pairing contest, per chi vuole leggere qualcosa di originale!" organizzato da Rowan936 su ffz.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Lucius Malfoy, Nimphadora Tonks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Irritante. Era così che avevi definito, mentalmente, la ragazza. Ninfadora - anzi, Tonks - era decisamente irritante.
Avevi trovato patetico quel vano tentativo di addolcirti, di indurti all’umorismo, ammesso che di questo si fosse trattato. Era difficile capirlo. Avevi finito per considerarlo un eccesso di sfacciataggine, ma non avevi avuto voglia di punirla. Sarebbe stato inutile: era un membro dell’Ordine, un Auror, un’irriducibile. Non ne valeva la pena. Eppure, qualcosa ti suggeriva che forse, dopotutto, non era nemmeno così. Forse l’eccesso, da parte sua, era stato di goffaggine. Forse aveva semplicemente la lingua più veloce del pensiero. Poteva essere. In tal caso, ti appariva ancora più patetica. Infantile, come quel rintanarsi in un angolo al tuo arrivo.
Ti infastidiva, soprattutto perché, di fronte alla sua aria indifesa, avevi provato un improvviso e inspiegabile istinto di protezione. Appena il tempo di riconoscerlo, e lo avevi prepotentemente soffocato. Ma stavamo scherzando? Tu che ti facevi vincere dalla compassione? Tu, il braccio destro del Signore Oscuro? Ad essere sinceri, ora come ora, casomai la pezza da piedi... Ma questa era un’altra faccenda.
 
Ad ogni modo, non potevi - e non volevi - permetterlo. Dunque le avevi sciorinato i soliti avvertimenti, che in teoria avrebbero dovuto suonare intimidatori, le minacce, le richieste e infine la promessa di libertà. Ci avevi talmente fatto il callo che non avevi nemmeno avuto bisogno di istruzioni. Lui, comunque, non sarebbe stato in grado di fornirtele, essendo lontano, in cerca di chissà cosa. Non era coinvolto, almeno per il momento. Non appena avevi notato lo sguardo eccitato di Bellatrix, infatti, avevi compreso che sotto doveva esserci qualcosa, e, pur dopo molte fatiche, eri riuscito ad estorcerle la notizia. Subito ti era apparso chiaro che tua cognata non era la candidata ideale, così impulsiva e collerica, per quel compito così delicato. Si erano visti i risultati che aveva ottenuto con i Paciock. Piegare un adepto di Silente - impavido per definizione - richiedeva pazienza, calma e tattica. Essendo Bellatrix completamente sprovvista dei primi due, questo faceva sì che anche il terzo requisito diventasse inutile.
Nulla da fare, dovevi occupartene tu. L’allettante prospettiva di rientrare nelle grazie dell’Oscuro Signore ti aveva sostenuto contro tua cognata, che pure ambiva allo stesso. Ma nel tuo caso era diverso: poteva trasformarsi in una questione di sopravvivenza. L’avevi finalmente persuasa fingendo di confessare che Lui stesso ti aveva affidato l’incarico (in caso foste riusciti a catturare qualcuno) prima di partire. A ben guardare, dunque, era una responsabilità che ti eri assunto del tutto spontaneamente, il che equivaleva a rischiare grosso.
 
Non t’illudevi di aver convinto la ragazza: come avresti potuto, quando nemmeno tu credevi a una sola parola di quanto andavi dicendo? “La sua ira non conosce limiti...” Lui non conosceva nemmeno l’accaduto, se per questo. Ed era assai più probabile che essa si abbattesse su di te, per aver preso l’iniziativa, o per aver fallito. O entrambe le cose.
Dovevi impegnarti di più. Sì, dovevi fare di meglio, come ai vecchi tempi. Dannazione, avevi ingannato l’intero Wizengamot sulla tua innocenza! Chi sarebbe stato più abile di te ad inventare frottole e a spacciarle per vere, tanto da rischiare di convincersene lui stesso?
Avevi deciso che ti saresti mostrato tollerante, solidale, quasi, con lei. Avresti sfruttato l’effetto sorpresa. Quelli come lei, lo sapevi, dietro l’aria da agnellino spaurito celavano una tenacia logorante; erano preparati, e soprattutto disposti, a sopportare stoicamente le torture più efferate, in nome della loro fedeltà all’Ordine, ma non a venire trattati con indulgenza e pietà. No, quello decisamente non se lo aspettavano. Sulle prime avrebbe manifestato una certa diffidenza, più che comprensibile; ma tu avresti perseverato. Avresti finto disillusione nella tua stessa causa, frustrazione, impotenza, paura... Tutte cose, in effetti, piuttosto vere. Se tu fossi stato un bravo attore, e soprattutto se non avessi perso di vista il sottile confine tra menzogna e realtà, tra inganni di cui avresti dovuto persuaderla e particolari che avresti fatto meglio a tenere per te, avreste persino potuto instaurare un rapporto di complicità. Suonava assurdo, certo. Ma alternative non ce n’erano.
 
 
Il giorno seguente eri tornato da lei. In tutta sincerità, eri preparato al peggio. Prevedevi che sarebbero occorsi giorni solo perché ti prendesse sul serio, e di tempo ne avevi poco, in quanto il Signore Oscuro sarebbe potuto tornare da un momento all’altro. In sostanza, non ti facevi illusioni.
Così, quando la ragazza aveva dichiarato la resa, sulle prime non te ne eri capacitato.
 
 
- Sì, lo so cosa sei venuto a chiedermi. - ti aveva preceduto, arrogante.
 
Fin qui, tutto come avevi previsto. Era perfino passata a darti del tu, segno inequivocabile che aveva ritrovato la sua baldanza.
 
- Non c’è bisogno che tu aggiunga altro. Accetto la tua offerta.
 
Come, accettava la tua offerta? Così presto? Dov’era finita la sua incrollabile lealtà? Non sarebbe stato necessario alcuno sforzo da parte tua? Eri tanto desideroso di mostrare la tua scaltrezza che ora questa prematura vittoria ti appariva quasi immeritata. E poi, c’era davvero da crederle? Probabilmente sì, avevi dedotto. Se mentiva, lo avresti scoperto presto. Inoltre, ti sembrava di scorgere con una certa chiarezza, nel suo sguardo, un’ombra di profondo dolore. Senza dubbio era una scelta che doveva costarle uno sforzo indicibile; il che implicava che avesse una ragione più che valida. Aveva sacrificato i suoi compagni... per cosa? O per chi?
 
 
- Bene. Ero sicuro che avresti preso la decisione giusta, alla fine. Confesso però che temevo di dover attendere molto di più. Che cos’è che ti ha fatta risolvere?
 
Dovevi assolutamente accertarti di poterti fidare di lei.
La ragazza aveva alzato le spalle, come se non ritenesse di doverti delle spiegazioni.
 
- Non ho altra scelta, giusto? Nessuno desidera morire. E nemmeno venire torturato, ad essere sinceri.
 
Avevi inarcato le sopracciglia, scettico. No, decisamente non reggeva. Poteva darsi che tu l’avessi sempre sopravvalutata, certo, ma era assai più probabile che volesse tenerti nascosta la sua reale motivazione.
 
- Ma davvero? Vorresti farmi credere che dei tuoi compagni non te ne importa nulla? - l’avevi incalzata.
 
- Mi hai detto tu stesso che non lo verranno mai a sapere.
 
Furba, la ragazza. Oh, sì. Ma non ti saresti lasciato abbindolare.
 
- Nessuno scrupolo per la tua immacolata coscienza di Auror?
 
Forse, se l’avessi provocata, si sarebbe tradita.
 
- No. Sarò comunque molto più utile a loro da viva.
 
Avevi incassato il colpo, mentre lei ti guardava con aria di sfida. Stava guadagnando terreno.
 
Sospirando, ti eri accovacciato, così da trovarti alla sua stessa altezza - era ancora rannicchiata nel suo angolo.
 
- Non me la racconti giusta, ragazzina. Questa storia non mi convince.
 
Le avevi afferrato il mento con una mano e l’avevi costretta a fissarti, mentre con l’altra impugnavi saldamente la bacchetta nella tasca della veste.
Lentamente, ti eri insinuato nelle sue iridi scure, forzando di volta in volta la resistenza che ti opponeva e superando le labili barriere che tentava di ergere a difesa del suo inconscio. Ti eri stupito delle sue scarse capacità di Occlumante; d’altronde, tu sapevi rivelarti, all’occorrenza, un Legilimens piuttosto abile.
Ti eri dunque fatto strada nei suoi ricordi, che ti sfilavano davanti uno dopo l’altro, a tinte vivide, passandoli in rassegna. L’avevi vista dapprima guardarsi attorno, smarrita, nel buio della cella; poi combattere strenuamente contro di voi, solo il giorno prima, incurante della morsa in cui la stavate stringendo, accerchiandola; infine discutere con il lupo mannaro, che, se non sbagliavi, era suo marito. Stavano in piedi e si fronteggiavano, lei gesticolando con furia disperata, lui a testa bassa, mormorando qualcosa e schermendosi con le mani. Gli occhi della ragazza sembravano umidi; quelli di lui, dietro la maschera di durezza, tradivano una tristezza infinita. Non eri riuscito a comprendere le loro parole perché, proprio in quel momento, lei, con un poderoso sforzo, ti aveva fatto arretrare. Tuttavia, avevi la sensazione che non ce ne sarebbe stato bisogno.
Prima di venire definitivamente scaraventato fuori dalla sua mente, avevi fatto in tempo a scorgerla in lacrime, rannicchiata su sé stessa, con il viso nascosto fra le mani. Biascicava parole, la voce rotta di pianto, e tu ne avevi colto alcuni brandelli.
- Che cosa faccio ora? Che cosa faccio?... Dimmi... Dimmelo tu come lo cresco, un bambino da sola...
 
E d’improvviso ogni cosa ti era apparsa chiara. Ma certo. Un bambino. Questo spiegava tutto. Come avevi potuto essere così sciocco da non pensarci prima? Era la sua creatura che voleva proteggere a qualunque costo, non sé stessa.
 
Ti eri accorto del suo sguardo su di te. Era incredula, per essere riuscita a respingerti, e atterrita. Aveva capito che ora sapevi. Si aspettava che la allontanassi con disprezzo. Anche tu te lo aspettavi, in effetti. Invece non l’avevi fatto. La presa con cui ancora le tenevi stretto il viso si era allentata a poco a poco, la tua mano era rimasta lì, sospesa a mezz’aria, titubante, e aveva finito con l’accarezzarle i capelli.
 
- Quant’è che se n’è andato? - ti eri sentito chiederle, come se la voce non ti appartenesse più.
 
- Due settimane.
 
La ferita era ancora aperta. Il dolore doveva essere talmente acuto da obnubilarla completamente, al punto che non si era nemmeno accorta del tuo cambio d’atteggiamento.
 
Poi, ecco, ora ti fissava, oscillante tra lo stupore, la diffidenza e lo sdegno. L’avevi ignorata. Quello sguardo ti metteva a disagio. Ti costringeva a guardarti dentro, a scandagliarti l’anima, e la vista non era piacevole. La odiavi, per questo. Pure, ora dovevi assolutamente continuare a parlarle. Il legame di fiducia, ricordavi? Era quello che stavi cercando di instaurare, no? Certo, soprattutto ora che, come avevi scoperto, non ce n’era più bisogno.
 
 
- Ti prego, non dire a nessuno ciò che hai visto. Ti do la mia parola che ti dirò tutto quello che vorrai sapere, ma non fargli del male!
 
- Bene. Comincia allora col dirmi se qualcun altro ne è al corrente.
 
Di nuovo, ti aveva guardato senza capire. Perché non le chiedevi il rifugio segreto dell’Ordine? Già, perché non lo facevi?
 
- Hai sentito bene. Su, dimmi: chi altri lo sa?
 
- A parte me e Remus, alcuni amici dell’Ordine...
 
- C’è la possibilità che arrivi alle orecchie del Signore Oscuro?
 
- No, non credo. Ma a te cosa interessa? Che c’entra questo con il rifugio segreto dell’Ordine?
 
La sua insolenza è intatta, avevi constatato. Davvero irritante.
 
- Rispondi e basta. Qualcuno dei vostri amichetti potrebbe averlo rivelato, anche inconsapevolmente, ad esempio lasciandosi leggere la mente da uno di noi? - avevi continuato, risoluto.
 
- Che differenza fa? Tanto glielo dirai tu stesso a breve...
 
E’ vero, avevi pensato. Potrei farlo. Dovrei farlo.
 
- No, non glielo dirò.
 
- Cosa? E perché?
 
- Ragazzina, pretendi di insegnarmi il mio mestiere? Mi sembra di averti già detto di stare al tuo posto.
 
E, per sottolineare meglio il concetto, ti eri alzato in piedi.
 
- Senti, se può servire a liberarmi, ad accelerare il tutto, io parlo anche subito, hai capito? Guarda, si trovano sempre...
 
Ti eri precipitato a tapparle la bocca con una mano. Per poco non ti scappava da ridere. Che situazione grottesca. Un capovolgimento di ruoli. Grandioso.
 
- Ti ho detto che non lo voglio sapere! Non più. Non è un conflitto ad armi pari. Tu vuoi parlare per salvare la vita a tuo figlio, non perché ti abbiamo persuasa. E’ gioco sporco, e da parte mia sarebbe vergognoso approfittarne.
 
La verità è che non avresti proprio dovuto dirle, quelle cose. Non era da te avere compassione di una Sanguesporco e del suo bambino, che avrebbe anche potuto essere una bestia. Non era così che ti saresti riguadagnato la fiducia del Signore Oscuro. Cominciavi a pensare di meritare il modo in cui Lui ti trattava. Non eri più lo stesso. Ma, in fondo, era poi così sbagliato?
 
Quando ti eri sentito sicuro, le avevi tolto la mano dalla bocca.
 
- E da quando tu ti preoccupi di non giocare sporco, Malfoy?
 
Ti scherniva, la ragazza. La detestavi. Non avresti dovuto mostrarti così indulgente.
 
- Ascoltami bene, Ninfadora. Te lo ripeto, non ti riguardano i criteri in base ai quali prendo le mie decisioni. Ho i miei motivi se decido di tenere nascosto qualcosa al mio Signore. Ho i miei motivi se rifiuto di assecondarlo, credimi. Non sa nemmeno che tu sei qui.
 
Ti eri subito morso la lingua. Stranamente, però, lei pareva essersi tranquillizzata.
 
- Davvero? Cioè... Mi stai coprendo?
 
Ecco, l’aveva detto. La stavi coprendo?
 
- Diciamo di sì. Non chiedermi altro, però. Ti basti sapere che non parlerò a nessuno.
 
Aveva annuito, lentamente. Stentava a fidarsi di te. In effetti, perché avrebbe dovuto?
 
- Senti, voglio essere chiaro con te. Quasi nessuno di noi è ancora legato al Signore Oscuro dall’antica fedeltà. Ci soggioga con la paura, le minacce, le torture. I ricatti. Ho delle buone ragioni per sperare che fallisca. Non ti starei dicendo queste cose se volessi ingannarti, non credi?
 
Aveva annuito di nuovo, questa volta con più convinzione.
 
- Bene. Tornerò domani. Manderò qualcuno a portarti del cibo.
 
Le avevi voltato le spalle e te n’eri andato, senza darle il tempo di replicare.
 
 
 
Non avevi cercato di trovare le ragioni di ciò che avevi fatto: non sarebbe servito. Semplicemente, non appena ti era stata sbattuta in faccia la verità, l’immagine di lei, sola e in attesa di un figlio forse nemmeno sano, ti aveva risvegliato nell’animo un istinto sopito da tempo, atavico, quello della pietà. Detestavi ammetterlo, ma era così. Ti era venuto da pensare a Narcissa; a che ne sarebbe stato di lei e Draco se per una qualche ragione tu li avessi abbandonati. Lei, la ragazza, non era alla vostra altezza e non lo sarebbe mai stata, certo. Ma era una creatura viva, abitava questo mondo proprio come te, soffriva come te, forse anche più: avevi toccato con mano la sua fragilità. Sua e del suo bambino. E non te ne saresti dimenticato facilmente.
Non eri riuscito a chiudere gli occhi di fronte al dolore della tua ennesima vittima; e ora non avevi scampo, dovevi proteggerla, o il suo spettro non ti avrebbe dato pace. Ti eri fidato di lei a tal punto che non avevi esitato a confessarle ciò che non eri mai riuscito a dire nemmeno a te stesso: che eri letteralmente terrorizzato dal tuo Signore e speravi con tutta l’anima che morisse, così da lasciarvi liberi.
E poi (questa era forse l’ammissione più cara che ti fosse mai costata) c’era qualcosa, in lei, che ti attraeva. Qualcosa che Narcissa sembrava avere smarrito da tempo. All’inizio non eri riuscito a darle un nome, poi, pian piano, avevi capito di cosa si trattava: era la sensazione che lei avesse bisogno di te. Il desiderio irrefrenabile di proteggerla. La vulnerabilità, nelle donne, ti aveva sempre affascinato, soprattutto nelle vittime, che parevano quasi invitarti a possederle (pure, sia chiaro, non ti eri mai abbassato a violentare una tua prigioniera); ma con Narcissa, fin dall’inizio, era stato diverso.
Lei differiva da ogni altra donna che avessi mai conosciuto; fosse merito della sua grazia innata, della sua bellezza fresca e inviolata, della grandezza d’animo che, in lei, si combinava così bene con l’orgoglio e la dignità che il suo stato di strega Purosangue esigeva, o della sua ingenua innocenza che così spesso ti aveva fatto sorridere, non lo sapevi. Avevi avuto l’impressione che, se tutte queste peculiarità le avesse possedute un’altra donna, non sarebbe stato lo stesso. Non sarebbe stata lei. Ti piaceva chiamare incantesimo il modo in cui ti aveva, involontariamente, legato a sé.
Era stato allora che, per la prima volta, avevi percepito quella sensazione. La consapevolezza che qualcuno di più debole e inesperto aveva bisogno di te, il dovere di prenderti cura di una creatura indifesa, l’opportunità di esserne responsabile. Quella prospettiva ti aveva scaldato il cuore, e, a ben vedere, forse era stato proprio quello a farti innamorare di lei.
 
Poi, a poco a poco, un po’ perché lei sembrava aver imparato a cavarsela nel mondo, un po’ perché la monotonia della vita coniugale a lungo andare ti stava sfiancando, l’incanto si era spezzato. Invece, quando era nato Draco, quel sentimento era tornato a farsi strada in te, e per un po’ sembrava che tu e Narcissa aveste trovato un nuovo, di gran lunga migliore equilibrio. Infine, c’erano stati gli avvenimenti recenti, che avevano messo a dura prova entrambi; la paura vi aveva costretti ad ergere muri di diffidenza e rancore fra di voi, tanto che ora comunicavate a stento. Lei non pareva avere più alcun bisogno o desiderio di te, ed era questo, più di tutto, a rattristarti. Si era allontanata, insuperbita e chiusa in un guscio di freddezza che, per quanto dettato dalle circostanze, tu non riuscivi a comprendere né ad accettare.
 
E adesso, dopo tanto tempo, eri tornato a sentire quella chiamata, e le avresti risposto. Anche se proveniva da una ragazza infantile e piagnucolona, una Sanguesporco, un fanatico membro dell’Ordine. E anche se tutto questo era decisamente irritante.
 
  
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