Just A Little
Woman.
Alone Against
The World.
Cercavo di
aprire gli occhi, ma le palpebre non rispondevano
ai comandi del mio cervello. Non sentivo nulla, se non il respiro di
qualcuno
sulla mia pelle. Non so esattamente quanto tempo sia passato
dall’ultima volta.
Ricordo tutto, dicono che, in questi casi, molto spesso non si ricorda
nulla.
Io ho solo perso i sensi, non la memoria per quanto mi riguarda.
Ricordo la
rabbia negli occhi di Jacob, lo spavento nelle voci delle mie migliori
amiche e
poi il buio, ma tutto quello che è avvenuto prima lo
ricordo, e se il mio corpo
facesse ciò che indica il cervello inizierei a piangere per
poi non smettere
più. Come ho potuto anche solo pensare che Jacob
l’avrebbe presa bene? Forse
mia madre e le mie amiche avevano previsto una cosa del genere. Non
abbiamo mai
litigato pesantemente io e Jacob, poiché non
c’è mai stato un valido motivo per
farlo, adesso non sono sicura di volerlo nella mia vita per uccidere un
‘anima
che non ha fatto nulla di sbagliato, innocente. Cerco di muovere le
mani ma
nulla, il vuoto. Vorrei tanto portarmi una mano sul ventre, sperando
che, per
quanto prematura sia la mia gravidanza, io non abbia perso quella
piccola
pallina bianca. Non so perché, non so nemmeno se sia una
cosa normale, ma è
possibile amare qualcosa, qualcuno già dal primo momento che
scopri della sua
esistenza? Forse no, non è normale, ma chi dice che io lo
sia? Il desiderio di
alzarmi, svegliarmi da questo stato qualsiasi esso sia, è
prepotente, mi sento
repressa, costretta in questo letto senza alcun bisogno. Spengo la mia
mente e
aspetto pazientemente che arrivi la luce per
svegliarmi.
Strabuzzo gli
occhi e finalmente posso muovermi. Apro gli
occhi lentamente, mi guardo attorno, cercando di focalizzare le sagome,
ci
metto qualche secondo prima che la mia vista torni limpida e vedo la
testa di
mia madre appoggiata sul mio letto. Accarezzo i suoi capelli, sperando
di non
averla delusa così tanto da pentirmene amaramente. Non
appena sente il mio
tocco, alza la testa con uno scatto repentino guardandomi e scoppiando
a
piangere.
«Tesoro mio.» Sussurra tra le lacrime
abbracciandomi forte,
alzo il braccio sinistro, notando che il destro è ingessato,
lo guardo
stralunata cercando di ricordare il dolore che dovrebbe avermi causato
il
braccio rotto, ma nulla, non sapevo di avere avuto danni fisici, o
meglio,
forse lo sapevo ma non ricordo. Le lacrime di mia mamma bagnano le mie
guance e
non so bene se è per la gioia di rivederla, per la paura di
quello che mi
aspetta nei prossimi mesi, per la rabbia di Jacob ancora presente
dentro di me
come una coltellata sul cuore, ma scoppio a piangere insieme a lei
abbracciandola forte a me, intimandole di non abbandonarmi, che ho solo
lei,
che sarei sola se lei mi volterebbe le spalle. Mia madre scioglie
l’abbraccio e
accarezza la mia fronte, scostando qualche ciocca di capelli, la sua
mano è
fredda a contatto con la mia pelle calda. Mi guarda negli occhi e mi
immergo in
quell’azzurro cielo che mi ha sempre trasmesso sicurezza,
affetto, sincerità e
senso di purezza, mi
sorride e sospiro
di sollievo, ma sono sicura che la ramanzina arriverà, deve
arrivare.
«Amore mio. Stai tranquilla sistemeremo tutto.»
Mormora
prima di darmi un bacio sonoro sulla guancia. Mia madre propone di
chiamare il
medico in modo da avere maggiori chiarimenti sulla mia salute, dato che
adesso
sono finalmente cosciente. Il medico, un uomo sulla cinquantina, con
capelli e
folta barba bianca e un paio di occhiali che scivolano malamente sul
naso neri,
si avvicina sorridendomi. Tiene in mano una cartellina bianca ed
è munito di
una biro, alzo gli occhi al cielo, sperando di non dover rispondere ad
un
questionario mastodontico.
«Buongiorno Isabella.» Mormora sorridendomi, mentre
io con
quel buongiorno mi chiedo che ore sono e di quale giorno. Mi guardo
attorno, ma
non c’è nessun orologio o indizio utile.
«Dovrai rispondere a qualche domanda mia cara. Ma stai
tranquilla la tua psiche è ancora debole,
cercherò di fare presto.» Mormora con
voce calda e rassicurante, annuisco come un automa, ripetendo come un
mantra
un: “lo sapevo”. Rimane in piedi davanti al mio
letto e mi studia con lo
sguardo, dopo qualche minuto annuisce e sospira, io roteo gli occhi e
aspetto.
«Bella, cosa ricordi di quello che è successo
prima di
perdere i sensi?» Mormora, pigiando il bottoncino della biro
pronto a scrivere,
per poi analizzare le mie parole, strano, credevo lo facessero solo gli
strizzacervelli.
«Ero andata a casa del mio ragazzo. Per comunicargli che
aspettiamo un bambino…a proposito come sta?»
Chiedo allarmata, ricordandomi che
dentro di me c’è una vita che si sta creando,
sentendomi un verme per averlo
per qualche secondo dimenticato, cancellato dalla mente.
«Sta bene. Fortunatamente è rimasto
illeso.» Mormora
accigliandosi e guardandomi incitandomi a parlare.
«Dicevo…ho detto a Jacob che ero incinta, ma lui
non ha
voluto saperne, anzi, voleva ucciderlo, voleva che io abortissi,
voleva...voleva…» Scoppio a piangere, ricordando
come se fosse adesso la rabbia
di Jacob, palpabile tramite i suoi occhi, la sua bocca, si sentiva
nell’aria,
mi aveva respirato addosso tutto il calore di quella rabbia non
ingiustificata
ma eccessiva. I singhiozzi mi riempiono il petto, facendo tremare la
mia anima,
che ormai non sa che fare se non piangere. Il medico mi guarda
impassibile,
mentre mia madre gli lancia sguardi di fuoco che potrebbero ucciderlo.
Cerco di
calmarmi, ripetendomi che non è il momento di piangere e
fortunatamente ci
riesco.
«Isabella, mi dispiace…vorrei solo dirti che hai
il braccio
fratturato, abbiamo bisogno di sapere come è
successo.» Mormora con voce calda
e rassicurante.
«Questo non lo ricordo. Forse quando sono caduta perdendo i
sensi. Non lo so. Sono certa che, però, non ho sentito alcun
tipo di dolore
mentre ero vigile.» Mormoro sicura di me, non voglio dire
balle solo per farla
pagare a Jacob, anche se lo meriterebbe, non sono famosa per essere
vendicativa.
«A volte, la rabbia e la disperazione non ci fanno accorgere
del dolore fisico che stiamo provando, perché quello
psichico è più forte.»
«Tesoro dobbiamo parlare.» Mormora mia madre mentre
mi aiuta
ad entrare in macchina, non mi ero mai fratturata nulla, il gesso
è una tortura,
alzo gli occhi al cielo per lo sforzo e mi siedo sul sedile della
Volkswagen
nera di mia madre. Annuisco alla sua affermazione. Mette in moto e
rimane in
silenzio, facendomi capire che sta metabolizzando e analizzando ogni
frase che
deve dedicarmi, sempre con la sua massima e assoluta
sincerità. Non appena mia
mamma spegne la macchina scoppia a ridere, indicandomi il portone di
ingresso
di casa nostra. Ci sono Hayley e Melanie che hanno in mano degli
striscioni che
citano: “bentornati a
casa.” Una
lacrima di commozione riga la mia guancia, dovrei essere felice di
tutto
questo, e invece…invece mi sento sola
contro il mondo, sola a combattere
contro un esercito intero, mi sento da sola, ma non lo sono, e se anche
fosse avrei
la forza di batterti contro tutto e tutti, per lui, per questa
bellissima
pallina bianca che mi ha fatto innamorare con un colpo di fulmine.
Scendo
dall’auto, tenendo sempre fermo il mio braccio e mi avvicino
alle mie amiche,
pronte ad abbracciarmi forte, strozzandomi e dandomi la loro forza.
Entriamo in
casa e mi chiedono come sto. Le dico che sto bene, che il mio piccolo o
piccola
che sia è sano, che la mia gravidanza va avanti da sei
settimane, nonostante i
ritardi facevano credere di più. E poi, cala un silenzio
tombale non appena
nominano Jacob. Non voglio parlare di lui, non ne vedo la ragione.
Hayley e
Melanie se ne vanno ed io mi stendo sul divano chiudendo gli occhi,
cercando un
qualche argomento che mi faccia venir sonno, in modo da non pensare e
immergermi in quel luogo che tutti chiamano sogno, vivere in quella
realtà
reale solo dentro di noi, dove c’è pace e
tranquillità.
«Bella? Svegliati amore. Dobbiamo cenare.» Mi sento
strattonare dolcemente da mia mamma e apro gli occhi lentamente. Gli
occhi
azzurri di mia madre si specchiano nei miei e ci vedo paura
lì dentro. Mi alzo
con uno scatto repentino e inizio a camminare per dirigermi in cucina,
una
fitta al braccio mi fa fermare e strizzo gli occhi tra loro, come se
questo
gesto potesse cancellare il dolore. Mia madre corre verso di me e mi
aiuta a
sedermi sulla sedia di legno della cucina. Inizia a massaggiare la mia
spalla e
un sospiro di sollievo lascia le mie labbra.
«Meglio?» Mi chiede sorridendomi dolce. Io annuisco
e
ricambio il sorriso. L’odore di patate al forno e carne
arrosto entra nelle mie
narici facendomi rendere conto che sono molto affamata. Non appena ho
il piatto
con il cibo davanti afferro le posate e mangio tutto in dieci minuti,
il tutto
seguito da un mal di pancia terribile ovviamente.
«Bella devi mangiare più lentamente!» Mi
rimprovera mia
madre, facendomi sentire una bambina di cinque anni, non posso darle
torto
ovviamente. Sorseggia il suo tè al limone e
mi guarda, mi studia, cerca in qualche modo di comunicarmi
qualcosa.
«Che c’è mamma?» Chiedo sicura
che tra un po’ la sua
tranquillità verrà smascherata dalla rabbia,
perché in fondo so che è
amareggiata e delusa. Lei scuote la testa e sorride.
«Non sono arrabbiata con te Bella.» Mi dice
schiarendosi la
voce, per poi continuare. «Sono solo molto sorpresa. Non mi
sarei aspettata una
cosa del genere adesso, di certo, sapevo che quando eravate da soli, tu
e
Jacob, non vi
guardavate negli occhi,
poiché vedevo il modo in cui ti guardava, vedevo che
c’era già una certa
intimità tra di voi. Sono delusa dal suo comportamento,
perché nonostante tutti
sappiamo il suo carattere, sappiamo che è un immaturo che
resterà tale per
sempre, non credevo che ti lasciasse da sola in un momento come
questo…» Dice
facendomi tirare un sospiro di sollievo, ammettendo a me stessa che io
al posto
suo sarei stata furiosa.
«Lui ci sarebbe stato mamma. Solo se io avessi accettato la
sua condizione.» Mormoro deglutendo, lei mi guarda accigliata
e realizzo che
Hayley e Melanie non le hanno detto propriamente tutto.
«Quale condizione?»
«Se io avessi ucciso il bambino, a quest’ora
sarebbe qui con
me. Ma non voglio uccidere un’anima innocente per colpa sua.
Mi sono resa
conto, in quel poco tempo che ho potuto pensare, che lui non mi ama, lui non ama, perché se lo
facesse non
avrebbe pensato nemmeno per un momento quello che ha detto,
ciò che voleva che
io facessi.» Dico cercando di reprimere le lacrime,
consapevole che, comunque,
avrei dovuto affrontare questa cosa con mia madre e che è
semplicemente solo
l’inizio, l’incomincio di una strada asfaltata,
l’abbozzo di una nuova me,
l’inizio di una lotta di cui sono sicura di voler combattere,
anche a costo di
perdere qualsiasi cosa, anche sola contro
tutto il mondo.
«Questo ti rende onore piccola mia. Ho capito che vuoi
tenere questo piccolo esserino. Ti comprendo se mi dicessi che lo ami
più di te
stessa nonostante sia solo l’inizio. Io sono qui amore mio,
al tuo fianco, qualsiasi
decisione tu intraprenda.» Mormora con le lacrime agli occhi,
mi avvicino a lei
e per quanto il braccio mi permette la stringo forte a me,
ringraziandola
un’infinità di volte e bagnando più del
dovuto la sua camicetta.
Mi stendo sul mio letto, sfinita sia fisicamente e
moralmente, accendo il pc e decido di guardare un film, purtroppo
però i miei
film sono tutti malinconici e strappa lacrime, come Forrest Gump, John
Q,
Moulin Rouge, Man Of Fire, alzo gli occhi al cielo e chiudo il computer
con uno
sbuffo. Un senso di angoscia mi pervade facendomi scendere le lacrime
senza che
io me ne sia resa conto, gli uomini sono tutti uguali, avevo sentito
una volta,
smentivo sempre, difendevo gli uomini dicendo che ogni persona ha un
carattere
diverso da un’altra che ognuno di noi è unico,
diverso da un altro. Invece
adesso lo penso anch’io, mio padre ha fatto la stessa
identica cosa di Jacob,
ha abbandonato mia madre quando io ero solo un feto minuscolo, non ha
voluto
prendersi le sue responsabilità. Aveva giurato amore eterno,
mio padre, come
Jacob aveva fatto con me, ripentendomi tutti i giorni quanto le stesse
a cuore
la mia felicità, dicendomi che nulla era più
importante del mio sorriso, eppure
eccolo qui, pronto ad abbandonarmi, abbandonarci, al nostro destino,
pronto a
fregarsene di un figlio che tra meno di un anno nascerà,
pronto ad ucciderlo
pensando solo a se stesso, alla sua vita senza interruzioni da parte di
nessuno. Ho letto il suo fastidio negli occhi quando ho rivelato il mio
stato
interessante, come se quel bambino fosse una barriera tra le due
personalità di
se stesso, come se quella fosse una tragedia quando in
verità è un dono, un
piccolo miracolo arrivato in un momento sbagliato, ma pur sempre
qualcosa che
sa riempire il cuore di gioia più di qualsiasi altra cosa la
vita ci offre. Calde
lacrime bagnano il mio cuscino, cerco di autoconvincermi che le lacrime
porteranno via questo immenso senso di tristezza, con una mano le
spazzo via
cercando in vano di reprimere quell’ansia ormai presente
dentro di me da
giorni. Chiudo gli occhi cercando di immaginare la mia vita, ma Jacob
non c’è,
dicono che l’amore non va via in un battito di ciglia, dicono
che non si ama se
si odia, dicono che per innamorarsi di una persona può
volerci un attimo come
un secolo, dicono che per odiare una persona può volerci un
nanosecondo e un’eternità.
L’amore non va via presto, è vero, ma era vero
amore? Che amore è se dopo
qualche attimo puoi ritrovarti ad odiare la stessa persona?
L’unica cosa che mi
consola è avere la consapevolezza di amare questo bambino di
più di quanto
credevo di amare Jacob. Una parte di me spera che lui torni indietro, a
chiedermi scusa, a dirmi che era stato l’istinto a prevalere,
l’altra non lo
vuole più vedere né sentire. Scuoto la testa e le
lacrime scendono fino al
collo, che stupida sono stata a credere anche solo per un attimo che
lui
sarebbe rimasto al mio fianco. Avevo anche creduto che questa fosse
stata l’opportunità
per farlo crescere. Lui ha buttato via la felicità,
perché io ne sono
consapevole, sarò felice, non ora né tra un mese,
ma quando questa gioia verrà
al mondo, onorandomi con la sua presenza sarò felice, e
nessuno potrà mai farmi
cambiare idea su questo.
«Hai
denunciato il fatto?» Mi chiede indicando il mio
braccio con il mento. Io la guardo confusa e scuoto la testa. Lei
sgrana gli
occhi e mi guarda, si avvicina a me velocemente e mi prende per il
braccio.
«Perché
no Bella? Se farai passare questa cosa, la rifarà
altre volte!» Mi dice arrabbiata ma con quel senso di
dolcezza tra la voce.
«Ma cosa? Di
che parli?»
«È
stato Jacob a romperti il braccio, non è possibile che
non lo ricordi!» Cerco di trovare qualcosa che colleghi
questo, nei ricordi della
mia mente e sì, ricordo che lui mi ha afferrato il braccio,
ma non ricordo se
ho provato dolore, e non è possibile che sia stato lui,
perché con lo stesso
braccio dopo qualche secondo gli ho mollato un ceffone. Scuoto la testa
rivolgendomi ad Hayley, mentre l’abbraccio di Melanie mi
impedisce quasi di
respirare.
«Buongiorno.
Come va?» Chiede con aria frizzantina. Noi
scuotiamo la testa e lei rimane impassibile, non facendosi rovinare il
buonumore, è una cosa che ammiro di lei, una delle sue
migliori qualità. Hayley
chiede a Melanie se ricorda bene quel pomeriggio non molto lontano,
dicendole
che non ricordo se è stato lui a rompermi il braccio oppure
è stata la caduta.
«È
stato lui! Ovvio che è stato lui!» Urla Melanie.
Io
annuisco, sicura che posso fidarmi di loro e la mattina passa
così, tra le
lezioni e il mio frugare tra i ricordi per cercare di rendere quel
pomeriggio
più vivido, rendendo la mia vita ancora più
difficile, dato che quel ricordo è
come una stilettata al petto. Non appena il professore di letteratura
Inglese
ci informa che possiamo andare, la classe si svuota immediatamente. Con
la mia
goffaggine degna da far invidia ad un bradipo, mi alzo acchiappando la
mia
borsa, esco dall’aula cercando con lo sguardo Melanie, dato
che Hayley oggi
tornava a casa prima. Mentre cammino in cerca della mia amica, la porta
con una
voluminosa scritta “segreteria” attira la mia
attenzione, meglio prima che dopo,
mi dico. Varco la porta e un signore sulla cinquantina d’anni
mi sorride
facendomi cenno di avvicinarmi al bancone.
«Buongiorno.
Vorrei sapere se ci sono delle possibilità di
studiare da casa, nei prossimi mesi.» Mormoro, incurante del
mormorio dei
ragazzi che ci sono dall’altro lato della segreteria,
sicuramente a prendere la
serie dei libri di testo. Lui annuisce e mi porge un modulo.
«Deve
compilare il modulo, e poi potrà farlo. Il modulo va
consegnato trenta giorni prima dalla data in cui non riesce a venire
qui.»
Mormora sempre sorridendomi. Lo ringrazio ed esco fuori, seguita da un
ragazzo.
«Ehi ciao!
Come va?» Mormora imbarazzato, si riesce a
sentire dalla voce. Mi giro e mi imbatto ancora una volta in quel
ragazzo che
avevo creduto reale solo nella mia mente. Non ricordo bene il suo nome,
quello
che ricordo, cosa che non si può dimenticare, è
la sua bellezza. Non è di una
bellezza di quelle che vedi in tv in uno spot di profumi, no,
è molto di più.
Direi più una bellezza che ti colpisce al primo sguardo, una
bellezza che
quando la vedi non puoi dimenticarla. La sua mascella è
rigida ma dall’aspetto
sembra morbida da mordicchiare, le sue spalle sono larghe, ma non
troppi, è
minuto ma i muscoli sono okay. E poi ci sono i suoi occhi che pur non
conoscendolo mi fanno capire la bontà che
c’è il lui, la bellezza interiore che
esprimono i suoi occhi è eclatante.
«Ehm...Ciao.
Tutto bene grazie.» Mormoro con le guance in fiamme,
com’era quel proverbio? Ah sì, meglio dire che
stai bene invece che spiegare
perché stai male. E poi di certo, non voglio la
pietà di nessuno, tanto meno
non voglio annoiare questo dio greco sceso in terra, sono sicura che
osservarlo
così è meglio che parlarci.
«Organizzo
una festa, questo Sabato. Vuoi venire? Puoi portare
anche le tue amiche con te.» Mi dice con le pupille che si
allargano di speranza.
Sorrido intimidita e prendo l’invito che ha tra le mani e
annuisco. Lui si
passa una mano tra i capelli e mi saluta, lo guardo mentre mi da le
spalle
andando via. Guardo il foglio e la ragione non permette
all’istinto di
accartocciarlo e buttarlo via. Mi dirigo fuori, sperando che Melanie
sia lì,
mentre la malinconia che per pochi attimi se ne era andata torna a
farmi
compagnia, rendendosi più presente della mia ombra stessa.
Mi guardo attorno,
ma questa volta non per cercare Melanie, ma per vedere se trovo quel
ragazzo di
cui non ricordo il nome. Un moto di delusione mi invade quando Melanie
arriva e
di lui non c’è nemmeno l’ombra.
È possibile credere di stare bene in presenza
di una persona che ancora non conosci?
Eccoci, non ho ritardato,
anche se, lo ammetto è stato
difficile. Voglio ringraziarvi tutte, per aver accolto la storia in
questo
modo, non me lo aspettavo. Grazie infinite!
Spero di non deludervi
e spero che quest’avventura sia
gradevole per voi quanto lo è per me.
Un bacione.
A domenica.
Roby <3