Just A Little
Woman.
Prologo.
Mi guardo allo
specchio, pronta per il mio primo giorno
all’università. Mi sento così
elettrizzata, per quanto tempo avevo sognato
questo giorno? Sono sempre stata quel tipo di ragazza a cui piace
studiare,
quel tipo di ragazza mai stata attratta da brutte strade o droghe. Sono
sempre
stata per conto mio, a pensare al mio futuro, fantasticando sul domani
che
verrà. Ravvivo i miei capelli ed esco dal bagno dirigendomi
in cucina, dove si
sente l’aroma di caffè appena fatto.
«Buongiorno Tesoro.» Mormora mia madre sulla mia
guancia,
posandole un bacio tre secondi dopo.
«Ciao mamma. Come sto?» Le chiedo lisciando la mia
gonna di
seta che arriva fino al ginocchio e la camicetta bianca a maniche
corte, ai
piedi indosso un paio di sandali neri, con le perline argentate sulla
stoffa,
avrei certamente preferito le mie converse nere, ma non credo sarebbero
state
adatte. Reneé
piega la testa di lato, pronta per
il suo sincero giudizio, non è mai stata una mamma che ti
riempie di balle per
farti felice, la sua sincerità ha sempre avuto furore tra di
noi, ed io sono
cresciuta come lei, con il motto di chi è sincero
farà sempre una buona vita.
Ma non credo sia così, sinceri o meno, se la vita decide di
far schifo lo fa lo
stesso, indipendentemente dalla sincerità.
«Sei bellissima amore mio.» Sussurra emozionata,
con uno
slancio mi butto sulle sue braccia e lei mi accoglie abbracciandomi.
Non mi è
mai mancato affetto da parte di mia madre, nonostante la sua vita non
è mai
stata rose e fiori, nonostante io sia stata quel motivo per cui mio
padre l’ha
abbandonata quando io ero ancora un embrione. Eppure lei mi ripete
tutti i
giorni, quanto sia stato necessario avermi, che sono
stata la cosa migliore che potesse
capitarle. Mia madre mi ha chiesto mille volte se volessi sapere dove
trovare
mio padre, ma no, ho sempre rifiutato, dicendole che come lui non ha
voluto me,
io non voglio lui nella mia vita. Che uomo è? Quale uomo
lascerebbe la propria
donna per sua figlia? Magari adesso
è
cambiato, forse è maturato in questi ultimi diciannove anni,
ma non importa, ho
mia madre, ho il mio ragazzo e ho i miei nonni che di certo non mi
fanno
mancare l’affetto che lui non ha saputo darmi.
Sorseggio il mio caffè, aspettando Jacob che mi
accompagnerà. Infatti, non appena la mia mente lo focalizza
il campanello
suona.
«Ciao Jake.» Mormoro baciandolo a fior di labbra.
«Ciao Bells. Reneé.» Mia madre alza la
testa a mo’ di
saluto, ed io, come ogni giorno abbasso lo sguardo imbarazzata, sono
due anni
che sto con Jacob, ma a lei la nostra relazione non le è
andata mai a genio, lo
vede come un cafone immaturo. La sincerità di mia madre. Ma
la vita è la mia, e
di certo non lo avrei lasciato per il disappunto di mia madre. Prendo
la mano
del mio ragazzo ed usciamo da casa.
«Tua madre non mi accetta.» Ammette con disprezzo
non appena
mette in moto la sua golf del millenovecento…ah, non ricordo.
«Non è una novità.» Dico come
se nulla fosse, beccandomi una
brutta occhiata da parte sua. Arriviamo nel parcheggio e con un flebile
bacio saluto
il mio fidanzato. Il sole di Berlino picchia sulla mia testa e mi
maledico per
non aver indossato il cappellino, la mia pelle è bianca,
è la cosa più simile
alla mozzarella che possa esistere. Ricordo che una volta dopo essere
stata al
mare, mi addormentai svegliandomi all’ospedale, sono stata
lì per due
settimane: ustione di terzo grado. Da quell’episodio sono
sempre stata attenta
e premurosa con la mia pelle. Afferro il pacchetto delle mie sigarette
e sicura
che non ci siano gli occhi di mia madre a scrutarmi, ne tiro fuori una
e
l’accendo. Inizio a camminare, dirigendomi
all’entrata della Freie Universität,
un fastidio sotto la pianta del mio piede mi fa intuire che
è entrato qualche
sassolino, alzo il piede e lo scuoto, cercando di non farmi notare dai
ragazzi
che circondano il giardino, tentativo vano dato che adesso mi guardano
tutti,
un sorriso di circostanza si impossessa del mio volto e le mie guance
si
tingono di rosso peperone. Giro il mio volto, guardandomi il tallone e,
cosa
molto intelligente da parte mia, continuo a camminare, schiantandomi
contro
qualcosa…mi giro, o qualcuno. Rimango pietrificata a
guardare il ragazzo che ho
appena investito. Il suo sorriso è la prima cosa che noto,
circondato da rosee
labbra carnose, i suoi denti sono bianchi scintillanti, i suoi capelli
sono un
po’ strani, sono ramati, la sua è una chioma
ribelle.
«Scusami.» Mormora guardandomi da capo a fondo. I
suoi occhi
sono verdi, un verde che non passa inosservato tanto è
acceso e scintillante.
«No…ecco io…» Inizio a
balbettare e di nuovo le mie guance
assumono miliardi di colori tranne uno normale.
«Sono Edward Cullen.» Mormora porgendomi la mano,
io
avvicino la mia tremante e stringo la sua, così calda e
forte.
«Bella Swan.» Mormoro imbarazzata. In
realtà il mio nome è
Isabella, ma mi sa tanto di antico, odio il mio nome per intero.
«Ci vediamo in giro.» Mi dice salutandomi, mentre
io
continuo a guardarlo rimanendo imbambolata, mai visto un ragazzo
così. Scuoto
la testa, ricordandomi che al mio fianco ho una persona che amo e che
mi ama e
continuo la mia lotta contro il destino: oltrepassare indenne questa
giornata.
La mattina passa tra le presentazioni dell’istituto e il mio
incontro con le mie due migliori amiche: Melanie e Hayley. Melanie
è bionda con
gli occhi verdi, è alta e magrissima, tante volte le hanno
offerto lavoro come
modella, ma lei ha rifiutato essendo innamorata del cibo e degli sport
maschili. Hayley ha i capelli rossi, è alta i suoi occhi
sono azzurri, il suo
corpo è minuto ma ha le forme al punto giusto. Sono state in
vacanza alle
Bahamas questa estate, mi hanno chiesto se volevo andare ma ho
rifiutato, non
ho mai lasciato mia madre da sola, ho sempre avuto un senso di
protezione
assoluta verso di lei, e poi Jacob non mi avrebbe lasciata andare.
Tante volte
mi chiedo se il nostro amore è come quello delle Sit-com,
tante volte mi chiedo
se sto vivendo la mia vita per davvero, ci sono quelle volte invece in
cui lo
guardo negli occhi e dico: sono felice, nonostante succede poche volte.
Mi
accontento, la mia vita è sempre stata monotona, calma,
senza “divertimenti da
adolescente”, chi si accontenta gode no?
Un gemito di
disperazione lascia la gola di Hayley non
appena la golf del mio ragazzo entra dentro il parcheggio. Mi giro
verso di lei
con sguardo confuso e lei scuote la testa. Allora da lì
capisco tutto, si
chiede come mai io stia ancora con lui, l’unica persona che
accetta il mio
fidanzamento è Billy, nonché il padre del mio
ragazzo. Sembra una cosa triste,
ma sono sempre stata quel tipo di persona che se ne frega del giudizio
altrui,
anche se, lo ammetto, molte volte mi sono chiesta il motivo del
disappunto di
tutti quanti.
«Come è andata?» Mi chiede con dolcezza
non appena entro in
auto. Annuisco come per dirgli: “tutto bene”, sono
troppo stanca per parlare.
Mette in moto e il tragitto è silenzioso, anche
perché tra di noi non c’è mai
stato nessun tipo di dialogo. Entro in casa e mi butto sul divano, mia
madre è
a lavorare, tante volte ci rimane anche la notte, è un
medico, al momento si
sta occupando di una ricerca per il cancro. Guardo le foto che
circondano la
casa, troppo grande per solo due persone, solo diciannove sono le mie
dei
compleanni, poi ci sono quelle della nascita, di mia madre da piccola,
di me e
mia madre. Ricordo che mia madre c’è stata sempre,
quando stavo male, quando ho
eseguito gli esami della scuola media e del diploma, quando ho dato
l’esame per
la patente. Ad ogni occasione, che fosse importante o meno lei
c’è stata.
Sorrido, pensando che sono stata fortunata dopotutto, mia madre mi ama,
più di
qualsiasi altra persona. La mia vita è sempre stata questa,
un immenso
accontentamento, il mare a bassa marea. Ci sono stati anche per me quei
periodi
di ribellione, ma il massimo che ho fatto è stato piangere
in un angolo buio
per ore, senza far capire niente a nessuno. Spesso in quel periodo, mi
chiedevo
cosa ci fosse in me che non andava, perché se mio padre mi
aveva abbandonata, l’uomo
che mi aveva creata, quanto ci avrebbe messo un’amica, un
fidanzato a farlo?
Avevo perso la fiducia nelle persone, credendo che fossero tutte
uguali, che le
gente a cui ti affezioni prima o poi ti abbandona, perché
trova di meglio,
perché non hanno più bisogno di te,
perché in un modo o in un altro trovano il
modo per sbarazzarsi delle persone. Adesso ho imparato che non me ne
importa un
fico secco, che se voglio bene non lo faccio al cento per cento, in
modo che
non appena vanno via sono preparata e soffro meno. Per questo, forse mi
sono
accontentata di Jacob, perché nei suoi occhi ho visto lo
stesso senso di
bisogno del mio, di non essere abbandonato.
«Pronto
mamma?»
«Tesoro, potresti dirmi cosa c’è scritto
nella lista della spesa?
L’ho dimenticata a casa!» Sbuffa disperata, scoppio
a ridere e stacco il
post-it dal frigo.
«Melanzane, mele, limoni, pasta, sugo, tonno, bagnoschiuma,
crema per il corpo, assorbenti…» Rimango in
silenzio, mentre mia madre mi
chiama pensando che si fosse staccata la chiamata.
«Mamma, puoi richiamarmi tra due minuti?» Sussurro
in preda
al panico, senza nemmeno aspettare la sua risposta stacco la chiamata,
correndo
verso lo sgabuzzino per prendere la mia borsa, afferro
l’agenda dove appunto il
giorno del ciclo, siamo al 15 Settembre, prendo il mese di Agosto,
vuoto,
Luglio, vuoto, Giugno: 29 Giugno, ultima mestruazione. In automatico le
mie
gambe diventano della stessa consistenza del budino e mi siedo per
terra, giro
le pagine dell’agenda tra le mani, pensando che si,
c’è un errore, invece no,
le pagine sono vuote. Un peso all’altezza del mio stomaco mi
fa faticare a
respirare, e spero solo che sia tutta colpa dello stress. Trovo un
minimo di
lucidità per chiamare mia madre, prima che possa mandarmi
una volante della
polizia per assicurarsi che io sia ancora viva.
«Pronto Bella? Non permetterti mai più di chiudere
il tel…»
«Scusa mamma, c’era Jake alla porta!»
Improvviso
interrompendola.
«Ho già fatto la spesa, se manca qualcosa torno
domani. Ci
vediamo tra poco.» Sospiro, sorprendendomi dalle mie doti da
attrice, non mi
capita di mentire spesso. Afferro la testa con entrambe le mani,
imprecando in
aramaico contro me stessa! Come ho potuto dimenticare una cosa del
genere? È da
matti! Inizio a camminare per tutta la casa cercando una qualche
spiegazione ai
miei ritardi che non sia una gravidanza.
«Cosa?!» Urlano all’unisono le mie
amiche, costringendomi a
tapparmi le orecchie. Chiudo gli occhi, pensando che ci manca solo la
loro
reazione per farmi scoppiare a piangere seduta stante, cosa che,
stranamente
non è ancora successa. Ho passato la notte insonne, andando
in bagno ogni ora
per controllare se fossero arrivate, invece niente, ho pensato fosse lo
stress,
ma sono quasi tre mesi, e ad oggi mi chiedo come ho fatto a dimenticare
una cosa
del genere, il che è strano perché sono sempre
stata puntualissima e meticolosa
per questo genere di cose…forse il diploma,
l’università, l’estate calda e
noiosa, ho pensato potessero essere tutte queste cose, ma è
impossibile, per
una volta ho sperato di essere una donna sterile, pensiero che
può sembrare
orribile per molta gente. Una lacrima sfugge al mio occhio pensando
all’ultima
volta che ho fatto sesso con Jake, non che ci sia sempre
l’occasione, e quando
c’è cerco sempre di divincolarmi. Non so cosa ci
si trova di bello nel sesso,
fatto sta che io non provo niente, se non il suo membro che scivola
dentro di
me con forza e basta, niente piacere, al massimo dolore. Non capisco
come
faccia la gente ad esserne dipendente.
«Bella devi fare qualcosa!» Urla Melanie
scuotendomi dalle
spalle. La guardo negli occhi e annuisco, si, devo fare qualcosa, non
posso
starmene con le mani in mano ad aspettare il ciclo che a quanto pare
non
arriverà mai. In un attimo mi ritrovo gli occhi di mia madre
delusi che mi guardano,
ho paura di deluderla, e in casi come questi la mente, il subconscio ci
fa
questo genere di scherzi.
«Facciamo così! Tu rimani qui a casa, noi andremo
in centro
a prendere un test di gravidanza. » Mormora Hayley cercando
di confortarmi,
annuisco asciugandomi le lacrime e le ringrazio. Non appena la porta si
chiude
guardo l’orologio, sono le quattro, massimo
mezz’ora e dovrebbero essere di
ritorno. Mi giro i pollici guardandoli, sperando che questo fermi i
miei pensieri
e, ovviamente non ci riesco. E se fossi davvero incinta? Come farei con
lo
studio? Come farei a portare avanti una gravidanza? Mia madre come la
prenderebbe? E Jacob? Dio che confusione. Spero di non essere gravida,
perché
non è il momento giusto, perché sono senza un
lavoro. E se lo sono, non c’è una
soluzione, perché uccidere un bambino per il semplice motivo
di non essere
pronta non va bene, perché la vita è sacra e non
posso ucciderla, perché lui,
se è davvero qui dentro, non ha alcuna colpa, non deve
essere lui quello che
deve pagare. Mi porto le ginocchia al petto e inizio a singhiozzare,
maledicendomi per tutte le volte che Jacob dimenticava il preservativo
dicendomi: “Fidati di me”. So benissimo quanto
immaturo lui sia, non avrei
dovuto lasciarglielo fare. Il campanello suona facendomi sobbalzare,
apro la
porta senza chiedere nemmeno chi è e le mie amiche spuntano
dall’ascensore.
«Dai in bagno!» Urla Hayley cercando di
sdrammatizzare, dopo
avermi vista nello stato pietoso in cui mi ritrovo. Leggo le
istruzioni, okay,
posso farcela. Due linee incinta, una no. Sospiro, prendo un
bicchierino di
quelli sterilizzati e faccio la pipì, immergo il bastoncino
e lo metto sopra il
piano della lavatrice, leggo ancora una volta le istruzioni, solo tre
minuti.
Guardo le mie amiche, che hanno smesso di respirare e cerco di non
pensare alla
tensione palpabile che c’è qui dentro. Guardo
l’orologio, manca un minuto, alzo
gli occhi al cielo, unisco le mani a mo’ di preghiera pur
sapendo quanto sia
inutile pregare in questo momento.
«È ora.» Sussurra flebilmente Melanie,
annuisco cacciando
fuori tutta l’aria che i miei polmoni possiedono e afferro il
bastoncino, in
questi casi si potrebbe credere che lo avrebbero fatto loro, ma
guardando le
loro facce quasi mi viene dal ridere, hanno più paura di me.
Guardo il test che
segna due linee nitide, ben definite, che brillano al contatto con la
luce
artificiale, come se quest’aggeggio volesse darmi un
messaggio ben chiaro: sei
incinta, i-n-c-i-n-t-a vuoi capirlo? Mi lascio cadere per terra con il
test tra
le mani e annuisco alle mie amiche, provocando un pianto isterico ad
Hayley,
sotto lo sguardo omicida di Melanie. Guardo le piastrelle color salmone
del
bagno di casa mia cercando di concentrarmi su quelle, pian piano che
passa il
tempo il mio respiro si regolarizza e Hayley smette di piangere,
Melanie si
avvicina e me e si siede per terra.
«Calmati tesoro. C’è sempre una
soluzione.» Sussurra con
tono amorevole. Scuoto la testa, facendole capire che no, per me, per
questa situazione
non ci sono alternative, non sempre c’è una
soluzione a tutto.
«Ehi.» Mormora Hayley imitando Melanie, prende il
mio viso
tra le mani e mi costringe a guardarla negli occhi. «Noi
siamo qui, qualsiasi
cosa accada.» Sussurra prima di abbracciarmi forte.
«Miss Swan?» Chiede una donna con un camice bianco,
minuta e
bassa. Mi alzo, facendole capire che sono io e mi fa segno di seguirla,
nemmeno
per un secondo lascio le mani delle mie due amiche.
«Da sola.» Mi dice la dottoressa fulminandomi con
lo
sguardo, provocando uno strano tremore alle gambe.
«Non possiamo lasciarla da sola!» Urla Melanie con
tono per
niente amichevole, Hayley annuisce lanciando sguardi torvi alla
dottoressa,
prego mentalmente che quest’ultima non se la prenda con me.
La dottoressa mi
guarda e con un sospiro sonoro, degno di un cavallo, annuisce. Mi fa
delle
domande di rito: ultima gravidanza, ultimo rapporto sessuale, problemi
patologici,
dipendenza dalla nicotina e via dicendo…
«Si stenda qui. » Mormora sorridendomi, dopo aver
sicuramente notato il mio tremore. Mi stendo sul lettino e lentamente
la
dottoressa mi sfila le mutandine, e, se anche è una donna le
mie guance
rischiano di prendere a fuoco. Mi guardo attorno, mentre la dottoressa
si
munisce dei guanti, e sono davvero spaventata questa volta,
c’è un aggeggio un
po’ strano, sembra un vibratore, ed è grosso.
Guardo le mie amiche con gli
occhi sgranati, ma la loro espressione, posso giurarci è
identica alla mia. La
dottoressa spalma il gel sopra la punta di quella specie di vibratore e
mi
guarda.
«Non farà male.» Mormora un attimo prima
di avvicinarlo alla
mia intimità, chiudo gli occhi e funziona non penso a nulla,
sento quel coso
con il gel che entra dentro di me, ma non è poi doloroso,
solo un pochino
fastidioso.
«Si. C’è un bimbo qui dentro.»
Apro gli occhi
immediatamente, mentre il dito della dottoressa indica lo schermo, e
per la
prima volta lo vedo, e c’è davvero. Scoppio a
ridere mentre alcune lacrime
scendono sulle mie guance, è una pallina bianca, fisso lo
schermo sperando che
si muova ma ovviamente non lo
fa. È la
pallina più bella che io abbia mai visto. Un senso di
commozione si insinua nel
mio cuore e non dico di essere felice, ma sono sollevata. La dottoressa
preme
qualcosa nella tastiera e un suono forte parte dalle casse di quella
specie di
computer. E quello lo riconosco subito, è il battito del suo
cuore. È forte,
veloce, si intuisce che è pieno di vita, esistenza che non intendo per nessun
motivo uccidere. Guardo
le mie amiche, entrambe con gli occhi lucidi che mi sorridono, Hayley
accarezza
la mia fronte e annuisce. Prendo l’appuntamento con la
dottoressa per il
prossimo mese e vado via, tra le mani stringo forte
l’ecografia.
«Noi siamo qui, in macchina con te. Per qualsiasi cosa urla,
fa qualcosa! » Dice Hayley, mentre spegne la macchina davanti
l’officina di
Jake. Annuisco più a me stessa che a loro ed esco dalla
macchina.
«Ciao Bells. Che fai qui?» Mi chiede Jake, uscendo
dall’officina,
sorpreso dati che qui non ci metto mai piede.
«Volevo parlarti.» Mormoro decisa, sono sicura che
se il
panico prende il sopravvento finirei per non dirgli nulla. Lui alza le
braccia
ed io rimango dove sono, meglio qui fuori. Annuisco a me stessa e
prendo un
respiro profondo.
«Sono incinta, Jacob.» Dico tutto di un fiato con
la voce
isterica. Lui sgrana gli occhi e come prevedevo rimane in silenzio. Mi
torturo
le dita con le mani, tenendo stretta la mia borsa, lui abbassa lo
sguardo senza
guardarmi e rimaniamo così per minuti interminabili.
«Com’è possibile?» Mi chiede
rabbioso, reazione che accende
l’istinto di prenderlo a pugni adesso, fino a farlo
sanguinare.
«È…ecco…» Inizio a
balbettare e lui mi interrompe
avvicinandosi bruscamente.
«Zitta, zitta, zitta!» Urla fuori di sé
avvicinandosi.
Rimango impietrita, iniziando silenziosamente a piangere, e se anche
è
sbagliato il senso di colpa mi invade. Lui inizia a camminare a destra
e a
sinistra tenendosi tra le mani la zucca vuota che si ritrova.
«Andiamo dai!» Urla di punto in bianco prendendomi
malamente
per il braccio. Mi divincolo dalla sua presa e riesco a guardarlo con
rabbia.
«Non toccarmi!» Sibilo furiosa.
«Dobbiamo andare in ospedale Bells, dobbiamo mettere fine a
questa cosa prima che cominci.» Mi dice disperato, lo guardo
con ribrezzo, non
credendo alle sue parole, lo spingo con tutta la forza che ho e sento i
passi
di Hayley e Melanie dietro di noi. Sono vicine ma rimangono in silenzio.
«Tu…vuoi tenerlo?» Mi chiede sorpreso.
Io annuisco e lo
guardo piangendo.
«Vattene Bella. Sei solo una ragazzina! Lo capisci quello a
cui stai andando incontro? NON SAREMO IN GRADO DI CRESCERE UN
FIGLIO!» Urla
facendomi spaventare. Mi avvicino a lui e lo guardo negli occhi.
«Forse tu no, Jacob Black, ma io si!» Urlo
piangendo prima
di correre via, corsa che dura poco, perché tutta la rabbia,
la tensione, lo
stress e la malinconia prendono il sopravvento facendomi perdere i
sensi.
Salve! Eccomi ancora! So che
chi mi conosce penserà: ma lei
non è quelle che due storie contemporaneamente no? Ebbene,
non riuscivo a non
pubblicare questa storia, la sento troppo parte di me per lasciarla
nascosta
ancora quindi spero vivamente di farcela, non ho nessun intenzione di
abbandonare Embrace Me With Your Mind :3 ps: avete tutto il diritto di
odiare
Jacob e.e
Ehm…non so
se vi piacerà, decidete. Un bacio
A presto
Roby <3