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Autore: JuliaSnape    14/07/2013    3 recensioni
Questa è la mia prima fanfiction(e spero non sia l'ultima) ;)
La storia parla di Julia Piton, una ragazza orfana di 15 anni chiamata così perché quando fu trovata aveva un biglietto con scritto nome e cognome, che scopre di essere una strega e poiché è senza famiglia Silente decide che Severus sarà il suo tutore, proprio perchè sua omonima, facendola credere sua nipote agli altri studenti. Julia entrerà a Hogwarts al quarto anno, lo stesso in cui Harry ha affrontato il torneo tre maghi, a complicare il tutto sarà sopratutto la stretta amicizia che legherà la ragazza a Rebecca Lestrange anche lei entrata nello stesso anno. Spero che vi divertirete a leggere la mia storia e che lasciate un commento per farmi sapere che ne pensate :)
Dal primo capitolo:
"Senti oltre i libri, gradiresti un animale da compagnia? – Julia la guardo perplessa,a scuola era possibile tenere degli animali?-le regole della nostra scuola non vietano di tenere animali, a patto che siano tra i seguenti: ovvero gufi,topi,gatti e rospi. (Mentre li elencava gli venne in mente quello che gli aveva detto Severus al riguardo “Non fargli prendere animali, i topi sono poco igienici, i gatti senza offesa Minerva non mi sono troppo simpatici, senza togliere che lasciano il pelo ovunque, per i rospi non pensi che ci basta quello sprovveduto di Paciock,che si perde il suo in continuazione? Quanto hai gufi, a chi dovrebbe scrivere?” ma lei, contro il parere del collega, voleva offrire lo stesso la possibilità alla ragazza di possedere un animale) Pensaci dopo andremo a vederli se vuoi.”
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Il Libro delle Verità

A tutti voi lettori,
che fate si che questo Sogno, iniziato ormai più di tre anni fa,
continui a realizzarsi capitolo per capitolo...
Grazie!
Ma una dedica speciale a Julia e Piton, giusto perché è anche merito loro <3
(Rebecca subentrò dopo, ma saluto anche lei, altrimenti mi crucia ! )

 


I corridoi della scuola erano deserti. Studenti e alunni riposavano nelle loro stanze e perfino i fantasmi erano adagiati tutti insieme in un angolo della sala del banchetto, dialogando delle ultime notizie aspettando l’alba.

Le prime luci del mattino, sul blu, attraversavano i vetri e irradiavano le varie sale donando un tocco irreale alla scuola, che sembrava respirare in simbiosi nella tranquillità di quel momento. C’era un fresco piacevole, non troppo freddo, tipico dell’inizio mattinata di quel periodo del anno.

La giornata era tutta in divenire e ogni cosa sembrava inneggiare al sonno e alla tranquillità, ispirare al riposo e ai sogni, che in quella calma potevano nascere e svilupparsi copiosi.

Eppure, la ragazza che tanto aveva a che fare con essi e che di sogni viveva, in quel momento era l’unico elemento discordante, il tasto rotto, premuto ripetutamente in quella sinfonia di dolce pianoforte muto.

I piccoli, ma veloci, passi di Julia infatti, riecheggiavano tra le parenti nonostante le premure di Rebecca di aver trasfigurato dei piccoli feltrini da porre sotto le sue scarpe per evitare uno scricchiolio ripetuto. Il tutto, sebbene il rumore era l’ultimo delle cause per la quale avrebbero potuto scoprirla, ma aveva evitato di fare commenti in merito all’amica.

Avevano studiato il piano insieme, facendo sempre più tardi per rifinire i dettagli, si erano prodigate in una ricerca a tutto campo nella biblioteca per capire a cosa potevano andare in contro.

Julia aveva perfino costretto Rebecca (quella più dotata in matematica, sebbene non ci volesse tanto) a fare un calcolo delle probabilità di riuscita, che poi, anche se erano ben al di sotto delle minime, avevano del tutto ignorato. Le istruzioni erano chiare, si trattava solo di attuarle senza pensarci troppo. Anche perché il rischio più grande, ma implicito nei loro discorsi, era 'lui' , per questo Julia eseguiva senza fermarsi a riflettere su ciò che stava facendo, c’era già stato tempo per quello.

Tre cose contano davvero: se una cosa la si vuole fare, se la si può fare e se si deve fare, se tutte le risposte puntano sul sì, probabilmente è la cosa giusta. Questo si era detta più volte e riconosceva, che sebbene ci fossero tanti rischi e possibilità di fallimento, era quello che voleva fare davvero.

Il non conoscere le sue origini o i motivi del rifiuto di volerla, da parte dei suoi genitori, erano pensieri con i quali poteva convivere, come aveva sempre fatto del resto, ma che a volte diventano opprimenti e stressanti. Avere la possibilità di sapere la verità completa, una volta per tutte, era un premio troppo ambito per rinunciarvici.

Il suo obiettivo attuale era conquistare l’affetto del suo tutore, ma scoprire i ‘perché’ dietro la sua nascita, o meglio abbandono, erano altresì conquiste importanti. Per questo forse metteva a rischio quello che da sempre aveva sognato e da poco ottenuto, una famiglia (o una specie), per un dubbio che la lacerava sin dall’infanzia.

Svoltò per il corridoio di destra e dopo aver contato nove passi, si bloccò: secondo la cartina che avevano studiato doveva essere arrivata. Voltatasi sul lato sinistro iniziò a tastare la parete, dove sfiorò un velo sottilissimo che era colorato come il muro per mimetizzarsi con esso. Estrasse la bacchetta e pronunciò lentamente le parole che aveva imparato per poi scostarlo e passarvici sotto. Un corridoio più stretto, ma alto le stava dinnanzi.

Iniziò a camminare sempre più lentamente, sia per prestare attenzioni ad eventuali rumori, sia per osservare meglio le porte che occupavano, in fila, le pareti. Erano porte particolari dipinte con colori pastello o vivaci, a seconda del muro, con ognuna le proprie particolarità. Una delle prime, ad esempio, era color arancio e aveva dei piccoli rampicanti che spuntavano fuori, in alto, da essa.

Arrivata a metà notò che da quel punto in poi, i muri erano più stretti e vicini tra loro. Nei suoi incubi peggiori, quando non era tormentata da altre paure a lei più vicine (come quella di essere lasciata indietro), rimaneva incastrata da qualche parte. Era alta e sebbene un po’ robusta, non particolarmente da avere difficoltà a passarvici, però aveva una seria paura di poter rimanere incastrata lì in mezzo.

Preso un sospiro, continuò il suo percorso. Una porta lavanda scuro, con sopra il disegno di una sfera di cristallo le occupava la destra, mentre a sinistra ce n’era una verde smeraldo con la maniglia a forma di gatto. Scorse più avanti una grande porta blu, con sopra l’effige di una fenice, che classificò mentalmente come una specie di grosso piccione, ma non ebbe modo di vederla da vicino, perché nel mentre si ritrovò davanti a quella che cercava.

Una porta nera senza nessuna decorazione, se non una fiala appena visibile intagliata sullo stipite, le incombeva davanti. Sentì un nodo cingerle lo stomaco e il rumore del suo stesso respiro. Chiudendo per un attimo gli occhi infilò la mano in tasca dove prese la polvere che gli aveva dato Rebecca, per poi riaprirli quando la sparse sulla maniglia che provò a girare.

Non successe nulla.

Julia rimase immobile, facendo ricorso al suo autocontrollo per non scoppiare a piangere. Era abbastanza emotiva, ma aveva rifiutato di provare o prestare attenzione ad ogni tipo di sentimento o emozione, per non parlare dei pensieri, fin quando non si sarebbe conclusa l’operazione. Il fatto però che questa stava finendo così presto e nel modo sbagliato stava per farla crollare.

Tremante provò nuovamente a smuovere la maniglia, ma senza risultato. Più fremente che decisa, la smosse ancora con maggiore forza e stavolta si aprì.

La stanza era immersa nel buio. Solo una fioca luce sul azzurro era filtrata da una piccola finestrella posta in cima al muro, rivelando che la camera era il doppio, se non il triplo del corridoio, zeppa di fogli e libri rinchiusi in quelli che sembravano grossi armadi.

La ragazza entrò, accostandosi la porta dietro le spalle e guardando come poteva che non stesse calpestando nulla. Dato il proprietario non si stupiva dell’ordine, che sebbene non si vedesse nitidamente, si percepiva insieme a un certo odore di muschio.

Ci mise un po’ a trovare l’oggetto della propria ricerca, ma infine lo vide: il libro era posto su un leggio, di lato rispetto a un qualcosa di molto grosso e scuro (la ragazza non poteva vederlo, ma si trattava di un appendiabiti dov’era attaccato un mantello ricamato su alcune scuciture).

Sapeva che era proprio quello e non un altro, dai piccoli riflessi dorati che venivano dalle pagine del tomo. Quando gli arrivò davanti si sforzò di ricordare i consigli dell’amica, ossia di prenderlo delicatamente e fuggire via il più presto possibile, ma mentre si accingeva a farlo, percepì un qualcosa dentro di esso. Mormorii indistinti e movimenti impercettibili, lo facevano vibrare lievemente, lì davanti a lei. C’era della vita, oltre che la verità, in quel libro.

Si guardò un attimo intorno, per poi aprirlo decisa. Un’ondata di luce le illuminò il volto, mentre parole si componevano sui fogli davanti a lei e con la stessa velocità si cancellavano. Impronte di mani si susseguivano nelle pagine, che si sfogliavano da sole, imprimendosi e lasciando il calco ogni volta di forma diversa. Le parole scorrevano rapide ed era impossibile leggerle tutte, quello che però appariva chiaro era il punto interrogativo alla fine di esse.

I fogli del libro le brillavano davanti, aveva l’inchiostro preposto nella tasca di sinistra, quindi intinse la mano finché non fu completamente impregnata di esso e la rialzò. Il libro aveva appena finito di sfogliarsi e aveva raggiunto una pagina bianca. Julia prese coraggio e vi posò sopra la mano, che improvvisamente si incollò a quella pergamena. Una sensazione di risucchio, che durò appena pochi attimi, la travolse lasciandola spossata.

Il volume aveva appena avuto accesso alle sue esperienze, pronto così ad elaborare la sua domanda. La mano che era quasi tornata pulita, tranne alcune macchioline di inchiostro ai lati, aveva ripreso mobilità ma la ragazza decise di non muoverla per sicurezza.

A fatica prese la piuma davanti a sé, posta lì accanto al volume, e fece per scrivere la sua domanda ma l’inchiostro ebbe appena il tempo di cadere in una goccia indistinta, quando improvvisamente un lampo illuminò la stanza.

Il rombo di un fulmine -il suono dell’allarme- che seguì immediato, squarciò il silenzio e la ragazza ebbe appena il tempo di correre fuori, con la mano ancora stretta nel libro, che invece portava con l’altra, prima che la porta della stanza si chiudesse ermeticamente.

Il corridoio sembrava anche più stretto di prima, ma non ebbe modo di indagare se era una sua impressione o meno, doveva scappare. Contava solo quello al momento. Dopo aver riattraversato il velo, si guardò intorno, provando a capire se il segnale si fosse propagato e quante persone avrebbe potuto incontrare per la via, ma tutto era vuoto e silente come quando era entrata.
Non tranquillizzata da questo, continuò a correre, udendo, all’altezza delle scale, dei passi in lontananza che sembravano stessero salendo veloci. Per non incrociare chiunque la stesse raggiungendo, salì a sua volta per poi percorrere un tratto del terzo piano e quindi riscendere una volta cambiato il passaggio. Tornare al dormitorio era escluso, nascondersi era la necessità, ma la lucidità di quei momenti è sottoposta a talmente tanta adrenalina (da confondere anche chi scrive e riporta) che alla fine si va a perdere.

Mentre scendeva, sempre correndo, si ricordo che Rebecca le aveva anche dato un mantello dell’invisibilità in caso di emergenza, tuttavia le tornò in mente perché proprio nel frangente, questo le si sciolse dalla caviglia dov’era annodato e le finì trai piedi, facendola inciampare.

Scivolò per lungo gli ultimi scalini che la separavano dal piano terra, atterrando sul pavimento freddo mentre il libro le si sfilò di mano superandola.

Non dandosi per vinta, strisciò sul pavimento ignorando i dolori appena subiti e allungò un braccio verso di esso per recuperarlo. Riuscì a posarvici appena la mano sopra quando un piede sopraggiunse in prossimità della sua falange, facendola arrestare di colpo.

Una scarpa nera e male allacciata, ebbe modo di notare prima di alzare lentamente lo sguardo su tutta la figura che la stava scrutando dall’alto al colmo dell’ira.

Severus Piton, senza mantello, ma nero dalla testa ai piedi, sia d’umore che di vestiario, la stava fissando con gli occhi ridotti a due fessure.

Julia sentì chiaramente il cuore battergli dentro il petto. E’ strano come ci si ricordi di avere un cuore o dei polmoni nei momenti più disperati.

Avrebbe giurato di avere in testa la scritta ‘Game over’ con l’opportuna musichetta, ma da per terra e in quel momento, le era fatica anche solo provare ad immaginare una cosa del genere.

Deglutì non sapendo cosa dire, ma l’uomo le risparmiò la fatica alzandola di peso in un sol colpo e iniziando a trascinarla, tirandola per il colletto del vestito, il libro stretto nell’altra mano.

Dal modo spedito in cui procedeva e teneva stretta la presa, la ragazza si fece un’idea di quanto fremesse di rabbia e iniziò ad avere seriamente paura.

La trascinò per il corridoio, scendendo le scale che conducevano ai sotterranei senza proferire parola. Mentre i dolori della caduta e quant’altro erano attutiti, così come i suoi sensi, l’unica cosa vivida nella ragazza era il senso di voltastomaco, ma solo il pensiero la fece rabbrividire, al punto che Piton si girò scoccandogli un’occhiata minacciosa che la fece gelare anche nei movimenti.

Arrivati davanti la porta della sua classe, l’uomo l’apri senza troppi complimenti e dopo avervi spinto dentro la ragazza si decise a mollare la sua morsa.

“Siedi.”

Julia si sedette al primo banco senza osare fiatare o dissentire, era in apnea per quanto era terrorizzata. Piton si avvicinò alla porta e dopo aver pronunciato due incantesimi contro di essa (il primo le ricordò un ‘Alohomora’ al contrario, mentre l’altro qualcosa a che fare con la muffa), si avvicinò al banco della ragazza concentrando il suo rilascio di energie sul pavimento e le occhiate torve.

“Esigo che mi dica subito cosa è andata a fare nel mio ripostiglio e come le sia venuta l’idea talmente idiota anche solo di provarci.”

La ragazza tremava e aveva la gola asciutta, fece per aprire la bocca ma la richiuse subito dopo incapace di pronunciare qualsiasi cosa.

“Ma soprattutto –continuò l’uomo- mi chiedo, dall’alto della sua stupidità Grifondoro, cosa diamine pensava di fare con questo!”

Posò il libro in modo deciso, ma delicato per non farlo rovinare, sul banco della ragazza che in risposta sobbalzò mentre le si inumidivano gli occhi.

“Sto ancora aspettando una sua risposta.” Aggiunse vedendo che quella non spiccicava parola “Signorina, non so com’è stata educata finora, ma questo qui si considera come furto. E oltre l’espulsione immediata, lei potrebbe finire ad Azkaban.”

Trasse un grande respiro per poi guardarla sprezzante, ricordando da dove venisse. “La prigione dei maghi, sorvegliata dai dissennatori, le creature più ripugnanti di questa terra, che dopo aver aspirato ogni speranza, danno dei baci che risucchiano l’anima e---“

Piton si stava impegnando per usare i suoi toni più minacciosi quando qualcuno bussò alla porta, interrompendo il suo climax.

Fece per andare ad aprire mentre la ragazza provò finalmente a rispondergli, a bassa voce.

“Mi dispiace, ma non volevo rubarlo…intendevo solo prenderlo in prestito, davvero.”

Severus la guardo serio scuotendo la testa, senza accennare a impietosirsi.

“Ogni azione ha la sua conseguenza, ne avevamo già discusso, ma dato che lei da così importanza a quello che io le dico…”

“Io do molta importanza a quello che dice.” Disse alzando finalmente il volto fissandolo negli occhi, sebbene i suoi fossero lucidi.

Severus capiva che non stava mentendo, ma si limitò unicamente a ricambiarle lo sguardo.

Aprendo la porta si trovò di fronte a Silente che sebbene serio, sembrava sorridere sotto i baffi, e alla McGranitt che invece aveva l’aria seriamente preoccupata.

“Buongiorno preside, professore McGranitt… desiderate?”

“Buongiorno a te Severus. Abbiamo sentito l’allarme, è tutto a posto?”

“Non abbiamo ancora diramato la notizia, ma Filius sta andando a controllare nei vari dormitori ma per Pomona potrebbe essere qualche studente ospite che si è divertito a…”

L’uomo si trattenne dal fare una smorfia, limitandosi a farsi da parte per fargli vedere la ragazza e il libro. Presa visione accostò la porta, restando sull’entrata con loro.

“Ha tentato di prendere Il libro, ma come ne sia venuta a conoscenza o il perché lo abbia fatto è ancora da scoprire e non sembra incline a parlarne.” Incrociò le braccia fissandoli serio.

“E hai provato a chiederglielo?”

Il modo che aveva Silente di trattare vicende serie e importanti con semplicità, come se fossero di poco conto, aveva il potere di far innervosire Severus più di quanto non fosse solitamente.

Fece appello a tutto il suo autocontrollo per non rispondergli in modo sarcastico e usarlo come capo espiatorio di quella assurda faccenda, che si stava svolgendo neanche alle cinque di mattina.

“Ovviamente, ma oltre al ribadire che era un prestito e non un furto non ha aggiunto nulla.”

“Ragazzo mio, non si corrono mai rischi inutili, dovresti saperlo bene soprattutto tu. E’ sempre la motivazione a spingere le persone. –lo fisso negli occhi con uno strano sguardo- E anche solo per progettare una cosa del genere o non si ha niente da perdere o la posta in gioco è più alta di tutto il resto.”

Severus ci rifletté, del resto quella ragazza di effettivo non aveva nulla, quindi…

“Nel suo caso, –continuò il preside interrompendo i suoi pensieri- ha solo te. Quindi deve aver provato a prendere il Libro per un motivo ben preciso, che non credo sia così inimmaginabile…per questo ti ho chiesto se le hai parlato. Ora però vorrei scambiarci due chiacchiere io se non ti dispiace.”

Severus non capiva se era solo stanco dell’intera questione e rifiutava meccanicamente di capire o era il preside ad essere sempre più criptico nel parlare. Che poi il fatto che la ragazzina ‘avesse solo lui’ era molto relativo…

Alzando le spalle gli rispose che non gli dispiaceva minimamente, quindi rimase con la McGranitt, che appena provò a instaurare un dialogo la interruppe ricordandole che era meglio avvertire i colleghi che non si trattava di un furto o quant’altro. Quella però non colse volontariamente l’allusione del professore di Pozioni ad andarsene e mandò un Patronus per avvertire chi di dovere, restando anche lei in attesa del preside.

Nel mentre Silente era entrato e con un sorriso aveva salutato la Grifondoro, che da parte sua aveva ricambiato seppur con la faccia alquanto stanca e nervosa.

“Mi hanno detto che hai fatto in modo di prendere Il Libro delle Verità, giusto?”

Prese una sedia sedendole davanti e rivolgendosi a lei in modo amichevole, non accusatorio.

“Sì…diciamo. Ma non volevo rubarlo, mi serviva solo per chiarire delle cose…” Continuava a figurarsi l’attimo in cui era stata ‘beccata’ da Piton e il modo in cui l’aveva guardata e rimproverata. Il senso di colpa la stava iniziando a mangiucchiare lo stomaco pezzetto per pezzetto.

“Ne sono sicuro di questo, però temo che non sia l’oggetto che tu credi. Ape frizzola?” Le porse una caramella prendendola dalla tasca del suo abito.

“In che senso?...Uh, grazie.” Si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri guardandolo in faccia per poi prendere il dolce sbigottita.

“Cosa sai tu di quel libro?”

“Che dice le verità insite in noi…che magari non ammettiamo neanche con noi stessi o che forse, non sappiamo di sapere, ma rimangono comunque ‘dentro’ di noi. E’ complicato, ma credo sia il modo migliore di spiegarlo.”

“Non sbagli, ma proprio come dici tu, è una verità nostra, che voluta o meno acquisiamo dalle nostre esperienze. Quindi oltre a non essere obiettiva, potrebbe non essere veritiera.”

“Sì, ma è proprio questo il punto. Il libro ha accumulate in sé anche le conoscenze di chi lo ha consultato prima, così da fornire diversi punti di vista.”

“Ma allora mi domando, se erano più punti di vista che cercavi, perché andare a rifugiarti in un libro magico e non chiedere a chi ti sta intorno?”

La ragazza distolse lo sguardo fissando il libro.

“Perché quello che volevo…voglio sapere, non me lo può dire nessuno al momento. Però, è scritto in me.”

Lo fisso negli occhi desiderando di non apparire infantile davanti a quell’uomo che, sebbene non conoscesse da tanto, stimava e rispettava.

“Credo di capire cosa intendi, ma purtroppo non è quel libro, nonostante il suo potere, ad avere le risposte che cerchi. Accumula sì le tante cose che abbiamo vissuto e provato, ma seleziona quelle utili e soprattutto che conosciamo. E tu, per quanto in te ci sia parte dei tuoi genitori, non sai quasi nulla di loro.”

Vedendo che la ragazza stava per correggerlo, si accinse ad aggiungere “ ‘Quasi’, perché comunque sei qui e sei frutto del loro amore.” Concluse con dolcezza guardandola.

Silente non la metteva a disagio e sentiva che poteva parlargli sinceramente, che l’avrebbe capita ed aiutata se fosse stato necessario. Ispirava fiducia e si tranquillizzò parlando con lui.

“Da una parte lo avevo sospettato, del libro intendo, ma volevo comunque provare… magari avrebbe funzionato. Inoltre poi –sospirò sorridendogli poi amareggiata- …avevo un’altra domanda da porgli.”

“Spesso cerchiamo in lungo e in largo le risposte ai quesiti che sono dentro di noi, è un po’ questa la filosofia del libro. Ma dovremmo impegnarci di più a inseguire la nostra vita e il suo corso, piuttosto che riempirci di quesiti che ci rallentano. Alcune cose non si possono capire né modificare, con altre ci si può dare da fare per cambiarle e viverle a pieno. Siamo circondati da occasioni, sta a noi coglierle e perseverarle. Quante possibilità trovate cambiando solo atteggiamento…è tutto nelle nostre mani, sai? Sta solo a noi capire cosa vogliamo davvero.”

Julia sorrise guardandolo.

“Ha ragione…” Riflette un attimo prima di trovare il coraggio di aggiungere seriamente: “Il professor Piton…ora mi odia vero?”

Silente scoppiò a ridere guardandola divertito.

“No che non ti odia…si è solo preoccupato e, come avrai notato, parecchio rigido sulle regole. Gli passerà non preoccuparti.” Si alzò dalla sedia sorridendo. “E’ stato un piacere chiacchierare con te, Julia. Ora però ti consiglio di uscire e, dopo esserti scusata, di tornare a coricarti. Tra qualche ora è colazione.”
La ragazza si alzò a sua volta sorridendo. “Signor preside…grazie, davvero.” Indugiò un attimo sulla porta pensierosa. “Non potrò proprio mai sfogliarlo quel libro?”

“Magari la prossima volta chiedi. E’ delicato e antico, bisogna maneggiarlo con cura e supervisionati. Inoltre, -aggiunse guardandola seriamente, ma sorridendo- credo che troverai tutte le risposte che cerchi anche senza.”

Julia salutò e ringrazio nuovamente per poi uscire fuori.

Silente si fermò a guardare l’aula accarezzandosi la barba, per poi concentrarsi sul libro. Sorrise al pensiero che la ragazza, nonostante il suo temperamento quieto, si fosse data tutto quel da fare per consultarlo.
Lo aprì e lo sfogliò un poco, rimanendo però serio guardando l’ultima pagina.

Quando uscì anticipò i due professori, che stavano per riempirlo di domande.

“La ragazza, come aveva detto lei stessa sin dall’inizio, non era malintenzionata. Detto questo, non credo ci sia altro da aggiungere, ma per qualsiasi chiarimento possiamo sempre riparlarne o potete chiedere a lei. Ora sono molto stanco. Minerva ti dispiacerebbe accompagnarmi un attimo nelle cucine? Da quanto so gli elfi preparano sempre un dolce sperimentale pre-colazione, vorrei provarlo almeno una volta.”

“Certo signor Preside…”

“E Severus –diede un’ulteriore occhiata a Piton che non sembrava voler lasciar finire la cosa in modo così semplice- mentre riporti questo al suo posto…ti consiglio di leggere l’ultima pagina.”

“…D’accordo.”

Dopo essersi congedati e avviati nelle rispettive direzioni, Piton iniziò a guardare nel libro. Per avergli detto così Silente ci doveva essere un motivo…quando però giunse all’ultima pagina rimase interdetto. Non sapendo come interpretare la cosa, o forse non volendo farlo, lo richiuse e si diresse più velocemente verso i suoi alloggi pensando che neanche quella notte aveva avuto un sonno decente.

Alcune ore dopo, quando gli studenti iniziarono a svegliarsi e Julia si ritrovò nel suo letto si chiese se quanto fosse accaduto quella mattina fosse reale o solo frutto dell’ennesimo sogno. Un’occhiata alla mano le bastò per chiarire ogni dubbio.








L'angolo di Julia

Tre mesi per modificare l'htlm...però ci sono riuscita! E soprattutto ho pubblicato il giorno esatto del compleanno di questa storia, grazie alla quale ho iniziato a scrivere ("Tutto è partito da un sogno..." come direbbe lo zio Walt Disney) e continuo tutt'ora. Compagni di viaggio si sono aggiunti, alternati o quant'altro nel corso di questi anni...e sento di dire grazie a ognuno di voi. Le storie hanno bisogno di sostenitori e vedere che a distanza di tempo o spazio, ci siete stati e\o rimasti è una cosa bellissima che vi scalda il cuore. Spero sempre che questa storia, oltre che regalarvi qualche emozione vi lasci sempre qualcosa 'in più', a cui pensare e conservare. Non per pura vanità, ma perché i messaggi implici o meno, sono importanti e se vengono dal cuore...ancora di più. Non so se sono stata chiara...ma del resto sono Julia! (umorismo scrauso a part--- *le arriva un libro di Pozioni in testa* ç_ç).

Grazie ancora, spero a presto! E comunque sì...questa è la prima parte (la seconda nel prossimo capitolo) fedele del sogno che avevo fatto...e da cui è nato tutto, sì, ve lo dico e lo ripeto perché è importante: I nostri sogni sono vivi e fanno parte di noi, quindi ricordiamoci di dargli spazio.

Un abbraccio per ognuno!

JuliaSnape

 

 
  
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