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Autore: JolietBlues    16/07/2013    1 recensioni
Joliet, una blueswoman in piena regola;
Tayra, la più in gamba batterista dell'Illinois;
Katherine, una studentessa modello;
Andrew, un chitarrista eccelso...
Cosa lega insieme questi quattro ragazzi? la Musica.
Riusciranno a vincere il prestigioso premio del Northernweast Theatre?
Lo scoprirete solo leggendo...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II
 
 
In Missione per Conto di Dio

 
Quella mattina di marzo Joliet si svegliò di pessimo umore, come sempre: come tutte le mattine, appena giù dal letto, si avvicinò allo specchio, ove si guardò deformando il suo viso con la mano destra. “Un’ennesima giornata da dimenticare!” pensò tra sé e sé. Con fare pigro si vestì, quasi senza badare a ciò che indossava: tuttavia era impossibile sbagliarsi. Joliet vestiva sempre allo stesso modo: il suo guardaroba contava ben diciotto completi neri, tutti rigorosamente identici, corredati di diciotto camicie bianche, tutte uguali, e di diciotto cappelli a cilindretto neri. Sua madre era disperata: le sembrava di vivere con Jake Blues! Sistemò con cura il candido colletto della camicia, indossò gli occhiali, e calcò sulla testa il suo inseparabile cappello; si osservò poi nello specchio con fare interrogativo, soffermandosi con acume sul suo girovita.
“Mmh, devo smetterla con le ciambelle glassate.” sentenziò sommessamente.
Mentre era immersa in quella profonda riflessione esistenziale, il suo sguardo cadde sull’orologio legato al suo polso sinistro: le otto!
“Dio, la scuola! Farò tardi!”
Afferrò in tutta fretta lo zaino ed uscì di casa: come di consueto, doveva percorrere a piedi il tragitto di quindici metri che la conduceva a scuola, il BBA College nella Starrwood Street, poiché i suoi genitori, due esosi imprenditori, uscivan di casa già alle quattro del mattino. Con passo lesto e deciso Joliet s’incamminò, portando di tanto in tanto le mani in tasca, mentre osservava la vita cittadina scorrere frenetica intorno a sé.
“Michael Jacksoooon!”
La voce nervosamente leziosa di un uomo a bordo di un malridotto motorino scosse Joliet, che si voltò di scatto: era il signor Chapman, a tutti noto come “il pazzo del quartiere”. Joliet lo odiava a morte: ogni volta che la vedeva passare si divertiva a canzonarla, soprannominandola “Michael Jackson” per via del suo cappello.
“Ancora tu?” s’infuriò Joliet, agitando un pugno a mezz’aria.
“Che me lo fai un autografo?” seguitò imperterrito il signor Chapman.
“Ti avverto: se non sparisci in questo preciso istante riduco te e il tuo motorino in cibo per cani, è chiaro?” proruppe lei.
Ma Chapman rise divertito della sua stizza e, continuando ad urlare a mo’ d’un forsennato il nome di Michael Jackson, fece per allontanarsi. Joliet, fuor di sé dall’ira, prese a rincorrerlo, imprecando furiosamente: tuttavia, il terribile affanno che l’attanagliava sin dalla nascita le sfumò l’intento.
“Joliet! Come mai così in ritardo? Cosa ti è successo?” esclamò Tayra, vedendola arrivare nel piazzale dinanzi alle college.
“Brutto bastardo! Se mai dovesse capitarmi per le mani…” si stizzì Joliet, ansante dalla corsa.
“Ma di che parli?” domandò stupita Tayra.
“Chapman, quell’idiota!”
“E’ ancora vivo?” sovvenne Katherine.
“Sì, per mia sfortuna è ancora vivo e vegeto… e posso assicurarvi ch’è anche più in forma di me!” strepitò Joliet, gesticolando animatamente.
“Scommetto che ti ha chiamato di nuovo “Michael Jackson”, non è vero?” intuì Tayra.
“Esatto, esatto! Ah, ma se lo prendo lo ammazzo! Te lo giuro sul mio onore!”
“A proposito di onore, hai avuto l’onore di studiare arte, ieri?” intervenne Katherine seriamente.
Joliet si guardò intorno per un istante:
“Perché, studiamo arte in questa scuola?”
“Dai, non scherzare Joliet!”
“Erhm… tu credi che aver ascoltato mezza discografia dei Beatles possa considerarsi studiare arte, Katherine?”
“Beh, non credo, sai!” sentenziò lei.
“Credimi, volevo studiare! Ma vedi, le cavallette…” finse di disperarsi Joliet.
“E’una scusa troppo vecchia, Joliet!” rise Katherine.
“Mr. Rawhide ha detto la scorsa settimana che avrebbe iniziato proprio oggi ad interrogare!” spiegò Tayra.
“Oh, maledizione! Cos’è che dovevamo studiare?” domandò Joliet con fare sempre più inquieto.
“Il Bizantino, il Gotico e…” fece per dire Katherine.
“Basta, basta, non lo voglio sapere! Oggi è una brutta giornata… una pessima giornata!”
Il suono della campanella d’entrata interruppe il discorso delle tre amiche, che si apprestarono ad entrare e raggiungere la loro classe, l’ultima, in fondo al corridoio. Mr. Rawhide era già lì, comodamente seduto in cattedra: dal suo viso magro e torvo era palese s’evincesse il sadico desiderio d’interrogare l’intera classe, senza pietà; o almeno così era parso a Joliet. Mr. Rawhide attese che arrivasse qualcun altro, dopodiché procedette con un rapido appello.
“Quest’oggi sarò buono: ho deciso di interrogare soltanto uno di voi!” annunciò subito dopo.
Joliet fu quasi rincuorata da quelle parole, nonostante sapesse bene che v’erano ancor tutte le probabilità d’esser lei la prescelta. Mr. Rawhide fece scorrere la sua stilografica suoi nomi dei suoi alunni per qualche secondo, rischiando d’aver sulla coscienza la morte per infarto di uno di quei ragazzi dinanzi a lui.
“Joliet Lacksome!” esordì d’un tratto.
Joliet, che in quella manciata di secondi precedenti aveva rinnegato il suo ateismo, si alzò in piedi e si diresse verso la cattedra, stringendo fra i denti almeno una decina di feroci imprecazioni.
“Bene, Lacksome, mi parli del quadro storico-sociale in cui si dipana l’arte gotica.” sentenziò freddamente Mr. Rawhide.
“Non conosco questo quadro, Mr. Rawhide… Non le andrebbe bene un quadro di Van Gogh?” rispose Joliet, scatenando le risa dei suoi compagni.
“Non faccia battute, Lacksome! Ha studiato o no?”
Mr. Rawhide parve alquanto stizzito.
“Professore, io volevo studiare… mi deve credere! È solo che, ecco, ho avuto dei problemi familiari e…”
“Oh sì, certo! E magari sono arrivate le cavallette, non è così Lacksome?”
“Ma come fa a saperlo, Mr. Rawhide?” esclamò Joliet, celando a dir poco perfettamente la natura ironica delle sue risposte.
“Basta così, Joliet Lacksome! Torni immediatamente al suo posto! Ma dove crede di essere, a teatro?” urlò Mr. Rawhide, livido di rabbia.
“Volevo sapere il mio voto…”
“Le ho messo un bel tre, non è contenta? Così farà il triplo della fatica per recuperarlo!”
Joliet tornò silenziosamente al suo posto, senza sembrar però troppo sconfortata dall’evento: difatti, non era difficile vederla impreparata nelle interrogazioni. Spesso si dimenticava di studiare, oppure preferiva imparare alla perfezione un brano piuttosto che un capitolo di storia o filosofia.
A mezzogiorno in punto, il suono dell’ultima campanella pose fine alle lezioni: tutti usciron frettolosamente, desiderosi di liberarsi da quelle odiose mura scolastiche; Joliet, Tayra e Katherine, invece, come sempre, si intrattennero nel corridoio.
“Che cesso di giornata!” strepitò Joliet con una smorfia di disgusto sul volto.
“Joliet! Modera i termini! Non sei mica uno scaricatore di porto!” la biasimò Katherine.
“Quante storie! Non sono certo una dama dell’Ottocento, lo sai, no?”
Tayra rise: Joliet era fatta così. Probabilmente, quando il buon Dio distribuiva la femminilità lei doveva essere un po’ distratta.
“Che giorno è oggi?” domandò Joliet, portandosi gli occhiali sulla punta del naso.
“Venerdì, perché?” chiese Tayra.
“Non il giorno, il numero!”
“Ah, ventuno.”
“Oh, bene! Oggi le custodi distribuiscono il giornalino scolastico: non vedo l’ora di scorgere il mio articolo in prima pagina!”
Joliet sognava ad occhi aperti: teneva moltissimo a quell’articolo sui Blues Brothers. Aveva impiegato un’intera nottata per scriverlo, ed ora era smaniosa di vederlo pubblicato. Infatti, proprio come da lei previsto, ecco dirigersi verso di loro la signora Cadillaç con un fascio di riviste nella mano sinistra.
“Ecco a voi, ragazze… il nuovo numero del mensile del college!”
Joliet afferrò con bramosia la copia che le porgeva Ms. Cadillaç. La sfogliò.
“Dov’è il mio articolo sui Blues Brothers?” esordì con fare nervoso.
“In realtà, signorina Lacksome, il suo articolo è stato scartato dalla redattrice: dovrebbe saperlo, Ms. Moocher detesta il blues!” disse la signora Cadillaç con voce seria.
“Ma le sembra normale una persona che odia il blues?”
“Beh, in verità sì…”
“La Moocher non capisce un cavolo! E neanche lei!”
Joliet gettò a terra la rivista e si allontanò per uscire dall’edificio.
“La scusi, è fatta così!” disse Tayra, rivolta alla basita Ms. Cadillaç.
Tayra e Katherine si affrettarono per raggiungere Joliet che, intanto, era già giunta nell’atrio del college.
“Dai Joliet, non dispiacerti!” la rincuorò Katherine.
La Moocher non capisce un cavolo! E neanche lei!: una frase degna di Jake Blues, Joliet!” ammiccò Tayra con un radioso sorriso stampato sulle labbra.
Joliet sospirò, trattenendo una risata:
“Andiamo!”
“Dove vai? Dobbiamo aspettare Andrew!” soggiunse Katherine.
Andrew frequentava il loro medesimo istituto: tuttavia, poiché seguiva ancora i corsi della seconda classe, il suo orario di uscita prevedeva dieci minuti di ritardo. Joliet annuì, incrociando le braccia sul petto; irritata dall’attesa accese poi una sigaretta e la portò alle labbra con fare sgraziato. Qualche minuto dopo Andrew apparve in fondo al cortile, dirigendosi verso di loro, tutto intento nella lettura del mensile scolastico. Joliet gettò a terra il mozzicone della sua sigaretta e lo calpestò furiosamente per tre volte.
“Ciao ragazze, come state?” esordì Andrew con fare ilare.
“Ti prego, cambia discorso, Andrew! Oggi Joliet è fuor di senno!” incalzò Tayra, scrutando con la coda degli occhi i nervosi movimenti dell’amica.
“Ho capito, ho capito… la Moocher si è rifiutata di pubblicare il suo articolo sul mensile del college.”
“E tu come fai a saperlo?” esclamò Joliet esterrefatta, togliendosi gli occhiali.
“L’intera scuola lo sa, Joliet! La Moocher non fa che parlare dei tuoi gusti musicali, ultimamente… dice che son talmente radicati da influenzare addirittura il tuo modo di vestire!” esplicò Andrew.
“Andiamo bene! Mi mancavano proprio le lezioni di moda!”
Joliet indossò nuovamente i suoi occhialetti rotondi e calcò stizzosamente il cappello sulla testa.
“Forza, muoviamoci che è tardi! La sala prove non sta certo ai nostri comodi!” aggiunse.
Katherine, Andrew e Tayra la seguirono in silenzio, quasi timorosi d’irritarla maggiormente. Lungo il tragitto, passaron dinanzi all’imponente “Music Hall Store”, il più fornito negozio di strumenti musicali dell’intero Illinois, il sogno proibito di qualsiasi musicista.
“Il Music Hall Store… dite un po’, non vi pare somigli molto al negozio di strumenti di Ray Charles nel film dei Blues Brothers?” esordì Joliet, accennando col capo in direzione delle scintillanti vetrine.
“Beh, non hai tutti i torti, Joliet… Guarda che meraviglia quella Ludwig!” esclamò Tayra, indicando una batteria color indaco.
“E che ne dici di quella Fender rossa lì giù?” disse Andrew.
“Ma avete visto che prezzi?” sovvenne Katherine “Non potremmo mai permetterci quegli strumenti!”
Joliet sospirò, riprendendo il cammino.
“Cosa c’è da provare, oggi?” le domandò Andrew.
“Le solite: dobbiamo revisionare l’inciso di “Everybody Needs Somebody” perché ancora non ci siamo; e poi dovremmo almeno abbozzare “Stand By Me”.” rispose lei, voltandosi appena indietro verso di lui.
“La conosci “Soul Man” dei Blues Brothers?” aggiunse Andrew.
“Cavolo se la conosco! È uno dei pezzi migliori di Belushi. Mi sento indegna a cantarla, sai? Ho paura di distruggerla!” rise Joliet.
“Ho scaricato da Internet le tablature per gli assoli… io direi di darci un’occhiata…”
“Eh, Andrew… Questo maledetto genere non ci porterà da nessuna parte! Andiamo, chi vuoi che ascolti più del buon vecchio rock ‘n roll, oppure del sano blues?”
Joliet era seria: non si trattava, quella, di una delle sue solite battute da commediante. V’era frustrazione, seppur velata, in quelle parole.
“Guardate qui, ragazzi!” strepitò Tayra con voce stentorea.
Joliet si voltò verso la bianca facciata della sala prove, sino a che il suo sguardo non si posò su di una locandina di colore vermiglio: “AUDIZIONI PER GIOVANI BAND ESORDIENTI”.
“Per l’anima di Jake Blues!” gridò.
“Potrebbe essere la nostra occasione!” esclamò Andrew.
“Ma io devo studiare!” si lamentò Katherine.
“Per favore, Katherine, non è adesso il momento per pensare a studiare!” la biasimò Joliet. “Tayra, dettami il numero da contattare per l’audizione!” aggiunse, afferrando il suo taccuino.
Tayra non perse tempo:
“389 8969669”
“Forza ragazzi,” arringò a quel punto Joliet “è giunto il nostro momento: siamo in missione per conto di Dio!”
  
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