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Autore: pluviophilia    16/07/2013    13 recensioni
[STORIA SOSPESA A TEMPO INDETERMINATO]
"Sei Giulietta, vero?" domandò.
"Juliet." ribattei seccata, non mi era mai piaciuto quel soprannome.
"Giulietta, in Shakespeare, finisce molto, molto male." continuò impertinente.
"Romeo anche peggio."
**
Improvvisamente sentii la presa sui miei fianchi stringersi ancora di più e un dolore acuto
perforarmi la colonna vertebrale, seguito da un bruciore dove era appoggiata la sua bocca.
Colpii il pavimento con un tonfo e non riuscii più a distinguere le figure intorno a me.

[Siete gentilmente pregate di non plagiare le mie idee; nuovo sovrannaturale.]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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The death of me, must be your mission.

 

 

-Juliet-


 

Un ragazzo, un normalissimo ragazzo.
Pelle ambrata, occhi scuri, qualche orecchino e ciuffo tirato su a forza di gel, il tipico animale da festa. Solo a guardarlo sprizzava vanità da tutti i pori, - alla faccia del non avere pregiudizi, per una volta - conoscevo i tipi come lui, e non mi andavano a genio.
Tuttavia, a differenza degli altri, sembrava avere qualcosa, qualcosa in più, qualcosa di diverso.
Era lo sguardo e le emozioni che trasmetteva? Il portamento perfetto e le spalle ampie? Le mani affusolate e chiuse a pugno, così fragili e così spaventose allo stesso tempo? Non potevo saperlo, ma mi attirava, mi affascinava, m’ispirava fiducia.
Io, che odiavo gli estranei, che confidavo i miei segreti rare volte, che avevo paura, temevo perfino i conoscenti, io, provavo attrazione per uno sconosciuto.
Ah, la sbornia post festa.
Eccola, che arrivava e mi prendeva, facendomi notare il primo bel ragazzo in sala.
Se il contatto dei miei occhi con i suoi durò qualche secondo, fu quasi di sfuggita, perché guardai immediatamente altrove, le sue scarpe, il divano su cui era seduto, la gente che ballava; il suo invece era fisso, insistente su di me, sembrava non volerlo distogliere. Controllai quindi a destra, a sinistra, non c’era nessuno.
Stava guardando, tra tutta la gente in sala, tra le ragazzine ubriache alla ricerca di una botta e via e le rifatte dell’ultimo anno di college, proprio me. Aspettai, certa che dietro al bancone ci fosse un suo amico, una sventola bionda con la sesta abbondante, ma nessuno comparve prendendomi di sorpresa.
Ero rimasta sola al bar, e dall’altra parte della sala lui mi stava osservando.
 
Così mi staccai dal bancone, appiglio sicuro, e alzai il mento, sistemandomi l’abito. Presi coraggio, su, Juliet, va e saluta da brava bambina.
M’incamminai verso la pista, barcollando leggermente ma abbastanza cosciente delle mie capacità fisiche e mentali fino a quando il varco, aperto qualche momento prima, che mi aveva permesso di scorgerlo, si chiuse, rovesciandomi in mezzo alla folla.
“No, ehi…” protestai a bassa voce scontrandomi con una decina di studenti. Riuscii a strisciare, abbassandomi in qualche maniera, fuori dal groviglio di persone, facendomi spazio con le mani. Arrivai quasi a bordo pista, laggiù dove solitamente era gremito di gente che beveva stesa sui divani fiammanti, ma non lo trovai. Trovare, che parola grossa, dopo tre - o quattro? - bicchieri di vodka avrei potuto confondere un cammello con un dromedario, o una lucertola con un coccodrillo.
Mi scontrai lateralmente con un ragazzo, canotta e braccia muscolose, che camminava in direzione opposta a me.  No, non era nemmeno lui, eppure ci assomigliava.
“E sta attenta quando cammini, cazzo.” sibilò freddamente prima di andarsene.
Se non fossi stata così presa avrei sicuramente risposto a tono, ma non potevo, non avevo tempo. Dopo aver osservato in lungo e in largo tutta la sala, mi abbandonai su una poltroncina fosforescente, esausta. Possibile che ogni santa volta che pensavo di poter interessare almeno minimamente a qualcuno mi sbagliavo? Eppure - viva la modestia - non ero brutta, né fuori, né dentro, né in mezzo. O almeno così credevo, perché evidentemente mi sbagliavo. Avevo vent’anni, non quaranta, e una sola lunga relazione alle spalle, non ero esattamente da buttare.
Invece tutte le volte la stessa storia, qualche occhiata, battute, un paio di scambi di numeri e basta, nulla, finiva tutto lì, e chi si è visto s’è visto, solo perché raramente io e Jade arrivavamo al sodo la prima sera. Non ero disperata: stavo bene da sola, e ci ero stata benissimo per tutti gli anni passati, ma mi faceva piacere l'idea condividere il mio tempo con qualcuno in vista di una relazione e un rapporto romantico serio. A me non era mai successo, non veramente.
Ma stavolta no, sarebbe andata diversamente: non che avessi grandi progetti per il primo tipo occhiato in discoteca, ma mai dire mai - e c'era qualcosa, nei suoi occhi, che mi aveva colpita e pietrificata nel secondo in cui li avevo incrociati.
Sentivo il bisogno di ritrovare quel ragazzo, che per pochi istanti mi aveva fatto sentire protetta, sicura, e allo stesso tempo incredibilmente esposta al rischio. Il problema era capire se il rischio fosse lui, o se invece rappresentasse la soluzione. Un brivido d'eccitazione risalì la mia colonna vertebrale.
 
E se fosse stato un amico di Niall? Dovevo scoprirlo.
Mi tirai su, facendo di nuovo forza con le braccia stanche, e scrutai la folla, cercando i suoi capelli biondi.
Lo trovai, in corrispondenza di un paio di chiome folte e scure, e provai a buttarmi nella mischia per raggiungerlo, con il solo risultato di cadere a terra dai trampoli che mi ritrovavo ai piedi.
‘Se la soluzione non viene da te, vai te dalla soluzione!’ le sagge parole di Jade mi rimbombarono nella mente come un colpo di tamburo.
Mi sfilai le scarpe, abbassando le cerniere dorate, e le strinsi al petto, spingendo con più forza le persone riuscendo a farle scostare e pregando che nessun tacco a spillo mi arrivasse dritto sul mignolino.
Qualche piccolo salto e raggiunsi Niall di spalle.
Gli afferrai il polso, decisa: le tipe che gli si erano appiccicate sembravano essersi dimenticate qualche metro di stoffa a casa, e non mi dispiaceva interromperle. Ero molto possessiva nei confronti di Niall, lo ammetto, ogni tanto sembravo una fidanzata gelosa, ma in verità volevo solo evitare che qualcuno lo ferisse, o che, detto finemente, finisse per andare a letto con delle battone aspettandosi qualcosa di più e svegliandosi da solo, com’era già successo e non volevo ricordare. Il biondo era una delle persone migliori che conoscessi, ma mentre io aspettavo un amore sincero respingendo qualsiasi offerta insufficientemente valida, lui cercava di trovarlo in ogni persona, abituato com'era a vedere il meglio in ognuno. Non avrei saputo dire quale delle due tecniche fosse la più efficace, perché continuavamo a fallire miserrabilmente entrambi.
Lo strattonai a qualche metro dalle sue graziose accompagnatrici, facendo sì che non tardasse a manifestare il suo disappunto, ma era decisamente più importante che parlasse con me.
“Niall, tu la conosci tutta la gente qui?” che domanda stupida, ovvio che no.
“Insomma Juls, quasi tutti, ma c’è qualche infiltrato che vuole bere gratis, qualche sorella del fratello dell’amica e via dicendo, quindi no.” sbuffò.
“Per caso hai invitato un tipo, dalla pelle... ambrata, più o meno, occhi scuri, ciuffo, orecchini, della nostra età credo, ma non frequenta la nostra università, indossa dei jeans e una camicia nera…” gesticolai cercando di esser compresa.
“Ora che mi ci fai pensare devo averlo visto prima, quando sono uscito a salutare degli amici, stava fumando come un turco. - rise. Che simpatico. - Ti serve per una sfumazzata in compagnia?” mi prese in giro.
Scossi la testa esasperata, mentre il DJ dava inizio a un nuovo brano.
Niall odiava che fumassi, fumo o quel che fosse, anche se qualche volta lo tiravo nel mio “giro oscuro e poco raccomandabile”, e quando andavo a fumare, cosa che amavo fare da sola, in tranquillità, mi seguiva sempre per rompermi i coglioni. Arrivava da dietro e urlava cose come “Non è una magnifica giornata?!” o “Qui si sfumazza, eh?! Oldman?! Ma lo sa che è vietato, è a scuola!” e mi faceva prendere una serie di simpaticissimi infarti.
Una volta gli avevo tirato una sberla bella e forte, quando aveva fatto cadere una lavorazione complicata nell’erba bagnata dopo aver urlato che c’era il terremoto e la terra si stava squarciando.
“Grazie Niall, tranquillo, ti terrò da parte un po’ d’erba.” gli arruffai i capelli dirigendomi all’uscita.
Constatai che in sala non c'era, quindi sperai con tutta me stessa che fosse uscito a prendere un’altra boccata d’aria, o fumo che fosse.
Dentro, la discoteca era ancora piena, accaldata, e l’aria pungente di settembre mi puniva per non aver indossato la giacca e tenere ancora le scarpe in mano.
Riconobbi qualche membro della squadra di football del college, che anche alle feste teneva quell’insopportabile giacchetta con il nome, due gemelle un po’ strambe del corso di Legge e un ragazzo che mi aveva fatto copiare un compito l’anno prima, che poi mica era andato tanto bene, e che tuttavia pensava gli dovessi un favore. Quando si spostò, scostandosi dal muro, notai appoggiato alla parete di mattoni il ragazzo di prima.
Avevo compiuto la mia missione.
Ora toccava alla parte due: “Hai da accendere?”
Feci finta di guardarmi intorno spaesata, estraendo una sigaretta e posandola con cura tra medio e indice, sperando che nessuno arrivasse offrendomi un accendino. Fortunatamente erano tutti abbastanza menefreghisti, così nessuno si fece avanti e mi avvicinai al moro, portando i capelli di lato, ravvivandoli.
“Scusa…- osservai le sue labbra aspirare dalla cartina - …non è che avresti da accendere?”
Con un gesto lento ed estremamente calmo sfilò la sua sigaretta dalle labbra ed espirò il fumo dai polmoni in una sola, grande boccata, girando la testa lateralmente per non rimettermelo in faccia.
Estrasse dalla tasca destra un accendino consumato, scostando il lembo della camicia per afferrarlo, e si spostò dal muro, ponendosi di fronte a me, per poi formare una piccola cappa con le mani e accendere la mia sigaretta, in modo che il vento non la spegnesse.
Poi, con estrema calma, posò l’accendino nella medesima tasca e tornò ad aspirare avido dalla sua.
Presi una boccata, sentendomi incredibilmente rilassata, come se tutto intorno a me, a partire dalle persone, a partire da lui, fossero scomparsi, e ci fossimo solo io e la nicotina. Cielo, quanto avrei voluto avere la forza di smettere.
Espirai, adagiandomi alla parete, non troppo vicina al ragazzo.
Se, in un attimo di follia, pensai che avrebbe provato ad avvicinarsi, o a fare qualche domanda, ma anche solo a girarsi verso di me e guardarmi come mi aveva osservato poco prima, mi sbagliai.
Rimase nella stessa identica posizione a osservare la strada, incurante di ciò che gli succedeva intorno.
Ebbi quindi occasione, mentre finiva la sigaretta, di osservarlo meglio.
Ora che mi ero tolta le scarpe mi sovrastava in altezza, ma non di tanto, dopotutto ero piuttosto alta, e mi piaceva tantissimo esserlo, perché avevo un’altra prospettiva delle cose - incredibile quanto dieci o venti centimetri potessero cambiare tutto.
Aveva delle scarpe da ginnastica, non di quelle che si usavano per correre, ma simili, con l’immancabile simbolo della Nike, e i jeans, stretti alle caviglie, si allargavano leggermente, ma non avevano la vita troppo bassa.
La camicia probabilmente era di lino, tinta di scuro, o comunque di un materiale molto – troppo – leggero, da stupirsi di come non stesse rabbrividendo per il freddo, anche perché i primi due bottoni erano lasciati aperti. Gli orecchini erano i classici puntini argentati che andavano tanto di moda qualche anno prima, ma che continuavano a fare un certo effetto, e l’avambraccio era coperto di tatuaggi di ogni tipo: scritte, oggetti, cose poco identificabili, grovigli indecifrabili.
Non aveva con sé nulla, se non l’accendino e le sigarette, quasi come se sapesse che non gli sarebbe servito nient’altro, e rabbrividii al pensiero che mi stesse aspettando.
Non proferì parola, ma aspettò che la gente intorno a noi se ne andasse, chi ritornò in sala e chi si rifugiò a casa dopo una bella sbronza - alla faccia di Niall che li aveva invitati, e quando non ci fu più anima viva si staccò dalla sua postazione, gettò la sigaretta a terra e si avvicinò alla strada, rimanendo sul bordo del marciapiede e osservando intorno.
Lo sentii dare due colpi di tosse, e decisi che forse era meglio rientrare, mi ero stancata della situazione e cominciavo ad avere freddo, quando questo si girò e mi venne incontro.
Si fermò a pochi passi da me, così provai a presentarmi.
“Juliet.” porsi la mano.
“Bel nome.” rispose stringendola.
No, aspetta, vi era una domanda implicita, avrebbe dovuto dirmi come si chiamava.
“E tu sei…?” chiesi vaga.
“Da ora e per poco ancora, il tuo incubo peggiore.” si avvicinò lentamente ma pericolosamente a me.
Doveva essere ubriaco fradicio per il delirio, ma non lo sembrava affatto, e il suo alito sapeva solamente di tabacco.
Appoggiò le mani ai mattoni rossi, poco distanti dai miei fianchi, e avvicinò la bocca all’incavo del mio collo.
“Non che ti dispiaccia molto, vedo…” sussurrò mordicchiandomi leggermente la pelle.
Avevo bevuto, trovato un bel ragazzo, mi ero divertita: no che non mi dispiaceva, anche se mi metteva un po’ soggezione, chi avrebbe rifiutato?
“Non so come ti chiami.” feci roteare leggermente la testa verso destra per distoglierlo da quello che stava facendo.
“Se avesse importanza, te lo direi.” sì che aveva importanza, ma non mi sentii in grado di ribattere.
Le sue mani robuste scivolarono dal muro ai miei fianchi, che strinse lievemente, mentre con i pollici cominciava a fare piccoli movimenti circolari, che mi facevano sorridere poiché non riuscivo a resistere al solletico.
La sua bocca si spostò dal mio collo alla mascella e per un attimo pensai che mi volesse baciare e che non mi sarei affatto sottratta, invece ritornò tranquillo alla mia spalla mentre trattenevo il fiato.
Dove voleva arrivare? Che lo dicesse subito, stavo perdendo la pazienza.

Improvvisamente sentii la presa sui miei fianchi stringersi ancora di più e un dolore acuto perforarmi la colonna vertebrale, seguito da un bruciore dove era appoggiata la sua bocca.
In un primo momento pensai ad un succhiotto, uno molto molto forte, ma poi realizzai che non era possibile.
Provai una fitta al collo, e subito realizzai che qualcosa aveva perforato la mia pelle, giungendo in profondità. Optai per una siringa, qualche stupefacente o tranquillizzante, ma capii che era qualcos’altro, perché sembrava che tanti piccoli aghi mi avessero bucata e trapassata senza pietà su tutta la lunghezza della schiena.
Stavo per svenire, non riuscivo più a reggermi in piedi e sarei caduta se non fosse stato per la presa salda del mio aggressore, che mi manteneva ritta appoggiata alla parete, finendo la sua tortura.
Cercai di spostarmi, con la poca forza che ancora sentivo di avere, ma fu del tutto inutile. Sentivo infine gli occhi socchiudersi, sicura che non avrei resistito ancora per molto, quando quello si staccò bruscamente da me e mi fece cadere sulle ginocchia.
“Cazzo, no.” era completamente sbiancato in volto, aveva le labbra lucide, come ricoperte di saliva, ma più accesa, di una sostanza che luccicava, e lo sguardo era perso nel vuoto. Indietreggiò ancora un po’ sussurrando parole incomprensibili – o forse udibili ma che, visto il mio stato, non riuscivo a comprendere, udendo solo suoni ovattati – e arrivato al bordo del marciapiede si mise a correre in direzione del quartiere periferico.
Non vidi altro prima di svenire, accasciandomi su un fianco e tastando il segno che mi aveva lasciato, riuscendo a sfiorare due piccoli, profondi buchi nell’incavo del mio collo. Lottai per tenere le palpebre aperte, per gridare, per chiamare Jade, la mia Jade, ma nessun suono usciva dalla mia gola.
Mi sentivo debole, mi sentivo triste, mi sentivo sola, mi sentivo inerme e spaesata. Mi sentivo stupida.
Colpii il pavimento con un tonfo e non riuscii più a distinguere le figure intorno a me.






















 

Oh My Josh.
-ho deciso che questo sarà il mio grido di battaglia nella fic, yeps-
Anyway, ringrazio tutte quante per le recensioni, varie seguite, preferite e ricordate.
Ah, e ci tengo a dire una cosa: probabilmente non è quello che pensate.
E' un nuovo genere di sovrannaturale, diciamo originale.

Joanne






Indossava ancora i vestiti della sera precedente, non aveva nulla con sé, e i suoi occhi non erano più scuri e caldi, ma dorati e inquietanti. “Perché. Non. Sei. Morta?” chiese mentre allentava la presa per permettere che il dolore si protraesse più a lungo. L’unica risposta che fui capace di proferire fu di scuotere la testa in preda dal panico, mentre sentivo che gli occhi stavano diventando lucidi e il respiro affannato. 

   
 
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