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Autore: snow nymph    16/07/2013    0 recensioni
Jade Williams non ha mai creduto nell'anima gemella, probabilmente perché non è mai riuscita a trovare neanche qualcosa di vagamente somigliante. Ma quando scoprirà che essa esiste, anche se solo nella sua testa, come riuscirà a far combaciare realtà e fantasia?
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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2.


Jade stava cominciando a sentire troppo caldo. Ogni volta che si risvegliava si chiedeva come faceva a non congelare con solo una veste leggera addosso in un posto come quello.
Erano seduti all'interno dell'igloo -come la ragazza continuava a chiamarlo nella sua testa- ma mantenevano una discreta distanza tra loro. Sasha stava giocando distrattamente con la coperta, che sembrava essere l'unico oggetto presente.
« Quanti anni hai? »
Sasha alzò lo sguardo su di lei. Dovette pensare un attimo, prima di rispondere. « Non ne sono sicuro. Penso di essere abbastanza giovane, eppure mi sembra di esistere da secoli. »
Sei una sciocca, si disse Jade. Davvero ti aspettavi una risposta normale?
« Tu? »
« Diciannove. Quasi venti. » rispose senza esitazione. Dopo un po', però, aggiunse: « Credo. »
Sasha ridacchiò piano. Jade pensò che aveva una bella risata, molto naturale e cristallina, deliziosa da sentire. Senza quasi pensarci, si arrotolò le maniche della vestaglia leggera fino al gomito, nel tentativo di rinfrescarle.
« Parlami di te. »
Jade si sistemò meglio e cominciò a sventolarsi distrattamente con la mano, per farsi un po' di aria. « Beh, vivo da sola, e lavoro in un bar. Lo faccio per mantenermi e magari accumulare un po' di soldi per poter andare all'università, quando sarà possibile. »
« Cosa vorresti studiare? »
« Mi piace l'arte, » disse. Stava sentendo davvero troppo caldo. Si alzò e pensò di uscire fuori, ma non riuscì a fare più di due passi che cadde improvvisamente a terra, tenendosi una mano sul petto.
Sasha si avvicinò velocemente.
« Sto... bruciando, » disse lei, senza fiato. Stremata, si accasciò su Sasha, che si era inginocchiato e ora le stava tenendo la testa sulle sue ginocchia, accarezzandole la fronte sudata.
Non voleva che la toccasse. Aveva caldo, troppo caldo. Era come se un fuoco la stesse divorando dall'interno. Era come se ci fosse stato fin dall'inizio, nascendo come una fiammella debole che ora era diventata un vulcano in eruzione.
La vista era annebbiata e i contorni erano rossi. Sentiva Sasha che cercava di confortarla, sussurrando parole dolci. Alzò debolmente una mano davanti agli occhi solo per scoprire che era macchiata di sangue. Tra il rosso del sangue e il fuoco che le ardeva dentro, Jade si arrese a chiudere gli occhi e arrendersi al dolore cremisi.


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Non riusciva ad aprire gli occhi, ma finalmente tutto era tornato del blu scuro che tanto le dava tranquillità. Il suo corpo era come addormentato, ma poteva sentire delle voci parlare a tratti attorno a lei, rincorrendosi, non sempre coerenti ma almeno reali.
« ...l'emorragia si è fermata. »
« Bene. Il peggio è passato. »
« Credo che adesso sia cosciente, Dottore. Aspettiamo che si svegli? »
Una pausa.
« No, dobbiamo operare per essere sicuri che non si apra di nuovo, ed è meglio non averla reattiva. La faccia dormire ancora un po'. »
Il suono di un liquido aspirato, poi rilasciato, e il nero si sostituì al blu.


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« Sei mai stata innamorata? » chiese Sasha, disegnando dei cerchi nell'aria.
Jade arricciò il labbro. « Non davvero. Perché? »
« Volevo chiederti cosa si provava. »
Jade lo fissò, interrogativa. Sasha riprese: « Non ho mai conosciuto questo sentimento. »
« Non sai cosa significa amare? »
« No. » Sasha poggiò la mano sul ginocchio e continuò a disegnare ghirigori immaginari lì, sulla stoffa dei calzoni. « So cosa sono la rabbia, e la frustrazione, e la tristezza, perché le provo sempre ogni volta che penso alla... insomma, sai, alla mia esistenza. Ma non l'amore. »
Jade stette in silenzio. « Ogni persona può dare una diversa definizione di amore, » rispose, dopo averci pensato. « Per me, ne esistono tanti tipi diversi, ma per essere vero bisogna che sia per sempre. Un sentimento che sbiadisce nel tempo evidentemente non era forte abbastanza. »
Sasha annuì. « Capisco. »



Alla fine, Jade credette di capire cosa stava succedendo.
Era di nuovo nell'igloo, ma stavolta uscendo si era ritrovata in un luogo arido e desolato, non particolarmente suggestivo, certo, ma almeno era un cambiamento.
Trovò Sasha al riparo sotto un albero. Quando le si avvicinò, lui le sorrise caldamente.
« Come ti senti? »
« Molto meglio » rispose Jade, ringraziandolo. Stavolta si sedette accanto a lui, le loro schiene che quasi si toccavano, entrambe appoggiate al tronco dalla corteccia spessa.
« Sai, credo di essere in ospedale. »
Sasha annuì. « Sì, è plausibile. Vieni qui ogni volta che ti sedano? »
« O ogni volta che mi addormento » specificò lei. « In pratica, penso che tutto questo sia soltanto un grande, elaborato sogno. »
Sasha non rispose. Jade lo guardò con la coda dell'occhio, per notare che lo sguardo del giovane era perso nel vuoto, lontano da quei campi aridi. Lei lo seguì fino a non riuscire a mettere a fuoco praticamente nulla.
« Perché questo posto cambia sempre? »
« Probabilmente dipende da te. Dopotutto, questa è la tua testa. »
« Anche tu sei solo nella mia testa? »
« Non lo so, » rispose, incerto, sempre guardando chissà che cosa, « forse. Anche se ricordo di essere esistito anche prima di incontrarti. »
« Però è la prima volta che ci vediamo. »
Sasha si voltò verso di lei. I loro volti erano vicini, tanto che Jade poteva vedere ogni singola minuscola lentiggine sul suo volto chiaro e osservare le strane ombre che i corti riccioli neri, cadendo ribelli, creavano sulla fronte.
« So che non dovrei dirlo, ma sono contento che tu sia qui. »
Jade ricambiò lo sguardo. Sasha arrossì adorabilmente e si affrettò a correggersi.
« Insomma, ovviamente non sono contento che tu sia in ospedale, » balbettò, « ma starai bene, sicuramente. E io ho avuto la possibilità di conoscerti. »
Jade dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non mettersi a sorridere come un'ebete a quel commento, ma non riuscì a nascondere il fatto che le aveva fatto piacere. Eppure rimaneva qualcosa di triste nell'aria, qualcosa che la rendeva pesante e che opprimeva i suoi polmoni.
« Non hai mai... insomma, sono la prima persona che incontri? »
Sasha rimase immobile per un istante, per poi annuire una sola volta. « O almeno, la prima di cui serbo il ricordo. »
C'era così tanto rimpianto nella sua voce che Jade non poté fare a meno di volere stargli più vicino; appoggiò quindi la testa alla sua spalla, per mostrargli conforto, e un momento dopo sentì la guancia di lui poggiarsi sui suoi capelli.
Qualcosa le bagnò la nuca e, sapendo che lui non lo faceva, Jade smise di trattenere le lacrime.



« Puoi farmi delle domande, se vuoi. Cercherò di risponderti, per quanto possibile. »
Jade guardò Sasha, pensandoci bene. Poi sorrise.
« Come fai ad avere un fisico così se non puoi andare in palestra? »
Sasha la guardò a bocca aperta, per poi darle un colpo scherzoso alla spalla.
« Tu come fai ad averlo così pur potendo andare in palestra? »
Jade lo guardò scioccata, per poi alzarsi di scatto e allontanarsi, offesa. Sentì Sasha chiamarla e ridere, per poi essere bloccata da due braccia e due mani che cercavano di farle il solletico.
Jade pensò che, dopotutto, se proprio doveva avere delle allucinazioni, quello non era certo il modo peggiore di viverle.





« Tre rimbalzi! » esclamò Sasha, guardando con orgoglio la pietra piatta affondare nell'acqua. « Sono un fenomeno. »
« Fammi provare, » disse Jade, alzandosi e raggiungendolo. Sasha le porse una pietra.
Quella volta il laghetto era ricomparso e la neve si era sciolta, lasciando però l'acqua fredda, e i primi accenni di verde facevano solamente capolino, timidamente, aspettando il momento perfetto per mostrarsi in tutto il loro rigoglio.
Jade si mise in posizione, allontanò il bracciò dal busto, girando quest'ultimo a tre quarti e lanciò la pietra, che cadde al primo colpo affondando con un sordo plop.
Sasha rise mentre Jade, seccata, si chinò a prendere un'altra pietra, decisa a riprovare. Stavolta si sbilanciò e mise poca forza nel lancio, col risultato di non farla arrivare nemmeno a un metro di distanza e facendola cadere pateticamente sul fondo, creando una gran quantità di schizzi disordinati.
Jade rimase lì, a fissarla, depressa. « Non è divertente. » disse a Sasha,
« Oh, sì che lo è, » rispose lui, tenendosi la pancia, « soprattutto la tua espressione. Impagabile. Sembra dire “pietra, perché non vuoi rimbalzare? Perché ce l'hanno tutti con me?” »
« Perché tu ce la fai? » si lamentò Jade.
« Il fatto è che sbagli la tecnica. Guarda, ti faccio vedere. » Dopodiché si posizionò dietro di lei e le mise una pietra in mano, per poi tenerle il polso.
« Piega le ginocchia, » le sussurrò nell'orecchio, piano, « e non girare troppo il busto. Così. Non mettere troppa forza, ma anzi accompagnala. Tieni la mano parallela al terreno. »
Il suo corpo era caldo contro quello di lei, e il suo fiato fresco contro il suo collo. Jade si era già dimenticata il primo suggerimento.
« Vai, » sussurrò lui.
Jade lanciò la pietra e la guardò rimbalzare due volte prima di affondare delicatamente. Si girò raggiante.
« Brava! » disse Sasha, abbracciandola e sollevandola da terra, cominciando a girare in tondo. Jade emise un piccolo urlo di sorpresa, che ben presto si trasformò in una risata.
Vorrei poter stare qui per sempre.




Jade sbatté ripetutamente le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura che gli stava davanti.
« Ciao, Jade. Come ti senti? »
Lei aggrottò le sopracciglia e cercò di parlare; aveva la bocca impastata e la gola secca.
« Sono stata meglio. »
La donna china su di lei sorrise e si risollevò. « Io mi chiamo Agatha e sono la tua infermiera. Ci siamo già conosciute, ma non penso tu ti ricorda. »
No, infatti.
« Non riesco a... tenere... gli occhi aperti » disse Jade, cercando faticosamente di trovare le parole.
« E' per via di tutti gli antidolorifici e della morfina a cui sei costantemente sottoposta, » spiegò gentilmente Agatha. « E' necessario, perché hai avuto un bel po' di problemi. Siamo contenti che tu ti sia finalmente svegliata. Hai dormito davvero tanto. »
Jade aggrottò le sopracciglia, confusa. « Non capisco. »
« Eravamo tutti molto preoccupati. Non ha dato segni di miglioramento per così tanto tempo che...» Jade scosse la testa, cercando di far capire all'infermiera che non doveva parlare così in fretta se voleva che lei capisse qualcosa. Agatha sorrise e le mise una mano sulla fronte, controllando la temperatura.
« Non avere fretta. Riposa ancora un po'. Hai avuto tutto il tempo un'espressione così serena che sembrava stessi facendo dei bellissimi sogni. »
Questo Jade lo capì. Aveva ragione, pensò sorridendo. Il sogno che stava vivendo era bellissimo, e non vedeva l'ora di tornarci.




« Devi sentirti davvero bene per aver creato un posto così » disse Sasha, raggiungendola. Portava i calzoni chiari arrotolati fino al ginocchio in modo che non si bagnassero, e avanzava lentamente nell'acqua limpida, facendo scappare i minuscoli pesciolini in tutte le direzioni, spaventati dall'improvvisa intrusione.
« In realtà non mi sento diversa, » rispose Jace, girandosi per guardarlo. Si era fermata appena prima di arrivare al punto in cui l'acqua sarebbe stata cosi alta da bagnare l'orlo del vestito. « Ma immagino che lo sia il mio corpo. »
Sasha sorrise, i suoi occhi più chiari che mai sotto il sole. « Sono contento che tu stia guarendo. »
« Ma questo significa che dovrò andare via. »
« Ma tu devi andare » disse Sasha, quietamente. « E' quello il tuo posto. »
« Ma non appartengo a quel mondo. Pensaci. Io mi sono sempre sentita estranea, fuori luogo; non ho una famiglia, non ho un obiettivo, non ho neanche un lavoro decente e l'unica amica che posso vantare di avere vive la sua vita e non può sempre preoccuparsi della mia. Non mancherei al mondo, se me ne andassi. »
Gli occhi seri di Sasha si piantarono nei suoi e Jade si sentì immediatamente immobilizzata, nonostante lui non l'avesse sfiorata. « E dove andresti? »
Jade esitò. Si stava pentendo di essersi lasciata sfuggire quelle cose; si rendeva conto che era da stupidi. Era il genere di cosa che dicono le ragazzine in cerca di attenzione, ogni volta che qualcosa va storto o si rompe loro un unghia.
O almeno, così aveva sempre pensato. Solo ora capiva che ci si può davvero non sentire adeguati, non integrarsi, esserci ma allo stesso tempo non esserci.
Sasha nel frattempo si era chinato e aveva messo una mano appena sotto la superficie dell'acqua, rimanendo poi immobile mentre guardava come un pesciolino, superata la paura iniziale, si stava avvicinando curioso a quello strano corpo estraneo e caldo.
« Ogni vita è importante » disse, inginocchiandosi nell'acqua, senza più badare ai calzoni. « Anche la più piccola. Certe persone posso diventare più conosciute di altre, fare del bene al mondo, o fare del male. Possono essere ricordate nei tempi futuri. Ma non per questo tutte le altre sono inutili; anche loro possono, anzi devono, fare qualcosa nel loro piccolo. Un sorriso, un aiuto nel raccogliere le cose che sono cadute a terra a una signora indaffarata, una parola gentile, sono tutte cose che sembrano banali ma che in realtà possono aiutare più di quanto tu non possa immaginare. »
Jade si accovacciò , tenendosi in equilibrio sui talloni, osservando a sua volta il pesciolino dare un piccolo morsetto al dito di Sasha, per poi tornare velocissimo dai suoi simili.
« Ma poi queste persone si dimenticheranno di te. Rimarrai per sempre un estraneo gentile che verrà presto cancellato dalla loro memoria. »
« E' questo che ti spaventa? » chiese Sasha, alzando gli occhi sul viso di lei, « l'oblio? »
Jade non disse niente, continuando a guardare i pesci senza davvero vederli, finché non sentì un dito sollevarle delicatamente il mento. Incontrò gli occhi di Sasha e non vide differenza tra il loro colore e quello del mare che aveva fissato fino a un momento prima.
« Direi che abbiamo appena trovato qualcosa che ci accomuna, » disse, sulle labbra il suo solito sorriso triste.
« Io non mi dimenticherò mai di te. »
Sasha la guardò, riconoscente. « Neanche io. »



Jade aprì gli occhi, infastidita da tutto il rumore che la circondava. C'era un'infermiera sopra di lei che sistemava le flebo; non appena si accorse che Jade era sveglia, si ritrasse e le rivolse un sorriso materno.
« Ti sei svegliata. Come ti senti? »
Jade mugugnò qualcosa e richiuse subito gli occhi; voleva riaddormentarsi e tornare nella sua dimensione perfetta, con Sasha. Ma non riusciva a concentrarsi, dato che l'infermiera non voleva saperne di stare zitta.
« Devi mangiare qualcosa, o ti sentirai perennemente stanca. Cosa vorresti? »
Lasciami dormire.
« Colazione mediterranea? O all'inglese? »
Jade aprì un occhio per squadrare l'infermiera. « Mi scusi... uhm... »
Il sorriso dell'infermiera si incrinò quasi impercettibilmente. « Agatha, » disse, scandendo bene.
« Giusto. Potrebbe procurarmi un telefono? »
Agatha sembrò sorpresa della richiesta. « Pensavo non avesse familiari o parenti stretti. »
Jade si trattenne dal roteare gli occhi. « Vero, ma ho pur sempre un'amica. Volevo farle sapere che sto bene, anche se immagino che la vedrò presto comunque. »
Agatha continuava a guardarla con un'espressione compassionevole che stava cominciando a irritarla. « Cosa? » sbottò.
« Mi dispiace, ma... è solo che lei non ha ricevuto nessuna visita nell'ultimo periodo. »
Immediatamente Jade sentì gli occhi bruciare. Dandosi dell'idiota e cercando di non farsi sopraffare, chiese: « Neanche una ragazza? Giovane, sulla ventina, capelli corti? Catherine Maddison? »
« Ah! » esclamò Agatha, illuminandosi. « Ho presente. E' venuta qualche volta il primo mese... »
Jade trattenne il fiato così improvvisamente che la gabbia toracica sembrò lì lì per rompersi di nuovo. « Il primo mese? »

« Oh ». Gli occhi di Agatha diventarono grandi come due palline da tennis. « Cara... sai dirmi che giorno è oggi? »
Jade stava cominciando a farsi prendere dal panico. Sapeva quello che stava succedendo, l'aveva letto in decine di libri e visto in migliaia di film. Era così cliché che le venne quasi da ridere. Quasi.
« So di avere avuto l'incidente il 18 febbraio... mi sono svegliata una volta, quindi... direi, verso fine mese? Se vogliamo abbondare? »
L'espressione sul viso dell'infermiera le diceva che non ci era nemmeno vicina. Jade sentì gli occhi in fiamme per le lacrime che stava cercando di trattenenre.
« Oh, cara... ti sei svegliata più di una volta, in realtà, anche se solo per pochi secondi. E la prima volta è stata tre giorni fa... »
« Per favore, » la interruppe Jade, « mi dica solo che giorno è. »
Agatha la guardò con apprensione. « E' il 22 gennaio. Cara, sei stata in coma per undici mesi. »
Jade chiuse per un momento gli occhi, lasciando che la notizia venisse assorbita dal suo cervello ancora intorpidito. Undici mesi. Praticamente un anno. Non c'era da stupirsi che Cat avesse smesso di farle visita; doveva aver pensato che non si sarebbe più svegliata, e che non avesse senso sprecare tempo prezioso dietro qualcuno senza speranza. Dopotutto, non erano migliori amiche o chissà che cosa.
Ma era sempre l'unica amica che Jade aveva.
Ed ora era sola.
Per un attimo desiderò di non essersi mai svegliata.

  
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