2.
Jade
stava cominciando a sentire troppo caldo. Ogni volta che si
risvegliava si chiedeva come faceva a non congelare con solo una
veste leggera addosso in un posto come quello.
Erano seduti
all'interno dell'igloo -come la ragazza continuava a chiamarlo nella
sua testa- ma mantenevano una discreta distanza tra loro. Sasha stava
giocando distrattamente con la coperta, che sembrava essere l'unico
oggetto presente.
« Quanti anni hai? »
Sasha alzò lo
sguardo su di lei. Dovette pensare un attimo, prima di rispondere.
« Non ne sono sicuro. Penso di essere abbastanza giovane,
eppure mi
sembra di esistere da secoli. »
Sei una sciocca, si disse Jade.
Davvero ti aspettavi una risposta normale?
« Tu? »
«
Diciannove. Quasi venti. » rispose senza esitazione. Dopo un
po',
però, aggiunse: « Credo. »
Sasha ridacchiò piano. Jade
pensò che aveva una bella risata, molto naturale e
cristallina,
deliziosa da sentire. Senza quasi pensarci, si arrotolò le
maniche
della vestaglia leggera fino al gomito, nel tentativo di
rinfrescarle.
« Parlami di te. »
Jade si sistemò meglio e
cominciò a sventolarsi distrattamente con la mano, per farsi
un po'
di aria. « Beh, vivo da sola, e lavoro in un bar. Lo faccio
per
mantenermi e magari accumulare un po' di soldi per poter andare
all'università, quando sarà possibile.
»
« Cosa vorresti
studiare? »
« Mi piace l'arte, » disse. Stava sentendo
davvero troppo caldo. Si alzò e pensò di uscire
fuori, ma non
riuscì a fare più di due passi che cadde
improvvisamente a terra,
tenendosi una mano sul petto.
Sasha si avvicinò velocemente.
« Sto... bruciando, » disse lei, senza fiato.
Stremata, si accasciò
su Sasha, che si era inginocchiato e ora le stava tenendo la testa
sulle sue ginocchia, accarezzandole la fronte sudata.
Non voleva
che la toccasse. Aveva caldo, troppo caldo. Era come se un fuoco la
stesse divorando dall'interno. Era come se ci fosse stato fin
dall'inizio, nascendo come una fiammella debole che ora era diventata
un vulcano in eruzione.
La vista era annebbiata e i contorni erano
rossi. Sentiva Sasha che cercava di confortarla, sussurrando parole
dolci. Alzò debolmente una mano davanti agli occhi solo per
scoprire
che era macchiata di sangue. Tra il rosso del sangue e il fuoco che
le ardeva dentro, Jade si arrese a chiudere gli occhi e arrendersi al
dolore
cremisi.
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Non
riusciva ad aprire gli occhi, ma finalmente tutto era tornato del blu
scuro che tanto le dava tranquillità. Il suo corpo era come
addormentato, ma poteva sentire delle voci parlare a tratti attorno a
lei, rincorrendosi, non sempre coerenti ma almeno reali.
«
...l'emorragia si è fermata. »
« Bene. Il peggio è passato.
»
« Credo che adesso sia cosciente, Dottore. Aspettiamo che si
svegli? »
Una pausa.
« No, dobbiamo operare per essere
sicuri che non si apra di nuovo, ed è meglio non averla
reattiva. La
faccia dormire ancora un po'. »
Il suono di un liquido aspirato,
poi rilasciato, e il nero si sostituì al blu.
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« Sei mai stata
innamorata? » chiese Sasha, disegnando dei cerchi nell'aria.
Jade
arricciò il labbro. « Non davvero.
Perché? »
« Volevo
chiederti cosa si provava. »
Jade lo fissò, interrogativa. Sasha riprese: « Non
ho mai conosciuto questo sentimento. »
«
Non sai cosa significa amare? »
« No. » Sasha poggiò la mano
sul ginocchio e continuò a disegnare ghirigori immaginari
lì, sulla
stoffa dei calzoni. « So cosa sono la rabbia, e la
frustrazione, e
la tristezza, perché le provo sempre ogni volta che penso
alla...
insomma, sai, alla mia esistenza. Ma non l'amore. »
Jade stette
in silenzio. « Ogni persona può dare una diversa
definizione di
amore, » rispose, dopo averci pensato. « Per me, ne
esistono tanti
tipi diversi, ma per essere vero bisogna che sia per sempre. Un
sentimento che sbiadisce nel tempo evidentemente non era forte
abbastanza. »
Sasha annuì. « Capisco. »
Alla
fine, Jade credette di capire cosa stava succedendo.
Era di nuovo
nell'igloo, ma stavolta uscendo si era ritrovata in un luogo arido e
desolato, non particolarmente suggestivo, certo, ma almeno era un
cambiamento.
Trovò Sasha al riparo sotto un albero. Quando le si
avvicinò, lui le sorrise caldamente.
« Come ti senti? »
«
Molto meglio » rispose Jade, ringraziandolo. Stavolta si
sedette
accanto a lui, le loro schiene che quasi si toccavano, entrambe
appoggiate al tronco dalla corteccia spessa.
« Sai, credo di
essere in ospedale. »
Sasha annuì. « Sì, è
plausibile.
Vieni qui ogni volta che ti sedano? »
« O ogni volta che mi
addormento » specificò lei. « In
pratica, penso che tutto questo
sia soltanto un grande, elaborato sogno. »
Sasha non rispose.
Jade lo guardò con la coda dell'occhio, per notare che lo
sguardo
del giovane era perso nel vuoto, lontano da quei campi aridi. Lei lo
seguì fino a non riuscire a mettere a fuoco praticamente
nulla.
« Perché questo posto cambia sempre? »
« Probabilmente
dipende da te. Dopotutto, questa è la tua
testa. »
«
Anche tu sei solo nella mia testa? »
« Non lo so, » rispose,
incerto, sempre guardando chissà che cosa, «
forse. Anche se
ricordo di essere esistito anche prima di incontrarti. »
«
Però è la prima volta che ci vediamo. »
Sasha si voltò verso
di lei. I loro volti erano vicini, tanto che Jade poteva vedere ogni
singola minuscola lentiggine sul suo volto chiaro e osservare le
strane ombre che i corti riccioli neri, cadendo ribelli, creavano
sulla fronte.
« So che non dovrei dirlo, ma sono contento che tu
sia qui. »
Jade ricambiò lo sguardo. Sasha arrossì
adorabilmente e si affrettò a correggersi.
« Insomma,
ovviamente non sono contento che tu sia in ospedale, »
balbettò, «
ma starai bene, sicuramente. E io ho avuto la possibilità di
conoscerti. »
Jade dovette fare ricorso a tutto il suo
autocontrollo per non mettersi a sorridere come un'ebete a quel
commento, ma non riuscì a nascondere il fatto che le aveva
fatto
piacere. Eppure rimaneva qualcosa di triste nell'aria, qualcosa che
la rendeva pesante e che opprimeva i suoi polmoni.
« Non hai
mai... insomma, sono la prima persona che incontri? »
Sasha
rimase immobile per un istante, per poi annuire una sola volta.
« O
almeno, la prima di cui serbo il ricordo. »
C'era così tanto
rimpianto nella sua voce che Jade non poté fare a meno di
volere
stargli più vicino; appoggiò quindi la testa alla
sua spalla, per
mostrargli conforto, e un momento dopo sentì la guancia di
lui
poggiarsi sui suoi capelli.
Qualcosa le bagnò la nuca e, sapendo
che lui non lo faceva, Jade smise di trattenere le lacrime.
«
Puoi farmi delle domande, se vuoi. Cercherò di risponderti,
per
quanto possibile. »
Jade guardò Sasha, pensandoci bene. Poi
sorrise.
« Come fai ad avere un fisico così se non puoi
andare
in palestra? »
Sasha la guardò a bocca aperta, per poi darle un
colpo scherzoso alla spalla.
« Tu come fai ad averlo così pur
potendo andare in palestra? »
Jade lo guardò scioccata, per poi
alzarsi di scatto e allontanarsi, offesa. Sentì Sasha
chiamarla e
ridere, per poi essere bloccata da due braccia e due mani che
cercavano di farle il solletico.
Jade pensò che, dopotutto, se
proprio doveva avere delle allucinazioni, quello non era certo il
modo peggiore di viverle.
«
Tre rimbalzi! » esclamò Sasha, guardando con
orgoglio la pietra
piatta affondare nell'acqua. « Sono un fenomeno. »
« Fammi
provare, » disse Jade, alzandosi e raggiungendolo. Sasha le
porse
una pietra.
Quella volta il laghetto era ricomparso e la neve si
era sciolta, lasciando però l'acqua fredda, e i primi
accenni di
verde facevano solamente capolino, timidamente, aspettando il momento
perfetto per mostrarsi in tutto il loro rigoglio.
Jade si mise in
posizione, allontanò il bracciò dal busto,
girando quest'ultimo a
tre quarti e lanciò la pietra, che cadde al primo colpo
affondando
con un sordo plop.
Sasha rise mentre Jade, seccata, si
chinò a prendere un'altra pietra, decisa a riprovare.
Stavolta si
sbilanciò e mise poca forza nel lancio, col risultato di non
farla
arrivare nemmeno a un metro di distanza e facendola cadere
pateticamente sul fondo, creando una gran quantità di
schizzi
disordinati.
Jade rimase lì, a fissarla, depressa. « Non
è
divertente. » disse a Sasha,
« Oh, sì che lo è, » rispose
lui, tenendosi la pancia, « soprattutto la tua espressione.
Impagabile. Sembra dire “pietra, perché non vuoi
rimbalzare?
Perché ce l'hanno tutti con me?” »
« Perché tu ce la fai?
» si lamentò Jade.
« Il fatto è che sbagli la tecnica.
Guarda, ti faccio vedere. » Dopodiché si
posizionò dietro di lei e
le mise una pietra in mano, per poi tenerle il polso.
« Piega le
ginocchia, » le sussurrò nell'orecchio, piano,
« e non girare
troppo il busto. Così. Non mettere troppa forza, ma anzi
accompagnala. Tieni la mano parallela al terreno. »
Il suo corpo
era caldo contro quello di lei, e il suo fiato fresco contro il suo
collo. Jade si era già dimenticata il primo suggerimento.
«
Vai, » sussurrò lui.
Jade lanciò la pietra e la guardò
rimbalzare due volte prima di affondare delicatamente. Si
girò
raggiante.
« Brava! » disse Sasha, abbracciandola e
sollevandola da terra, cominciando a girare in tondo. Jade emise un
piccolo urlo di sorpresa, che ben presto si trasformò in una
risata.
Vorrei poter stare qui per sempre.
Jade
sbatté ripetutamente le palpebre per cercare di mettere a
fuoco la
figura che gli stava davanti.
« Ciao, Jade. Come ti senti? »
Lei aggrottò le sopracciglia e cercò di parlare;
aveva la bocca
impastata e la gola secca.
« Sono stata meglio. »
La donna
china su di lei sorrise e si risollevò. « Io mi
chiamo Agatha e
sono la tua infermiera. Ci siamo già conosciute, ma non
penso tu ti
ricorda. »
No, infatti.
« Non riesco a... tenere...
gli occhi aperti » disse Jade, cercando faticosamente di
trovare le
parole.
« E' per via di tutti gli antidolorifici e della morfina
a cui sei costantemente sottoposta, » spiegò
gentilmente Agatha. «
E' necessario, perché hai avuto un bel po' di problemi.
Siamo
contenti che tu ti sia finalmente svegliata. Hai dormito davvero
tanto. »
Jade aggrottò le sopracciglia, confusa. « Non
capisco. »
« Eravamo tutti molto preoccupati. Non ha dato
segni di miglioramento per così tanto tempo
che...» Jade scosse la
testa, cercando di far capire all'infermiera che non doveva parlare
così in fretta se voleva che lei capisse qualcosa. Agatha
sorrise e
le mise una mano sulla fronte, controllando la temperatura.
«
Non avere fretta. Riposa ancora un po'. Hai avuto tutto il tempo
un'espressione così serena che sembrava stessi facendo dei
bellissimi sogni. »
Questo Jade lo capì. Aveva ragione, pensò
sorridendo. Il sogno che stava vivendo era bellissimo, e non vedeva
l'ora di tornarci.
«
Devi sentirti davvero bene per aver creato un posto così
» disse
Sasha, raggiungendola. Portava i calzoni chiari arrotolati fino al
ginocchio in modo che non si bagnassero, e avanzava lentamente
nell'acqua limpida, facendo scappare i minuscoli pesciolini in tutte
le direzioni, spaventati dall'improvvisa intrusione.
« In
realtà non mi sento diversa, » rispose Jace,
girandosi per
guardarlo. Si era fermata appena prima di arrivare al punto in cui
l'acqua sarebbe stata cosi alta da bagnare l'orlo del vestito.
« Ma
immagino che lo sia il mio corpo. »
Sasha sorrise, i suoi occhi
più chiari che mai sotto il sole. « Sono contento
che tu stia
guarendo. »
« Ma questo significa che dovrò andare via.
»
« Ma tu devi andare » disse
Sasha, quietamente. « E'
quello il tuo posto. »
« Ma non appartengo a quel mondo.
Pensaci. Io mi sono sempre sentita estranea, fuori luogo; non ho una
famiglia, non ho un obiettivo, non ho neanche un lavoro decente e
l'unica amica che posso vantare di avere vive la sua vita e non
può
sempre preoccuparsi della mia. Non mancherei al mondo, se me ne
andassi. »
Gli occhi seri di Sasha si piantarono nei suoi e Jade
si sentì immediatamente immobilizzata, nonostante lui non
l'avesse
sfiorata. « E dove andresti? »
Jade esitò. Si stava pentendo
di essersi lasciata sfuggire quelle cose; si rendeva conto che era da
stupidi. Era il genere di cosa che dicono le ragazzine in cerca di
attenzione, ogni volta che qualcosa va storto o si rompe loro un
unghia.
O almeno, così aveva sempre pensato. Solo ora capiva che
ci si può davvero non sentire adeguati,
non integrarsi,
esserci ma allo stesso tempo non esserci.
Sasha nel frattempo si
era chinato e aveva messo una mano appena sotto la superficie
dell'acqua, rimanendo poi immobile mentre guardava come un
pesciolino, superata la paura iniziale, si stava avvicinando curioso
a quello strano corpo estraneo e caldo.
« Ogni vita è
importante » disse, inginocchiandosi nell'acqua, senza
più badare
ai calzoni. « Anche la più piccola. Certe persone
posso diventare
più conosciute di altre, fare del bene al mondo, o fare del
male.
Possono essere ricordate nei tempi futuri. Ma non per questo tutte le
altre sono inutili; anche loro possono, anzi devono, fare
qualcosa nel loro piccolo. Un sorriso, un aiuto nel raccogliere le
cose che sono cadute a terra a una signora indaffarata, una parola
gentile, sono tutte cose che sembrano banali ma che in
realtà
possono aiutare più di quanto tu non possa immaginare.
»
Jade
si accovacciò , tenendosi in equilibrio sui talloni,
osservando a
sua volta il pesciolino dare un piccolo morsetto al dito di Sasha,
per poi tornare velocissimo dai suoi simili.
« Ma poi queste
persone si dimenticheranno di te. Rimarrai per sempre un estraneo
gentile che verrà presto cancellato dalla loro memoria.
»
«
E' questo che ti spaventa? » chiese Sasha, alzando gli occhi
sul
viso di lei, « l'oblio? »
Jade non disse niente, continuando a
guardare i pesci senza davvero vederli, finché non
sentì un dito
sollevarle delicatamente il mento. Incontrò gli occhi di
Sasha e non
vide differenza tra il loro colore e quello del mare che aveva
fissato fino a un momento prima.
« Direi che abbiamo appena
trovato qualcosa che ci accomuna, » disse, sulle labbra il
suo
solito sorriso triste.
« Io non mi dimenticherò mai di te. »
Sasha la guardò, riconoscente. « Neanche io.
»
Jade
aprì gli occhi, infastidita da tutto il rumore che la
circondava.
C'era un'infermiera sopra di lei che sistemava le flebo; non appena
si accorse che Jade era sveglia, si ritrasse e le rivolse un sorriso
materno.
« Ti sei svegliata. Come ti senti? »
Jade mugugnò
qualcosa e richiuse subito gli occhi; voleva riaddormentarsi e
tornare nella sua dimensione perfetta, con Sasha. Ma non riusciva a
concentrarsi, dato che l'infermiera non voleva saperne di stare
zitta.
« Devi mangiare qualcosa, o ti sentirai perennemente
stanca. Cosa vorresti? »
Lasciami dormire.
«
Colazione mediterranea? O all'inglese? »
Jade aprì un occhio
per squadrare l'infermiera. « Mi scusi... uhm... »
Il sorriso
dell'infermiera si incrinò quasi impercettibilmente.
« Agatha, »
disse, scandendo bene.
« Giusto. Potrebbe procurarmi un
telefono? »
Agatha sembrò sorpresa della richiesta. « Pensavo
non avesse familiari o parenti stretti. »
Jade si trattenne dal
roteare gli occhi. « Vero, ma ho pur sempre un'amica. Volevo
farle
sapere che sto bene, anche se immagino che la vedrò presto
comunque.
»
Agatha continuava a guardarla con un'espressione
compassionevole che stava cominciando a irritarla. « Cosa?
»
sbottò.
« Mi dispiace, ma... è solo che lei non ha
ricevuto
nessuna visita nell'ultimo periodo. »
Immediatamente Jade sentì
gli occhi bruciare. Dandosi dell'idiota e cercando di non farsi
sopraffare, chiese: « Neanche una ragazza? Giovane, sulla
ventina,
capelli corti? Catherine Maddison? »
« Ah! » esclamò Agatha,
illuminandosi. « Ho presente. E' venuta qualche volta il
primo
mese... »
Jade trattenne il fiato così improvvisamente che la
gabbia toracica sembrò lì lì per
rompersi di nuovo. « Il primo
mese? »
«
Oh ». Gli occhi di Agatha diventarono grandi come due palline
da
tennis. « Cara... sai dirmi che giorno è oggi?
»
Jade stava
cominciando a farsi prendere dal panico. Sapeva quello che stava
succedendo, l'aveva letto in decine di libri e visto in migliaia di
film. Era così cliché che le venne quasi da
ridere. Quasi.
«
So di avere avuto l'incidente il 18 febbraio... mi sono svegliata una
volta, quindi... direi, verso fine mese? Se vogliamo abbondare?
»
L'espressione sul viso dell'infermiera le diceva che non ci era
nemmeno vicina. Jade sentì gli occhi in fiamme per le
lacrime che
stava cercando di trattenenre.
« Oh, cara... ti sei svegliata
più di una volta, in realtà, anche se solo per
pochi secondi. E la
prima volta è stata tre giorni fa... »
« Per favore, » la
interruppe Jade, « mi dica solo che giorno è.
»
Agatha la
guardò con apprensione. « E' il 22 gennaio. Cara,
sei stata in
coma per undici mesi. »
Jade chiuse per un momento gli occhi,
lasciando che la notizia venisse assorbita dal suo cervello ancora
intorpidito. Undici mesi. Praticamente un anno. Non c'era da stupirsi
che Cat avesse smesso di farle visita; doveva aver pensato che non si
sarebbe più svegliata, e che non avesse senso sprecare tempo
prezioso dietro qualcuno senza speranza. Dopotutto, non erano
migliori amiche o chissà che cosa.
Ma era sempre l'unica amica
che Jade aveva.
Ed ora era sola.
Per un attimo desiderò di non
essersi mai svegliata.