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Autore: dreamlikeview    16/07/2013    14 recensioni
Tre casi uguali da risolvere, sei vittime, tre omicidi, una coppia di serial killer, una coppia di investigatori, due sospettati.
Un'unica verità.
Quale sarà?
[Accenni Larry, Ziam, Nosh con la partecipazione straordinaria di Nick Grimshaw!]
Genere: Angst, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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DESCLAIMER: La storia non è scritta affatto per scopi di lucro, io non ci guadagno assolutamente nulla.
Tutto è di mia pura fantasia, a parte i personaggi che non mi appartengono (Alex invece è mio e di Lu)
NESSUNO degli atteggiamenti dei personaggi è reale o mirato ad offenderlo.
Purtroppo, non posseggo i personaggi, dipendesse da me i Larry sarebbero già liberi come uccellini çç
Copiate questa trama e vi trancio le gambe.

AVVISO: Storia scritta sulla falsa riga di NCIS, CSI e simili.

ATTENZIONE: Presenza di scene violente.

ATTENZIONEx2: Le età dei personaggi sono totalmente lontane dalla realtà, elenco di seguito:
Harry Styles 30 anni
Louis Tomlison 27 anni
Liam Payne 26 anni
Zayn Malik 25 anni
Niall Horan/Josh Devine 23 anni
Eleanor Calder/Taylor Swift 22 anni
Nick Grimshaw 40 anni
Alex Foster 30 anni
Ed Sheeran 35 anni.


ATTENZIONEx3: Conteggio parole 25.253

LETTORI AVVISATI, MEZZI SALVATI.

Enjoy!


 


Era una notte buia, fredda e piovosa nella caotica città di Londra di metà dicembre.
Il temporale imperversava sulla città, i tuoni squarciavano il cielo, mentre la pioggia cadeva fittamente sulle strade del posto, i lampi illuminavano il cielo notturno, e i fulmini sembravano cadere al suolo dalle nuvole grigie e cupe della notte. Tutte le persone si erano rintanate nelle loro case, al caldo davanti ad un camino scoppiettante, magari con l’albero di natale alle loro spalle con le luci accese e una tazza di cioccolata calda in mano, o almeno questo avevano fatto Niall Horan, giovane irlandese dai capelli chiari e gli occhi azzurri come il mare, gentile e premuroso con tutti, che lavorava in un orfanotrofio insieme al suo compagno, e Josh Devine, inglese di nascita, occhi e capelli scuri, trasferitosi in Irlanda da bambino e tornato in Inghilterra con il suo migliore amico, Niall, diventato poi il suo compagno di vita, non si aspettavano di certo cosa sarebbe accaduto durante quella nottata apparentemente tempestosa fuori casa, e tranquilla dentro quelle mura familiari e accoglienti. I due erano accoccolati sull’enorme letto nella loro camera da letto, avvolti un una coperta pesante, e chiacchieravano su quanto svolto al lavoro quella mattina – Josh era riuscito a dare in adozione una bambina, mentre Niall aveva dovuto dire di no ad una coppia presentatasi lì quella mattina – mentre una stufetta elettrica teneva caldo l’ambiente. Quando un rumore sospetto dalla camera accanto, li fece sobbalzare per lo spavento. La finestra si era aperta di scatto, inondando la casa dell’aria gelida di quella notte, che iniziò ad entrare in casa rendendola fredda, umida e bagnata come mai lo era stata prima di quella notte terribile, contemporaneamente, per fortuna o per sfortuna, l’impianto elettrico saltò a causa di un corto circuito, e tutta la stanza divenne buia a parte per la luce tenue emanata dal fuoco del caminetto in salotto lasciato acceso, che andava spegnendosi. Niall si alzò con lentezza, andando nell’altra stanza, verso la finestra per chiuderla, mentre Josh si dirigeva verso l’interruttore del generatore d’emergenza per ripristinare tutto, ma non lo fece, perché, una volta arrivato nel piccolo ingresso, avvertì dei passi, delle voci sussurrate, provenienti dal salotto, dove si stava dirigendo Niall, si rese conto, in quel momento, che qualcuno fosse entrato in casa, per questo corse dal biondo che si accingeva ad armeggiare con la finestra, e lo tirò via da lì. Gli disse sottovoce che dovevano nascondersi e andare altrove, perché qualcuno era entrato in casa, avrebbero potuto essere dei ladri. Niall spalancò gli occhi terrorizzato e afferrò la mano di Josh, prima di essere colpito alle spalle da qualcosa di appuntito che gli lacerò la carne e lo fece cadere a terra agonizzante. Josh cercò di piegarsi su di lui, per aiutarlo, ma fu strattonato all’indietro da qualcuno. Sentì le urla di Niall mentre l’altro uomo, o donna, gli piantava un’altra coltellata nel petto, lo sentì cadere per terra, ancora agonizzante, era ancora vivo, ma per quanto?
Quello, o quella, che lo teneva fermo, appoggiò qualcosa di freddo e appuntito contro il suo collo e ne tracciò il contorno, premendo la lama più a fondo, senza, tuttavia, ucciderlo. Anche Josh cadde a terra agonizzante, e strisciando sul pavimento ormai bagnato a causa del temporale che continuava a scatenarsi e di conseguenza ad entrare in casa, raggiunse Niall, cercando di scuoterlo con una mano, mentre con l’altra si teneva la gola per placare la fuoriuscita di sangue.
“J-Josh…” – sussurrò terrorizzato il biondino, mentre il suo compagno, a causa della ferita, non riusciva a parlare – “de-devo chiamare…” – tossì – “qualcuno…”
Josh annuì energicamente, ma Niall non riuscì ad alzarsi, perché chi era entrato era ancora lì. Con un calcio lo fece cadere di nuovo per terra, e il biondino ansimò ancora più forte per il dolore, e una sorta di ‘splash’ arrivò alle orecchie di Josh, che tremò.
Niall era poco lontano da lui, e i due tipi entrati in casa ancora lì, poteva sentire i loro  passi vicini, poi lontani, poi ancora più vicini, fino a sentire un rumore strano, sfrigolante come se fossero dei cavi elettrici spezzati.
Avvertì una serie di calci colpirlo: pancia, gambe, viso, tutto il suo corpo fu percorso da botte che lo indebolirono ancora di più, facendogli perdere altro sangue dalla ferita aperta sul collo.
Il ragazzo rabbrividì udendo di nuovo quel rumore di elettricità, forse aveva solo lontanamente inteso cosa stesse per accadere in quel momento, l’intruso si calò su di lui, mentre Niall veniva tenuto fermo al pavimento da un piede premuto sul petto da cui fuoriusciva ancora tantissimo sangue, poi accadde. Improvvisamente sentì il suo corpo percorso da una forte scarica, un urlo strozzato gli uscì dalla gola e un po’ di sangue uscì dal taglio, poi cadde per terra, senza vita, in una pozza elettrificata di acqua e sangue.
Niall, poco più lontano da lui, agonizzava ancora, cercando di strisciare via dal piede di quello, di nascondersi, perdeva tanto, troppo sangue, sapeva che non sarebbe sopravvissuto a lungo, ma voleva tentare. La voce non riusciva ad uscire dalla sua gola nemmeno per chiamare Josh. Tremava per la paura di morire, per il freddo pungente che ancora entrava dalla finestra, ma poi, improvvisamente, non sentì più nulla, il suo corpo fu percorso da una scarica potente di elettricità, vibrò, ma poi ricadde a terra in una pozza di acqua e di sangue, come il suo ragazzo.
Le due figure losche afferrarono i due ragazzi, li trascinarono l’uno accanto all’altro, e poi dopo aver visto ancora i loro corpi martoriati contorcersi senza vita sotto le scariche elettriche, quando furono sicuri che quelli fossero morti, e dopo aver eliminato tutte le prove del loro passaggio dalle impronte dei piedi a quelle delle loro mani, e tutto ciò che poteva anche solo caratterizzarli in qualche modo, si dileguarono nella notte, abbandonando quella casa, vittima di un altro dei loro omicidi. Una casa in cui l’orrore era arrivato.
Una casa in cui due giovani che avevano tutta la loro vita davanti, l’avevano vista spegnersi come  un fiammifero al vento, a causa di due criminali.
In quella casa viveva il gelo.
In quella casa viveva la morte, perché due corpi giacevano ora senza vita, in quell’appartamento londinese, prima caldo, ora gelido, gelido come la neve, come il ghiaccio, come un cadavere, come la morte.
Il fuoco lasciato a spegnersi si era spento a causa delle folate di vento, non ne rimaneva che l’acre odore di fumo, misto a quello della pioggia e un terribile tanfo di morte, che significava solo una cosa:
Londra non era più un luogo sicuro.
 
 
Qualcuno aveva denunciato il macabro omicidio di Niall Horan e Josh Devine, l’FBI era entrata in azione insieme alla scientifica e ai due investigatori a cui era stato affidato il caso: Louis Tomlinson ed Harry Styles, la coppia di detective che riuscivano a risolvere anche i misteri più assurdi – coppia sia di lavoro che di vita - collaboravano insieme al medico legale Nick Grimshaw, un tipo un po’ strano, ma molto preparato ed efficiente.
Louis, un tipo bassino e non molto muscoloso, di circa ventisette anni, era caratterizzato da due enormi occhioni azzurri, come il cielo e dei capelli castani leggermente corti. Portava sempre gli occhiali da vista e non credeva nell’uso della violenza, se non strettamente necessario, era molto emotivo, ma sapeva avere il sangue freddo in caso di necessità; il suo compagno Harry, decisamente più alto e muscoloso, maggiore di tre anni rispetto a Louis, tanti ricci in testa e due occhioni verdi, era un tipo molto meno espansivo, poco incline alle emozioni e decisamente molto freddo, anche con il suo fidanzato, Louis, appunto, era un tipo razionale e calcolatore, dal sangue decisamente freddo.
I due investigatori arrivarono per primi sulla scena del crimine, e come era stato comunicato, i due corpi giacevano lì, senza vita. Nick  Grimshaw, il medico legale, era dietro di loro, e dopo una breve occhiata ai due corpi, decretò che ad occhio e croce non potevano che essere morti a causa delle coltellate, e che l’autopsia avrebbe risposto a tutte le loro domande. Dopo essere stati coperti da dei lenzuoli bianchi, furono portati via dalla scientifica, e Nick comunicò ai due detective che li avrebbe informati ad esame ultimato su tutto.
Al posto dei cadaveri, ora, c’erano le loro sagome disegnate con il gesso bianco. La palazzina era stata isolata per permettere le indagini e per non far entrare o uscire nessuno, almeno per quella mattina.
Harry portò una mano al mento, e iniziò a girare intorno alle due sagome, c’era qualcosa di familiare in quella scena, aveva già visto qualcosa di simile. I corpi messi vicini, le pozze di sangue, e l’acqua sul pavimento, ma nessuna impronta digitale, quella scena gli era familiare, eccome.
Louis, poco più in là, osservava la finestra spalancata, e con i guanti in lattice alle mani, cercava qualche indizio lungo le ante di quella. Era stata forzata dall’esterno, ne era sicuro, ma come?
Non avevano lasciato nemmeno i segni dell’effrazione.
Poi qualcosa catturò il suo sguardo. C’era un pezzo di stoffa incastonato nei cardini della finestra, con l’aiuto delle pinzette lo estrasse da lì, e lo mise in una bustina sigillata. Poteva essere una prova valida, una volta analizzato.
“Harry, ehi! Qui c’era un pezzo di stoffa!” – informò il compagno, che alzò lo sguardo e fece un cenno di approvazione, mentre ancora girava intorno alle sagome, poi al divano, soffermandosi sulla posizione in cui erano stati disposti i corpi. Davanti al camino, insieme. Lui una cosa simile l’aveva vista. Poi ebbe l’illuminazione, poco più di un mese prima, avevano avuto un caso simile, due ragazze di vent’anni, che convivevano nella città di Manchester, erano state poste nello stesso modo. Dovevano solo confrontare le cause del decesso, poi poteva farsi un’idea di chi fosse l’assassino. Sicuramente un futuro serial killer, o forse due. Era tutto da verificare.
“Hai trovato nient’altro, Louis?” – chiese il più grande, avvicinandosi all’altro, che ora ispezionava il pavimento ancora umido alla ricerca di qualche impronta. Se il pavimento era umido, la sera prima era bagnato, di conseguenza dovevano essere rimaste delle impronte. – “Louis?” – chiamò ancora il riccio, ma quello non parve sentire. – “Tomlinson, a rapporto!” – Harry alzò la voce per attirare la sua attenzione, facendo sobbalzare il più piccolo chinato a carponi sul pavimento, facendolo cadere con il sedere sull’umidità, strappandogli un verso contrariato.
“Non sei divertente, lo sai, Styles?” – fece quello offeso, cercando di rimettersi in piedi, mentre il compagno con un paio di falcate lo raggiungeva e gli porgeva la mano, per aiutando a rialzarsi.
“Trovato niente?”
“A parte le nostre impronte che contaminano tutto?” – chiese retoricamente – “no, assolutamente niente. Non so come abbiano fatto a non lasciare impronte, eppure… era bagnato, guarda quante impronte lasciamo noi, qualcuno deve averle lasciate.”
Il riccio acconsentì annuendo. Il ragionamento di Louis non faceva una piega, se il pavimento era bagnato avevano dovuto per forza lasciare delle tracce, qualcosa che simboleggiasse il loro passaggio, invece tutto ciò che li circondava era il sangue raggrumato delle vittime.
“Dovremmo andare da Nick” – fece Harry, dopo un attimo di riflessione – “avrà analizzato i corpi, magari può dirci le cause del decesso, se è come dico io, stavolta risolviamo due casi in uno.”
“Ma non è presto? E’ andato via da quanto? Mezz’ora?”
Harry sbuffò annuendo, forse Louis aveva ragione, ma lui voleva sapere a tutti i costi quali fossero le cause di quel decesso, riprese a girare la casa, come un’anima in pena.
Louis alzò un sopracciglio senza capire. Okay, era vero, il suo fidanzato era un genio, e la sua mente calcolatrice elaborava teorie su teorie, una delle quali era sicuramente vera. Nick era un eccellente medico legale, ma aveva bisogno dei suoi tempi, no? Scosse la testa divertito, a volte Harry per quanto razionale, e calcolatore, era leggermente superficiale. Louis poteva vantare di avere al suo fianco un vero genio, ma a volte Harry si lasciava troppo trasportare dal lavoro, restava ligio e fedele a quello, spesso dimenticandosi di avere anche un compagno. Era sempre freddo, non che Louis dubitasse di lui, certo che no, a volte il suo atteggiamento lo faceva intristire, ma lui non badava troppo a quell’aspetto. 
Gli rivolse  un sorriso dolce, e annuì.
“Sospetti anche tu assomigli al delitto di Manchester?” – chiese cauto.
“Non sospetto, sono sicuro che ci troviamo di fronte un potenziale serial killer, che va fermato, altrimenti distruggerà altre vite innocenti.” – fece il riccio, rassegnato.
“E’ un’emozione quella che vedo?” – chiese divertito Louis, mentre azzardando un po’, allungava  una mano verso quella del riccio e la intrecciava alla sua. Il più grande non si scompose e lo guardò scuotendo la testa.
“Sciocchezze. E’ senso della giustizia.”
“Uhm. Come dici tu, Haz.” – ridacchiò appena – “andiamo da Nick, magari ha scoperto le cause e noi possiamo farci un’idea di come siano morti.”
Il riccio annuì, e senza lasciare la mano di Louis – sapeva che al piccolo piaceva stringergli la mano – si diresse alla centrale di polizia, insieme al fidanzato, attraversando mezza Londra. Durante il tragitto discussero su quanto poco avessero scoperto quella mattina, e su come proseguire le indagini.
Una volta giunti alla centrale, si diressero nel laboratorio medico, dove un abile Nick tentava di fare l’autopsia ai corpi.
Come diavolo ti hanno ucciso, eh?” - i due sentirono un’imprecazione provenire dal laboratorio e un po’ si allarmarono – “non sono state le coltellate ad ucciderti. Dannazione, cosa diavolo è stato?”  - strillò istericamente – “rispondimi, santo cielo!”
A quel punto, i due investigatori si preoccuparono e corsero nel laboratorio, spalancando la porta e trovandosi davanti Nick, i capelli scuri, spettinati e tirati all’indietro, gli occhi chiari spalancati in un’espressione contrariata, che parlava ad un cadavere.
“Ehi ragazzi!” – esclamò senza mostrarsi per niente turbato, facendo finta che niente fosse accaduto – “ho scoperto che le coltellate non sono la causa del decesso. E nemmeno i pugni o calci lo sono.” – spiegò indicando le varie ferite, ed ematomi dei due cadaveri – “ma non riesco a trovare la causa della morte. Dovrete darmi un po’ di tempo.”
Harry alzò gli occhi al cielo, esasperato. – “posso dirvi con certezza che questo qui” – indicò il cadavere con cui stava ‘parlando’ – “si chiama Niall Horan, ventitre anni, è stato accoltellato alla schiena e al petto, ma non sono quelle le cause del decesso.”
“E quali sarebbero?” – chiese subito Harry.
“E’ quello che sto cercando di scoprire.”
“Vedi di fare in fretta. Dobbiamo trovare l’arma del delitto.”
Nick alzò gli occhi al cielo, e sbuffò. Quel detective non capiva che per fare un’autopsia ci volevano delle ore, dei giorni a volte, per scoprire cosa avesse causato la morte della vittima.
“E l’altro?” – si intromise Louis, indicando l’altro cadavere.
“Questo invece è Josh Devine, presenta ematomi e un taglio alla gola, che non è stato il colpo fatale.”
“E qual è stato?” – insisté Harry, guardando i cadaveri.
“E’ quello che sto cercando di scoprire.” – sbuffò Nick – “visto che voi due siete stati stanotte qui, perché non tornate a casa e vi rilassate? Vi chiamo appena so qualcosa.”
Louis trattenne un piccolo sbadiglio, mentre Harry si voltava verso di lui, notando che egli fosse visibilmente provato e stanco. Si lasciò scappare un sorrisetto vedendo che Louis non si reggesse in piedi.
Gli passò un braccio attorno ai fianchi, e dopo un breve saluto a Nick, i due uscirono dal laboratorio, dirigendosi a casa per un po’ di meritato riposo dopo la nottata in centrale e la mattinata in quella casa.
Nel frattempo, Nick osservava i corpi senza vita di Niall e Josh, cercando di capire cosa avesse causato la morte.
“Adesso, voi due, mi dite come siete morti.” – borbottò  - “mi avete fatto fare una pessima figura con i due detective.” – sbuffò con rimprovero, passando ad esaminare prima il corpo di Niall.
“Allora dimmi, Niall, come sei morto?”
Passò circa mezz’ora di esami ed osservazioni varie, quando Nick notò una macchia violacea sul collo del giovane morto. – “e qui cos’abbiamo?” – prese la lente di ingrandimento e analizzò la macchia – “sembra una scottatura, o…” – si alzò di scatto e la situazione iniziò ad essere chiara. Poi si voltò verso l’altro ragazzo, Josh, e vi si avvicinò. La sua espressione era terrorizzata, sarebbe rimasto sempre con quell’espressione per sempre – “e tu? Hai quella macchia anche tu, Josh?” – ispezionò il collo senza trovare la macchia su quello, bensì un taglio abbastanza profondo che l’aveva indebolito, gli aveva fatto perdere sangue, ma non lo aveva ucciso. Non era quello la causa del decesso, come sull’altro, le coltellate non erano la causa del decesso. E poi ricordò dove avesse visto la stessa macchia e le stesse ferite su altri cadaveri, e la situazione iniziò ad essere più chiara. Esaminò ogni angolo dei cadaveri, trovò la macchia violacea anche sull’altro cadavere, classificò quella macchia viola come un’ustione sull’addome di una vittima e sul collo dell’altra, finalmente la situazione fu chiara nella sua mente. I soggetti presentavano danni neurologici gravi, traumi muscolari, arresto cardiaco e blocco respiratorio, insieme alle ustioni portavano solo ad una soluzione: la causa del decesso era stata una scarica elettrica di media potenza: circa 220V, il voltaggio tipico del contatore di un appartamento.
Il quadro clinico era chiaro agli occhi di Nick, che tuttavia non capiva ancora come in una casa due persone potessero essere folgorate in quel modo, ma la risposta alle sue domande non tardò ad arrivare, ricordò infatti che il pavimento fosse umido nella casa quella mattina, ricostruendo la scena del crimine, la morte di quei due ragazzi, nella mente di Nick fu sempre più chiara: il pavimento la notte precedente doveva essere bagnato, i corpi erano supini, e scalzi quindi in totale contatto con l’acqua…
“A occhio e croce, siete morti fulminati.” – scosse la testa guardandoli – “mi dispiace.” – sospirò sommessamente, scrivendo tutto quello che aveva scoperto su un block notes, del quale girò i fogli fino ad arrivare ad un caso simile di qualche mese prima. Le cause del decesso erano le stesse.
Spalancò gli occhi, rendendosi conto di trovarsi davanti al crimine di un assassino seriale. Scosse la testa, posando il blocco, e guardando i due cadaveri. Nick si portò i capelli scuri all’indietro, sospirando sommessamente.
“Troveremo chi vi ha uccisi, ragazzi, non preoccupatevi.”
Non si era reso conto che da quella mattina che aveva iniziato l’autopsia tra i vari esami ed analisi, a quando aveva finito, in quel momento, fossero passate delle ore, tanto che si era fatta notte.
Controllò il cellulare, e sospirò. Nessuno si era interessato a lui, a parte i – circa – dieci messaggi di Harry che lo incitavano a muoversi a finire quell’autopsia perché lui doveva indagare e trovare – testuali parole – “quello stronzo che se ne va in giro ad uccidere le persone.”
Si voltò verso i cadaveri sospirando. Da quando era diventato un medico legale, non usciva mai da quel laboratorio, c’erano sempre nuovi casi da ultimare.
“Voi non vi siete mai sentiti così schifosamente soli?” – domandò ai due cadaveri, che ovviamente non risposero. Scosse la testa sconfitto e se ne tornò a casa sua, nel piccolo appartamento in affitto accanto alla centrale, così da poter essere sempre vicino al luogo di lavoro.
 
Louis era tornato a casa con Harry, che però non la smetteva di trovare supposizioni su supposizioni sul possibile assassino, certo, anche il castano prendeva seriamente il lavoro, ma Harry era come ossessionato, parlava, parlava e parlava sempre dello stesso argomento, non che a Louis non facesse piacere, certo, conosceva il suo compagno, ma quando erano a letto, avrebbe preferito essere coccolato piuttosto che parlare sempre e solo del caso.
Era stato carino, però, a portarlo in giro quel giorno di ‘riposo’. Niente di particolare, al ritorno a casa avevano pranzato – parlando del caso – e poi erano stati in giro fino all’ora di cena, prima di tornare a casa. Non avevano fatto nulla di particolare, una passeggiata al parco di fronte la palazzina dell’omicidio, un giro dentro l’appartamento, altre supposizioni di Harry, ma in fondo, a Louis importava?
Era con Harry, con lui era felice, lavoravano insieme, e quel pomeriggio gli aveva addirittura tenuto la mano. Uno degli atti di maggiore dolcezza da parte del riccio.
Erano tornati a casa circa verso le nove di sera, avevano cenato, parlando ancora del caso, avevano guardato un film poliziesco – la fantasia era il loro forte – e poi si erano messi a letto, ma Harry non smetteva di parlare del caso.
“Beh, partiamo dai due ragazzi” – esordì Harry, mentre Louis ascoltava assorto – “erano omosessuali, e convivevano, quindi il colpevole è sicuramente omofobo.” – erano sul divano intenti a bere una cioccolata calda.
“Omofobi? E le due ragazze? Non mi risulta avessero una relazione.”
Harry alzò l’indice, puntandolo davanti al viso. – “relazione nascosta. Ovvio.”
Louis ci rimuginò su un po’, ed effettivamente la teoria di Harry non era del tutto da gettare, magari erano davvero degli omofobi che si ‘impegnavano’ ad uccidere tutte le coppie omosessuali in quel modo barbaro.
“In effetti… potrebbe essere.” – annuì – “restringeremo il campo.”
“Esattamente.” – disse alzandosi dal divano, e raggiungendo la camera da letto, seguito dal suo compagno.
Il loro appartamento non era grandissimo. Era un piccolo monolocale, privo di ingresso e grandi stanze.
Costituito da una piccola cucina, un bagno altrettanto piccolo, una camera da letto e un salotto che fungeva anche da ingresso. L’arredamento era semplice, una sola libreria era posta nel piccolo salotto, v’era un divano e una televisione, che per la maggior parte del tempo era inutilizzata, dato che i due detective lavoravano assiduamente anche fino ad orari improponibili, specialmente se nel pieno delle indagini di un caso; camera loro era semplice: Nessun comodino, nessun comò, solo due tavolini, un armadio e il letto, il minimo indispensabile; infine la cucina era piccola, al centro un tavolo a penisola, con due sgabelli. Però era tutto ciò che loro chiamavano casa.
“Harreh, domani Nick ci dirà tutto ciò che ci serve, davvero. Ma ora riposiamo?” – chiese Louis, una volta messosi a letto, cercando di appoggiarsi al petto dell’uomo, per addormentarsi ascoltando i battiti del suo cuore, quando ci fu riuscito, storse il naso quando come al solito, sentendo che Harry non cingesse le spalle con il braccio, bensì gli sussurrò “buonanotte” all’orecchio e si addormentò. Louis sospirò. Nemmeno la notte Harry riusciva a staccarsi da quella maschera fredda che si ostinava a portare ogni giorno, anche con lui. Era un poliziotto, doveva essere freddo e calcolatore, ma almeno un abbraccio notturno poteva concederglielo, no?
Sospirò, e quando fu sicuro che il riccio si fosse addormentato, senza fare rumore e senza svegliarlo, infilò la testa sotto al braccio che il riccio teneva sulla pancia, lo lasciò scivolare lungo la sua spalla e trovò una posizione comoda sistemandosi sul suo petto. Si addormentò così, e sorrise. In fondo, Harry era con lui.
Non trascorsero tante ore, quando il telefono di casa di casa Styles-Tomlinson iniziò a squillare. Harry aveva il sonno pesante, e non sentì niente, Louis, a differenza sua, aveva il sonno leggero, abituato fin troppo, alle chiamate notturne. Si districò dall’ “abbraccio” notturno di Harry, e allungò un braccio verso il comodino afferrando il telefono e premendo il tasto verde per rispondere.
“Pronto?” – borbottò con la voce impastata dal sonno.
“L-Louis, s-sei tu?” – singhiozzò una voce dall’altro capo del telefono. Louis parve risvegliarsi di colpo.
Eleanor Calder, una sua amica, una ragazza carina dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri, un problema non risolto, era affetta da nevrosi ossessiva, aveva problemi con la gestione della sua rabbia ed era ossessionata da un ragazzo, ma in quel momento a Louis sfuggiva il suo nome. Le capitava spesso di avere attacchi di rabbia, seguiti da pianto isterico,  rabbioso e frustrato, e in quei momenti chiamava sempre lui, che conosceva tutto di lei e sapeva come calmarla come prenderla.
“El, che succede?” – chiese calmo, cercando di non mostrarsi agitato o altro.
“Louis, vieni!” – crash, un bicchiere in frantumi – “ti prego!” – crash, un piatto – “ho paura! Non mi fermo, non ci riesco!” – crash, crash, crash sempre più cose che volavano e si frantumavano, sempre più lacrime da parte di Eleanor, la situazione era critica. Louis non badò al fatto che fosse in pigiama, né ad Harry che dormiva. In quel momento doveva correre da Eleanor e aiutarla, non poteva lasciarla sola in quelle condizioni, le aveva promesso che sarebbe sempre corso da lei, in qualsiasi momento. Inoltre, le crisi di Eleanor erano peggiorate dopo che, due mesi prima, due delle sue più care amiche Danielle Peazer e Perrie Edwards erano state uccise poco dopo il loro trasferimento a Manchester.
“El, sta calma, arrivo subito. Cinque minuti e sono lì, va bene?”
“Fa presto, Lou…” – singhiozzò ancora, facendo cadere altro, poi Louis sentì un rumore e intuì che avesse lanciato da qualche parte anche il cellulare. Infilò un paio di scarpe, afferrò le chiavi dell’auto dal comodino di Harry e, dimenticando il cellulare nell’appartamento, corse fino all’auto di Harry – perché la sua era dal meccanico e non sapeva quando l’avrebbe riavuta - ancora in pigiama  e mezzo addormentato.
Mise in moto l’auto e in poco tempo, giunse all’appartamento della giovane, lontano pochi isolati da casa sua. Aprì la porta con la copia di chiavi che Eleanor lasciava sotto lo zerbino per lui, e fu accolto da urla disperate e piatti, bicchieri che volavano in tutte le direzioni. Scansò una forchetta, e raggiunse la ragazza, prendendole i polsi per fermare il lancio degli oggetti.
“El, El, calmati, ehi!” – lei puntò i suoi occhi sull’uomo di fronte a lei, e lo abbracciò liberandosi in un pianto ancora più forte e disperato di prima.
“E’ morto, è morto…” – singhiozzò – “è morto!” – urlò liberandosi i polsi e iniziando a riempire di pugni il petto del più grande che cercava in tutti i modi di calmarla.
“Eleanor, calmati, chi è morto?”
“Niall! Niall è morto!” – singhiozzò – “oggi sono andata all’orfanotrofio dove lavora, come tutti i giorni, io vado tutti i giorni da lui, e c’è sempre quel tipo con lui, quello moro, il suo fidanzato. E-e… mi hanno detto che non c’erano, nessuno dei due c’era, perché sono morti, morti…” – pianse ancora colpendo ancora Louis che ormai aveva fatto l’abitudine a quei colpi per niente dolorosi della giovane. Come aveva fatto a non pensarci? Ecco, perché Niall, il biondo, gli sembrava familiare, Eleanor aveva tantissime foto sue. Gliene parlava sempre quando si incontravano, ma quella mattina non aveva fatto il collegamento a lei.
“El, ti prometto che scoprirò chi è stato, è il mio lavoro, no?” – cercò di tranquillizzarla. Lei spalancò gli occhi e lo spinse via lontano da lei, guardandolo male.
“Come dovevi scoprire chi aveva ucciso Dani e Perrie?!” – urlò puntando gli il dito contro – “non sei un bravo poliziotto, Louis! No! Non lo sei, non l’hai scoperto!” – urlò in preda alla rabbia. Riprese ad urlare a  sfogarsi lanciando ovunque tutto ciò che trovava, poi si fermò, scosse la testa, perché non poteva prendersela con Louis, non poteva, Louis le stava sempre vicino, lui era buono con lei, non andava via quando stava male, lei non poteva trattarlo male… e si piegò su se stessa, iniziando ad urlare più forte, e a tirarsi i capelli dalla testa.
Louis immediatamente si abbassò accanto a lei e l’abbracciò da dietro, stringendola forte, facendo congiungere la schiena di lei e al suo petto, cullandola piano.
“El, hai preso le pillole?”  - le sussurrò calmo all’orecchio. Lei scosse la testa, appoggiando la testa sulla spalla dell’altro, inspirando il suo profumo. – “allora andiamo di là, prendi le pillole… e vuoi del tè?” – la cullò ancora, vedendola annuire. Pian piano, tenendola tra le braccia si sollevò da terra con lei.
“Mi prendi in braccio, Lou?” – chiese allacciando le braccia intorno al collo del più grande, che annuì e passando un braccio sotto le sue gambe la sollevò da terra stringendola e poi si diresse verso la stanza della ragazza, dove la depositò sul letto e, dopo averla lasciata lì, andò nel bagno, dove nel mobiletto in alto lei aveva le pillole per i nervi. Ne prese un paio, e dopo essere passato in cucina, aver messo su il bollitore con l’acqua ed aver riempito un bicchiere d’acqua fredda, tornò da lei porgendole le pillole.
“Ecco, mandale giù, io ho messo a fare il tè, così ti rilassi un po’.”
“Sì…” – biasciò lei prendendo le medicine che Louis le porgeva, e le buttò giù insieme all’acqua. – “vieni vicino a me?” – chiese con la voce bassa, e il castano si lasciò scappare un sorriso. Annuì energicamente e si sedette accanto a lei, mentre la ragazza si accucciava contro il suo petto e respirava finalmente di nuovo tranquilla.
“Ti va di parlarmi di Niall?” – chiese cauto Louis – “lo conoscevi bene?”
“No… lo vedevo tutti i giorni, all’orfanotrofio, era bello!” – raccontò la ragazza, con la testa affondata sul petto del maggiore – “andavo lì tutti i giorni e lo guardavo mentre giocava con i bambini… era bravo!” – sorrise appena – “ma c’era sempre quel tipo… Josh. Che antipatico, voleva Niall tutto per sé!”
“El, sapevi se… per caso, c’era qualcuno che voleva ucciderlo? Qualcuno che non lo sopportava?”
“N-no… lui era-era…” – Louis si rese conto di turbarla troppo con tutte quelle domande, e si limitò a stringerla e a dirle che andava bene così, che era stata brava, e che dovesse riposare. Quando dalla cucina, il fischio stridulo del bollitore lo avvertì che l’acqua fosse pronta, il castano si assicurò che la ragazza fosse calma e andò in cucina, prendendo un vassoio, sul quale sistemò il barattolo dello zucchero, due cucchiaini e due tazze, all’interno delle quali mise una bustina di tè, e poi versò l’acqua in entrambe le tazze, lasciando in infusione per qualche minuto; quando decretò che fosse sufficiente rimosse le due bustine e le gettò nella pattumiera per poi zuccherare le due tazze di tè caldo, successivamente afferrò il vassoio e tornò dalla ragazza, che da quando era andato nell’altra stanza, era rimasta seduta in mezzo al letto, vigile e spaventata, come se quell’attacco potesse tornare da un momento all’altro.
Senza dire una parola, Louis si sedette accanto a lei e le porse il tè, Eleanor prese la tazza contenente la bevanda calda tra le mani e sorrise appena al ragazzo, bevve tutta la tazza di tè, e attese che anche Louis – il quale la scrutava attento, sperando che non le arrivasse improvvisamente un’altra crisi – finisse di bere il suo. Il castano afferrò le tazze e le mise sul comodino, mentre la ragazza si stringeva a lui, appoggiando la testa sul suo petto, cercando accanto a Louis un po’ di serenità per quella notte. Louis, dal canto suo, avvolse un braccio attorno alle spalle di Eleanor e la strinse con dolcezza sperando con quelle coccole di tranquillizzarla almeno un po’.
“Scusa Lou, ti chiamo sempre, magari eri con Harry…” – biascicò Eleanor con la voce tremolante.
“Non importa, Harry dormiva, è stata una giornata strana.” – la rassicurò – “e poi lo sai che non si offende se vengo da te ogni tanto.”
“Ma mi odia” – si lamentò facendo ridacchiare l’altro che la strinse ancora di più.
“Harry è solo… un po’ insensibile, non odia nessuno, fidati di me.”
“Sempre” – sbadigliò accucciandosi meglio tra le sue braccia, e chiudendo gli occhi, mentre uno stanco Louis sbadigliava sonoramente e chiudeva gli occhi cullando la ragazza.
Non importava che il giorno dopo avrebbe litigato con Harry, se un’amica aveva bisogno di lui, lui correva. Non c’era niente da fare, specialmente se a chiamarlo era Eleanor, lei era come una sorella minore per lui, nonostante ne avesse altre tre a casa sua. Prima di addormentarsi, attese che Eleanor si addormentasse definitivamente, e crollò anche lui in un sonno profondo, almeno in quelli Harry gli avrebbe mostrato un po’ di dolcezza.
 
 
“Dov’eri?” – chiese un Harry già pronto con la divisa indossata alla quale mancava solo la cintura, mentre Louis entrava di soppiatto dalla porta, intorno alle sei del mattino, credendolo ancora addormentato. Si immobilizzò sentendo la sua voce. Da quanto era sveglio?
E perché aveva le braccia incrociate al petto e l’espressione arrabbiata?
“Da Eleanor, ha avuto una crisi e mi ha chiamato.” – rispose con la verità il castano, senza però guardare il suo interlocutore. Sapeva che ad Harry non facesse piacere che lui si prendesse cura di una “pazza” come diceva il più grande, che secondo lui doveva essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico e che non meritasse tutte le attenzioni che Louis puntualmente le riservava, ma lui proprio non ce la faceva a lasciarla da sola, sapendo che quando aveva quegli attacchi rischiava seriamente di farsi del male.
“Ah. E non si usa più, tipo, avvisare?” – chiese nervoso – “o portare il telefono?” – incalzò – “o vestirsi prima di uscire?” – ancora – “cos’è Eleanor è così importante da dimenticare anche come ci si presenta a casa degli altri?”
Era una scenata di gelosia o qualcosa di simile?
Louis non riuscì a trattenere un sorriso dolce, nascergli sulle labbra. Harry si era preoccupato per lui, Harry era geloso, a modo suo Harry ci teneva a lui, e Louis non perse l’occasione di stuzzicarlo un po’.
“E’ una scenata di gelosia, Haz?” – chiese avvicinandosi all’armadio per prendere gli abiti da indossare.
“Sciocchezze, è solo informazione.”
“Sciocchezze” – ripeté in un sussurro Louis, mentre prendeva una camicia bianca – “beh comunque era una crisi grave. Lo sapevi che El era innamorata di Niall?” – chiese tirando fuori la giacca – “sì, proprio quello che è stato ucciso. Per questo ha avuto la crisi.”
Harry ascoltò le parole del fidanzato, con un cipiglio strano. Cosa stava farneticando? Lui non sapeva assolutamente niente di tutta quella storia. Da quando Louis gli teneva nascoste certe cose?
“Innamorata?”
“Più che innamorata, ne era tipo ossessionata. Sai, no? Soffre di nevrosi ossessiva. Quindi, credo non sono uno psicologo, che dipendesse anche dall’ossessione per un ragazzo impegnato con un altro.”
“Impegnato…?”
“Già, con Josh, ehi ma stamattina sei, tipo, ritardato?” - il più grande annuì, come assordo in chissà quale altro universo parallelo, senza accorgersi minimamente della specie di insulto del minore. Louis non si accorse che quello che aveva detto ad Harry avrebbe potuto ritorcersi contro Eleanor – “magari appena sta meglio, facciamo qualche domanda a lei sui possibili nemici che avevano, no?” – continuò ignaro di ciò che nella mente dell’altro ragazzo stesse accadendo – “Harry, mi ascolti?” – chiese rendendosi conto che il suo compagno proprio non prestava attenzione alle sue parole.
“Ci vediamo in centrale.” – sorrise allora, avvicinandosi al ragazzo, e lasciandogli un bacio a stampo sulle labbra, lasciandolo totalmente interdetto. Prese la cintura, e la mise sopra i pantaloni, poi afferrò la giacca e dopo averla indossata uscì prima dalla camera da letto, e poi dalla casa, dirigendosi alla centrale di polizia.
Louis rimase immobile una decina di minuti a riordinare i pensieri, con lo sguardo perso in un punto imprecisato dell’armadio.
Harry aveva manifestato gelosia nei suoi confronti.
Harry gli aveva dato un bacio sulle labbra.
Harry era strano da due giorni e Louis non si spiegava il perché.
Sospirò vestendosi. C’era sicuramente qualcosa che non andava, o che stava cambiando tra di loro, Harry era davvero – davvero – strano. Era un detective, se riusciva a risolvere i casi di omicidio più difficili, perché non poteva risolvere anche il mistero chiamato Harry Styles?
 
 
Harry era arrivato in centrale. Era ancora presto, ma sapeva di trovare Nick già nel laboratorio, magari impegnato in una discussione con i due cadaveri. Il giorno prima, non era stata la prima volta che lo trovavano in “conversazioni”, forse meglio, monologhi con i cadaveri, prima di operare e procedere con l’autopsia.
Entrò velocemente nel laboratorio, trovando Nick già al lavoro con il camice, e in mano mille foto. Harry non si spiegava ancora, come mai con tutta la tecnologia di cui erano dotati, lui usasse ancora i block notes per segnare i dati relativi ai vari omicidi. Non faceva più confusione?
Ma questo non importava, Harry doveva sapere se la sua teoria fosse giusta.
“Buongiorno, Nick.” – disse entrando, il medico lo sentì e si voltò verso di lui con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Harry conosceva benissimo quell’espressione: Nick aveva scoperto qualcosa, ed era anche qualcosa di importante a giudicare dal materiale che aveva tra le mani.
“Immagino tu abbia scoperto qualcosa.”
“Sì, in effetti, molto.” – dichiarò il medico legale, guardando l’investigatore – “ricordi il caso non risolto delle due ragazze di Manchester?” – chiese prima di esplicare la sua teoria.
“Sì, ricordo perfettamente. E’ stato archiviato per mancanza di prove.”
“Allora consiglio di riaprirlo, le ferite riportate sono le stesse e il decesso è identico.” – spiegò – “uno accoltellato l’altro sgozzato, tuttavia non sono morti a causa di quelle ferite, bensì per ripetute scosse elettriche.”
“Anche le due ragazze.”
“Esatto. Ci troviamo di fronte ad un potenziale serial killer.”
Harry annuì lentamente, assimilando la spiegazione del medico legale.
“Sospetto che siano due.” – continuò – “da ciò che so un serial killer uccide nella stessa maniera tutte le vittime, qui le vittime vengono uccise in due modi diversi” – spiegò ancora – “sì, l’elettricità è un fattore comune, ma le ferite e i danni riportati prima della scossa suggeriscono che sono due modi diversi.” – lui parlava ed Harry assimilava tutto ciò che diceva come una spugna – “anche la scarica elettrica  è inflitta in modo diverso” – indicò il cadavere del ragazzo biondo – “su Niall è stato inferto alla gola, mentre…” – indicò quello del bruno – “a Josh è stato inferto sull’addome” – completò la spiegazione, lasciando Harry leggermente perplesso – “sono due, Styles, sono due serial killer che collaborano e operano sempre insieme.” – concluse poi, guardando il riccio, che annuì ancora senza aggiungere nulla. I suoi sospetti erano giusti, e sicuramente all’arrivo di Louis, avrebbero discusso su quanto scoperto, e, inoltre, avrebbero riaperto il caso archiviato tempo prima delle due ragazze di Manchester. Se c’erano due serial killer da trovare, allora Harry Styles li avrebbe smascherati, trovati e rinchiusi per il resto dei loro giorni, e già aveva un sospetto di chi potesse essere uno dei due colpevoli. Ringraziò il medico legale, e si recò negli archivi, per recuperare tutto il materiale raccolto durante l’indagine precedente. Era stato solo un caso che fossero stati affidati a lui e a Louis due casi identici, ma stavolta avrebbero smascherato i colpevoli, quello precedente era l’unico caso che non avevano risolto, non ancora. Li avrebbero costretti a confessare e a rivelare i moventi, e forse Harry aveva già un’idea di chi fosse uno dei complici. E aveva giurato su quanto avesse di più caro al mondo che avrebbe scoperto anche il secondo, salvando così, le future vittime di quegli assassini. Si ritirò nel suo ufficio con la cartellina piena delle prove e indagini appartenenti al caso precedente, e una volta alla scrivania, prese ad esaminarle tutte: Danielle Peazer e Perrie Edwards erano state uccise nello stesso modo, due mesi prima. Anche loro si trovavano in casa da sole, erano state ritrovate con le lesioni uguali e identiche a quelle di Niall Horan e Josh Devine, ed in più erano state ritrovate nella stessa posizione delle due vittime nuove.
Se non era opera di qualche serial killer, di chi poteva essere?
Harry riguardò tutto.
Testimonianze, dichiarazioni, confessioni, i possibili moventi, le diverse coincidenze, e le varie persone in contatto con le vittime. E solo due nomi, che per Harry potevano essere possibili assassini, comparivano tra le varie conoscenze delle ragazze, ed erano comuni anche ai due ragazzi uccisi quella mattina.
Eleanor Calder e Taylor Swift.
 
 
Quando Louis entrò nell’ufficio che divideva con Harry, trovò il fidanzato con un sorriso compiaciuto sul viso, e l’espressione saccente, tipica di quando aveva già risolto un caso.
Tipico suo, non considerare altre ipotesi. Per quell’uomo solo le sue teorie erano valide.
Senza fiatare, Louis si sistemò alla seconda scrivania della stanza, e guardò il più grande di fronte a lui che sfogliava un fascicolo di un’indagine precedente. Sospirò, notando che non gli avesse nemmeno rivolto uno sguardo, preso com’era dal lavoro. Certo, era vero che era un investigatore, che era tutto d’un pezzo, che non era incline alle emozioni, però Louis non chiedeva tanto, solo un minimo accenno di interesse, piccolo. Passava dall’essere protettivo e geloso – come quella mattina – all’essere totalmente indifferente e insensibile.
Louis usò la tecnica della classica “falsa tosse” per attirare l’attenzione.
“Oh ciao, Louis, cercavo proprio te. Ho una pista, e sono sicuro che sia quella giusta.”
Louis annuì e incrociò le braccia al petto, in attesa di una spiegazione da parte del suo collega e compagno. – “ho riaperto il caso delle due ragazze di Manchester.”
Louis strabuzzò gli occhi.
Aveva riaperto un caso, senza dirgli nulla?
“Hai riaperto un caso? Non mi hai detto nulla”
“Scusa, signorino che se la prende comoda, dovevo aspettare i tuoi comodi?” – chiese freddamente come sempre. –“sei arrivato tardi, come al solito.”
Louis non mostrò di esserci rimasto palesemente male, non abbassò lo sguardo com’era solito fare, non rispose alla provocazione con altre frecciatine. Certo, non era colpa sua se lui lo turbava in quel modo, e poi lo lasciava a piedi, sapendo che la sua auto fosse dal meccanico, non era colpa sua se era dovuto andare in ufficio con l’autobus.
“Allora, cosa ti ha detto Nick? Immagino tu sia andato già da lui, no?” – chiese ignorando ciò che il riccio gli aveva detto.
“Esattamente. Ricordi il caso Edwards/Peazer?” – Louis annuì attento – “ecco. E’ opera di due serial killer che lavorano insieme.” – Louis strabuzzò gli occhi. Allora il sospetto del giorno prima, era vero. – “e sono gli stessi che hanno ucciso i due ragazzi di ieri.”
Qualcuno aveva ucciso nello stesso modo quelle due coppie di persone, e non erano due omicidi scollegati, ma collegati tra di loro. E Louis era certo che Harry avesse già il colpevole.
“E tu hai qualche sospetto?” – chiese cauto, sperando di non infastidirlo. Non voleva rischiare un’altra frecciatina da parte sua. – “a parte gli omofobi, ovvio.”
“Certo che ce l’ho. Ne sono sicuro, anzi.” – sorrise soddisfatto di se stesso –“Eleanor Calder.”
“Che cosa?” – Louis trattenne una risata isterica – “Eleanor?”
“Sì, esatto. Eleanor.” – confermò il riccio. Louis non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro. Certo, Harry poteva essere geloso quanto voleva, ma addirittura accusare Eleanor, che già soffriva troppo per problemi suoi, era esagerato, non poteva subire anche quel tipo di problemi da parte di Harry e la sua gelosia.
“Non ridere, Louis, dannazione. E’ una potenziale serial killer.”
“Eleanor? Eleanor Calder?” – chiese Louis retorico – “oh andiamo, Harry, lo sai che io credo sempre nelle tue supposizioni, ma questa è assurda. El soffre di nevrosi, e ha problemi a contenere la rabbia, ma non ucciderebbe mai una persona.” – scosse la testa, indignato, non poteva davvero arrivare a tanto per gelosia.
“Il movente c’è.  Delitto passionale.” – spiegò Harry – “tu hai detto che era ossessionata da lui.”
“Ma se non lo conosceva nemmeno. Si limitava a guardarlo mentre lavorava.” – e Louis non si accorse del luccichio negli occhi di Harry, mentre diceva quella frase. Non si accorse che con la sua frase avesse peggiorato la situazione.
“Anche stalking. Qualche altra aggravante?”
“Harry, non puoi davvero sospettare di Eleanor!” – Louis alzò la voce. Non aveva mai alzato la voce, né tanto meno con Harry, ma la sua pazienza aveva un limite, e per il castano, Eleanor era intoccabile, perché provava uno snaturato senso di protezione verso di lei. Non era di certo colpa sua se soffriva di quegli attacchi. Era una ragazza sola, senza famiglia, che aveva vissuto con la nonna, prima che anche questa l’abbandonasse. Ed era stato da allora che Louis aveva preso sulle sue spalle la responsabilità di quella ragazza, le pagava le sedute dallo psicologo, le bollette e anche l’affitto della casa – ovviamente Harry non lo sapeva, ed era meglio che non lo sapesse – era diventata una sorta di sorella minore per lui, e non voleva assolutamente sottoporla ad altri stress.
“Posso, e non sospetto. Io sono sicuro che sia stata lei.”
“Ma non può essere stata Eleanor, è malata, non è un’assassina!” – esclamò Louis a voce alta, per far capire al più grande che lui non era d’accordo con quell’ipotesi, che quella era da scartare, che non era possibile.
“E’ logico che per te non è lei, per te lei è intoccabile!”
“Harry, smettila di essere geloso!” – Louis perse le staffe, iniziando ad urlare – “siamo solo amici, chiaro? Mi telefona perché sono l’unico a sapere come calmarla!”
“Sciocchezze, non sono geloso.” – fece il più grande pacatamente, a differenza del più piccolo che aveva decisamente perso la pazienza – “e tu non difendere una potenziale assassina.”
“Harry, quando la smetterai di crederti superiore a tutti gli altri?” – chiese innervosito Louis. Non sapeva se lo innervosissero di più l’atteggiamento freddo di Harry nei suoi confronti, la sua totale mancanza di fiducia in lui, il fatto che accusasse una sua amica, o che volesse ostentatamente essere superiore a tutti gli altri, ad ogni costo.
Per quanto lo amasse, Louis non riusciva a sopportare quando Harry si comportava in modo così… stupido.
“Louis, calmati, non è consono il tuo atteggiamento” – replicò ancora pacatamente il più grande, facendo innervosire maggiormente il minore, che però si ostentò a mantenere la calma e di non perdere la pazienza come poco prima.
“Harry, per favore, ragiona” – lo pregò – “ti stai comportando come uno stupido, sospetti di un’innocente e distogli l’attenzione dal caso” – spiegò calmo – “per favore, ragiona.” – ripeté, facendolo suonare una supplica, immergendo il suo sguardo in quello del compagno, che non diede segno di cedimento, né di voler cogliere la muta supplica degli occhi del più piccolo. Non voleva cambiare idea, era evidente.
“Credo, anzi sono sicuro, di sapere anche chi sia il complice.” – continuò infatti, facendo cadere l’argomento, distogliendo lo sguardo da quello del più piccolo, tornando a consultare le prove del caso precedente.
“Chi?” – chiese Louis, mascherando il fatto che ci fosse rimasto visibilmente male.
“Taylor Swift” – disse con il suo ghigno, tipico di quando era sicuro di sé – “la sua amica.”
Louis aveva avuto modo di conoscere Taylor, quando aveva accompagnato Eleanor dallo psicologo. Taylor era amica di Eleanor, Louis aveva scoperto che la ragazza soffrisse di nevrosi isterica, e si poteva notare ciò dal comportamento della ragazza che mostrava le conseguenze più diffuse di quel disturbo, come l’instabilità emotiva, suggestionabilità, infantilismo ed egocentrismo, oltre a stati alternati di depressione ed euforia, ma di certo una ragazza del genere, non poteva essere un’assassina.
“Oh santo cielo, sono nevrotiche, non sono assassine!” – esclamò perdendo nuovamente la pazienza – “vanno da uno psicologo e prendono i tranquillanti, non ucciderebbero mai nessuno.”
“La smetti di fare l’avvocato?!” – sbottò Harry – “sei un detective, da quando fai l’avvocato?!” – si ritrovò ad alzare la voce, andando contro al suo autocontrollo. – “quello è il lavoro di Sheeran, cazzo!”
“Da quando accusi delle persone innocenti!” – Louis lo seguì nell’alzare la voce, sovrastando la sua voce roca, con la sua acuta. – “non mi importa che è il lavoro del tuo amico, non puoi accusare due innocenti!”
“Sciocchezze, e questa conversazione è durata fin troppo.”
Louis represse internamente un urlo di frustrazione. Harry non lo prendeva mai sul serio, mai.
“Sei impossibile!” – si ritrovò ad urlare, ormai stanco di tutto.
Così com’era entrato nell’ufficio, voltò i tacchi e se ne andò, sbattendo la porta. Non si curò del fatto che potesse sembrare infantile in quel momento, doveva sfogarsi in qualche modo, e quello era l’unico modo che conosceva. Comunicò fugacemente a qualcuno che sarebbe andato via, e uscì definitivamente dalla centrale, dirigendosi a casa del suo migliore amico. Liam Payne.
Liam Payne era il migliore amico di Louis, l’unico, a detta del castano, in grado di ascoltarlo per ore intere senza mai battere ciglio, in grado di non lamentarsi, salvo qualche volta in cui poteva – giustamente – perdere la pazienza, il migliore amico che avesse mai potuto avere. Si conoscevano da circa sedici anni, e Louis sapeva come fosse: con delle strane manie, a volte apatico, spesso e volentieri impulsivo e irresponsabile, un po’ restio alle emozioni – come Harry – ma, in fondo, era una persona normale, con i suoi pregi – era un ottimo ascoltatore, per esempio – e i suoi difetti – era un po’ strano, ma nulla di grave, a detta di Louis – ma comunque il suo migliore amico.
Louis in cinque, forse dieci, minuti con il passo sostenuto, a piedi, con una velocità che nessuno si sarebbe mai aspettato da lui, arrivò a casa Payne-Malik.
Zayn Malik era il convivente di Liam. Era un tipo un po’ misterioso, sempre sulle sue, eccessivamente egocentrico – ma in fondo, chi non era un po’ egocentrico, a volte? Persino Louis, a volte, aveva quel dannato bisogno di trovarsi al centro dell’attenzione di qualcuno, ad esempio a quella di Harry – vanitoso, anche lui irresponsabile ed impulsivo, ma molto di meno rispetto a Liam, e con una superficialità innaturale riguardo a regole e leggi, ad esempio, Louis l’aveva spesso trovato a fumare erba, ma non era niente di grave, in fondo,  tutti i giovani a volte fumavano erba. Louis chiudeva sempre un occhio quando si trattava di Liam e Zayn, per il suo semplice essere dannatamente protettivo verso tutte le persone a cui teneva. Zayn e Liam si erano conosciuti grazie a lui e ad Harry, una sera durante una delle pochissime uscite di Louis ed Harry, avevano incontrato Zayn, un conoscente di Harry, e Louis aveva avuto la brillante idea di presentarlo a Liam, perché vedeva l’amico sempre solo e sospettava fosse triste, e ci aveva visto giusto, visto che dopo nemmeno un paio di mesi i due si erano trovati in perfetta sintonia, e avevano iniziato a frequentarsi. Dopo sei mesi erano andati a vivere insieme, e Louis non poteva che essere più felice per il suo migliore amico, che aveva trovato una persona che gli volesse bene, e che tale lo facesse stare.
Non appena suonò al campanello, un ragazzo dai cortissimi capelli castani e gli occhioni dolci, gli aprì la porta.
“Louis?” – chiese stupido, aprendo totalmente la porta per permettergli di entrare.
“Lì, ho litigato con Harry” – esordì entrando in casa – “è uno stupido! Crede che Eleanor sia la colpevole, così senza indagare!” – continuò mentre Liam gli afferrava un polso, chiudeva la porta d’ingresso e lo trascinava in salotto per farlo accomodare sul divano – “ti rendi conto?!” – sbottò gesticolando, quando Liam lo lasciò sedendosi di fronte a lui, per ascoltarlo – “in più non mi calcola mai, mai! Nemmeno un bacio o una carezza” – si lamentò, Liam gli fece un cenno con la testa, che Louis interpretò come un‘va avanti’ – “non chiedo tanto, ma nemmeno un passaggio con l’auto la mattina per andare al lavoro, nello stesso posto?” – Liam sembrava perso in un mondo tutto suo, lo sguardo puntato a contemplare il vuoto in un punto indefinito oltre la spalla di Louis, ma il castano era convinto lo ascoltasse – “è uno stronzo a volte, capisci?” – continuò a lamentarsi – “Ah! Poi è geloso, se vado da El perché ha le crisi e a bisogno di me, quando torna fa scenate di gelosia da prima donna!” – strillò spazientito ed esasperato – “ma lo amo, Liam, lo amo tantissimo” – abbassò la voce, deglutendo e sospirando – “non riesco a pensare di non averlo accanto nella mia vita. Senza di lui sarebbe orrendo” – abbassò lo sguardo verso il pavimento, e un abissale silenzio piombò tra lui e Liam, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio di legno posto sopra la televisione.
Louis stava per riprendere a parlare, quando Liam uscì dal suo stato catatonico.
“Ma se non ti caga di striscio?!” – sbottò improvvisamente stanco di tutto quel lamentarsi di Louis, ah già, aveva la tendenza a perdere facilmente la pazienza se una cosa gli recava troppa noia.
“Ma Liam…” – Louis non si aspettava una reazione così aggressiva da parte del suo migliore amico, e forse per lui la cosa peggiore era che non mostrava sensi di colpa per aver appena palesemente ferito il castano di fronte a lui, dopo avergli urlato brutalmente in faccia la sua idea sul rapporto tra lui ed Harry.
“Louis, apri gli occhi, a lui non importa nulla di te, altrimenti ti darebbe un passaggio o si interesserebbe di più a te.” – il detective non si aspettava quelle parole, voleva solo essere tranquillizzato e invece gli venivano sbattute in faccia verità che lui sospettava, ma non accettava.
“Io…” – provò a dire, ma Liam non gli diede modo di continuare, interrompendolo.
“No, Lou, devi lasciarlo, è l’unica soluzione.”
Louis non voleva lasciare Harry, sapeva che sotto – molto sotto – ci tenesse a lui, che gli volesse bene, forse che lo amasse anche, ma si nascondeva dietro al suo atteggiamento cinico, freddo e indifferente. O almeno, Louis si illudeva fosse così, per non soffrire più di quanto non facesse.
Sapeva che Liam lo dicesse per il suo bene, ma proprio non aveva il coraggio di lasciare Harry, era tutto per lui, anche se il riccio non mostrava affetto per lui, salvo poche volte, lo era, perché l’aveva salvato dalla solitudine, anni prima.
“Liam, non dire sciocchezze, non potrei mai lasciarlo.” – dichiarò scuotendo la testa.
“E allora soffri, che ti devo dire.” – sbuffò l’altro – “non tutti sono fortunati come me e Zayn.”
Louis sentì qualcosa spezzarsi dentro il suo petto, ipotizzò fosse il suo cuore che si lacerava a causa delle parole dell’amico. La verità faceva male, dannatamente male, e Louis non poteva far altro che andare via da lì, e tornare al caso. Era molto più importante, ovviamente, smascherare l’assassino e evitare che altri omicidi avvenissero, era il suo lavoro.
Prima che Louis potesse ribattere in qualche modo, la porta dell’ingresso si aprì ed un ragazzo dai capelli scuri, occhi nocciola e pelle ambrata fece la sua entrata nella casa.
“Liam! Ho portato della roba buona!” – urlò dall’ingresso, ignorando che Louis fosse presente. Una cosa che non sopportava era quell’amico detective di Louis, era sempre tra i piedi. Non che fosse geloso, sapeva che Liam avesse bisogno di lui, tanto quasi lui ne aveva bisogno di Liam, ma non gli era proprio simpatico, non lo capiva e non capiva nemmeno Liam, era solo un estraneo. Il moro raggiunse i due nella sala da pranzo e sbiancò quando vide Louis.
Ci mancava solo la palla al piede. – imprecò mentalmente. Non sentiva di far qualcosa di sbagliato, ma il fatto stesso di avere Louis nella stessa casa con lui e Liam, lo faceva infuriare.
Louis tossicchiò, cercando di far finta di non aver sentito, e facendo capire a Zayn che lui fosse presente, era vero che difendeva Liam, non diceva niente ad Harry della droga dei suoi amici, ma almeno che non la usasse davanti a lui, e non ne parlasse, no?
“Zay!” – esclamò Liam sorpreso, con un sorriso strano sul viso – “c’è Louis.”
“Oh, ciao Louis.” – sorrise senza curarsi che lui fosse un detective, uno che lavorava per la giustizia – “vuoi fumare un po’? Io e Liam siamo generosi.”
“No, ti ringrazio, Zayn. Cercate di far sparire quella roba. Non vorrei arrestarvi per possesso di sostanze stupefacenti.” – scosse la testa, alzandosi, doveva tornare a lavoro, non poteva perdere altro tempo a lamentarsi, a volte dimenticava che prima di tutto, prima dei suoi sentimenti, era un detective e doveva risolvere un caso. Certo, Harry era migliore di lui anche in questo, sempre attento al lavoro, sempre pronto ad agire, lui no. Lui era il classico tipo debole. Se si fossero trovati in un film, Harry sarebbe stato il poliziotto cattivo, mentre Louis quello buono.
“No, Lou, tranquillo! Non usciranno da qui!” – promise l’amico con un sorriso innocente sulle labbra.
Louis annuì distrattamente, alzandosi dal divano. Dopo un paio di rapidi saluti uscì di casa, dirigendosi alla centrale di polizia, per parlare con Harry, chiarire e tornare al caso. Aveva due obiettivi: smascherare l’assassino e far cadere le accuse contro Eleanor.
Era ignaro però, che Zayn per “roba buona” non intendesse solo l’erba da fumare, no. Aveva fatto un “affarone”, come aveva spiegato a Liam una volta che Louis fu andato via, aveva incontrato un tizio, e questi gli aveva venduto “ad un prezzo stracciato” di tutto: erba, cocaina, eroina, e tanti altri tipi di droghe solo da provare, o riutilizzare.
Louis ignorava che il suo migliore amico fosse dipendente dalla droga, così come lo era Zayn. Liam e Zayn vivevano quasi in simbiosi, per certi aspetti. Ciò che faceva l’uno, faceva l’altro. Entrambi erano due persone dai passati strani ed inquietanti.
Liam fin da piccolo aveva subito maltrattamenti, sua madre soffriva di depressione, e suo padre era alcolizzato. Lei non si prendeva cura del figlio, lui lo picchiava, a volte con le mani, altre con la cintura, altre ancora con i piedi, i calci, a volte, quando Liam piangeva troppo, arrivava anche a chiuderlo in camera sua senza cibo ed acqua per due, tre giorni. Il bambino aveva iniziato a bagnare il letto all’età di cinque anni, e non aveva smesso fino agli undici. E questo era un altro motivo di punizione nei suoi confronti, non era consono bagnare il letto fino a quell’età, non capivano che Liam bagnasse il letto perché avesse paura, perché di notte era tormentato dagli incubi, perché aveva semplicemente paura. Era cresciuto in essa, aveva vissuto con essa nella pelle, e quello era uno dei modi per scaricare la paura, come una sorta di liberazione. Le cose erano peggiorate quando la madre era stata rinchiusa in manicomio per aver tentato di soffocare il figlio durante la notte, sentendosi in colpa lo aveva portato in ospedale, quando si era resa conto che il figlio quasi non respirasse più, costituendosi pentita, e proprio in ospedale, Liam aveva conosciuto Louis. Quando accade, si era sentito meno solo, ma lui non lo capiva. Non poteva capirlo, non lo conosceva davvero. Era  solo un amico che lo abbracciava, e lo coccolava di tanto in tanto, quando il padre non era in casa. Il padre dopo quell’avvenimento era diventato ancora più violento nei suoi confronti, Liam non aveva mai aperto bocca su quanto accadesse tra quelle quattro mura. Aveva appena quindici anni, era in seconda superiore, quando Louis per puro caso era passato da lui, e, trovando la porta aperta si era preoccupato che avesse subito una rapina mentre era solo in casa, era entrato, lo aveva trovato in lacrime, rannicchiato contro un muro terrorizzato da qualcosa, o qualcuno. Liam ricordava come Louis fosse corso da lui, e lui gli avesse balbettato qualcosa come “tornerà e mi farà male, mi farà male” singhiozzando, e Louis più volte aveva tentato di capire, gli chiedeva chi fosse, che lui l’avrebbe aiutato sicuramente, e Liam era riuscito a dire “mio padre” solo quando Louis lo ebbe alzato da terra, posto sul divano e medicato tutte le sue ferite. Louis, a nome di Liam, aveva denunciato quell’uomo, ma Liam aveva taciuto sulla sua infanzia, e da quel momento Louis aveva preso a cuore la situazione di Liam, dopo il processo che decretava che il ragazzo fosse affidato agli zii, che però non lo vollero, Louis lo aveva accolto in casa sua, insieme a sua madre, che con gioia lo aveva adottato fino ai pochi anni prima, quando era andato a vivere da solo, e in seguito con Zayn, e con lui aveva imparato a mandare via i fantasmi del passato, buttandosi nella droga.
Anche Zayn non aveva vissuto un’infanzia felice, il suo primo ricordo era un orfanotrofio.
Crescendo, aveva scoperto di essere stato abbandonato dai genitori in un cassonetto dell’immondizia e trovato da una suora per puro caso. I primi anni della sua vita trascorsero in tranquillità, ma le cose peggiorarono quando fu adottato dalla prima famiglia all’età di sei anni. Lui non aveva mai avuto rapporti con altre persone che non fossero le suore dell’orfanotrofio, era sempre stato un tipo silenzioso e tendente all’asocialità. Quando si ritrovò in una famiglia con due figli naturali e due adottati, fu messo a dura prova. Quei bambini erano petulanti per i suoi gusti, non li sopportava, e un paio di volte era arrivato a picchiare quell’insulso bambino di tre anni. Lo avevano riportato all’orfanotrofio dopo soli tre mesi di convivenza, descrivendolo come un ragazzo troppo violento e indisciplinato per quella perfetta famiglia. Quello era stato l’inizio della fine di Zayn, avevano iniziato a spostarlo da un orfanotrofio all’altro, le famiglie lo prendevano con loro, ma dopo poche settimane lo rispedivano indietro, come un pacco postale, spesso era punito con maltrattamenti, botte. Zayn era sempre uscito a testa alta da questi, e aveva sempre desiderato andare via da quel luogo, non aveva mai avuto una famiglia decente, quelle che aveva avuto erano state pessime, e lo avevano rimandato via, ricordava una in particolare, che aveva abusato di lui, e poi lo aveva scaricato di nuovo all’orfanotrofio, uno diverso – tanto per cambiare – ma all’età di diciotto anni Zayn era fuggito. Da maggiorenne era potuto fuggire da quel luogo terribile. Per un po’ aveva vissuto in strada, poi era entrato nel giro della droga, e aveva guadagnato abbastanza spacciandola, ma annoiato da quello, e conservando i soldi, aveva deciso di trovare una casa. La sua casa di prima non era tanto grande, era piccola, costava pochissimo ed era sempre al buio e senz’acqua. Aveva fatto quella vita, fino all’arrivo di Liam.
Liam lo capiva, Liam l’aveva salvato. E lui aveva coinvolto Liam nel giro della droga.
Lui dipendeva da Liam, quasi quanto Liam dipendesse da lui, identicamente a quanto loro dipendessero dalla droga.
 
 
Louis era appena ritornato alla centrale.
Aveva velocemente salutato tutti i colleghi, ed era corso in ufficio, dove aveva trovato Harry, ancora chino sulle varie prove. Una cosa che non si spiegava, e come avesse fatto a riaprire il caso senza il permesso del giudice, avrebbe chiesto poi, una cosa premeva dentro di lui, non importava che lui non avesse sbagliato, che fosse nel giusto, che Harry avesse torto. Non importava niente di tutto ciò, nemmeno che lui sospettasse di Eleanor, tanto la verità sarebbe venuta fuori in un modo o nell’altro.
“Haz, scusa, non volevo perdere la pazienza prima” – esordì entrando – “ho perso la pazienza, sai come io sia protettivo verso El” – si morse le labbra per non dirgli che lui aveva ragione, che non avesse torto, che lui, Harry, fosse solo un presuntuoso che credeva di sapere tutto, ma non disse niente – “indaghiamo prima di tirare conclusioni affrettate, d’accordo?”
“Ho già fatto convocare la sospettata.”
Louis non si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. Com’era possibile che Harry fosse davvero così menefreghista nei suoi confronti? Che Liam avesse ragione? Magari lasciarlo era davvero la soluzione giusta, ma come poteva?
No, in quel momento, doveva pensare al caso, poi avrebbe potuto pensare ad Harry, e doveva aiutare Eleanor ad uscire da quella situazione.
Louis dovette ricorrere a tutta la sua calma interiore per non urlare contro ad Harry ancora, come un’ora prima, fino a che una volante arrivò, e il castano dalla finestra, vide due uomini scortare due ragazze terrorizzate.
“Harry, non mi sembra il caso, insomma, sono due ragazzine di ventidue anni, e…”
“Louis, quando imparerai a mettere da parte la bontà e ad essere più cinico?” – fece superandolo ed uscendo – “non puoi rammollirti solo perché sono spaventate. Non assisterai all’interrogatorio, lo farò da solo.” – detto ciò uscì dalla porta lasciando un povero Louis solo, sprofondato nella vergogna. Non ne poteva più di essere trattato come un idiota da quello che doveva essere il suo presunto fidanzato.
Sbuffo, e nonostante le sue parole, lo seguì. Voleva assicurarsi personalmente che non trattasse mai male Eleanor, come detto, quella ragazza era importante per Louis, fin troppo, gli ricordava la sua sorellina, persa tanti anni prima, quando aveva dodici anni, a causa di un incidente al parco. Louis spingeva la carrozzina, la mamma era accanto, e improvvisamente dei pazzi con le motociclette, infrangendo le regole del parco comunale di Doncaster, erano entrati, correndo e uno di loro, passando vicinissimo a loro, aveva fatto ribaltare la carrozzina, Louis aveva cercato di afferrare la bambina tra le braccia, ma non ci era riuscito e aveva visto la sua sorellina cadere e battere la testa per terra. Non l’aveva sentita piangere, e credette che fosse una reazione della bambina, perché la sua sorellina era tranquilla, ma quando vide la mamma abbassarsi a terra, raccogliere la bambina e iniziare a piangere aveva iniziato ad elaborare qualcosa nella sua mente. Fino a quando non era arrivata l’ambulanza, chiamata da una signora che era accanto a loro, e quelli avevano dichiarato l’ora del decesso, non credette davvero di aver perso la sorella. Louis a dodici anni non sapeva cosa significasse decesso, ma intuì fosse qualcosa di brutto. La sua sorellina, per la sua mente da dodicenne inesperto era volata tra gli angeli, sua mamma così gli aveva detto. Si era sempre sentito in colpa per non aver dato un pugno ai delinquenti che gli avevano portato via sua sorella. Fu proprio quell’anno in cui Louis conobbe Liam, e quel ragazzo divenne il fratello che non aveva mai avuto. Pian piano il senso di protezione verso Liam crebbe, fino a che il più grande non scoprì cosa facesse il padre del suo amico. Louis in quel momento ebbe la sua vocazione.
Il detective era il lavoro che faceva per lui.
Avrebbe potuto incastrare tutti coloro che facevano del male agli altri, com’era successo a lui, con la sua sorellina, com’era successo a Liam a causa di suo padre. E pian piano tutte le persone a lui care che aveva incontrato durante la sua vita: Liam, Eleanor, Harry, la sua famiglia, i suoi amici, tutti, per lui erano esseri da proteggere, da tutelare da tutto e tutti senza permettere a nessuno di nuocere alla loro salute.
Per questo, appena realizzò che Eleanor sarebbe rimasta da sola con Harry, che sicuramente le avrebbe fatto delle domande a cui lei non sarebbe riuscita a rispondere, che le avrebbero sicuramente provocato qualche crisi, così come a Taylor, ma – detto sinceramente – di quella ragazza non gli importava, non aveva particolari rapporti con lei, Eleanor, però, doveva proteggerla, l’aveva promesso a se stesso quando l’aveva conosciuta. Arrivò fino alla stanza scura degli interrogatori, e vide la ragazza seduta dietro il tavolo, accanto alla biondina e Harry di fronte a loro. Azionò il citofono esterno e ascoltò ciò che chiedeva il suo fidanzato alle due ragazze.
“Quindi voi due eravate insieme, la notte del venti dicembre?”
“S-sì” – rispose Eleanor tremando.
“E dove eravate di preciso intorno alle ventiquattro?”
“A-A c-casa di El… ci stavamo mettendo lo smalto…” – rispose una tremante Taylor, mentre il riccio la guardava male, così come guardava male l’altra ragazza.
“Ci sono testimoni che possono confermare il vostro alibi?”
“Il coniglietto di El?”
Harry alzò gli occhi al cielo esasperato. Com’era possibile che quelle dura ragazze risultassero così innocenti e buone, e allo stesso tempo due serial killer? Due erano le ipotesi: primo, lui si era sbagliato, secondo loro mentivano. Ed era ovvio che non potesse essere la prima ipotesi, lui aveva sempre ragione.
“Non lo ripeterò più. Vi conviene confessare.” – alzò  la voce – “avete ucciso, o no, voi due, Niall Horan e Josh Devine, la notte del venti dicembre, alle ventiquattro?!”
“No!” – urlò Eleanor – “non l’ho ucciso! Non l’ho ucciso!” – strillò – “io lo amavo, io lo amavo!”
Louis da fuori batté una mano sulla sua fronte. Era successo quello che temeva, Eleanor era andata nel panico e aveva iniziato ad urlare.
“Ma eri gelosa di Josh, il suo compagno, vero?!” – chiese nuovamente Harry, ignorando la crisi della ragazza.
“No, no! Ero felice che fosse felice!”
“E tu l’hai aiutata!” – puntò il dito contro Taylor – “siete complici, e colpevoli!”
“No, no!” – urlò anche Taylor, istericamente, iniziando a piangere.
“Sì, e avete ucciso anche Perrie Edwards e Danielle Peazer, due mesi fa, eravate invidiose di qualcosa, vero?!”
“No!” – urlarono in coro.
Eleanor era piegata sul tavolo, urlava e piangeva con le mani sulla testa, e si tirava i capelli, mentre Taylor aveva la testa sul tavolo, protetta dalle braccia e urlava, piangeva e si dimenava. Louis non resistette un secondo di più, azionò la porta automatica ed entrò nella stanza. Spintonò con una spalla Harry e raggiunse Eleanor, prendendola per le spalle e facendola appoggiare sul suo petto.
“Shh, El, ehi, ci sono io, non piangere.” – le sussurrò all’orecchio, lanciando un’occhiataccia ad Harry, che guardava la scena di fronte a lui impassibile. Era tutta scena, ne era sicuro.
Louis allungò un braccio verso Taylor, anche se non provava niente verso di lei, doveva aiutarla, non riusciva a vedere una persona soffrire davanti a sé, e restare inerme.
“Lou… Lou… non ho ucciso Niall, non l’ho ucciso” – pianse Eleanor, girandosi verso di lui e affondando il viso sulla sua spalla, mentre lui le cingeva un fianco con il braccio e la stringeva forte.
“Lo so, lo so, calmati, ora ti riporto a casa, okay?”
“Non sono stata nemmeno io, Louis, non l’ho fatto…” – pianse anche Taylor, stringendosi a lui, vedendolo come unico punto d’appoggio in quella situazione. Il castano annuì, stringendo anche lei, e rivolse un’altra occhiataccia ad Harry, che ancora né si muoveva per fare qualcosa, né mostrava un minimo di compassione per quelle due povere ragazze.
Scosse energicamente la testa e aspettò che le due ragazze si calmassero, prima di alzarsi ed aiutarle ad uscire dalla centrale. Nel frattempo, durante tutto il tempo in cui lui aveva tenuto strette le due ragazze, Harry lo aveva guardato con uno sguardo strano, duro, forse geloso. Non lo sapeva, ma era qualcosa di bellissimo sentire che Harry fosse geloso, e egoisticamente voleva che mostrasse quel poco di interesse verso di lui.
Appena fuori dalla centrale, propose alle due di andare a bere un tè, prima di riaccompagnarle. Le ragazze annuirono e restarono attaccate a lui per tutto il tempo, accanto a Louis si sentivano al sicuro e sapevano che nessuno avrebbe potuto far loro altre domande.
Per Louis era ancora troppo strano, non era possibile che davvero sospettasse di due ragazze così dolci, e indifese. Certo, erano nevrotiche, ma non era colpa loro, non l’avevano deciso loro di essere così.
Riaccompagnò entrambe le ragazze a casa della bruna, e sorrise calorosamente ad entrambe.
“N-non verranno più qui, vero?” – chiese tremante Eleanor, ancora aggrappata a lui.
“No, lo prometto. Non vi daranno fastidio.” – la rassicurò accarezzandole la schiena. – “solo, promettimi che non uscirai di casa. Con due assassini in giro è pericoloso, d’accordo?” – si raccomandò baciandole la fronte, mentre lei annuiva e si staccava da lui. Anche Taylor fu coinvolta in un dolce abbraccio da parte di Louis, e dopo i consueti saluti, il giovane andò via da lì, dirigendosi di nuovo alla centrale.
Un dubbio lo assaliva.
C’era qualcosa che non tornava in quei due omicidi, un particolare che lui non aveva ben colto, qualcosa c’era, doveva esserci qualcosa che lui ed Harry trascuravano.
Una volta ritornato, con sua grande sorpresa, non vi fu il cipiglio arrabbiato di Harry, ma quello preoccupato e deluso. Era successo qualcosa, qualcosa di grave, poteva leggerlo nei suoi occhi. Era successo qualcosa, nella mezz’ora in cui aveva riportato a casa le ragazze, ed Harry ne era seriamente preoccupato.
Nella mente di Louis passarono subito le peggiori ipotesi: che fosse successo qualcosa alla sua famiglia, che fosse successo qualcosa a Liam, o addirittura ad Harry stesso.
“Ho sbagliato, cazzo, ho sbagliato tutto.” – imprecò Harry, frustrato. – “sono uno stupido.”
“Haz, ma cosa…?”
“Sono uno scemo, avevi ragione, non sono state le due ragazze!” – sbottò perdendo la calma, e Louis si trattenne dall’esultare, perché c’era qualcosa che Harry stava per dirgli, qualcosa di orribile.
“Cos’è successo, Harry?” – chiese Louis, allora, con l’impazienza nella voce.
Harry prese un attimo per prendere un respiro profondo, puntare i suoi occhi in quelli di Louis, e sospirare pesantemente. Doveva ammetterlo, si era sbagliato, aveva tirato conclusioni affrettate, e aveva perso tempo. Troppo tempo prezioso, e lui l’aveva perso per una banale intuizione sbagliata.
In tutto quello, gli era sfuggito un particolare, un dettaglio, qualcosa che gli facesse intendere chi fosse il vero colpevole e non quello falso che lui aveva creduto. Cosa sbagliava?
“Sono stati trovati altri due cadaveri, nel South Yorkshire.”
 
 
Louis ed Harry si erano subito messi in moto. Le autorità del posto avevano chiamato loro, perché sapevano che si occupassero già di due casi uguali. Il sospetto che anche quelle due persone fossero morte a causa degli stessi criminali. I due cadaveri presentavano le stesse ferite dei precedenti quattro, e l’autopsia avrebbe confermato i dubbi di tutti. Nick era andato con loro, necessitava di vedere con i suoi occhi le condizioni dei due cadaveri, per poi discuterne con l’appena arrivato tecnico di autopsia, Alex Foster, colui che – finalmente – gli era stato affiancato per gli esami post morte delle vittime. Un uomo sulla trentina, dai capelli biondo scuro tendenti al castano chiaro, gli occhi verdi, bassino rispetto a Nick, portava gli occhiali neri, ed era bravissimo con le attrezzature elettroniche, che Nick sapeva usare poco e niente, essendo più “anziano”. Era arrivato la mattina dopo che Nick aveva passato tutta la notte ad esaminare i due nuovi cadaveri. Se avesse saputo che avrebbe avuto un aiutante, non avrebbe faticato così tanto da solo, ma una cosa per lui era chiara: il senso di solitudine era svanito.
Non appena i due investigatori e il medico legale giunsero nella cittadina da cui erano stati chiamati, non appena furono alla casa, la scena era identica a quella avvenuta due notti prima. I coniugi Max e Alicia Hill erano immersi in una pozza di sangue, ormai secco, che era diventato quasi un tutt’uno con il parquet e probabilmente acqua, cosa che non potevano sapere, perché era tutto asciutto, ma c’era qualcosa nei loro corpi che era totalmente differente dalle altre vittime, i corpi sembravano più pallidi, come se fossero morti da molto più tempo.
“Nick, cosa potrebbe essere?” – chiese Harry, girando intorno ai corpi con circospezione. In quella casa c’era puzza di morto, constatò, e Nick parve pensieroso per un attimo.
“Chiamo la scientifica, dobbiamo portarli via ed analizzarli, potrebbero già essere in stato di decomposizione.” – dichiarò il medico legale, afferrando il suo telefono e chiamando la scientifica per incaricarli di portare i cadaveri via da lì e trasportarli fino al laboratorio. Dove, insieme al suo assistente, avrebbe praticato l’autopsia e avrebbero anche valutato il giorno della morte, di certo non erano stati uccisi da poche ore, ma dalle condizioni di quelli, era davvero passato tempo dal loro omicidio.
Harry e Louis si consultarono, cercarono prove, e tutto ciò che trovarono fu un’impronta di un piede e un altro pezzo di stoffa arancione. Lo stesso che avevano trovato a casa delle due vittime precedenti, e anche le altre, Louis era sicuro di aver visto già quel colore, quel tessuto.
“Cosa ti turba, Louis?” – chiese Harry, appoggiando una mano sulla sua spalla. Sembrava come se tutta la discussione pocanzi fatta, non interferisse con le indagini. Louis ammirava Harry per questo, era in grado di dividere la vita privata dal lavoro, e riusciva a rivolgergli la parola anche quando poco prima voleva solo tirargli un pugno in piena faccia.
“E’ la terza volta, su una scena del crimine, che trovo un residuo di stoffa arancione. E… l’ho vista già, da qualche parte.”
Harry lo guardò con il cipiglio alzato, incredibile aveva notato qualcosa che nessun altro aveva notato prima d’ora. Una prova. Uno degli assassini usava un indumento arancione ad ogni omicidio, magari era la stessa, quindi presentava dei buchi o dei punti strappati, lì dove l’indumento si era incastrato nella finestra.
“Complimenti, Louis, hai trovato una prova, non del tutto insignificante. Ottimo lavoro.” – gli fece un sorriso quasi dolce, e consegnò la bustina trasparente sigillata contente la prova a Nick, e gli disse di analizzare quel frammento, e di stoffa e di confrontarla con le altre, mentre sul viso di Louis nasceva un sorriso compiaciuto.
Harry gli aveva appena fatto un complimento, e gli aveva sorriso. Quella giornata stava ufficialmente migliorando il suo umore. 
Nick velocemente annuì, afferrando la bustina trasparente e, non appena la scientifica arrivò, portando via i due cadaveri, li seguì fino alla centrale e quindi al laboratorio, diede ordini agli uomini di deporre le due persone su due tavoli diversi, e fece chiamare il suo assistente, aiuto di autopsia, Alex. Il più giovane arrivò in un batter d’occhio, rivolgendo un sorriso a Nick.
“Iniziamo subito. E’ il terzo omicidio uguale in pochi mesi.” – scosse la testa e si passò una mano tra i capelli, stanco – “speriamo siano gli ultimi che muoiono per mano di quelli.”
L’altro annuì, senza fiatare. Prese a svestire il corpo della donna, poter scoprire le cause di quell’ennesimo omicidio in quei mesi. Nick notò i suoi movimenti veloci, e scosse velocemente la testa.
“Fermo, fermo, fermo!” – fece avvicinandosi e scostandolo – “è una donna, morta, ma è una donna, un minimo di rispetto per il suo corpo.”
“Signore, dovremmo…”
“Nick, sono Nick.” – borbottò al più piccolo, e volse uno sguardo al cadavere della donna – “scusalo, è nuovo, non sa come ci si comporta con le persone.”
Alex spalancò gli occhi, ne aveva viste di persone strane, ma mai come quel Nick. Stava… parlando con un cadavere? La solitudine era davvero una brutta compagna a volte.
“D’accordo, farò attenzione, posso procedere?”
“Certamente.” – fece scostandosi dal corpo, mentre l’altro procedeva con il suo lavoro. Nick, abituato a fare tutto da solo, prese a svestire l’altro uomo, facendo ridere l’aiutante.
“Dovrei farlo io, no?”
“Oh, io…”
“Perché non inizia a consultare l’archivio? Supponendo che è opera di un serial killer, avrà sicuramente casi precedenti nel suo database, no?”
“Data… che?” – chiese senza capire. Afferrò i suoi block notes e gli esplicò i decessi precedenti.
“Un attimo, Nick, lei davvero usa quel metodo preistorico per i risultati delle autopsie?”
“Beh, non ho mai imparato ad usare un PC.” – chiarì il medico, mentre l’altro analizzava un campione del tessuto del cadavere della donna.
“Vuol dire che sarà una delle cose che le insegnerò oggi, dopo l’autopsia, mh?” – sorrise il biondino, guardando il moro, che inevitabilmente, arrossì sentendo lo sguardo dell’altro su di sé.
“Solo se mi dai del tu. Lavoreremo insieme per tanto, non  mi va di sembrare vecchio.” – decretò imbarazzato.
Che diavolo stava succedendo?
Dopo ore di analisi, dati, prove, studi, tessuti analizzati, organi pesati, la diagnosi era chiara: le cause del decesso erano le stesse, identiche delle vittime precedenti.
Nick con un sorriso soddisfatto si lasciò andare contro la sedia, esultante. Avevano delle prove. Un DNA trovato sotto le unghie dell’uomo, segno che aveva tentato di difendersi. Non sapevano ancora a chi appartenesse,  ma era sicuro che fosse di uno dei due assassini, dopo aver analizzato anche i brandelli di stoffa, cotone sintetico arancione, ritrovati dal detective Tomlinson decretarono, ufficialmente, che gli assassini fossero due, dopo un’attenta analisi avevano scoperto su essi ci fossero tracce di sudore secco, e da quello, riuscirono a ricavare un secondo DNA.
Alex si sedette accanto a lui, con un sorriso, mentre assorto fissava quello strano tipo per cui lavorava. Nick fissava i cadaveri, e sembrava intrattenere discorsi con loro.
“Gente, ci siamo quasi, non preoccupatevi. Presto sapremo chi ha ucciso voi, quei due poveri ragazzi e quelle ragazze.” – decretò guardando i cadaveri coperti dal lenzuolo bianco, Alex ancora non capiva cosa lo spingesse ad ignorarlo e parlare con dei morti. Lui era vivo, insomma. Il biondo tossicchiò un po’, riportando l’attenzione su di sé, e Nick sorrise girandosi verso di lui, rivolgendogli finalmente attenzione.
“Sì? Dimmi!”
“Posso farti una domanda?” – chiese titubante, in fondo, non si conoscevano, poteva essere frainteso, ma voleva conoscerlo, c’era qualcosa che lo spingeva a dargli retta.
“Certamente.” – esclamò pimpante Nick.
“Perché parli con i cadaveri?” – chiese ancor più titubante – “insomma, non possono risponderti.”
“Oh beh, sai…” – iniziò il moro torturandosi le mani, ancora coperte dai guanti di lattice – “quando fai questo lavoro, o resti solo, o sconfiggi la solitudine parlando, anche da solo.” – sospirò facendo scomparire il sorriso che l’aveva accompagnato – “nel mio caso, parlando con i cadaveri.”
Alex apparve un po’ sorpreso. Non si aspettava che quell’uomo fosse completamente solo, insomma, chi lo era davvero? Tutti avevano qualcuno a cui appoggiarsi, ma quando incrociò il suo sguardo, capì che lui avesse davvero bisogno di qualcuno, e se quel qualcuno fosse stato proprio lui?
Si alzò porgendogli la mano, con gentilezza, cosa che Nick vedeva raramente, tranne in rari casi da Louis, che rispetto al suo collega e compagno, che era sempre odioso nei confronti di tutti, era decisamente più cordiale e gentile.
“Abbiamo finito qui. Le cause del decesso le conosciamo.” – sorrise – “vieni a casa mia, ti insegnerò qualche trucco con il PC.”
Nick si lasciò sfuggire un verso di sorpresa, e un nuovo sorriso timido nacque sulle sue labbra, mentre gli afferrava la mano e accettava la sua proposta. Che avesse trovato un amico?
 
 
Louis ed Harry erano ancora in disaccordo su quanto scoperto.
Per Harry erano stati dei pazzi, che agivano senza controllo, o omofobi.
Per Louis c’era di più. Le vittime dovevano essere collegate da qualcosa, non solo dall’omosessualità, perché la nuova coppia ritrovata non era una coppia omosessuale, quindi dovevano indagare sulle loro vite, su chi fossero, solo così sarebbero riusciti a scoprire cosa legasse le vittime, e a chi fossero collegate.
Una volta tornati a Londra, Harry gli comunicò che non sarebbe tornato a casa per la cena, aveva delle commissioni da sbrigare, ma Louis, stavolta, non si fece mettere i piedi in testa, e gli disse che nemmeno lui sarebbe stato a casa, perché sarebbe rimasto in ufficio per sbrigare delle faccende. Harry non aveva fatto altre domande, appena dopo essersi salutati, il più piccolo si chiuse nello studio, alla ricerca di qualcosa sulle vittime, mentre Harry andò via per la sua strada.
Louis non poteva crederci, mai che gli desse fiducia su qualcosa, sempre sospettoso. Non  osò passare al laboratorio, sapesse che Nick e il suo nuovo assistente avessero da fare ancora, non era facile fare le autopsie, una volta aveva assistito e lo spettacolo non era stato nemmeno dei migliori, anzi.
Non si accorse del tempo che passò al PC alla ricerca di qualcosa, al telefono per contattare persone vicino alle vittime, alla scrivania a consultare gli archivi, nel caso qualcuno di loro avesse qualche precedente penale, niente, niente. Era l’una di notte passata, il suo cellulare continuava a squillare senza sosta, non sapeva chi fosse,  ma lui doveva trovare qualcosa. Doveva dimostrare ad Harry che lui fosse un valido collega, che la sua teoria fosse da prendere in considerazione, che non era lui il solo genio.
Erano circa le tre di notte, quando finalmente scoprì qualcosa.
Danielle Peazer: Tirocinante presso uno studio legale come avvocato minorile.
Perrie Edwards: Tirocinante presso uno studio psichiatrico come psicologa per bambini vittime di maltrattamenti.
Niall Horan: Assistente sociale.
Josh Devine: Assistente sociale.
Max Hill: Giudice di pace.
Alicia Hill: Avvocato minorile.
Sorrise soddisfatto, avrebbe mostrato quelle informazioni a Harry il giorno dopo. Tutte le vittime c’entravano qualcosa con le adozioni e gli affidamenti dei bambini maltratti. Erano collegati da questo sottile filo trasparente, che in qualche modo avrebbe dovuto far intendere qualcosa a Louis, ma reputò che, da ciò che aveva scoperto, in parte Harry avesse ragione. Sopraffatto dal sonno, non riuscì più a ragionare, e crollò sulla scrivania intorno alle quattro del mattino. Aveva scoperto delle cose interessanti in una nottata di ricerche e il giorno dopo ne avrebbe di sicuro discusso con Harry, che ancora, alle quattro, insistentemente lo chiamava, forse preoccupato, o forse per lamentarsi, o fare qualche scenata. Louis era semplicemente stanco, il suo unico obiettivo, al momento, era risolvere il caso nel migliore dei modi e si stava impegnando per farlo. Si addormentò con la testa appoggiata sulle sue braccia piegate, il viso corrucciato, ma soddisfatto per ciò che aveva fatto. Con mille pensieri in mente, lasciò che la stanchezza prendesse il sopravvento, e sprofondò in un sonno profondo, lasciandosi alle spalle tutte le sue preoccupazioni.
Promemoria: Avvisare Liam di non restare mai da solo.
Liam studiava psicologia da anni, anche se non riusciva mai nel suo obiettivo, poteva essere una possibile vittima.
 
 
Harry era furioso.
Louis non gli aveva risposto tutta la notte, e temeva seriamente che fosse andato da qualche altra parte che non era casa loro. A volte, non lo sopportava a causa della sua continua ricerca di attenzioni. Era adulto, ormai, perché ricercava sempre attenzioni da parte dell’altro? Poi aveva quell’assurda voglia di proteggere tutto e tutti, era sempre insieme a quel Payne; lui non l’aveva mai sopportato, e non considerato una buona compagnia per il suo Louis, aveva l’espressione da drogato, come quello che viveva insieme a lui, Zayn.
Lui non era geloso, certo che no, ma non riusciva a sopportare che Louis frequentasse certa gente. Arrivò in ufficio con l’intenzione di fargli una ramanzina chilometrica, di dirgliene quattro, di fargli capire che non poteva ignorarlo in quel modo, perché con due assassini in circolazione, dannazione, se si era preoccupato non vedendolo rincasare. Aveva sospettato fosse andato da quella, la tizia che lo chiamava di notte perché ‘aveva le crisi’, Eleanor, sì, quella, che l’avesse addirittura tradito con lei, ma quando arrivò in ufficio, e lo vide addormentato come un bambino sulla scrivania, tutto quello che aveva pensato di dirgli per ferirlo, per farlo sentire in colpa, per fargli capire che si era preoccupato crollò lentamente. Un sorriso addolcito gli nacque sulle labbra.
Louis in quello stato era uno spettacolo.
I capelli castani che gli cadevano sulla fronte, gli occhi chiusi, e l’espressione dolce, rilassata, e… era soddisfazione quella che vedeva sul suo viso?
Evidentemente, voleva dimostrargli qualcosa. Ridacchiò, ricordando come Louis già avesse dimostrato il suo valore come detective, si erano conosciuti proprio lì, tre anni prima. Lavoravano al loro primo caso, un omicidio ben congegnato di un esperto. Harry ricordava l’espressione di Louis, che in ritardo, si era presentato sulla scena del delitto, e non appena aveva visto il cadavere aveva storto il naso, ed era diventato di un colore simile al viola, verde, paonazzo, quasi in procinto di vomitare, e il riccio ne era rimasto quasi incantato. Gli era sempre sembrato un ragazzo da proteggere, da tenere tra le braccia e amare, certo, entro i limiti. Avevano risolto il caso fianco a fianco, lavorando anche per mesi, cercando prove, interrogando persone vicine alla vittima, ipotizzando, traendo somme, per finalmente giungere alla soluzione. Se Harry avesse voluto ripetere qualcosa, avrebbe di sicuro scelto di risolvere il primissimo caso con Louis. Ricordava benissimo la soddisfazione sul suo viso, l’abbraccio che – senza accorgersene – si erano scambiati, affondando il viso l’uno nell’incavo del collo dell’altro, congratulandosi con quello a vicenda.
Poi le cose con lui avevano deciso di andare da sole. Si erano incontrati, erano usciti, poi non si erano calcolati per un lungo periodo, a causa della timidezza ed insicurezza del più piccolo, e una sera, appena finito di lavorare, Harry non aveva resistito, lo aveva afferrato per le spalle, forte della sua altezza maggiore e lo aveva spinto contro un muro, avventandosi contro le sue labbra. Non aveva programmato nulla, sapeva solo che le labbra di Louis gli urlavano baciami, baciami, baciami, e lui prendimi, prendimi, prendimi e semplicemente Harry non si era trattenuto, l’aveva fatto. Aveva assecondato ciò che credeva di quel ragazzo, credendo anche di poter ricevere un ceffone in cambio, ma non l’aveva ottenuto, Louis aveva ricambiato il bacio, portando le sue esili braccia attorno al collo di Harry e, alzandosi sulle punte, aveva ricambiato il bacio con lo stesso trasporto, con la stessa intensità e un pizzico di dolcezza.
Louis era la dolcezza fatta persona, Harry l’aveva capito.
E ora che lo guardava dormire, ricordava anche perché fosse così freddo, e restio ai sentimenti.
Gli scostò un ciuffo ribelle dalla fronte, mentre con la mente, faceva un tuffo nei ricordi più dolorosi che possedeva.
Temeva di affezionarsi alle persone, di soffrire nuovamente. Non era sempre stato così freddo, mai così scostante, ma con Louis avvertiva la necessità di farlo, per proteggerlo da se stesso. Anni prima, quando aveva diciotto anni, si era arruolato nell’esercito, e all’età tenera di diciannove anni, era stato mandato in missione in Afganistan, dove aveva conosciuto un uomo più grande di lui di tre anni, Eric, si chiamava, che per proteggerlo, durante un attentato era morto. Lì davanti ai suoi occhi. L’unico uomo che mi Harry avesse mai amato, si era sacrificato per lui, per salvarlo. Certo, lui ignorava i sentimenti di Harry per lui, tra militari essere omosessuali era quasi proibito, e non osava immaginare che reazione avesse potuto avere l’altro, scoprendolo tale, ma l’aveva protetto. Harry aveva riportato comunque ferite abbastanza gravi, ma non letali; era stato spedito di nuovo a casa, per le cure, per salvaguardare la sua vita. Quella non era la vita che faceva per lui, ma voleva comunque restare nel campo, e dopo un po’, era passato ad essere un carabiniere, avendo l’esperienza – fallimentare – da militare alle spalle, aveva buona possibilità di passare i test, ma nemmeno quello faceva per lui, lui voleva indagare, non voleva solo sporcarsi le mani e catturare i criminali, voleva incastrarli, con prove schiaccianti e poi sbatterli dentro, era finito così a lavorare per l’FBI, venendo assunto per il suo carisma, il suo cinismo, e la sua freddezza. Nessuno era come lui, nessuno era chiuso ai sentimenti come lui, nessuno sapeva trattare con obiettività anche il proprio compagno. Nessuno era insensibile, senza sentimenti come lui.
Ma poi era arrivato Louis.
Louis che aveva fatto breccia nel suo cuore, Louis che l’aveva in un certo senso scongelato, ma lo stesso Louis non sapeva nulla di quello che il riccio realmente provasse, perché anche con lui si comportava in maniera fredda, schiva, quasi insensibile. Louis aveva imparato a convivere con quel lato di Harry, sapendo che sotto, sotto il l’uomo che era diventato Harry, ci tenesse un minimo a lui.
E ora lo guardava con dolcezza, forse con amore, mentre dormiva placidamente appoggiato alla scrivania, le braccia conserte, e la testa tra di esse, l’espressione angelica e i capelli scuri che ricadevano sul viso.
A discapito di quello che era il suo obiettivo, uscì dall’ufficio ed andò al bar più vicino per prendere un bicchiere di caffè all’addormentato Louis, che ignaro di tutto quello che il riccio avesse fatto, pensato e provato in quei millesimi di secondo verso di lui, dormiva beato sulla scrivania.
Quando Harry tornò Louis era nella stessa posizione, e per un attimo il riccio temette che fosse morto, o magari che qualcuno gli avesse fatto del male durante la sua assenza.
Lo scosse per una spalla, chiamando il suo nome ad alta voce. Quello sobbalzò alzando la testa e trattenendo il respiro. Non si aspettava di essere svegliato in quella maniera ed era sicuro che Harry non lo svegliasse, di solito non lo faceva.
“Buongiorno, Haz” – mormorò con la voce assonnata, mentre il riccio senza una parola gli passava un bicchiere di caffè fumante. Lo accettò senza complimenti e lo bevve, scottandosi leggermente la bocca, ma ne aveva bisogno per poter affrontare la giornata. Strano, pensò, Harry non mi porta mai il caffè nemmeno a letto, possibile che l’abbia comprato per me? – senza fare domande, accettò quel gesto dell’uomo freddo con cui aveva deciso di passare la sua vita, in fondo, per quanto desiderasse più contatto con lui, lo amava anche per questo.
Una volta finito il contenuto del bicchiere, si sentì immediatamente meglio.
Non perse tempo a chiedersi perché Harry gli avesse portato il caffè, perché l’avesse svegliato in quel modo orrendo, e né perché lo guardasse in quel modo che non riusciva a decifrare.
“Che hai fatto qui tutta la notte?” – chiese freddamente Harry, celando tutta la preoccupazione – “ti ho chiamato, tante volte.” – specificò.
“Ho lavorato, cosa credi?” – sbottò Louis appoggiando la schiena contro la sedia su cui sedeva. Addormentarsi lì era stata una pessima idea, sentiva tutti i muscoli indolenziti e il collo gli faceva davvero – davvero – male.
“E quindi? Hai scoperto qualcosa?”
Abbandona quell’aria saccente, Styles – imprecò mentalmente.
“Sì. Tutte le vittime sono implicate in qualche modo nel campo delle adozioni, affidamenti…” – prese il foglio che aveva abbozzato, porgendoglielo – “vedi? Mr Hill era un giudice di pace, mentre sua moglie, Mrs Hill, era un avvocato minorile” – spiegò indicando i nomi – “Miss Peazer era una tirocinante presso un avvocato minorile e Miss Edwards era tirocinante presso uno psicologo.” – continuò ad elencare, senza accorgersi che Harry gli stava fissando le labbra, che lentamente si muovevano per permettere alla sua voce di fuoriuscire. – “infine, Mr Horan e Mr Devine erano entrambi assistenti…” – smise per un attimo di parlare, vedendo il compagno assorto – “Harry, mi stai ascoltando?”
Harry sembrò risvegliarsi dallo stato di trance in cui era caduto e rivolse entrambi gli occhi a Louis, che non appena intercettò il suo sguardo, si rilassò immediatamente. Harry in quel momento si rese conto, davvero, che Louis fosse rimasto lì per tutta la notte, per scoprire qualcosa, per rendersi utile ed aiutare nelle indagini, per fargli capire che aveva una cattiva idea su di lui, per fargli capire che – nonostante fosse buono, apprensivo – non era da sottovalutare come detective.
“Certo, che ti ascolto.” – sorrise, stranamente fiero di lui e depositò un delicato bacio a stampo sulle labbra del compagno – “ottimo lavoro, Louis. Andiamo da Nick, magari hanno scoperto qualcosa in più”
Louis restò un attimo intontito. Harry non lo sfiorava nemmeno, e quella mattina lo aveva baciato, a stampo, ma l’aveva fatto. Harry si era avviato subito, immediatamente fuori dall’ufficio, mentre Louis era rimasto dentro, in trance a sfiorarsi le labbra, che erano state toccate da quelle di Harry, con due dita, e senza premeditarlo, sulle sue labbra nacque un sorriso spontaneo. Gli bastavano anche questi attimi con Harry, non importava nient’altro.
Ma, in quel momento aveva un caso da portare a termine.
Raggiunse Harry fuori dall’ufficio e insieme si diressero nel laboratorio.
Sentirono della voci da fuori, e sospettarono che fosse Nick che parlava come al solito con i cadaveri. Non che fosse una novità per loro, ma era una cosa davvero strana e inquietante, nonostante fossero abituati, spesso temevano che un giorno Nick potesse essere internato in qualche manicomio, perché, ammettiamolo, quanta gente normale parlava amabilmente con i cadaveri?
“No, no!” – esclamò una voce – “devi cliccare qui, e poi qui, chiaro?”
“E’ difficile, fallo tu!” – esclamò Nick.
“Ma no, devi solo cliccare su un file, dai, riprova.”
Nick sbuffò, mentre Harry e Louis entravano nel laboratorio. Trovarono Nick seduto davanti ad un PC portatile, e Alex accanto a lui, che rideva. Stava insegnando a Nick come si usasse un PC, per caso?
“Alex, come faccio a spostare questo… coso giallo?” – fece indicando con la freccia, e cliccandoci sopra evidenziandola – “oddio, è diventato blu!”
“Il coso giallo, ora blu è un archivio, una cartella, come vuoi chiamarla? E serve per archiviare i documenti che creeremo con tutti i risultati delle autopsie.”
“Te ne occupi, tu, vero?” – chiese Nick preoccupato.
“Certo, me ne occupo io, tranquillo” – rise Alex.
Harry, non appena entrò, produsse con la voce una tosse finta, per attirare l’attenzione dei due medici legali, che sembravano non aver sentito l’entrata dei due detective, e sussultarono non appena percepirono la presenza dei due uomini nel laboratorio. Subito furono tutti e due in piedi, quasi in sincrono, e Louis non si trattenne dal lasciarsi scappare un sorriso intenerito. Magari anche Nick aveva trovato qualcuno con cui passare il tempo, parlare e non essere sempre completamente solo, da quando era arrivato lo aveva visto sempre da solo, e lo vedeva parlare con i cadaveri e mai con una persona, che non fossero lui od Harry per spiegare loro le cause del decesso dei vari cadaveri.
“Nick, buongiorno!” – esclamò Louis, sorridendo cordialmente, gli veniva facile essere gentile con lui, a lui veniva facile essere gentile con tutti, anche i criminali, c’era da sorprendersi?
Harry alzò gli occhi al cielo, perché il suo collega era davvero troppo cordiale con tutti.
“Nick, allora, ci sono novità?” – chiese immediatamente il riccio, riferendosi ai due cadaveri del giorno prima.
“Sì.” – confermò il medico – “abbiamo ritrovato delle tracce di DNA sia sui brandelli di stoffa ritrovati dal detective Tomlinson, sia sotto le unghie di una delle vittime. Non combaciano, quindi la teoria era giusta. Ce ne sono due.” – spiegò, mentre i due annuivano. Ascoltarono le altre spiegazioni, i medici spiegarono loro che i cadaveri erano morti già da quattro mesi che riportavano le stesse ferite dei cadaveri precedenti, e tutto ciò che avevano scoperto in quelle ore. Nonostante ciò, garantirono che se avessero trovato altri indizi con altri esami più approfonditi, non avrebbero esitato a contattarli e comunicare loro quanto scoperto. I due convennero che dovessero seguire la pista proposta da Louis e indagare nell’ambiente lavorativo delle vittime.
“Louis, dovrai procurarmi il DNA della tua amica, Eleanor” – sputò con acidità – “così analizzandolo sapremo se è lei o meno l’assassino.”
“Ancora, Harry, ancora?!” – sbottò Louis, guardando male il collega – “non è stata lei, ne sono più che sicuro.”
“E perché mai? Come fai ad esserne così sicuro?”
“L’hai detto anche tu. Hai detto che non erano state le ragazze, perché hai cambiato idea?!” – iniziò ad innervosirsi, perché diavolo Harry aveva cambiato idea così all’improvviso? Dannazione. – “e poi non è omofoba, è mia amica ed io sono gay.”
“Lo so e basta.” – disse calmo - “procurami quel DNA. Io prenderò quello dell’altra ragazza.” – continuò solamente senza gentilezza, e lasciandolo solo con i due medici, uscì da quella stanza, mentre il più piccolo restava con i due medici legali, senza sapere cosa fare. Louis sbuffò, sedendosi stancamente su una sedia, sotto gli occhi stupiti degli altri due, che non riuscivano a spiegarsi come mai due che teoricamente avrebbero dovuto essere legati in tutto, fossero così in disaccordo.
“Sai? Se vuoi che le accuse contro la tua amica cadano, dovrai procurargli quel DNA.” – disse Nick, guardandolo con compassione. Il castano annuì stancamente.
“Lo so, è che non lo sopporto quando fa così.” – sbuffò rassegnato – “insomma, Nick, tu lo conosci da anni, no? Perché fa così? Che gli ho fatto?” – sbottò, senza più riuscire a trattenersi – “mi tratta come se fossi un idiota, io non sono un idiota!” – si passò le mani tra i capelli esasperato – “non lo capisco, giuro. Ieri era tutto, ‘uh bravo, Louis, hai trovato una prova utile’ e oggi mi tratta come un deficiente!”
Nick e Alex lo guardarono stupiti, certo, sapevano che Louis, tra lui ed Harry, fosse quello più incline alle emozioni, che perdeva facilmente il controllo, ma non si aspettavano un crollo del genere. Nick lo conosceva, sapeva che quando ce n’era bisogno, sapesse tirare fuori il coraggio e affrontare le situazioni, ma era anche vero che spesso e volentieri Harry lo trattava davvero male, peggio di come potesse trattare qualcun altro, e nessuno si spiegava il perché, in fondo, i due stavano insieme.
Nick gli appoggiò una mano sulla spalla tentando di rassicurarlo, dicendogli che Harry fosse stato sempre così, che quello non era un atteggiamento che avesse tirato fuori solo con lui, che in realtà, secondo lui, Harry lo stimasse davvero come detective, che non dovesse preoccuparsi tanto, che fosse solo a causa della sua indole razionale e calcolatrice che fosse così freddo, fino a che Louis non gli fece un sorriso triste, facendogli capire che non aveva bisogno di essere rassicurato come un ragazzino, che avesse la situazione sotto controllo, che aveva ceduto solo per stress e nient’altro, e si alzò dalla sedia che aveva occupato impropriamente in quel lasso di tempo. 
“Siete una bellissima coppia, comunque” – regalò ai due un bel sorriso, ai due e dopo averli ringraziati uscì dal laboratorio per tornare al lavoro, lasciandosi indietro due medici legali rossi in viso, e con un sorriso imbarazzato sulle labbra. Del resto, Louis era il tenerone della centrale, ma i due non capirono che lui intendesse professionalmente e non sentimentalmente.
 
 
Harry si era diretto a casa della ragazza dai capelli biondi.
Non sopportava nemmeno lei, una volta di troppo l’aveva sorpresa con gli occhi sul suo Louis, ma di certo, non era questo il motivo per cui la stava incriminando insieme all’amica. Entrambe avevano un movente, infatti, Harry aveva scoperto che la bionda avesse avuto un flirt con Josh Devine, e anche per lei andava bene il movente del delitto passionale, come lo era per la bruna nei confronti di Horan, in più aveva scoperto che le due ragazze assassinate, che erano loro amiche, avevano avuto in passato dei litigi abbastanza forti, ed anche quello poteva essere un movente, del resto le due giovani indagate soffrivano di nevrosi, e una di loro aveva evidenti problemi con la propria rabbia, sarebbe bastato un minimo per farle perdere la pazienza e farle commettere un omicidio. Non riusciva a collegare le prime due vittime alle ragazze, ma se il DNA fosse stato compatibile, avrebbe sottoposto le indiziate ad altri interrogatori, perché no? Anche ad un processo.
Suonò ripetutamente il campanello, aspettando che la ragazza andasse ad aprire, appoggiando anche una mano contro il muro accanto a sé. Doveva riuscire a contenere l’impazienza, del resto era a casa di una ragazza, e doveva mostrare un certo contegno. Dopo dieci minuti netti, qualcuno gli andò ad aprire, e non appena Harry scorse la figura della ragazza, vide un lampo di terrore saettare nei suoi occhi alla vista del detective.
“C-Cosa v-vuole?” – chiese tremante, tenendo la maniglia della porta stretta nella mano.
“Un campione del tuo DNA, un capello o un campione di saliva andranno bene.”
“M-ma io non ho fatto niente…”
“Questo lo dirà la scientifica. Il campione, prego.”
“Ma…” – tentò di protestare – “lei non può…”
“Devo fare tutto da solo?!” – sbottò il detective  guardandola malissimo. La ragazza trasalì e tremante, portò una mano nei capelli strappandone un paio, Harry le porse una bustina trasparente e lei li mise dentro, dopo averli consegnati gli sbatté  la porta in faccia.
Il riccio restò perplesso guardando la reazione della ragazza, era chiaramente colpevole.
O solo molto spaventata?
 
 
Contemporaneamente, Louis si diresse da Eleanor, per chiederle gentilmente un campione del suo DNA, senza però farla spaventare troppo. Non voleva che avesse un’altra crisi come quella che aveva avuto in centrale durante l’interrogatorio. Harry ignorava cosa significasse stare così male, mentre Louis un’idea l’aveva, stando accanto ad Eleanor per tutto quel tempo, qualcosa l’aveva capita, per questo, e tanti altri motivi, tendeva ad essere sempre protettivo verso la giovane. Non era colpevole, lo sapeva. Eleanor non sarebbe stata in grado di far del male a nessuno, nemmeno durante i suoi scatti di rabbia. Perdeva totalmente il controllo, ma non andava mai oltre i pugni o gli schiaffi, Louis lo sapeva, poiché aveva assistito diverse volte a quelli.
Suonò un paio di volte il campanello, senza fretta e attese che la giovane gli andasse ad aprire. Sapeva che Eleanor avesse il suo rituale prima di aprire la porta: si avvicinava, controllava lo spioncino, si assicurava che fosse qualcuno di rassicurante e poi apriva.
Dopo cinque minuti, circa, la porta si aprì, rivelando la figura della ragazza, che quasi non si reggeva in piedi, Louis si preoccupò immediatamente e si avvicinò a lei sorreggendola.
“El, stai bene?” – chiese subito, apprensivo.
“S-sì, avevo paura fossero di nuovo i poliziotti…”
“Non hai controllato, scusa?”
“No…” – tremò stringendosi a lui – “tu apri con le chiavi ormai.”
Louis si diede mentalmente dello stupido, era vero. Lui non bussava quasi mai, ma la  mole di pensieri era troppa per ragionare tranquillamente. Aveva problemi a lavoro, con Harry e tutta la sua vita stava assumendo un aspetto strano per lui. Harry era sempre più freddo, e ora non apprezzava nemmeno il suo lavoro, in più lo trattava come un idiota.
“Scusa, El, davvero. Ho un po’ di pensieri e mi è passato di mente.”
“Sei hai troppi pensieri ti verranno i capelli bianchi.” – ridacchiò lei rilassandosi, e facendolo entrare. Anche lui si lasciò scappare una risatina sommessa sentendo il commento della ragazza.
“El, non posso fermarmi, puoi darmi un capello? Abbiamo bisogno del tuo DNA, così confermiamo ad Harry che non sei colpevole e per te finirà l’incubo.”
“Oh sì.” – fece lei, portando una mano nei capelli e strappandone qualcuno – “grazie Lou.” – disse mentre prendeva la bustina trasparente che Louis le porgeva e adagiava i capelli strappati dentro.
“Grazie a te, El. Ci vediamo!”
“Promesso?”
“Promesso.” – sorrise lui, dandole un bacio sulla guancia ed andando via da lì, per portare il campione ai medici legali.
Una volta giunto alla centrale, consegnò ai due la bustina e tornò nel suo ufficio per riordinare il materiale raccolto quella notte. Avrebbe dimostrato ad Harry di valere qualcosa, perché Harry non poteva pretendere di essere il migliore in qualsiasi campo. Stampò tutto ciò che aveva trovato al PC quella notte, e mise tutto in una cartellina, passò ad analizzare tutte le prove. Non ricavava niente dalla stoffa e dal DNA, ma sicuramente nella vita di quelle persone c’era qualcuno che non li vedeva positivamente. Certo, c’era, ma chi era?
Restò ore a ragionare, a guardare schemi, a crearne altri, ma non riusciva a riflettere, sembrava che la soluzione fosse lì, a portata di mano, ma gli sfuggiva, appena sembrava avvicinarsi ad essa, questa scappava via.
Non si accorse che Harry lo fissasse dalla sua scrivania, anche lui impegnato in qualcosa, fino a che Nick non bussò alla porta dell’ufficio, con un sorriso smagliante sulle labbra.
“Louis, belle notizie per te. Il DNA non combacia. La tua amica è totalmente innocente.”
Il castano tirò un sospiro di sollievo, e si lasciò andare contro lo schienale della sedia, finalmente si era tolto un enorme peso dallo stomaco. Eleanor era innocente, e non poteva che esserne contento.
“Anche l’altra ragazza?” – chiese in conferma, e non riuscì a trattenersi dal guardare l’espressione contrariata di Harry. Aveva sbagliato, il suo intuito non era infallibile, e ora come minimo doveva delle scuse a quelle povere ragazze accusate ingiustamente.
“Sì, innocenti per il DNA. Entrambi i DNA, abbiamo fatto più prove. Non sono compatibili.”
“Grazie Nick, ottimo lavoro!” – esclamò il castano, facendo un gesto di saluto al moro, che dopo aver salutato entrambi, ritornò nel suo laboratorio dal suo assistente.
“Quindi El è innocente.” – sorrise con un sorriso sulle labbra che la diceva lunga – “qualcuno si è sbagliato…” – bisbigliò con il cipiglio divertito alzato, mentre Harry lo fulminava con il solo sguardo.
Non sopportava avere torto, e sopportava ancora di meno quando Louis glielo faceva notare in quel modo, mettendolo quasi in ridicolo. Ma non riuscì a trattenersi dallo sciogliersi anche lui in un sorriso dolce, non appena il più piccolo gli fu davanti, il sorriso divertito e tanto amore negli occhi.
“Ops?” – ridacchiò il riccio, cercando di dissimulare ciò che invece dentro di sé provava.
“Sì, ciao!” – Louis scoppiò in una risata, che in poco coinvolse anche il più grande – “come quando ci siamo conosciuti.”
“Beh, non è colpa mia, se tu sei imbranato e inciampi per sbaglio sul cadavere.” – rimproverò, cercando di mantenere l’espressione ancora dura, per non cedere, per non fargli capire che anche lui stava sorridendo internamente ricordando quel giorno, forse il più bello di tutta la sua vita.
“Ero piccolo e inesperto.” – sorrise – “e non cambiare argomento, Styles.” – ridacchiò puntandogli il dito contro – “te l’avevo detto che non era lei!”
“Non vedevi l’ora di farlo, vero?”
“Oh sì, non hai idea.” – rise ancora. L’aria sembrava più respirabile, meno opprimente. A volte era un bene che Harry decidesse di lasciarsi un po’ andare, di non essere sempre così serioso.
“Sì, avevi ragione, contento?”
“Tantissimo.” – si lasciò scappare l’ultimo sorriso, prima di tornare serio, e, si permise di dire ad Harry che era ora di tornare alle indagini, e di tornare sulla scena del crimine per eventuali altre prove. Non avevano risolto il caso, non ancora, ma Louis aveva la sensazione, l’impressione che presto ne sarebbero venuti a capo. La soluzione era lì, davanti a loro, dovevano solo decidersi ad afferrarla, prima che fosse troppo tardi.
I serial killer avrebbero potuto agire in qualsiasi momento, anche in quella stessa giornata, da qualche parte, poteva esserci una possibile vittima, ed era compito loro trovare il colpevole di quelle morti e rinchiuderlo in prigione, dopo un processo. Era quello il loro lavoro.
Erano le otto di sera, quando Louis suggerì al compagno di staccare. Lui non tornava a casa dalla notte prima, aveva il diritto di riposare un po’. L’altro gli disse che l’avrebbe raggiunto entro massimo un’ora, e Louis decise di approfittarne per tornare per primo a casa, e preparare la cena per entrambi. Era da tanto che non restavano soli a casa, un po’ per il lavoro, un po’ perché si parlavano poco in quel periodo, ma Louis era sicuro che quella sera ci fosse qualcosa di diverso. lo vedeva in Harry, come aveva riso con lui, ricordando quando si erano incontrati, e sì, era sicuro di aver visto quel guizzo innamorato nei suoi occhi, quello che non vedeva da tempo. In un attimo, sembrò che tutto fosse passato, e che finalmente avrebbero potuto risolvere il caso in modo tranquillo, senza altri litigi, come non facevano da tanto, ma si sbagliava. Non sapeva nemmeno quanto si sbagliava.
 
 
Dopo una sfiancante ora passata in cucina, il detective Tomlinson fu soddisfatto di se stesso, guardava con fierezza tutto ciò che aveva preparato per il suo fidanzato, per poter parlare con lui quella sera. L’arrosto era nel forno, la tavola apparecchiata per due, e si era preso la briga di piazzare due candele al centro del tavolo, le avrebbe accese una volta che Harry fosse arrivato.
Sorrideva, perché era convinto che se tra lui ed Harry ci fosse stata tranquillità, fossero andati d’accordo, tutto sarebbe andato per il meglio, e avrebbero risolto il caso in breve tempo. Stava ancora smanettando in cucina, quando sentì la porta aprirsi.
“Haz, è quasi pronto! Ho appena messo su la pentola, appena bolle…” – non finì la frase, che Harry lo interruppe, mentre stava per togliere l’arrosto dal forno e depositarlo sul piano cottura.
“Non è il momento, Louis!” – tuonò. Louis trasalì, che avesse sbagliato qualche altra cosa?
“Harry, ma cosa…?”
“Dobbiamo parlare. Seriamente.”
Louis deglutì, ancora più terrorizzato di prima, annuì con una lentezza spropositata e si allontanò dalla cucina con lo strofinaccio ancora in mano, sedendosi vicino al tavolo. Aveva paura, una dannata paura che Harry lo lasciasse, che tutto tra loro finisse, forse era troppo appiccicoso, forse a volte voleva troppo, ma credeva che Harry non se ne accorgesse quando cercava un suo abbraccio notturno. Iniziò a sudare freddo, non appena Harry si sedette accanto a lui.
Nella sua testa balenarono mille ipotesi diverse, ma mai quello che Harry stava per rivelargli.
“Ho fatto le mie ricerche. Sono convinto che il tuo amico Liam sia implicato negli omicidi.”
Si udì un rumore secco, fastidioso, acuto. Era la sedia di Louis che si muoveva velocemente all’indietro, e il castano, altrettanto velocemente, si alzò dalla sedia. Lanciò lo strofinaccio che aveva in mano per terra, guardando malissimo il compagno.
“Che cazzo ti prende?” – sbottò – “te la stai prendendo ingiustamente con tutti i miei amici!” – tuonò ancora, la sua voce era sempre più alta, e lui sempre più arrabbiato – “sei una cosa impossibile!” – alzò ancor di più la voce esasperato, mentre Harry lo fissava senza fiatare, pensando che: o stava avendo una crisi di nervi, o non sapeva cosa prendesse al suo fidanzato - “queste indagini ti stanno dando alla testa, non è possibile che sospetti di loro!” – era furioso, di solito non reagiva così male quando si parlava delle indagini, o dei suoi amici – “stai accusando Liam, Liam! Il mio migliore amico, Harry!”
“Il tuo migliore amico mente sulla sua vita! Ha avuto problemi con la famiglia!”
Louis rise istericamente, come se lui non lo sapesse.
“Harry, se almeno una volta avessi prestato ascolto a ciò che ti racconto, probabilmente sapresti che ho convinto io Liam a denunciare suo padre” – si avvicinò alla porta con lentezza – “che mia madre lo ha adottato quando aveva sedici anni” – si girò verso di lui guardandolo con delusione – “e che è come un fratello per me. Siamo cresciuti praticamente insieme durante l’adolescenza, non avrebbe mai ucciso nessuno.” – sbuffò  scuotendo la testa – “grazie della fiducia che hai nelle persone che frequento, detective Styles.”
“Louis, aspetta!”
“No!” – sbottò – “non aspetto niente!”
Uscì dalla cucina, raggiunse velocemente l’ingresso e corse via, andandosene da quella casa, sbattendo la porta. Harry restò da solo in cucina, l’arrosto ancora sul piano cottura e la pentola che bolliva, fissava le candele e la premura con cui Louis avesse sistemato tutto. Aveva superato il limite, aveva gettato fango su una persona meravigliosa come Liam, e no, Louis questo non poteva accettarlo. Poteva dubitare di chi voleva, ma non doveva toccare i suoi amici. Non lo riconosceva più, era diverso. Harry era sempre stato un tipo freddo e distaccato, ma non aveva mai fatto cose del genere. Questo caso lo stava cambiando, non era più lui. Percorse velocemente la strada che lo separava da casa di Liam, aveva bisogno di sfogarsi con il suo migliore amico. Harry stava esagerando, non era possibile che vedesse nei suoi amici la colpa. Sempre.
Ad ogni caso, il primo sospetto ricadeva su loro, perché non erano “emotivamente” stabili, certo, Eleanor era nevrotica, e Liam fumava un po’ troppe canne, ma questo faceva di loro assassini?
E poi, insomma, erano amici di un detective, non erano così stupidi, e conosceva Liam, dannazione, non era un dannato serial killer, era il suo migliore amico, dopo tutto.
Non appena arrivò fuori dall’appartamento, storse il naso percependo un odore acre, che lo fece tossire forte, prima di riuscire a suonare quel campanello. Attese che uno dei due arrivasse ad aprire la porta. Era sicuro che stessero fumando un po’ troppo a giudicare dall’odore proveniente da dentro l’appartamento. Zayn gli aprì la porta, Louis notò che fosse seminudo e che dietro di lui ci fosse una coltre di fumo, sembrava esserci la nebbia in quella casa. Portò una mano sotto al naso, tossendo, mentre il moro lo squadrava e si chiedeva perché fosse andato lì a rompere i loro piani.
Louis senza degnarlo di una parola entrò in fretta nella casa, e capì perché ci fosse quella nebbia: tutte le finestre erano chiuse, per questo si diresse alla prima finestra che vide e la spalancò completamente. Preoccupato, iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di Liam, non poteva lasciarlo in quella casa per cinque minuti in più.
“Dove cazzo è Liam?” – sbottò guardando male il moro, facendosi aria con una mano. Il moro non lo degnò di uno sguardo e si diresse alla finestra per chiuderla. Louis lo raggiunse e con uno strattone lo allontanò dalla finestra, e lo fece andare a sbattere contro il muro. – “non mi ripeterò, cazzone, dimmi dov’è Liam.”
“E’ sul divano, coglione” – sputò acidamente l’altro. Il detective lo lasciò andare e raggiunse l’amico sul divano. Crollò sulle ginocchia, e gli accarezzò la guancia, non l’aveva notato prima, era stato troppo impegnato a cercare di cambiare l’aria in quella stanza.
“Lì, ehi, stai bene?”
“Louis, levati dal cazzo, stavamo scopando” – sputò anche lui acidamente, mentre Louis spalancava gli occhi, sospirando. Sapeva che Liam quando fumava cambiava atteggiamento nei suoi confronti, nei confronti di tutti, diventando acido e freddo, come il suo amico. Lo prese per le braccia tirandolo su, e notò che anche lui indossasse solo dei boxer, e si rese conto di essere arrivato davvero in un momento inopportuno.
“Oh, scusami, Lì…” – sospirò alzandosi. Il più piccolo lo guardò senza lasciar trapelare nessuna emozione, e incitò l’altro a lasciare l’appartamento. Louis non voleva risultare opprimente, rompiscatole e invadente, per questo si alzò, si raccomandò con i due ragazzi di non fumare ancora, e poi se ne andò, più distrutto di prima.
“Dici che ha visto qualcosa?” – chiese Zayn alludendo alle grandi quantità di droga che aveva lasciato sul tavolino del salotto.
“Nah, era troppo impegnato ad aprire la finestra e a fare il paparino con me” – rise Liam, attirando verso di sé l’altro ragazzo, che non se lo lasciò ripetere due volte e lo baciò, riprendendo quanto interrotto prima dell’arrivo di Louis.
“Però poi chiamalo, non vorrei che dicesse al suo amichetto qualcosa di noi…” – ridacchiò mentre scendeva a baciargli il collo – “… e la droga. Quello mi fa parlare, poi…” – gemette, mentre Liam percorreva la sua schiena con una mano – “… dicevo, arresterà i nostri amici che ce la procurano.”
Liam, stanco di tutte quelle parole, premette le sue labbra su quelle di Zayn, baciandolo con irruenza.
“So come gestirlo, non ci ha mai scoperti in questi mesi, credi che lo faccia ora?”
“Nah… hai ragione.”
Erano legati da qualcosa che non poteva definirsi realmente amore, erano dipendenti l’uno dall’altro, come due batteri in simbiosi, loro erano in simbiosi, da quando si erano conosciuti, e sopprimevano quanto provavano facendo sesso subito dopo aver fumato canne o aver assunto droghe. Era un amore malato, dipendente e ossessivo.
 
 
Louis aveva litigato con Harry, Liam aveva la sua vita, e lui non si era mai sentito tanto solo in tutta la sua. Tutte le porte venivano chiuse, nessuno lo ascoltava e lui aveva solo tanta voglia di urlare, e far smettere quelle voci che sentiva dentro di sé di parlare. Quella che gli diceva di mandare a quel paese tutto, quella che gli diceva di provare a chiarire, l’altra che come una cantilena, gli diceva che c’era qualcosa che non andava in tutto.
Non seppe come, si ritrovò addormentato sulla panchina del parco vicino casa, mentre si perdeva a guardare il cielo stellato. Fin da bambino, era stata una cosa che lo aveva rilassato, a volte immaginava di unire mentalmente i puntini che rappresentavano gli astri, e negli ultimi tempi, se li univa riusciva ad intravedere perfettamente il volto di Harry. Guardandole il sonno, aveva prevalso e lui si era svegliato la mattina dopo lì, indolenzito e infreddolito, una trentina di chiamate e una decina di messaggi, tutti di Harry. Non aveva voglia di rispondergli, né di chiamarlo, né di parlargli, voleva restare ancora da solo con i suoi pensieri. La luce del sole gli feriva gli occhi ancora socchiusi e assonnati, e lo stomaco brontolava. Ricordò con rammarico di aver lasciato il portafogli a casa. Ironicamente, nonostante fosse un detective, se l’avessero beccato lì senza documenti né altri, avrebbero potuto anche portarlo in centrale. Si stiracchiò, sicuro che nessuno lo avesse visto e decise che, trovandosi lì, avrebbe fatto una corsetta nel parco e poi sarebbe andato da Liam. Di sicuro l’effetto del fumo era svanito, quindi avrebbero potuto parlare. Stava per iniziare a correre, quando il suo cellulare squillò, deciso ad ignorare Harry, guardò il telefono per rifiutare la chiamata, ma quando vide il nome di Liam sullo schermo, sorrise. Stava bene, ed era questo che contava. Rispose immediatamente portando il cellulare all’orecchio.
“Ehi Lì.” – rispose con la voce ancora impastata dal sonno, ma un sorriso dolce sul viso.
“Ehi Lou!” – esclamò pimpante l’altro – “senti, Zayn mi ha detto che ti ho trattato malissimo ieri sera, avevo fumato un po’ troppo, mi dispiace!”
Louis si lasciò scappare un altro sorriso, almeno Liam riconosceva i suoi errori e gli chiedeva scusa, qualcun altro non lo faceva, anzi, cercava sempre il pretesto per farlo sentire in colpa.
“Non preoccuparti, ehi, non me la sono presa.” – rispose tranquillamente, sedendosi di nuovo sulla panchina e alzando gli occhi al cielo, la cui luce non gli dava più fastidio, iniziò a fissare le nuvole e ad immaginare che quelle non fossero altro che batuffoli di cotone che svolazzavano allegramente, senza pensieri, trasportati dal vento.
“Ascolta, Lou, mi sento in colpa, mi lasci offrirti una colazione con i fiocchi stamattina?”
Louis rise attraverso il telefono, annuendo. – “Certo Lì! A casa tua?”
“No, no! Andiamo in un bar vicino al parco, hai presente?” – chiese per assicurarsi che l’amico sapesse dove andare. Doveva solo convincerlo a non parlare con Harry riguardo la droga, sapeva che non l’avrebbe fatto, ma prevenire era meglio che curare.
“Sono al parco. Ci vediamo lì!” – esclamò il maggiore. Sentendo il suo amico, un po’ di buon umore gli era tornato, e un po’ della malinconia che aveva provato durante la notte era svanita.
“Perfetto, cinque minuti e sono lì.” – assicurò, chiudendo la telefonata, dopo aver salutato il più grande. Louis si alzò dalla panchina e andò alla fontanella lì vicino per sciacquarsi almeno il viso, e non far capire a Liam che avesse passato lì la notte. Non appena si alzò di nuovo, la schiena sembrò scricchiolare, e sentì tutte le vertebre contorcersi.
Promemoria: Non dormire mai più su una panchina.
Si stiracchiò e, sentendosi un po’ meglio dopo una lavata di faccia, uscì dal parco dirigendosi fuori al bar doveva aveva appuntamento con Liam. Non appena scorse l’amico, alzò la mano in segno di saluto e quello si avvicinò sorridendo a lui. Quando Liam raggiunse Louis, si diressero entrambi all’interno del bar, presero posto l’uno di fronte all’altro e ordinarono le loro colazioni: Louis, un caffè macchiato; e Liam un cappuccino, entrambi vicino della torta al cioccolato, com’erano soliti fare colazione a Doncaster, quando vivevano insieme.
Restarono in silenzio per un paio di minuti, fino a che Liam non interruppe il silenzio creatosi.
“Lou, non stavamo facendo niente di male, ieri sera eh. Abbiamo solo esagerato un po’…” – tentò Liam, guardando l’altro, con il sorriso imbarazzato sulle labbra.
“Tranquillo Lì, lo so.” – Louis arricciò il naso, in segno di negazione – “è che…  Liam, non posso mentirti, okay? Mi dispiace non poterti aiutare.” – sospirò – “ti fa male fumare così tanto, specialmente a te che hai avuto problemi con i reni e polmoni da bambino.”
“Lo so, lo so. Ma lo giuro, non fumo mai tanto.” – lo guardò sorridendo – “lo so che ti preoccupi per me e ti ringrazio, ti occupi di me da quando eravamo ragazzini, Lou”
“Appunto, non vorrei che Malik ti influenzasse negativamente.” – buttò fuori guardandolo, cercando di capire attraverso i suoi occhi quanto quella situazione fosse giusta o sbagliata. Non poteva di certo, vietare a Liam di vedere Zayn, ma almeno fargli capire quanto quel tipo lo influenzasse. Non era una cosa positiva che Liam fumasse, e Louis lo sapeva bene, nonostante ciò voleva solo proteggere Liam dalle cattive compagnie. Nonostante fosse contento che avesse trovato qualcuno che lo amasse, aveva paura che quello potesse fargli del male in qualche modo.
“Ma no, Lou, non mi influenza. Davvero!” – lo rassicurò Liam – “a proposito, tu come mai eri da me ieri?” – chiese cambiando argomento. Louis smise di sorridere ricordando il motivo principale per cui la sera prima era andato via di casa e si era ritrovato a dormire nel parco.
“Harry.” – sospirò semplicemente  – “non lo riconosco, Lì.”
“Che ha fatto, stavolta?” – chiese curioso Liam. Non era vera curiosità la sua, ma più che altro, non voleva che niente portasse quel riccio a pensare minimamente alla droga di Zayn, il moro ci teneva.
“E’ un bravissimo detective, credimi, bravissimo.” – si lamentò Louis – “ma a volte trae conclusioni senza senso.”
“Del tipo?” – insisté.
“Non potrei parlare, Lì. Sono indagini, non posso parlare del mio lavoro così.”
“Andiamo Lou, sono il tuo migliore amico, puoi dirmi tutto.” – cercò di persuaderlo – “non dirò niente a nessuno, nemmeno a Zayn, lo prometto!”
Louis ridacchiò scuotendo la testa.
“Vuoi farmi credere che non racconterai qualcosa al tuo ragazzo, Payne?” – chiese alzando un sopracciglio – “dimentichi chi sono a volte.”
“Louis Tomlinson, l’idiota innamorato di un coglione che sa solo farlo soffrire?” – lo punzecchiò Liam, notando subito dopo l’espressione triste di Louis. Non si sentì minimamente in colpa per ciò che avesse detto, tutti sapevano quanto poco Harry ci tenesse a Louis, di quanto poco lo calcolasse e di quanta poca stima avesse di lui.
“Già, purtroppo.” – sospirò – “lo sai che non si fida di me?” – chiese retoricamente – “già, avevo proposto una pista, ma lui segue le sue idee stupide.”
“Cioè, quali?”
“Quelle secondo cui, i miei amici sono colpevoli di tutti i mali, Lì” – confessò Louis, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, portandosi una mano al volto stanco, e massaggiandosi il ponte del naso per calmarsi. Tutta la rabbia della sera prima stava tornando a galla, e lui non poteva evitarlo. Si stava innervosendo davvero troppo in quel periodo, e non faceva bene questo a colui che era da sempre il pacato.
“In che senso tutti i tuoi amici?”
“Nel senso che prima sospettava di Eleanor, ora le sue accuse sono ricadute su di te.” – si lasciò scappare senza più forza di tenerselo dentro. Liam si irrigidì, forse per paura. Louis voleva trovare le parole per rassicurare, quelle che non aveva trovato con Eleanor, quelle che non aveva detto alla biondina. Tutte quelle parole che servissero a dire al suo amico che andasse tutto bene.
“C-come di me…?” – tremò Liam – “sono il tuo migliore amico, Lou, non può…”
“Glielo impedirò, Lì.” – promise il più grande, annuendo più a se stesso che all’altro – “lo prometto, io non gli permetterò di causarti un altro trauma.” – appoggiò la mano su quella del più piccolo, come a volerlo rassicurare, proteggere da tutto ciò che stava capitando quella mattina. Sì, Liam sapeva che Louis l’avrebbe scagionato, che non sarebbe successo niente né a lui né a Zayn, ma qualcosa lo turbava. Qualcosa che a Louis non avrebbe mai rivelato.
“Lo so, Lou, lo so che tu non permetterai a nessuno di farmi del male” – sorrise per tranquillizzare l’amico che lo fissava mortificato. Louis, tuttavia, non riusciva a concepire l’assurdità dell’accusa di Harry.
Come poteva accusare Liam, quello che un giorno sarebbe stato il suo testimone di nozze?
Colui che in tutti quegli anni gli era stato accanto come più di un amico, come un fratello?
Colui al quale Louis avrebbe affidato la sua stessa vita?
No, non poteva, non poteva semplicemente era pura follia.
Ed ora, che continuava a far squillare il suo telefono, un po’ si sentiva in colpa, ma non del tutto, in fondo Harry sospettava della persona di cui lui si fidasse di più. Non sapeva come risolvere quella situazione, magari prendere del DNA di Liam e portarlo al laboratorio di Nick, in modo da riuscire a togliere ad Harry tutti i dubbi, ma no, se l’avesse fatto Liam avrebbe creduto che lui lo ritenesse responsabile, e non voleva che Liam pensasse che lui voleva indagare su di lui. Ne aveva passate troppe da bambino, e non voleva che anche da adulto avesse altri traumi.
“Infatti, non permetterò ad Harry di indagare su di te.”
“Grazie, Lou…” – sorrise l’altro, rilassandosi di nuovo, mentre un ghigno strano gli si dipingeva sul viso. – “perché non andiamo a casa tua? Magari… chiarisci con Harry?”
“No, Harry sarà al lavoro, lui esce sempre presto.”
“Capisco.” – fece stringendosi nelle spalle.
Louis non riusciva a non pensare all’assurdità che stesse pensando Harry.
Odiava quando sospettava delle persone a cui teneva, non era la prima volta che aveva dei dubbi del genere, ma Louis aveva sempre difeso i suoi amici.
“Nel caso andasse male, Lì, conosco un ottimo avvocato. Non preoccuparti, ti farò uscire anche da questo.”
“Ti ricordo che non è la prima volta che quello stronzo del tuo fidanzato sospetta di me.” – sbottò Liam – “mi ha fatto andare dentro per due notti, perché credeva avessi causato io un incidente di cui io ero vittima!”
“Lo so, Lì, lo so!” – ribatté l’altro – “stavolta non succederà, lo giuro. Troverò le prove che ti scagioneranno del tutto, come ho fatto con Eleanor.”
“E come hai fatto con lei?”
“Hanno trovato del DNA sotto le unghie dell’uomo, mi sembra, si era difeso.”
Liam impallidì, mentre Louis spiegava, il castano sapeva che il più piccolo fosse facilmente impressionabile, quindi tentò di spiegare nel modo più semplice possibile.
Alla fine, portare il suo DNA in laboratorio, era la cosa più semplice da fare, per togliere tutti i dubbi a tutti, ed era anche suo dovere in quanto detective. Doveva fornire tutte le prove dell’innocenza di una persona, per poterla scagionare totalmente, e magari avrebbe chiesto anche quello di Zayn, per togliere ad Harry i dubbi su quella coppia.
“E quindi?”
“Quindi con il confronto del DNA di El, si è scoperto che non era compatibile.”
“Oh, capisco.” – esalò – “quindi hai bisogno del mio DNA?”
“E quello di Zayn.”
Liam spalancò gli occhi, senza capire. Se Louis non aveva alcun dubbio su di lui, perché voleva il suo DNA e quello di Zayn? Non era uno solo l’assassino?
“Ma… che c’entra Zayn?”
“Beh, si suppone che operino insieme, due di loro, quindi…” – spiegò con calma – “se sospetta di te, prima o poi chiederà anche di Zayn, tutto qui.”
Liam sospirò. Louis gli stava dicendo che comunque i dubbi di Harry sarebbero ricaduti anche sul suo compagno, e di certo non voleva metterlo nei guai. Strinse la mano dell’amico sorridendogli.
“Ti fornirò il DNA di entrambi, andiamo a casa tua?”
Louis gli rivolse un sorriso carico di rammarico, ma lo ringraziò per essere così disponibile. Odiava con tutto il cuore quando si trovava in certe situazioni, ma proprio non poteva fare a meno di aiutare Liam in qualche modo, e l’unico che conosceva era quello di prendere un campione anche da lui e fare il test del DNA anche su di lui. Liam non sembrava tanto contrario, e per fortuna di Louis non aveva nulla da nascondere.
Se fosse stato davvero colpevole, si sarebbe sottratto, e avrebbe insistito per non farlo. Gli rivolse un sorriso rassicurante e si alzò dal tavolino del bar, mentre il più piccolo si dirigeva alla cassa per pagare le consumazioni.
Tempo pochi minuti, che i due uscirono da lì, recandosi a casa del più grande, mentre Harry continuava a chiamare insistentemente Liam. Louis, esasperato, afferrò il cellulare, pronto a rifiutare la telefonata, ma il senso di colpa si fece strada di nuovo in lui, e premette il tasto verde.
“Harry?”
“Louis, santo cielo, finalmente mi rispondi, è da stanotte che ti chiamo, ti prego, vieni in centrale, ti devo parlare.” – il tono del più grande era preoccupato come se davvero temesse che gli fosse successo qualcosa in tutto quel tempo che non si erano visti, che Louis era andato via, e che aveva passato la notte – ancora – lontano da lui.
“No. Sto andando a casa, con Liam.”
“Louis, per favore, ascoltami per una volta!” – sbottò l’altro, abbandonando il tono preoccupato, alzando nuovamente la voce con Louis, facendolo sentire ancora peggio di come stesse.
Louis strinse gli occhi, e scosse la testa, deciso a lasciar cadere la discussione sul nascere.
“No. Ci vediamo stasera.” – disse con freddezza, e, senza lasciar tempo all’altro il tempo di ribattere chiuse la telefonata, lasciando un Harry con la bocca spalancata e le pupille dilatate.
Rimise il telefono in tasca, e si rivolse un sorriso triste al suo migliore amico, che gli sorrideva rassicurante, e cercava spiegazioni nel suo sguardo preoccupato, e mesto.
Giunsero in poco tempo a casa Styles-Tomlinson, e Liam senza complimenti si accomodò sul divano, prese il cellulare iniziò a digitare qualcosa, probabilmente un messaggio a Zayn, avvisandolo che si trattenesse con Louis, e non tornasse a casa subito, mentre Louis invece andava in cucina, notando che Harry avesse lasciato tutto come lui aveva preparato. Lottò contro se stesso per non piangere, era un uomo dopotutto, non poteva lasciarsi abbattere da faccende sentimentali, Harry gli avrebbe detto che era un pappamolle, come sempre.
“Non ci credo!” – sbottò tornando da Liam – “non ha avuto nemmeno la decenza di riordinare!”
Liam rise. Era una risata strana.
Non stava prestando ascolto a ciò che gli diceva Louis, era impegnato a scambiarsi messaggi con Zayn, e quando Louis lo notò non poté far altro che invidiare, almeno in parte, il suo amico.
Appena Liam posò il telefono, ridiede attenzione a Louis, non poté far altro che sorridere, quasi malignamente.
“Lou, hai bisogno del mio DNA, vero?”
“Sì… sarebbe meglio.”
“Mh… i capelli vanno bene?”
“Certo, benissimo!”
Liam annuì sorridendo, e si diresse in cucina, probabilmente per prendere delle forbici, ipotizzò Louis. Udì un rumore sinistro alle sue spalle proveniente dalla cucina, ma non vi badò, da lì provenivano rumori di stoviglie, probabilmente Liam non trovava le forbici, ipotizzò ancora, contemporaneamente il suo cellulare vibrò e lo prese per vedere chi fosse: Harry.
Ti prego, va via da casa!” – diceva il messaggio. Louis alzò gli occhi al cielo. Poi vibrò ancora – “sto arrivando, ma tu va via!” – diceva ancora. Louis sbuffò e lanciò il cellulare sul divano, muovendo dei passi verso la cucina.
“Lì, tutto a posto?” – chiese sporgendosi. Liam si voltò immediatamente verso di lui, con un sorriso a dir poco sadico verso di lui, portando una mano dietro la schiena.
Ma che cosa…? Ah, forse sono i capelli.
Liam mosse un paio di passi verso di lui, ancora sorridendo.
“Sai, Lou?” – esordì continuando ad avanzare – “c’è una cosa in te che non ho mai sopportato in questi anni.”
Louis non seppe cosa lo spinse ad indietreggiare di parecchi passi fino a giungere quasi al divano, non era spaventato, ma c’era qualcosa che gli diceva che doveva indietreggiare perché quello non era Liam.
“E cosa, scusa?” – chiese Louis. Non si accorse di tremare.
“Il fatto che tu sia così schifosamente buono.” – una falcata maggiore delle altre, portò Liam a fronteggiare Louis, che andò a sbattere contro il bracciolo del divano e quasi cadde.
“Non mi sembra che la mia bontà t’abbia fatto male, no, Liam?”
“No. Ma mi sta causando troppi problemi.”
Liam scoppiò in una risata priva di allegria, mentre guardava Louis di fronte a sé, che a sua volta lo guardava con una punta di preoccupazione negli occhi, cercando di capire cosa stesse per accadere, fino a che Liam non prese ancora la parola.
“Beh, è stato un piacere conoscerti, Louis Tomlinson, ma è il momento di salutarci.” – Louis spalancò gli occhi, pietrificato. Non stava per accadere davvero, no. Sicuramente i ragionamenti contorti di Harry lo stavano impressionando. Niente era reale. Stava sognando, ancora nel parco sotto le stelle – “addio.”
Fu una questione di secondi. Liam estrasse il coltello da dietro la sua schiena, alzandolo a mezz’aria.
Louis tentò di indietreggiare ancora, ma si ritrovò con le spalle sul divano, steso, alla mercé di Liam. Deglutì diverse volte, pensando, con rammarico che Harry avesse ragione. Altri secondi d’ansia passarono.
La porta si spalancò, ma Louis non la sentì per niente, troppo impegnato a fissare con gli occhi spalancati e, ora, terrorizzati quello che era il suo migliore amico che stava per ucciderlo.
Quella consapevolezza lo pietrificò ancora di più e vide il coltello abbassarsi, strinse gli occhi per non vedere quel momento con i suoi occhi, ma prima che quello incontrasse il suo torace, sentì qualcosa, come un peso di su sé, poi un gemito di dolore.
Poi, il silenzio calò in quella stanza.
 
 
Dopo qualche istante, Louis riuscì ad aprire gli occhi.
Sentiva un peso fisico che gli opprimeva il petto, e non capiva da cosa dipendesse. Non appena riuscì a mettere a fuoco la figura che giaceva su di lui, individuò una testa riccia a lui familiare. Il terrore lo investì.
Era Harry.
Harry era intervenuto mentre Liam stava per ucciderlo.
Harry aveva ragione.
Harry gli aveva salvato la vita.
La consapevolezza di quello che era accaduto in quel lasso di tempo, lo lasciò sconvolto con gli occhi spalancati e il fiato mozzo, sospeso tra quello che credeva un sogno e la realtà, dura, degli avvenimenti.
Liam era ancora lì, con il coltello in un palmo, e Louis solo in quel momento notò che fosse nella spalla destra di Harry. Deglutì diverse volte, prima di scostare con velocità, ma delicatamente il corpo di Harry da sé appoggiandolo sul divano, ignorava che il riccio avesse ordinato alla squadra di raggiungerlo nel minor tempo possibile. Intercettò con lo sguardo Liam che stava per uscire dalla porta di casa e afferrò dal cinturone di Harry le manette. Si avvicinò a lui con uno scatto. Lottò contro se stesso per dire quelle parole. Lottò contro se stesso per fare ciò che stava facendo, ma quella era la realtà delle cose. Liam era l’assassino, era un serial killer e lui non se n’era mai accorto, accecato dai sentimenti fraterni che provava verso di lui, la collera fu tale da spingerlo ad afferrare il ragazzo e spingerlo contro la porta aperta.
“Liam Payne, ti dichiaro in arresto per pluri-omicidio, e per tentato omicidio di un pubblico ufficiale.” – dichiarò freddamente portandogli le mani dietro la schiena e ammanettandolo. – “hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te.”
“Louis… non puoi farlo, sono io, sono Liam…” – deglutì. Non provava realmente paura, ma voleva evitare di finire dentro. Eppure aveva scritto a Zayn di occuparsi di Harry, com’era possibile che non avesse agito?
“Sta zitto.”
Tempo pochi minuti, e la squadra arrivò lì.
Louis senza dire una parola, consegnò loro Liam, e con una velocità sorprendente arrivò accanto ad Harry, che ansimava per il dolore alla spalla, ma era vivo. Quello riusciva a notarlo, era vivo.
Respirava lentamente, faticosamente, ma era vivo.
Era pallido, ma era vivo.
Era ferito, ma era vivo.
Era vivo, ma per quanto?
Digitò in fretta il numero del pronto soccorso e chiese un’ambulanza di massima urgenza, poi afferrò la mano di Harry, cercando di trattenere le lacrime che volevano uscire dai suoi occhi. Non gli aveva creduto, e lo aveva messo in pericolo. Aveva messo un serial killer prima del suo amore.
“Harry… ma perché? Dovevi lasciare che colpisse me.” – strinse la mano di Harry, facendolo gemere di dolore, non accorgendosi che quella che stringeva fosse la mano della spalla ferita – “scusa, scusa, sono un idiota, dovevo capirlo, ma mi sono fidato di un amico, mi dispiace, mi dispiace…”
“No-n preoc-cuparti, L-Louis” – sorrise affaticato – “l-l’impor-tante è-è che stai be-ne…” – balbettò sempre più affaticato, sentiva le forze mancargli e il dolore era tale che credeva di poter morire da un momento all’altro, ma era più piacevole della probabile perdita di Louis, nel caso non fosse intervenuto. Forse era vero, il suo atteggiamento non era proprio quello da uomo innamorato, ma a Louis teneva davvero, rappresentava davvero tutto per lui, e non poteva affatto permettere che qualcuno gli facesse del male. Quando aveva visto Liam brandire il coltello, Louis impotente sovrastato dall’amico che lo stava quasi per colpire, non aveva esitato, era corso nella sua direzione e aveva protetto il più piccolo con il suo corpo, anche a costo di morire.
“No, stupido, no!” – protestò Louis, ed Harry non riuscì a non sorridere, anche se affaticato, ma le forze mancavano, e sentiva davvero di poter morire da un momento all’altro, per questo chiuse gli occhi, stanco.
“T-ti amo, L-Louis, r-ricordalo” – riuscì a balbettare, prima di perdere totalmente i sensi, e lasciarsi andare in un oblio nero, scuro, un oblio senza via d’uscita.
Che fosse quella la vera fine della vita?
 
 
Louis non avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe assistito al processo per omicidio del suo migliore amico, di suo fratello. Era stato consultato uno psicologo, un certo dottor Jefferson che, dopo aver parlato con Liam, aveva confermato i sospetti di tutti, era psicopatico. Agiva di sua volontà, guidata dalla sua condizione mentale, che lo spingeva a compiere atti del genere, forse per vendetta, o per qualche altro motivo che non era chiaro nemmeno allo psicologo, ma analizzando la situazione, il passato del ragazzo, la confessione ottenuta dopo un po’ di insistenza, il carattere del ragazzo, notando l’assenza di rimorso o senza di colpa per gli omicidi commessi, la diagnosi era una sola: psicopatia.
Ed ora Louis si trovava ad assistere al processo, da solo.
Liam non aveva ancora confermato la colpevolezza di Zayn, ma sapeva che l’avvocato che aveva contattato per l’accusa, Edward Sheeran, avrebbe fatto di tutto per sbatterlo dentro. L’avvocato era un tipo oltre la trentina, dai capelli rosso acceso, alto e massiccio, caratterizzato da un’eccessiva parlantina e un carattere strano, come quello di Louis per alcuni aspetti, ma attento alle leggi e alle prove accumulate. Non perdeva mai una causa, anche se quella era sbagliata o destinata a fallire. La collera di Louis era troppa.
Aveva coperto un assassino?
Liam l’aveva soggiogato così?
Eppure avrebbe dovuto capire qualcosa, invece no, lui era accecato dal suo buonismo, dal senso di protezione che provava verso di lui, e non avrebbe mai immaginato che Harry avesse ragione. Lui aveva ragione, aveva cercato di proteggerlo e che aveva ottenuto? Harry in ospedale.
Certo, sapeva che si fosse ripreso, ma non era mai andato da lui. Era passata una settimana, ma preso dal lavoro non era andato da lui, nemmeno una volta. Aveva trovato ciò che aveva fatto aprire gli occhi ad Harry. Tempo prima, Liam era stato messo dentro per un incidente stradale, e si era posto al test tossicologico per provare la presenza o meno di sostanze stupefacenti nel suo corpo. Riprendendo quelle analisi, inserendo i dati giusti, Harry aveva scoperto di un traffico di droga, ad opera di Zayn Malik. Harry senza destar sospetti, il giorno del famoso litigio, aveva contattato Zayn privatamente e invitandolo a bere qualcosa – erano conoscenti, e ogni tanto un caffè insieme potevano concederselo tra di loro – era riuscito ad ottenere un campione di DNA, un capello sulla spalla. Il fato aveva voluto che quel capello fosse di Liam, come riscontrato dal test, capello che probabilmente era rimasto impigliato nella camicia di Zayn quando la notte prima aveva fatto sesso con Liam. E Harry non era stato affatto difficile provare anche la colpevolezza di Zayn. Una volta tornato in ufficio, aveva rintracciato tutte le telefonate i messaggi di Zayn: il giorno dopo, circa, aveva rintracciato un messaggio che diceva: Harry sa, anche Louis. Io mi occupo di lui, tu fa fuori l’altro.
Era stata una palese confessione, aveva contattato la squadra, ed era corso da Louis, che ignaro era lì con Liam.
Louis si era sentito in colpa, gli aveva sbattuto la porta in faccia, gli aveva urlato contro, ed Harry gli aveva salvato la vita, il suo buonismo l’aveva soggiogato di nuovo, e ora, dal banco dell’accusa, guardava Liam, seduto a testimoniare, con astio, disprezzo, odio.
Aveva ucciso delle persone, aveva distrutto delle vite, e aveva quasi distrutto quella di Harry. E quella era stata una cosa inaccettabile per lui, che cercava di eliminare la criminalità dalla faccia della terra, a causa sua. E aveva già messo in moto la squadra per arrestare anche Zayn.
Tredici anni prima, aveva visto Liam lì confessare di essere stato maltrattato dal padre.
Tredici anni dopo, vedeva Liam lì confessare di essere un assassino.
“E’ vero, signor Payne, che lei ha volontariamente, e sottolineo, volontariamente, ucciso le signorine Peazer ed Edwards, i coniugi Hill e i signori Horan e Devine?”
“No.” – rise, una risata glaciale, fredda, da pazzo – “ho ucciso la Peazer, Horan e l’uomo, odioso” – era una confessione spudorata, non temeva le conseguenze di ciò che stava facendo e nel dirlo, nessuna emozione, o senso di colpa era impresso sul suo viso, nemmeno la paura.
“Ed è vero che ha tentato di uccidere il detective Styles?”
“Tecnicamente, io volevo uccidere quel coglione di Tomlinson, ma Styles si è intromesso.” – ne parlava con una semplicità disarmante, come se avesse aiutato una vecchietta ad attraversare la strada, tutti erano allibiti. Nessuno aveva mai ammesso così le sue colpe in tribunale. E quando chiesero chi fosse il suo complice, lui confermò fosse Zayn, senza importarsi se ci sarebbero state ripercussioni su di loro.
“E lei come si dichiara?”
“Innocente, ma mi ero stufato della presenza di Louis nella mia vita.” – Louis dovette inghiottire a vuoto per non risentire di ciò che aveva detto Liam. Dopo che gli aveva dato casa, protezione e amicizia, quello era il ringraziamento.
La giuria non impiegò molto a emanare il verdetto.
Louis stentò a credere alle sue orecchie. Anche se lui aveva chiuso il cuore, e aveva aperto gli occhi, la verità di quelle parole gli fece gelare il sangue nelle vene, quella verità fece male peggio di mille coltellate piantate nel cuore. Quella verità lo pietrificò nonostante ne avesse arrestati tanti di serial killer. In tutta la sua vita non avrebbe mai creduto ad una cosa del genere, fino a che non sentì quelle parole.
La verità.
Il martelletto del giudice picchiò sul banco, e il verdetto fu emanato.
“La giuria giudica l’imputato, Liam James Payne, colpevole di pluri-omicidio e tentato omicidio” – il sangue si gelò nelle vene di Louis, tanto fece male quella verità – “per tanto, è condannato all’ergastolo.” – il martelletto picchiò ancora – “la corte si aggiorna.”
Davanti ai suoi occhi, Liam fu scortato via dalle guardie, mentre fissava Louis con un sorriso sadico sul viso, e non appena gli passò vicino con cattiveria sussurrò: “resterai sempre un perdente troppo buono agli occhi di Styles”.
Quella fu l’ultima cosa che si dissero.
Louis non rivide mai più Liam, dopo quel giorno.
 
Tre giorni dopo.
Zayn Malik fu trovato nel suo appartamento senza vita: overdose.
L’autopsia confermò l’ipotesi, e il caso fu archiviato come risolto.
 
 
 
Dieci giorni dopo esatti dal ricovero in ospedale di Harry, Louis si presentò lì.
Non vi era mai andato, se non quando l’aveva accompagnato con l’ambulanza, poi era andato via, senza dire nulla, senza aspettare nemmeno che il medico gli dicesse che fosse fuori pericolo, odiava gli ospedali, odiava l’attesa per scoprire se un proprio caro potesse farcela, odiava attenere in quelle stanze sterili, le odiava al punto tale che aveva fatto in modo che le condizioni di Harry gli venissero comunicate per telefono. Quando gli era stato detto che fosse fuori pericolo, aveva tirato un sospiro si sollievo e aveva ripreso a lavorare, usando le prove di Harry, arrivando al punto di testimoniare contro l’amico. Però in quel momento si trovava lì, fuori la camera d’ospedale dove Harry era stato ricoverato, con un patetico mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini.
Gli avevano detto, quando lo avevano chiamato, che la coltellata profonda aveva reciso uno dei bronchi, lui aveva perso troppo sangue, ma che era stato operato d’urgenza e gli avevano fatto delle trasfusioni, e per miracolo lo avevano salvato. Per dieci giorni, Louis non aveva avuto il coraggio di andare da lui, per colpa, per paura, non sapeva per cosa, ma si sentiva un verme a non essere andato, aveva però la scusa del lavoro e del caso da concludere.
Dopo minuti interminabili di esitazione, ragionamento e auto-convincimento, picchiettò con le nocche chiuse sulla porta. Quando percepì la voce roca di Harry pronunciare un “avanti” flebile, si decise ad aprire la porta e ad entrare dentro. Non appena lo vide il suo cuore smise di battere, aveva sempre pensato che Harry fosse un bellissimo ragazzo, ma in quello stato non gli sembrava altro che un cucciolo indifeso, che meritava attenzioni, cure e… coccole. Si morse le labbra avvicinandosi a lui. I suoi occhioni smeraldo quella mattina sembravano grigi, ma un guizzo di felicità li colse non appena intercettò la figura di Louis, lo fissava senza emettere un fiato. Era freddo, senza sentimenti, lo sguardo parlava chiaro, lo conosceva fin troppo bene, ma quando si sedette accanto a lui senza parlare, allungando solo il mazzo di fiori e mettendoglielo in grembo, il suo sguardo si sciolse diventando smeraldo puro, liquido, uno sguardo che non gli aveva mai visto davvero, se non in rare occasioni.
“Che belli…” – mormorò con la voce ancora impastata dal sonno, forse a causa dei sedativi che gli avevano somministrato – “grazie, Lou” – sorrise. Quanto tempo era che non sorrideva così spontaneamente?
Senza il ghigno da saputello sul viso? Quanto gli era mancato quell’Harry?
“Figurati… oh, la cioccolata ti piace ancora?” – chiese appoggiando la scatola accanto ai fiori.
“Dio, Louis, sei il mio salvatore!” – esclamò allegramente, ma si sentiva che fosse stanco – “erano giorni che non mangiavo qualcosa di vagamente commestibile, sto odiando il brodo di pollo.” – si lamentò con la voce melliflua e stanca. Louis si lasciò scappare una risatina divertita. Decisamente, quello non era Harry, non faceva mai battute, era sempre freddo, non sorrideva mai.
“Haz, sei davvero tu?”
“Sì. Non ti liberi facilmente di me, Tomlinson” – disse freddamente, voltandosi a guardare il fidanzato con il sorriso stampato sulle labbra. Louis stentava a credere a quella visione. Harry, il suo Harry, che gli sorrideva tranquillamente, che parlava ironicamente…
“Sei ancora sotto anestesia?”
“No, scemo!” – sorrise ancora – “non mi hai ancora baciato” – si lamentò con la voce malinconica e bambinesca, facendo sorridere il più piccolo.
“Chi sei? Che ne hanno fatto del mio Harry?” – sussurrò avvicinandosi a lui, e sfiorando le sue labbra con leggerezza, sorridendo contro di esse.
Harry non confessò mai che il vederlo in pericolo, la paura di poterlo perdere, il terrore di una vita senza di lui, la consapevolezza di amarlo oltre ogni limite l’avevano spinto ad una fase di disgelo, che gli imponeva di essere più dolce, accondiscendente con il minore e di amarlo esattamente così com’era, senza pretendere troppi cambiamenti da lui.
“Prima dimmi, il caso?”
“Risolto.” – mormorò con leggera tristezza. Harry intuì che avesse dovuto lottare contro se stesso per agire in quel modo, quindi non fece altre domande, si sarebbe interessato al caso in un secondo momento. Si spostò leggermente di lato e incitò il minore a stendersi accanto a lui. Quello non se lo fece ripetere due volte. Fu attento alla flebo, attento alla spalla di Harry, e si posizionò vicino a lui, abbracciandolo. Harry con il braccio sano ricambiò l’abbraccio e Louis credette di essere completo, finalmente. Quanto aveva desiderato quelle braccia? Quanto aveva desiderato tutto ciò? Per troppo, e ora non ne poteva più fare a meno. Si alzò su un gomito e premette le labbra contro quelle di Harry, per dargli un bacio vero, non uno di quelli a stampo soliti del maggiore.
Quanto gli era mancato il sapore dell’altro?
Il suo cuore prese a battere forte, mentre il riccio combatteva contro se stesso, si stava spingendo oltre, non si era mai comportato così, si era ripromesso di non lasciarsi mai andare troppo, ma la consapevolezza di perdere Louis era peggiore di qualsiasi prospettiva. Il velo di freddezza che si era imposto di mantenere era caduto.
“Mi piace questo nuovo Harry” – sussurrò Louis, contro le sue labbra, mordendole appena, mentre i loro sapori si mischiavano ancora, e ancora, e ancora in una danza armoniosa di bocca, labbra e lingue.
“Lo so. E a me piace il nuovo Louis.” – sorrise baciandolo ancora.
Alla fine, Harry aveva imparato ad essere meno freddo, e Louis aveva imparato a mettere da parte i sentimenti per risolvere i casi. Si erano completati, dopo tre anni avevano capito tutto, e ora non avrebbero più avuto tante discussioni sul lavoro, avevano corretto gli errori dell’altro, e la fiducia dell’uno nell’altro era accentuata.
Il cellulare di Louis squillò mentre era steso accanto ad Harry, intento ad accarezzargli il petto, mentre il più grande mangiava con gioia la cioccolata che il minore, gentilmente, gli aveva portato.
Il castano sbuffo udendolo, mentre era ancora coccolava tra le sue braccia Harry, che docilmente si lasciava toccare, coccolare e abbracciare dal minore,  si lasciò sfuggire un gemito di disapprovazione, quando le mani del più piccolo non furono più a contatto con la sua pelle, intente a cercare il cellulare nella sua giacca, dopodiché rispose subito.
“Sì… sono io!” – rispose al suo interlocutore, mentre il riccio osservava i suoi movimenti. Dannazione, è perfetto. – “no, Styles non è ancora in forma.” – lo osservava parlare al telefono, mentre muoveva le labbra, e la sua mano ritornava sul suo torace, accarezzandolo ancora, facendogli chiudere gli occhi per il troppo relax – “oh. D’accordo, arrivo subito in centrale!” – esclamò, e le palpebre di Harry fecero uno scatto verso l’alto – “oh sicuramente, a dopo!” – chiuse, rivolgendo uno sguardo mesto al suo fidanzato.
“Devo andare, Haz.” – fece baciandogli la guancia – “torno più tardi, promesso!”
“Ma non ero io quello freddo e insensibile?” – si lamentò, guardandolo, stranamente sorpreso dell’atteggiamento del più piccolo. Era davvero cambiato, lo vedeva più… uomo.
“Oh Haz, non mi sarai diventato un tenerone in dieci giorni?”
“Sciocchezze.” 







Se siete arrivati qui vi voglio bene a prescindere.
Ringraziamenti speciali: Il mio efficientissimo Team! Lu! Che mi ha aiutato con il profilo psicologico dei personaggi, per i suggerimenti e tutto ciò che c'è in questa dannata OS. E per il MERAVIGLIOSO BANNER, ovviamente.
Un mese quasi per scriverla, cazzo. Love ya, love <3

Ringraziamo il cast che si è sottoposto a tutto ciò.
E niente, io vi ringrazio come sempre per tutto il supporto morale che mi date. Sono contenta che le mie OS vi piacciano, e spero che questa non vi abbia sconvolto troppo. 
Chiedo scusa a Niall, Josh, Zayn, Perrie e Danielle per averli fatti crepare tutti insieme appassionatamente.
Beh, io vi lascio, bye people! 

   
 
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