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Autore: Ryo13    17/07/2013    3 recensioni
Erin Knight ha un solo obiettivo nella sua vita: da quando ha perso lo zio Klaus, ucciso dall'uomo che amava, non vive che per trovare colui il quale possiede il potere complementare al suo, ovvero quello di manovrare il tempo. Tuttavia la sua missione è ostacolata da Samuel Lex — adesso capo dei ribelli e conosciuto col nome di 'Falco' — e dai capi dell'esercito reale che la osteggiano, minacciando la sua carica di Luogotenente. Unica donna in un mondo di uomini e senza alleati, sarà costretta a forgiare nuove alleanze in luoghi inaspettati...
❈❈❈Storia in revisione ❈❈❈
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Finalmente sono riuscita ad ultimare il capitolo 13 di questa storia http://i40.tinypic.com/207ua36.jpg
Credetemi, ho cominciato a scriverlo qualche giorno dopo la fine dell'ultimo esame e ci ho messo alcuni giorni per comporlo, dato che si succedono un bel po' di eventi :D  Senza anticipare nulla, posso dirvi che si concluderanno alcune questioni ancora "in sospeso" e finalmente se ne profileranno altre che ci condurrano in avanti con la storia. Tra l'altro scopriremo qualcosa di nuovo riguardo a chi sia Erin Knight (oooh!) e verranno presentati nuovi personaggi che spero tanto vi piacciano 
Devo chiede scusa a tutti coloro che seguono questa storia per l'improponibile quantità di tempo che avete dovuto aspettare per l'aggiornamento. Soprattutto chiedo perdono ad Artemis Black che nell'ultimo commento mi aveva chiesto di postare il prima possibile e io  — nonostante la scaramanzia — ho finito con l'impiegarci ancora più del solito http://i30.tinypic.com/2l9sjs1_th.gif 
Almeno la promessa di dare una smossa agli eventi l'ho mantenuta!
Depa95 (Giù-), sei testimone dello sforzo che ho fatto! Alla fine ho raggiunto le 26 pagine (mi sanguinavano i polpastrelli) ma sono riuscita a portare la storia lì dove volevo! Senza cedere alla tentazione di spezzare il capitolo postando una parte subito e l'altra in seguito! 
*** Ecco, vi avviso anche che in fondo alla pagina ho lasciato delle immagini per farvi vedere cosa indossano i protagonisti in questo capitolo ;D Per l'abito di Erin mi sono ispirata ad una foto di moda, mentre siccome quello di Chevalier non esiste da nessuna parte se non nella mia testa, ho fatto lo sforzo (spero gradito) di disegnarlo su carta, scannerizzarlo, colorarlo con GIMP e postarlo qua per farvelo vedere.
Quindi spero apprezzerete anche il disegno, sebbene non sia un'artista eheh 

GRAZIE DI SEGUIRE QUESTA STORIA! http://digilander.libero.it/irvaaa/copertine/1218200437.gif


Capitolo 13 - Invito al ballo

 

L’acqua calda era un toccasana per le contusioni che avevo riportato durante gli scontri al Surdesangr. Osservavo le nuvolette di vapore che mi appannavano la vista mentre stavo mollemente adagiata nella vasca. Un raro attimo di silenzio, quello che mi stavo godendo.

All’improvviso rivissi gli ultimi giorni trascorsi tra la frenesia della battaglia, le incertezze dei miei piani, le preoccupazioni di Vasil e di Chevalier. Tutto doveva essere condotto con astuzia, celerità e silenzio, in un equilibrio di parti tanto azzardato quanto precario. Dovevo riconoscere che aveva agito a mio vantaggio una buona dose di fortuna: se Stenton non fosse stato così prevedibile da condurci egli stesso a Finn, se gli scontri si fossero protratti più a lungo, logorando le mie energie, se il Giuramento di Sangue apposto da Drogart fosse stato più forte…

Ripensare a tutti i ‘se’ e tutti i ‘ma’ mi scosse nel profondo, irradiandomi lungo la schiena un brivido freddo, fantasma della possibilità del fallimento.

Ripensai alla discussione con Raafael di poche ore prima: il Comandante aveva il potere di buttarmi fuori dalla milizia, senza che potessi fare nulla per oppormi. Molti sarebbero stati contenti di una simile evenienza: probabilmente tramavano già nell’ombra e facevano pressione affinché si sbarazzasse della mia inopportuna presenza.

Eppure Raafael non aveva ancora ceduto. Nonostante le mie numerose insubordinazioni, le discussioni sulle strategie da adottare e quelle su dove incanalare ricerche e risorse, mi aveva tenuto con sé.

Persino oggi era stato clemente e alla fine aveva ceduto alle mie richieste, sebbene fumasse di rabbia e di sdegno.

All’inizio avevo creduto lo facesse per timore della reazione del sovrano alla mia eventuale estromissione dall’incarico; in seguito avevo cominciato a pensare che mi stimasse almeno un poco come persona, o che ammirasse il mio potere e lo ritenesse di grande utilità per i suoi scopi.

Ancora non capivo quale di queste ragioni lo spingeva a passare sopra al mio comportamento: forse tutte e tre.

Raafael era una persona imperscrutabile: quindi, a meno che non me le esponesse direttamente, non avrei mai potuto capire i suoi motivi.

Bussarono piano alla porta.

«Vieni avanti, Marien», sospirai, sollevandomi un poco.

La serva scivolò dentro, chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.

«Signora, il ragazzo è pulito e anche l’uomo ha ultimato il suo bagno.»

«E Rob?»

«Si sta intrattenendo col vostro ospite.»

«Capisco. Allora sarà meglio che esca. Prima, però, avvicinami lo scrittoio e portami carta e calamaio.»

«Signora, non sarebbe meglio se vi asciugaste? Correte il rischio di bagnare la carta.»

«Si perderebbe troppo tempo. Voglio che il messaggio arrivi prima che abbia finito di vestirmi. Lo porterai tu stessa a Joshlyn.»

«Sì, padrona, come desiderate», risposte Marien, affrettandosi a porgermi quanto avevo chiesto.

Scrissi velocemente due righe sul biglietto, in bilico tra la vasca e il ripiano dello scrittoio, e glielo porsi con queste parole: «Riferiscile che è urgente, che mi faccia avere risposta tramite te se lo riterrà più prudente».

La congedai con un cenno e la serva partì.

Abbandonai il conforto della vasca e dell’acqua e mi asciugai tamponandomi il corpo con l’asciugamano di lino ricamato. Mi rivestii con una tunica azzurra e legai i capelli umidi in una treccia. Non avevo il tempo di asciugarli davanti al fuoco; fortunatamente, gli ambienti erano stati tenuti al caldo.

Quando entrai nel salotto che faceva da anticamera alla zona di riposo, trovai Finn impegnato in un fitto racconto delle sue avventure e della sua fuga: i punti di maggior tensione erano enfatizzati da un ampio gesticolare e dalla voce che, per l’eccitazione, diventava sempre più acuta. Rob, appoggiato con una spalla alla parete prossima al divano, lo guardava con un sorrisetto divertito mentre, al contrario, Chev manteneva il suo cipiglio impassibile, pur prestando tutta la sua attenzione al ragazzino.

Attesi fin quando il racconto non si concluse, riferendo dell’insistenza di Marien per farlo lavare: il ragazzo aveva strenuamente resistito alle pressioni.

«Basta così, Finn. Ora so tutto ciò che mi serviva sapere», disse Chevalier, tacitando il ragazzino. «Ora stai un po’ con Rob e cerca qualcosa da fare mentre discuto di alcune cose con la signorina Knight.»

Detto ciò, si girò e mi fece un cenno. Mi resi conto che doveva aver percepito la mia presenza alle sue spalle da quando ero entrata in camera.

Mi avvicinai a passi misurati.

«Finn, in quella stanza c’è un ripiano con alcuni modellini di navi. Puoi andare con Rob a guardarli se ti fa piacere.»

Gli indicai la porta che dava su una piccola biblioteca.

«Davvero posso?», esclamò entusiasta.

«Ma certo che puoi», l’assicurai, prima di dire a Rob: «Potete andare e prendere tutti quelli che volete. C’è un tavolo che potete usare. Solo, state attenti a non avvicinarvi alla finestra. Anche se ci troviamo in un’ala piuttosto isolata non possiamo correre il rischio che qualcuno vi veda dall’esterno.»

Rimasti soli, Chevalier e io prendemmo posto l’uno di fronte all’altra.

A un primo, veloce esame non mi era certo sfuggito quanto il bagno gli avesse giovato: una volta eliminato lo strato di sporcizia misto a sudore, il suo aspetto era notevolmente cambiato: era più fresco e riposato. La pelle aveva assunto una nuova intensità ambrata, i capelli dorati risaltavano nella luce, in ciocche ondulate ancora umide, e incorniciavano il volto, accarezzandogli le spalle robuste. Persino l’azzurro degli occhi pareva più intenso e vivido che mai, come se il calore dell’acqua avesse sciolto stress e stanchezza.

Nonostante la barba gli desse un’aria selvaggia, era decisamente attraente: molto più della prima volta che l'avevo visto, a dire il vero… ora odorava di buono.

Anche se apparentemente rilassata, la figura dell’uomo tradiva una certa tensione. Attendeva che fossi io a prendere la parola.

«Ti ho già accennato che ho avuto il permesso dal mio Comandante di raccogliere sotto il mio comando dei volontari.»

Un grugnito di Chev attirò la mia attenzione, interrompendomi. 

«Quello lo chiami “avere il permesso”?», rise seccamente. «Aveva tutta l’aria di una controversia bella e buona.»

«Beh, sì… diciamo che ho forzato un po’ i termini della limitazione impostami», mi strinsi nelle spalle con un sorrisetto.

«Il Consiglio si riferiva di sicuro a uomini che fossero già assoldati nella milizia. Io ho spaziato un po’ oltre, gettando l’amo dove il pesce era più abbondante.»

Chevalier non sembrava divertito di essere paragonato a un pesce. «Non hai fatto buona pesca, allora. Hai ottenuto solo me, mentre mi pare di capire che puntassi a un numero più alto di candidati.»

Mi rilassai poggiando la schiena sulla poltrona. «Prima di tutti gli altri numeri c’è sempre uno. Con te sono solo all’inizio, ne sono consapevole, tuttavia mi ritengo fortunata perché vali più di cento smidollati. Mi pare inutile ritornare sulle qualità che mi hanno spinto a desiderarti al mio servizio.»

Chev convenne. «Dimmi cosa ti aspetti esattamente da me, e quali sono i pericoli cui vado incontro.»

«Mi sembra giusto», annuii. «Come già ti avevo accennato, la mia missione principale è quella di trovare una persona. Purtroppo finora non è stato molto semplice seguirne le tracce, anzi, si può dire che al momento mi trovo a un punto morto. Tuttavia, sono anche una Guardia Scelta dell’esercito reale quindi i miei compiti prevedono anche la protezione del re e la difesa di Norvo.»

«Avevi accennato al fatto che eri osteggiata, però.»

«Ricevo continue pressioni dall’interno perché molti degli altri ufficiali non sono contenti del fatto che una donna abbia un grado o una forza pari alla loro. Alcuni uomini molto influenti, come il vice-comandante Rufus, sarebbero veramente soddisfatti di vedermi fare una brutta fine; sono questi che presumibilmente hanno formato un fronte comune per estromettermi dal potere: di fatto hanno sfruttato il fallimento di una mia azione militare per togliermi il comando dei miei uomini, lasciandomi la possibilità di reclutare solo volontari.»

«Volontari che non ci sono, a quanto sembra», constatò assorto.

«Esatto. In verità, ho motivo di credere che qualcuno sarebbe stato disposto a seguirmi, ma anche questi subiscono pressioni dall’alto. Sono stata segretamente informata che pende una minaccia contro chiunque stia dalla mia parte.»

«Un bel problema.»

«Sì, uno che mi ha costretto a rivolgermi all’esterno», sbuffai. «Comunque devo presumere che il mio scherzetto non sarà gradito agli altri luogotenenti, così come non lo è stato a Raafael. Non so come potranno reagire, ma se finisce nel peggiore dei modi, con te perlomeno avranno del filo da torcere: sei abituato a lottare contro attacchi a sorpresa di ogni tipo. Dovrai prestare la massima allerta.»

«Non saprei come rilassarmi nemmeno volendo», commentò granitico.

Risi. «Bene, meglio così!»

La discussione continuò ancora per qualche minuto: gli descrissi brevemente i principali luogotenenti con cui avremmo avuto a che fare e le loro caratteristiche.

«Ora che ti ho esposto la situazione generale dell’interno», continuai, «è bene che tu conosca anche i pericoli esterni.»

«Esterni?»

«Precisamente. Ho un nemico molto forte anche fuori da queste mura, Chev.»

«Che sarebbe?»

«Il Falco. Devi averne sentito parlare…»

Mi fissò con la sorpresa negli occhi. «Molto. Mi domando cosa abbia a che fare con te.»

«Mi ostacola.»

«Perché?»

Scrollai le spalle e lentamente risposi: «Faccio parte della milizia. I nostri uomini si scontrano spesso».

«Pensavo parlaste di un nemico personale…»

«Infatti, è così», ammisi.

«Allora qual è il tuo obiettivo?»

«Lo voglio morto», asserii con voce monocorde.

Chevalier mi scrutò qualche secondo in silenzio. «...vendetta», suppose alla fine, in un sussurro.

Un rumore alla porta ci costrinse a distrarci dalla nostra discussione: Marien era tornata. Un po’ trafelata mi comunicò: «Signora… il messaggio è stato recapitato».

Quasi prima che completasse la frase, le ingiunsi di darmi la risposta che attendevo.

«Questa sera, alla residenza di Vomondr», s’affrettò a specificare.

«Maledizione...», imprecai, serrando gli occhi.

«Padrona, qualcosa non va?», si affrettò a domandare preoccupata la serva.

«No, no… va tutto bene, Marien. È solo che mi dispiace che sia Vomondr, tra tutti.»

«Oh!», disse, «vi capisco… non piace nemmeno a me quell’uomo ma voi saprete tenerlo a bada, signora.»

«Certamente», sospirai, recuperando il contegno. «Ora, Marien, bisogna pensare a recuperare dei vestiti per i nostri ospiti. Puoi pensarci tu?»

«Sì, signora. Quent avrà di sicuro tutto ciò che occorre.»

«Bene, allora andate pure. Per quanto riguarda i vestiti di Chev per questa sera, ci penserò io stessa.»

Dopo avere valutato il da farsi, la serva scivolò nuovamente fuori dagli appartamenti.

Chevalier, nel frattempo, aveva silenziosamente assistito allo scambio.

«Di cosa parlava la tua serva? Che cosa deve accadere questa sera?» 

«Presenzieremo a un ballo nobiliare nella residenza di Joshfen Vomondr.»

Accigliato, chiese: «Perché?».

«Devo incontrare una persona e discutere su un argomento che vi tocca personalmente.»

«Che sarebbe?», corrugò la fronte con sospetto.

«Si tratta di Finn. Se accetti di lavorare per me, non può rimanere con noi. È troppo pericoloso.»

«Sono d’accordo», convenne dopo un breve momento di silenzio.

«Quindi accetti l’accordo?»

Ero stanca di tergiversare sulla questione. Avevo investito fin troppe energie e tempo in questo progetto.

«Credevo che questo l’avessimo già stabilito. Perché me lo domandi di nuovo?»

«Prima di questo momento hai acconsentito ad aiutarmi, è vero, ma io avevo Finn e tu non potevi sapere se gli avrei fatto del male pur di raggiungere i miei scopi», cominciai. «Ora, però, ti ho definitivamente dato prova di aver mantenuto la parola. Finn è qui e sta bene, ma soprattutto, è tuo: non lo userò per ricattarti come ha fatto Stenton. Puoi scegliere liberamente di rimanere oppure andartene. Ciò che voglio è che la scelta sia assolutamente libera: come hai capito, la mia missione può rendersi insidiosa, ho molti nemici. Voglio potermi fidare ciecamente di chi mi rimane accanto.»

Detto ciò, mantenni lo sguardo fisso sui suoi occhi di ghiaccio, che scrutavano i miei, leggendovi chissà quali segreti. Potevo quasi sentire il lavorio degli ingranaggi del suo cervello che elaborava le mie parole e si apprestava a formulare una risposta ponderata.

Dopo un lungo minuto trasse un profondo respiro e disse: «Ti sono debitore per aver salvato Finn e Rob e per aver liberato me. Non posso ignorarlo. Inoltre, mi sembra chiaro che dipendo da te riguardo alla questione del Giuramento di Sangue con Drogart. A che mi gioverebbe rifiutare la tua offerta? Come se non bastasse, sei stata di parola e questo l’apprezzo molto.»

Feci un cenno per dirgli che capivo il suo punto di vista. «Finn vivrà al sicuro e potrai vederlo ogni volta che vuoi. In cambio dei tuoi servigi avrai vitto e alloggio e una piccola paga. Agli altri sarai presentato come la mia guardia del corpo.»

Così, trovammo un’intesa.

ꕥꕥꕥ 

 

Marien era tornata poco dopo con un fagotto di vestiti avvolti dentro un sacco di tela. Si era mossa attraverso i familiari corridoi, uscendo indisturbata dal Palazzo delle guardie e facendo apparentemente il suo solito giro al mercato. Lì, si era rivolta a Quent, sarto ben rinomato, che aveva nella sua bottega abiti per tutti i generi e, insolitamente, per tutte le classi sociali. Aveva acquistato alcuni capi scelti per Rob e Finn perché quelli forniti da Stenton lasciavano molto a desiderare.

Ora il ragazzino si osservava allo specchio, ammirando i calzoni e la camicia nuovi e voltandosi a guardare da diverse prospettive la propria figura. Marien aveva buon occhio, così anche i vestiti di Rob erano perfetti. I pantaloni marroni gli fasciavano le gambe senza ostacolarne i movimenti; la camicia immacolata fu lasciata slacciata alla sommità.

«Grazie, Erin! Non indossavo abiti del genere da… oh, non ricordo nemmeno più da quanto!» esclamò Rob soddisfatto.

Finn a quelle parole si voltò verso il padre, puntando lo sguardo sui suoi vestiti logori. Poi mi chiese: «Perché a mio padre non avete dato dei vestiti, signorina Knight? Credevo che lui dovesse aiutarvi».

Gli sorrisi spiegando: «Abbiamo preso qualcosa anche per lui, non temere», indicai un fagotto dentro la borsa di tela, «solo che ora deve indossare qualcosa di leggermente diverso, più formale».

«E dove sono questi vestiti “formali”?», insistette curioso.

«Li recupereremo al più presto.»

 

ꕥꕥꕥ 

 

La mattina scivolò via velocemente. Avevo spiegato a Chevalier la necessità di unirci agli altri soldati per il pranzo, nella sala comune: in questo modo sarei stata capace di introdurlo pubblicamente, diminuendo la possibilità di spiacevoli incidenti.

Desideravo che si uniformasse il più possibile, per questo avevo ritenuto opportuno vestirlo coi colori dell’esercito, in modo che si confondesse tra gli altri: tuttavia, la sua stazza e la sua presenza fisica suggerivano piuttosto l’idea che tale effetto fosse improbabile.

Non fu difficile procurarmi una divisa maschile della sua taglia nel deposito di rifornimento; mi occorse molta più discrezione per nascondere i pensieri imbarazzanti che mi affollarono la mente quando Chev si presentò in tutta la sua imponenza, messa in risalto dai vestiti dal taglio raffinato e dal colore vivido.

I pantaloni di pelle erano come una seconda pelle e mettevano in risalto ogni fascia muscolare, la tunica rossa gli disegnava i bicipiti; il busto sarebbe ben presto stato definito da un giustacuore di cuoio resistente.

«Ti va benissimo», riuscii a commentare dopo aver deglutito un paio di volte.

Chev, senza dire una parola, chiudeva e apriva le braccia in ampi movimenti, valutando la comodità degli indumenti.

«Ti manca ancora qualcosa, però», dissi inclinando di lato il capo.

Quale arma del mio arsenale gli si sarebbe adattata meglio?

«Vieni con me.»

Mi avvicinai a un vecchio baule capiente, in fondo alla stanza. Nel sollevarne il pesante coperchio rivelai una modesta quantità di armamenti.

Chev, nell’osservare quell’assortimento parve colpito. Dopo un’occhiata per chiedere il permesso, allungò una mano ed esaminò qualche lama.

«Hai una preferenza?», domandai dopo che ebbe osservato il quarto pugnale. «Te la cavi meglio con qualche arma in particolare?»

Senza voltarsi, né rispondermi, prese una spada e la menò per aria, soppesandone poi il calibro.

«Penso sia meglio che tu tenga una spada appesa al fianco e che porti almeno due pugnali, uno dei quali, magari, nascosto negli stivali. Tornano sempre utili delle lame in più.»

«Vuoi davvero che prenda queste armi?», chiese finalmente con tono sommesso.

«Certo. Una guardia del corpo non può girare disarmata, ti pare?», commentai un po’ sorpresa dalla sua perplessità.

«Sono di ottima fattura, devono essere di valore», considerò lentamente.

«Quale che sia il loro valore, assolvono al loro scopo: tagliano bene. E, come vedi, ne sono ben fornita, non sentirò la mancanza di uno o due pugnali.»

Senza lasciargli il tempo di replicare, presi un fodero di colore nero che si adattasse ai pantaloni. Girandogli attorno, gli annodai in vita una cintura, alla quale appesi la spada che aveva maggiormente apprezzato e un astuccio dove poteva riporre denaro e altri oggetti di uso quotidiano.

La lunga arma aveva un’elsa estremamente semplice e disadorna, ma era dotata di una lama di gran lunga più affilata delle altre.

«Non ti resta che scegliere i pugnali», lo incoraggiai.

Non più tentennante, impiegò ancora qualche secondo prima di optare per dei pugnali scelti anch’essi sulla base dell’efficienza e della qualità piuttosto che della bellezza degli ornamenti.

Una volta sistemate tutte le armi al loro posto, non rimaneva che un’unica cosa cui pensare.

Con passo deciso, attraversai la sala ed entrai in camera da letto.

Dal portagioie estrassi una spilla d’oro a forma di Nibbio reale, l’animale che a Orvo rappresentava il dare o ricevere protezione. Tornai in fretta da Chevalier e glielo mostrai.

«Metterai questa, così tutti sapranno con chi avranno a che fare.»

Scrutò per alcuni secondi la spilla, tracciandone col dito i bordi, prima di portare lo sguardo su di me.

Senza commentare o protestare, me la porse e attese pazientemente che gliel’appuntassi all’altezza del cuore.

«Direi che ci siamo», decretai con un’ultima occhiata di valutazione. Lasciammo gli appartamenti che rimasero vuoti: avevo stabilito che Rob e Finn sarebbero stati più al sicuro in un altro luogo. Li avevo affidati a Marien, certa che la serva li avrebbe condotti a destinazione sani e salvi.

Questa volta io e Chevalier ci avviammo lungo i corridoi e giù per le scale a viso aperto, senza più tentare di rimanere nascosti.

Incrociammo alcuni soldati che ci lanciarono occhiate incuriosite, squadrando in particolare l’uomo alto e possente che mi camminava a fianco.

Nonostante la perplessità generale, nessuno si arrischiò a fare domande, ma molti sgranarono gli occhi quando notarono la spilla dorata dello sconosciuto: la forma del nibbio, infatti, si stagliava distinta sul giustacuore di cuoio scuro, messa in risalto da rapidi bagliori, ogni volta che i raggi di luce la colpivano.

Giunti nella sala mensa, non passarono che pochi secondi prima che gli schiamazzi scemassero e gli occhi di tutti si puntassero su di noi.

Da alcuni borbottii sommessi, percepii la loro sorpresa di vedermi in quel luogo. Avevano ipotizzato che mi fossi arresa e ritirata. Scoprire che non era così, che mi aggiravo col solito cipiglio fiero, come nulla fosse, li sbalordì al punto da essere indecisi su come reagire.

Ignorai tutte le occhiate e le mezze frasi, proseguendo verso un tavolo libero, all’angolo della grande sala. Mi accomodai, invitando Chev a fare altrettanto.

Quasi subito, Gaudith, la cameriera che si occupava di servire il pasto ai soldati, si fece avanti, sorridendo timidamente all’indirizzo di Chev: chiese cosa volessimo mangiare.

Nel frattempo il cicaleccio delle conversazioni si era rianimato.

Quando la giovane tornò con le nostre zuppe fumanti, la maggior parte degli uomini era tornata a rivolgere l’attenzione ai propri affari.

Purtroppo non fu così per tutti: un passo pesante annunciò l’arrivo di un molestatore.

L’uomo si avvicinò apertamente ostile e con un’insopportabile ghigno.

«Knight!», mi apostrofò sprezzante. «Credevamo vi foste irrimediabilmente perduta in uno di quei postacci che siete solita frequentate o che ci aveste lasciato la pelle, una buona volta!»

Quel naso prominente, l’incisivo giallo e la zazzera di capelli intrecciati da un lato e rasati sull’altro non potevano che appartenere a una sola persona.

«Certi luoghi turbano la vostra sensibilità, Fedigar?», lo derisi sottilmente. «Non ho mai avuto paura di recarmi da qualsiasi parte. Però, visto che reputate alcuni quartieri così pericolosi, è una fortuna che ci sia io a poter fare la ronda al posto vostro.»

«Io non ho certo paura di frequentare certi quartieri», masticò tra i denti, «ma non sono luoghi adatti a una donna!»

«Forse. Ma lo sono per un luogotenente quale io sono», dissi, calcando volutamente le parole e abbandonando qualsiasi pretesa di cortesia.

«Ho sempre avuto dei dubbi sulla vostra idoneità a ricoprire quel ruolo, Knight. E difatti vi hanno tolto il comando di quei pochi uomini che avevate. Questo dimostra qualcosa!»

«Solo che mancano gli uomini con le palle», gli sorrisi gioviale.

Spiazzato dall’insolenza delle mie parole in totale contrasto col tono mieloso corrugò la fronte e non seppe cosa replicare.

Mentre tentava di riprendersi, spostò lo sguardo sulla figura alla mia sinistra.

Chev aveva smesso di mangiare la sua zuppa sin da quando lo aveva visto avvicinarsi e non lo aveva perso di vista un attimo, pronto a reagire a qualsiasi attacco.

«E questo qui chi sarebbe? Hai trovato uno stupido disposto a seguirti?», domandò beffardo. «Da quale squadrone l’hai reclutato?», continuò, probabilmente pensando già a come fargliela pagare per avere sfidato il tacito boicottaggio nei miei confronti.

«Questo è Chev», lo presentai brevemente, ignorando le altre domande.

«Era un sottoposto di Gaven, non è così? Quell’uomo ha un debole per te, ci avrei scommesso che avrebbe costretto qualcuno dei suoi a stare dalla tua parte! Puah!»

Laconicamente, precisai che Gaven non c’entrava niente.

«Allora apparteneva a Yumeno? Solo loro due si sono sobbarcati l’incarico di addestrare le reclute. E questo non l’ho mai visto», disse, puntandogli il dito addosso.

«Fedigar, Fedigar…», ridacchiai, mandando giù con calma un sorso della zuppa. «Non l’ho reclutato dall’esercito.»

Lo stuzzicai con un’occhiata divertita che l’avrebbe mandato su tutte le furie.

Come previsto, divenne rosso di rabbia e strinse i pugni, tremando leggermente. «Cosa vuoi dire?! Che significa?»

«Mi servivano uomini con le palle», spiegai, allargando le braccia impotente.

«Ti ho già detto come il nostro esercito ne è penosamente sprovvisto? Ho preferito cercare in uno di quei graziosi posticini che frequento.»

L’uomo boccheggiò incredulo, prima di fissare il suo sguardo velenoso su Chevalier, passandolo a un più attento esame. Sembrò considerare con un nuovo occhio la minacciosa cicatrice che faceva capolino dal colletto della tunica.

«Ma questo è proibito!»

«E dove sta scritto?», domandai tagliente.

«Lui non è un soldato! Il Consiglio ti ha permesso di riunire…»

«Di riunire», l’interruppi, «… chiunque fosse stato disposto a seguirmi di sua spontanea volontà. Nessun limite riguardo dove reperire i suddetti volontari.»

«Questa è una forzatura bella e buona, e tu lo sai!», sbraitò, avanzando minacciosamente verso il nostro tavolo.

«Lo è stata anche togliermi il comando!»

La discussione divenne sempre più accesa e attirò l’attenzione generale. Fedigar ringhiò un’imprecazione prima di avventarsi su di me… trovando un muro di muscoli a bloccargli la strada.

Chevalier si era alzato dalla sedia e, con incredibile agilità, si era posto tra me e la minaccia, frenando il suo precipitoso attacco.

Lo afferrò per il bavero del panciotto portandoselo sotto al naso. «Nessuno minaccia la signora», intimò con voce bassa e rude. «Chiaro?»

«Come osi, sporco cane rognoso? Non hai idea con chi stai parlando!»

Fedigar tentò di liberarsi dalla presa, senza successo. Il pugno di Chevalier era ben saldo.

«Io sono un luogotenente dell’esercito di sua Maestà!», urlò, credendo intimidirlo con quell’informazione.

«Anche la signora lo è, ma non le stavate mostrando molto rispetto», constatò. «Ve lo ripeterò un’altra volta: la lascerete in pace, chiaro?»

Prima che l’uomo potesse rispondere in qualunque modo, una voce autoritaria, dall’altra parte della sala, pretese di sapere cosa stesse succedendo.

«Lascialo andare», sussurrai a Chevalier, il quale, prontamente, spinse di lato Fedigar.

Tra la piccola folla che si era creata attorno a noi, si fece largo la tozza figura di Rufus, seguito subito d’appresso da Gaven.

«Allora? Cosa state facendo qui?!», sbraitò, puntando il duro sguardo su di me. Le cicatrici che gli segnavano il viso apparivano esasperate dalla tensione e dal malcelato odio.

«Luogotenente Knight! Vi rifate viva dopo giorni di essenza e vi trovo invischiata in un alterco? Con un altro luogotenente, per giunta. Perché ovunque siate non si può mai mantenere un po’ di pace, eh?!»

«Non sono stata io a cercare la lite, vice-comandante», spiegai pacatamente. «L’ufficiale Gutor discuteva la mia scelta di una guardia del corpo.»

Le mie parole colsero di sorpresa Rufus che si limitò a ripetere interrogativamente: «Guardia del corpo?».

«Guardia del corpo! Puah!», esclamò Fedigar livido. «Vi siete solo presa gioco del Consiglio, mettendovi alle calcagna un losco individuo!»

Gli occhi di Rufus e Gaven, a quel punto, si posarono su Chevalier.

«Chi è quest’uomo? Non è un nostro soldato? Cosa significa questa storia della guardia del corpo?»

Facendo mente locale, il vice-comandante tornò all’attacco con una sfilza di domande.

Fui costretta a spiegare la situazione.

Man mano che chiarivo i fatti, esponendoli in maniera concisa, il volto di Rufus tradiva una rabbia crescente. Gaven, al suo fianco, tentava di non lasciar trapelare il suo divertimento.

«Ma questo è inaudito!», proruppe Rufus quando giudicò di avere sentito abbastanza. «Non si è mai visto un soldato che assume una guardia del corpo. Knight, ti sei spinta troppo in là.... questa volta non tollererò che tu la passi liscia!»

«Perdoni la mia insolenza, vice-comandate... ma non ho violato nessun regolamento.»

«Nessun regolamento, dici! Quando il comandante saprà di questa pagliacciata…»

«È già stato messo al corrente, signore», mi affrettai a informarlo. «Potete parlare con lui per constatare che dico il vero.»

Dopodichè ignorai le sue parole, aspettando che ne avesse abbastanza di farmi la ramanzina. Quando si accorse di non provocare alcun effetto su di me, decise di presentare le sue rimostranze all’ufficiale di grado superiore.

Con parole velenose si congedò da noi per andare a cercare Raafael. Fedigar, nel frattempo, era rimasto a osservare, sperando in una rivalsa.  Quando vide Rufus – l’uomo che aveva sperato mi umiliasse pubblicamente – allontanarsi impotente, diede nuovamente sfogo alla sua rabbia.

Dimenticandosi della presenza del maggiore Gaven, tornò a farsi avanti fino a porsi minacciosamente davanti a Chevalier.

«Non ho bisogno del permesso di Bale per darti una lezione, cane!»

Lo sguardo si Chev si incupì, diventando ostile, mentre si fissava sul luogotenente. I suoi muscoli ebbero un guizzo ma rimase fermo al suo posto.

Fedigar non era chiaramente cosciente del pericolo che quell’uomo rappresentava: dal momento che non aveva ricevuto alcun addestramento militare, non lo considerava una minaccia. Grosso errore.

Per evitare che la situazione degenerasse, il maggiore afferrò la spalla di Fedigar e lo tirò via. «State attento a ciò che fate, Gutor. Non sono ammesse rappresaglie all’interno della milizia.»

«Lui non fa parte dell’esercito!», sbraitò in risposta, senza riguardo per il grado del suo interlocutore. «È solo uno sporco criminale assoldato da quella puttana!»

«Luogotenente Gutor!», lo riprese imperioso Gaven. «Parlate con rispetto di un ufficiale vostro pari, altrimenti sarò costretto a richiamarvi davanti al Consiglio!»

Fedigar trattenne a stento lo sdegno ed evitò di aggravare la sua situazione aggiungendo ulteriori insulti. Solo dopo un risoluto suggerimento del maggiore, si rassegnò ad abbandonare la sala.

«Bene, bene... Lo spettacolo è finito. Tornate ai vostri posti», comandò agli altri soldati.

A poco a poco tutti si dispersero, non senza discutere di ciò che era appena accaduto. In breve la notizia sarebbe stata sulla bocca di tutti, non c’era dubbio.

Quando attorno a noi le chiacchiere si spensero, Gaven mi si rivolse direttamente con un ghigno compiaciuto. «Molto bene, ragazza. Sapevo che con la vostra astuzia l’avreste fatta sotto al naso del Consiglio.»

Squadrò Chevalier da cima e fondo e si disse soddisfatto. «Il ragazzo sembra forte e in salute. Spero che si riveli utile per i vostri scopi, Erin.» E senza attendere risposta, proseguì: «Bene! Credo che a questo punto mangerò con voi. C’è un posto al vostro tavolo?»

Lo invitammo a sedere, riprendendo a trangugiare le nostre zuppe, ormai fredde, mentre Gaudith serviva un piatto al maggiore.

La conversazione fu piacevole e non non si presentarono altri problemi durante il pranzo.

Gaven si informò gentilmente su come avessi conosciuto Chevalier e noi raccontammo lo stretto necessario, senza divulgare troppe informazioni ma rimanendo sul vago.

Il maggiore era un uomo benevolo, uno dei pochi che riconoscesse il mio valore e che non facesse imparzialità. Riconosceva l’importanza della missione che mi ero prefissa e aveva sempre fatto il possibile per favorirmi, o quantomeno, per compensare al trattamento svantaggiato che subivo dagli altri ufficiali. Tuttavia, sotto l’apparente giovialità, era un uomo severo che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno: del resto, si era pur guadagnato il rango di luogotenente maggiore tra le file della milizia reale.

In verità, aver guadagnato il rispetto di un simile uomo mi riempiva d’orgoglio.

Alla fine del pasto e della chiacchierata, Gaven si congedò.

Lasciando sul tavolo due monete per Gaudith, come ricompensa per il servizio, dissi a Chevalier che era tempo anche per noi di andare. Silenzioso come sempre, l’uomo abbandonò il suo posto e mi seguì nei miei appartamenti.

 

 

 

Verso il tardo pomeriggio fu ora di abbandonare il Palazzo delle guardie per raggiungere Finn e Rob e andare tutti insieme al ballo di Vomondr.

Rufus aveva protestato con Raafael, e io ero stata chiamata in udienza per spiegare le mie ragioni. Tentarono con ogni mezzo di farmi desistere dai miei propositi, ma non cedetti.

Avevo detto la verità: non avevo trasgredito ad alcuna regola scritta, tuttavia, a causa delle numerose pressioni, mi ero vista costretta ad appellarmi allo statuto quarantuno dell’editto regio, che regolamentava la sicurezza nobiliare: a un nobile, infatti, era permesso tenere guardie del corpo personali.

In questo modo, ogni protesta fu presto messa a tacere.

Il luogo dove dovevamo andare era vicino per cui preferii andare a piedi. Quando oltrepassammo il cancello principale, la voce di Chevalier attirò la mia attenzione.

«Dove siamo diretti?»

Lanciandogli un’occhiata, proseguii e risposi: «Alla mia residenza».

Sollevò un sopracciglio. «Credevo alloggiassi al Palazzo delle guardie.»

«È così per gran parte del tempo, ma quello è solo un alloggio che mi permette di vivere più a contatto con i soldati. Ora avrai modo di vedere i miei appartamenti all’interno del Palazzo regio.»

«Il Palazzo regio?», ripeté sorpreso l’uomo. «Credevo potessero risiedervi solo coloro che hanno sangue blu nelle vene…», si interruppe perplesso, collegando le informazioni. «Vuoi dire che tu…»

«Sì, esatto», confermai. «Sono figlia della prima moglie del re.»

«Questo vuol dire che sei figlia di re Gustav?! Cosa ci fa una principessa tra i soldati?»

«Non devi essere di queste terre per ignorare che mia madre non ha mai dato un erede al sovrano.»

Chevalier non rispose e io proseguii. «Io sono figlia di Reginald Knight, il cugino del re. Mio padre è morto durante uno scontro armato contro Reino, il leader ribelle del gruppo che oggi è capeggiato dal Falco. In seguito a questo fatto spiacevole, il re ha voluto sposare mia madre, vedova e incinta di me.»

Continuai a illustrargli la mia situazione familiare passeggiando.

«Sono imparentata col re, è vero, ma non sono sua figlia se non in virtù del contratto matrimoniale che lo ha legato a mia madre. Per rispondere alla tua domanda: mio zio Klaus, fratello di mia madre, era un alto ufficiale e addestrava le guardie scelte del re. Nel periodo dopo la morte di mia madre, ho vissuto per anni in una tenuta di campagna sotto la sua tutela. Anche se spesso era costretto a recarsi nella capitale, quando poteva mi addestrava all’uso delle armi. È per questo motivo che, crescendo, ho scelto di entrare nella milizia. Mi era molto più familiare quell’ambiente che non le belle corti d’oro.»

«E come mai non sei stata cresciuta a Palazzo, col tuo padre adottivo? Perché la scelta della campagna?»

Inspirai profondamente, ponderando quanto fosse saggio rivelare. «Fu per via della seconda moglie del re, Amantha. Suppongo non volesse che suo marito si affezionasse a me perché avrebbe potuto concedermi dei privilegi a scapito dei suoi figli, nonostante non ci fossero legami di sangue a unirci. Gustav scelse di prendere in moglie mia madre, sebbene ne fosse stato sconsigliato dai suoi dignitari: era vedova e in attesa di un figlio, non la migliore scelta per un re. Tuttavia egli era sempre stato affascinato dalla bellezza di quella donna, per cui passò oltre le obiezioni.»

«Come morì tua madre?» si interessò, probabilmente per ricomporre il quadro. Non avevo motivo per non rivelargli quelle informazioni, erano di dominio pubblico ma sarebbero servite a conoscerci meglio.

«Dopo il parto, la sua carrozza venne assalita da alcuni briganti, durante il viaggio di ritorno a Norvo.»

«Perché non si trovava a Palazzo?»

«Scelse di darmi alla luce in una tenuta appartata. Non sopportava di avere gli occhi di tutta la corte puntali su di lei in quei momenti delicati. A quanto pare, molte erano gelose della sua bellezza e della posizione che si era guadagnata, quindi erano pronte a malignare a ogni occasione.»

«Mi dispiace», commentò pensieroso.

«Non devi. Sono cose accadute molto tempo fa e io non ho mai conosciuto mia madre, quindi non ne ho sofferto. Inoltre, Klaus è stato come un padre per me. Non mi è mai mancato nulla.»

Detto ciò, percorremmo in silenzio il restante tratto di strada.

Davanti a noi si ergeva, imponente, la reggia che per secoli era stata la residenza di molte generazioni di sovrani. Gli alti cancelli dorati circondavano uno spazio sconfinato che dava sul giardino e su una larga strada che conduceva all’entrata principale.

Le mura, in pietra bianca, sembravano quasi risplendere tanto erano tenute bene e le vetrate, maestose, donavano un tocco armonico agli spazi, calibrando pieni e vuoti in un perfetto equilibrio. Attorno si ergevano alte le torri di avvistamento.

I soldati ci lasciarono passare senza complicazioni, dato che tutti mi conoscevano bene. Il passaggio di Chevalier fu garantito dal nibbio sul petto: nessuno fece domande.

Sicura, m’introdussi a Palazzo e risalii le scale marmoree.

Attraversando i noti corridoi, finalmente giungemmo ai miei appartamenti che sorgevano in un’ala piuttosto isolata. In realtà ero solita prediligere quei luoghi dove la privacy avrebbe avuto meno probabilità di essere violata.

Nel caso del Palazzo reale, nessuno si era opposto alla mia scelta isolazionista, anzi, avevo addirittura trovato largo appoggio.

Più un appartamento si trovava vicino alle stanze della discendenza reale diretta, tanto più la famiglia o le persone che lo abitavano erano investite di importanza, acquistando credito presso la corte.

Quelli relegati agli appartamenti più distanti, al contrario, divenivano trascurabili.

Nessuna sorpresa, dunque, se tutti erano stati entusiasti di liberarsi di me.

La larga porta di entrata era istoriata con immagini tratte dai racconti delle antiche divinità. In tutta onestà, avevo scelto quelle stanze anche per un altro motivo, oltre al fatto che erano ben lontane dal centro del Palazzo: per la particolare storia narrata in quella porta.

Nei vari riquadri intarsiati, si poteva vedere come, all’inizio dei tempi, il mondo avesse sofferto per numerose guerre e carestie: le decisioni sbagliate degli uomini avevano il potere di condurre a grandi disastri.

Al tempo di Baal, dunque, le persone di fede si riunirono in preghiera invocando la clemenza del dio O’Tuur-Ajil-seel, che nell’antico idioma significava “Tempo-che-scorre-inesorabile”.

Il dio, mosso dalle numerose richieste, aveva deciso di intervenire donando all’umanità una chiave di potere di cui potersi servire in casi di emergenza, per riavvolgere il tempo ed evitare grandi sciagure.

Tuttavia, affidata a un solo uomo, la chiave avrebbe potuto provocare maggiori danni, così venne divisa in due metà, incarnate in altrettanti bambini, i quali sarebbero stati l’uno il completamento del potere dell’altro.

Era di questo che parlava la porta: della leggenda dei bambini del tempo. Questa coppia di infanti non sarebbe sorta a ogni nuova generazione ma una volta ogni mille anni.

Nel riquadro più in basso, vi erano raffigurati un uomo e una donna nell’atto di congiungere le mani e usare il loro grande, sfolgorante potere: ogni volta che varcavo quell’uscio, non potevo fare a meno di pensare alla mia esistenza e a quella dell’uomo che da tutta una vita cercavo. Esisteva veramente? Lo avrei mai trovato? E se ci fossi riuscita, come mi sarei comportata?

Al consiglio avevo sottolineato la necessità di appurare se quell’uomo, dotato del mio stesso potere, costituisse o meno una minaccia. Avevo addirittura dichiarato che, se si fosse rivelato tale, avremmo dovuto ucciderlo. Ma ne sarei stata veramente capace? Dopo tutto questo tempo, le energie spese e le speranze riversate... sarei stata capace di rivolgere l’arma contro colui che rappresenta la metà del mio potere e, forse, persino la metà del mio stesso essere?

Per tutta la vita avevo avvertito un vuoto profondo nel mio animo: una volontà di trovare un rifugio in qualcosa o in qualcuno che tuttavia rimaneva indefinito.

La mia anima viveva perennemente tesa verso qualcosa che non riuscivo mai ad afferrare. Era come se un laccio lunghissimo si dipanasse dal centro del mio cuore e, con forza, mi tirasse in avanti, ma senza avere mai una fine, senza trovare il capo opposto del filo.

Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato in tutto ciò: non il collegamento, quello no; anzi, era sempre stato naturalissimo per me, come respirare. Era piuttosto l’impossibilità di sbrogliare la matassa che mi faceva sentire svilita e sfiduciata.

Non era sempre stato così: un tempo avevo sentito quel filo arrivare a toccare il cuore di un’altra persona. Anche se non lo vedevo, sapevo che era lì, che c’era. Ma ero giovane, non avevo la possibilità di seguire il mio istinto. 

Quando divenni abbastanza grande da poter prendere una decisione in merito, quel filo si era spezzato, sperdendosi in una nebbia che intorpidiva i sensi e mi rendeva impossibile orientarmi.

La mia ricerca, da allora, era andava avanti alla cieca, senza l’ausilio di una bussola.

Con una carezza impercettibile al bronzo, abbassai la maniglia introducendomi all’interno e lasciando che Chev facese altrettanto.

Su un tavolino del salotto d’ingresso c’era una campanella: la presi e l’agitai, producendo un acuto tintinnio che sarebbe risuonato in tutto l’appartamento. Dopo alcuni istanti arrivò Marien, seguita da presso da Finn, che aveva in mano un dolcetto.

«Siete arrivata, mia signora», mi accolse con un inchino la serva. «Ho sfamato i vostri ospiti e li ho sistemati nella camera azzurra.»

«Hai fatto un ottimo lavoro, Marien, ti ringrazio. Per oggi sei congedata, puoi farti sostituire da Otona. Mandala da me affinché mi aiuti a prepararmi per il ballo.»

La donna mormorò un saluto e un altro inchino, prima di lasciare le stanze.

A Chevalier dissi: «Anche tu devi essere presentabile. Mi accompagnerai come cavaliere oltre che come guardia del corpo».

Recuperai in uno dei bauli un abito dal tessuto pregiato che era appartenuto a mio zio e glielo feci indossare. Anche se non era perfetto, il taglio si adattava abbastanza bene alle forme di Chevalier.  Bastò legare più strettamente la fascia verde in vita per evitare che i calzoni si abbassassero troppo: lo zio aveva avuto un ventre prominente.

La

 tunica era di semplice seta, ornata con un motivo a incrocio sul petto. Tolsi la spilla dal giustacuore per apporla sul nuovo abito.. AAnche le armi furono trasferite, sebbene entrambi i pugnali vennero nascosti tra le pieghe del vestito, anziché lasciati in bella mostra.

«Manca un tocco finale..»

Usai delle piccole perline di cristallo per decorare le trecce sparse tra i capelli di Chevalier. I toni del cristallo risaltavano i suoi colori naturali, facendolo apparire come lala visione di un dio circondato di luce.

Durante tutto il trattamento non aveva aperto bocca. Concentrata com’ero in ciò che stavo facendo, mi accorsi in un secondo momento che non mi aveva persa di vista un attimo.

Chevalier mi fissava intento, in un modo che non lasciava trapelare nulla dei suoi pensieri. Quando incrociai i suoi occhi troppo vicini ai miei le mie mani si fermarono a mezz’aria, aggrappate a una ciocca intrecciata.

Ci guardammo per un lungo attimo, senza dire niente. Percepivo il leggero spostamento dell’aria provocato dal suo respiro, sul mio viso.

Quando i suoi occhi scesero a fissarle, le mie labbra si schiusero. Chevalier sollevò lentamente una mano, sfiorandomi.

Fui percorsa da un brivido che mi mozzò il fiato, i sensi colpiti dal suo odore di uomo, tanto intenso e perfetto da appannarmi momentaneamente la vista.

«Ti serve…», balbettai incerta, «il legame, hai bisogno…?»

Non riuscii a finire la frase doveva avermi capito, ma doveva avermi capito.

Chevalier si immobilizzò, perplesso. Dopo alcuni secondi allontanò la mano e distolse lo sguardo.

«No», disse,rispose con voce roca. «Non è ancora così forte.»

Consapevole della sconvenienza di quella vicinanza, mi allontanai con un pretesto, tentando di ritrovare la calma per poter finire il lavoro sulla sua chioma.

Fortunatamente, arrivò Otona. Mi affrettai a concludere, prima di ritirarmi in camera da letto per scegliere cosa indossare.

Erano mesi che non avevo occasione di portare qualcosa di raffinato. 

Scelsi uno dei miei vestiti preferiti di un blu elettrico e dalla stoffa impalpabile che mi accarezzava la pelle.

L’abito scendeva lungo e si allargava fino ai piedi. Era fermato in vita da una cintura a intreccio d’oro e nero. Una profonda spaccatura mi attraversava diagonalmente il petto, insinuandosi tra i seni, in un gioco sensuale. Un lato era sorretto da una spallina, l’altro da un manica che velava il braccio sino al polso.

Quando tornai nell’altra stanza, i capelli legati di lato scendevano in morbide onde, Rob si profuse in complimenti stupiti e persino Finn mi disse di non aver mai visto una dama più bella. Tuttavia fu il silenzioso sguardo di Chevalier che mi fece rabbrividire e arrossire insieme, memore del fugace contatto che avevamo condiviso.

Distolsi gli occhi e mormorai che era il momento di andare.

 

ꕥꕥꕥ 

 

Joshfen Vomondr era il figlio di re Gustav, nato dalla sua seconda moglie, Amantha, e diretto successore al trono.

Joshfen era un amante delle belle feste ma, soprattutto, adorava stare al centro dell’attenzione: per questi due motivi aveva scelto una residenza isolata dal Palazzo reale, adatta al tipo di feste che aveva in mente di dare.

La villa, trovandosi fuori dalle mura che circondavano Norvo, immersa in piena campagna, era raggiungibile solo tramite una carrozza. Perciò ci trovavamo a bordo di una di quelle vetture, in procinto di lasciare la capitale: saremmo arrivati a destinazione in circa trenta minuti.

Avevo ponderato per bene la necessità di far venire con noi anche Finn e Rob. Alla fine, avevo deciso che fosse meglio concludere tutto il prima possibile: l’obiettivo era evitare che qualcuno collegasse Finn a Chevalier. Quest’ultimo avrebbe dovuto lavorare per me, affrontando molti pericoli. Era dunque di fondamentale importanza mettere al sicuro il ragazzino, in modo che nessuno potesse più servirsene come arma di ricatto.

Mi premeva collocarlo in un luogo sicuro ma abbastanza vicino da permettere a Chev vederlo: per questo avrei dovuto parlare con Joshlyn. 

Lanciai un’occhiata a Rob intento a scrutare le ombre nel paesaggio circostante. Che ne avrei fatto di lui? Finora ci aveva seguito docilmente e, sebbene avesse riguadagnato la libertà, non l’aveva ancora usata andandosene per la sua strada. Mi domandai cosa lo spingesse a rimanere anziché afferrare la prima occasione per lasciare la capitale, scongiurando una volta per tutte di essere riacciuffato dal Signore del Sangue.

«Rob.»

«Sì, signora? Che c’è?»

Era inquietudine quella che gli leggevo nel viso?

«Rob, cosa intendi fare?»

Sollevò un sopracciglio. Perplesso, chiese: «Cosa intendete dire?»

«Ho concluso un accordo con Chev, ma non ti ho chiesto quali siano le tue intenzioni per il futuro. Lo sai, vero, che sei libero? Se hai un posto in cui tornare... una casa... io non ti fermerò. Puoi andare dove vuoi.»

Imbarazzato rispose: «Non ho denaro con me, non possiedo nulla. Anche volendo non potrei tornare dalla mia famiglia».

«Questo non sarebbe un problema, te lo darei io.»

«Siete... molto gentile, Erin, ma…»

«Cosa ti preoccupa realmente?», l’interruppi; era evidente che qualcosa lo tormentava.

«Stenton mi comprò un paio di anni fa da un usuraio di Mérida, presso il quale avevo contratto un debito. La mia famiglia è originaria di quel luogo. Temo che Stenton, accorgendosi della mia evasione, mandi uno dei suoi uomini a cercarmi lì. È l’unico posto dove potrei andare.»

«Capisco.»

Il ragazzo tornò a scrutare la luce morente all’esterno della carrozza mentre io mi persi tra i miei pensieri. Mentre iniziava a defilarsi la prospettiva di una soluzione, giungemmo a destinazione.

I minuti successivi trascorsero nel trambusto dell’arrivo e della presentazione alla corte, dentro il palazzo. Finn e Rob vennero temporaneamente raccomandati alle cure del cocchiere.

L’immensa sala principale ospitava l’evento del ballo: era sfarzosamente decorata, piena di fiori profumati. Le vetrate che davano sul giardino, nel lato ovest, erano aperte e lasciavano passare l’aria fresca che stemperava il caldo dell’ambiente affollato. 

Dappertutto, al centro del salone, coppie di ballerini danzavano formado armoniose figure, mentre ai bordi esterni gruppi di persone parlavano, scambiandosi convenevoli.

Quando iniziai la discesa delle scale, col mio cavaliere al fianco, molte teste si voltarono a osservarmi, incuriosite dal nome che era stato annunciato al mio arrivo. Com’era prevedibile, il nostro avanzare fu accompagnato da un leggero brusio e da numerose altre occhiate indagatrici. Ignorandole tutte, mi lasciai scortare da Chev verso i tavoli su cui era allestito un buffet.

Dopo qualche istante, i primi rampolli nobili si fecero avanti per invitarmi a ballare. Accettai più per cortesia che per interesse: avrei preferito rimanere in disparte.

Chevalier rimase in fondo alla sala a guardarmi svolazzare tra le braccia di diversi cavalieri.

Alla fine della quinta danza, si avvicinò un uomo che interruppe a metà una piroetta.

«Lord Brinnah, permettetemi di rubarvi la dama per il prossimo ballo. È passato molto tempo dall’ultima volta che ho potuto scambiare due chiacchiere con la mia sorellastra», disse questi, rivolto al mio partner.

Alle mie spalle, con un sorriso sardonico stampato sul volto, c’era Joshfen Vomondr, elegantissimo nel suo abito argento impreziosito da rifiniture vinaccia. I capelli scuri rilucevano di olii profumati, mentre gli occhi dorati valutarono apertamente la mia mise discinta, incupendosi di desiderio nel giro di pochi istanti.

Con altrettanta rapidità le sue mani si posarono sulla mia vita in una stretta salda, conducendomi al tempo delle prime note della melodia successiva.

«Non ci incontriamo da lungo tempo, Erin cara», sussurrò vicino al mio orecchio. «Non vi si riesce mai a reperire ad alcun evento interessante. Mi sono dovuto chiedere se non stesse scappando dal sottoscritto. Eppure stasera siete venuta qui, in casa mia. Posso sperare per un incontro ravvicinato

«Non essere sciocco, Joshfen, sai bene che non prendo mai in considerazione le tue avances.»

«Siete una donna crudele. Non vi siete mai ammorbidita in tutti questi anni… non sono più lo sciocco ragazzino di un tempo, sapete?»

“Forse ragazzino no, ma sciocco…” pensai, sollevando con ironia un sopracciglio.

Interpretò fin troppo bene la mia espressione, tanto che aggiunse: «Oh, Erin, non lo sono, credetemi».

Con più calma, riprese: «Ormai ho venticinque anni, sono un uomo. Cosa è mai una differenza di quattro anni quando voi siete così bella? Se in passato potevano essere insormontabili, ormai non hanno più alcun peso. Dovete smetterla di vedermi come il ragazzino che ero. Guardate l’uomo che avete davanti!».

«Ti vedo, Joshfen. È indubbio che tu sia un bell’uomo, ma non posso indurmi a innamorarmi di te. Povera la fanciulla che ti darà il suo cuore poiché tu sei un bellissimo uccello che tuttavia non ha nido. Le tue voglie ti dominano e perdi presto interesse.»

«L’interesse che provo per voi non potrebbe mai venir meno! Sarei pronto a lasciare le mie amanti per avere un posto nel vostro letto.»

«Riscaldati pure presso i talami che preferisci, Joshfen, e dimenticati del mio.»

«Siete una strega insensibile. Insensibile, e tuttavia bellissima… non potete impedirmi di continuare a provare.»

La musica si era affievolita fino a spegnersi, a malincuore dovette staccarsi da me.

«Questa danza è terminata, ma permettetemi di accompagnarvi a prendere un rinfresco.»

Quando raggiungemmo i margini della sala, vidi l’oggetto del mio interesse, nonché la causa della mia presenza alla festa.

Scortata da un alto cavaliere del regno, Joshlyn si avvicinò in tutta la sua elegante alterigia, vestita di un abito dorato che faceva risaltare il colore delle iridi, identici a quelli del fratello.

La principessa ci salutò con un veloce inchino ed esclamò: «Come mai, caro fratello, ti trovo sempre incollato alla nostra sorellastra ogniqualvolta ci degna della sua presenza a un evento mondano? È quasi imbarazzante!».

«Sono solo contento di vederla dato che è un evento così raro, sorella. Gli altri ospiti li vedo spesso, dunque non mi preoccupo di lasciarli pochi minuti per renderle omaggio.»

«Sarà…», lasciò cadere il discorso come se le sue parole la annoiassero.

«Dunque, Rin, anche io devo renderti omaggio? Mi chiedo sempre come mai non ti unisci a noi più spesso. Forse ti piace lo scalpore che la tua presenza suscita quando decidi di farti vedere?», cinguettò con una risatina. «Forse approfitti di questi eventi per godere di tanto in tanto della compagnia di un bell’uomo? Dopotutto, fuori da questa sala, ci sono numerose alcove dove una coppietta può passare almeno mezz’oretta in privato. Alcuni arrivano a perdersi addirittura nella biblioteca, anche se non capisco come possano essere ispirati dalla vista di tutti quei tomi polverosi. Io, in genere, preferisco luoghi più romantici!»

Il cavaliere della principessa era decisamente in imbarazzo, mentre Joshfen sembrava solo irritato dal commento indelicato della sorella.

«Non essere volgare, Lyn!», la riprese severamente.

Frenai il suo impeto con una lieve pressione sul braccio.

Con un sorriso risposi: «A me i libri sono sempre piaciuti, non mi dispiacerebbe perdermi per dieci minuti nelle vostre biblioteche sempre ben fornite».

Sbuffando, Joshfen pose fine alla conversazione. «Non è certamente il momento di mettersi a leggere, questo. Siamo a un ballo e bisogna interagire con gli ospiti. Se ora volete scusarci, sorella, Lord Jinroe, noi andremo a prendere qualcosa da bere: il caldo inaridisce la gola, soprattutto dopo avere ballato tanto.»

Senza fornire ulteriori pretesti alla sorella per altre insinuazioni, il principe mi trascinò lontano.

Nella calca, le persone ci fermavano spesso per rivolgere un saluto all’erede al trono. Con abilità comprovata, Joshfen distribuì sorrisi e saluti a ciascuno, badando tuttavia a non sostare troppo a lungo con nessuno.

Finalmente, dopo alcuni minuti, riuscimmo a procurarci una bevanda rinfrescante.

Come un’ombra, Chevalier comparve nel mio campo visivo, avvertendomi silenziosamente della sua posizione in modo che, se avessi avuto bisogno di lui, avrei saputo dove trovarlo.

«Volete fare due passi in terrazza?», propose il principe, indicando le grandi vetrate che davano sul giardino esterno, illuminato dalle lanterne.

Non trovando in tempo un pretesto per un rifiuto, Joshfen mi condusse verso un luogo più tranquillo… ma anche meno illuminato, notai.

Pur iniziando a nutrire qualche sospetto, fui comunque colta di sorpresa quando mi spinse contro il muro, cominciando a baciarmi intensamente.

Le sue mani mi tennero stretta mentre mi si premeva addosso: riuscì ad accarezzarmi allungando le dita verso i seni, poco protetti dalla leggera stoffa.

Non potevo negare che ci sapesse fare, eppure le sue attenzioni lasciavano freddo il mio cuore: non avrei mai potuto vederlo come altro dal ragazzino che cercava di attirare la mia attenzione pavoneggiandosi, le cui imprese di gioventù avevano fatto uscire dai gangheri suo padre e tutti gli insegnanti addetti alla sua educazione.

«Erin… vi voglio. Siate mia, abbandonatevi a me...», sussurrò, smettendo per un momento di baciarmi.

Libera dall’ingerenza delle sue labbra, riuscì replicare: «Joshfen, smettila subito. Non sono venuta qui per subire un simile comportamento».

«No, certo. Non venite mai per cercare le mie carezze… non cercate mai le carezze di nessuno. Io lo so, Erin: lo so che non avete un amante. Perché dunque non cedete? Potrei farvi godere ancora e ancora, fino a rendervi impossibile persino dire ‘basta’.»

«Lasciami stare. Non lo ripeterò un’altra volta», dissi, premendo con forza fino a staccarlo da me.

Rimisi a posto il vestito sgualcito e i capelli mentre Joshfen, affannato, cercava di ricomporsi. 

«Non siete stanca della solitudine?»

«Trovo nella mia compagnia sufficiente diletto… proprio come te, Josh!» non mi trattenni dal lanciare una frecciatina alla sua vanità.

«Non posso pensare che siate seria: ogni donna ha bisogno di essere vezzeggiata da un uomo.»

«Non questa donna», affermai sicura. «O hai dimenticato che sono anche un soldato?»

Il principe si abbandonò a una risata divertita. «E come potrei dimenticarlo quando quella vostra divisa accende la mia libidine? Quei calzoni vi fasciano così sensualmente le cosce… mette in risalto il vostro delizioso sesso…» un riverbero di eccitazione accese di nuovo il suo sguardo.

«Se intendi continuare su questo tono, sarò costretta ad abbandonarti e a rientrare da sola. Alla luna farà più piacere sorbirsi i tuoi discorsi depravati!»

«La smetto, mia cara, la smetto…», sorrise sornione, «a patto che riprendiamo a farle le cose depravate.»

Mi afferrò per un braccio: voleva ricominciare da dove si era interrotto. 

Esasperata, sollevai gli occhi al cielo, pensando che non mi rimaneva altra scelta se non dargli una lezione. 

Ma prima che accennassi una sola mossa, Josh fu trascinato via da qualcuno alle sue spalle.

La figura Chevalier mi fece provare sollievo, prima di notare la sua espressione adirata: temetti che le cose si mettessero male.

«Ma chi diavolo…?!»

Il principe si rialzò dal pavimento sbuffando.

«Che diavolo sei venuto a fare? E chi saresti per trattare un principe in questo modo?!»

Chev strinse i pugni.

«Basta così!», intervenni prontamente per separarli.

«Come si è permesso di mettermi le mani addosso?»

«Lo ha fatto perché è la mia guardia del corpo, Joshfen.»

«Guardia del corpo?», ripeté stupito. «Questo tizio?»

Il suo sguardo si posò sulla spilla appuntata al petto di Chevalier e comprese che dicevo il vero.

«Esatto», confermai.

«Mi temi tanto da arrivare a prenderne una per proteggerti dai miei corteggiamenti?»

Pensai che i suoi approcci si spingevano ben al di là di un semplice corteggiamento, al punto che valeva forse la pena di assumere qualcuno pur di venirne protetti. Ma evitai di dirlo, limitandomi a precisare: «Non ha nulla a che vedere con te, anche se in questo caso mi è stato utile».

«Potevate dire semplicemente di no», commentò quasi offeso.

«L’ho fatto e mi hai ignorata», gli feci notare.

«Tutte le donne fingono di essere un po’ restie, almeno all’inizio.»

Mi dissi che se avessi ribattuto a ogni suo assurdo commento, la discussione non avrebbe mai avuto termine, invece era ora di recarmi al mio appuntamento.

«Comunque sia, è ora che io vada.»

«Non lascerete la festa così presto... Siete appena arrivata!»

«No. Rimarrò ancora un po’ ma è meglio che io rientri.»

Senza aggiungere altro, feci cenno a Chevalier di seguirmi e rientrai in sala.

«Ora comprendo le parole la vostra domestica di questa mattina», mugugnò Chevalier.

Sorrisi sotto ai baffi nel notare la sua aria irritata.

Lasciammo con discrezione la sala da ballo. Camminando lungo il corridoio, notai tutte le piccole alcove di cui aveva fatto menzione Joshlyn. Presto arrivai alla biblioteca dove trovai le porte aperte: scivolammo dentro richiudendole alle nostre spalle.

«Eccoti finalmente», ci accolse una voce. «Mi stavo stancando di aspettare… era ora che arrivassi, Erin!»

Da un angolo in ombra si fece avanti l’esile figura della principessa Joshlyn.

«Mi pareva di aver detto mezz’ora non una intera!», si lamentò.

«Devi perdonarmi, Lyn, ma tuo fratello mi ha trattenuta più a lungo del previsto.»

«Quella piovra! Mai una volta che non ci provi», borbottò esasperata. «Anche se mi sono annoiata terribilmente ad aspettare, per questa volta ti perdono.»

Il suo carattere energico e impaziente mi divertì come al solito.

«Chi sarebbe questo tipo che ti sei trascinata dietro? Non ha l’aria di uno dei nobili bellimbusti che invita sempre Josh.»

«Questo è Chevalier, la mia guardia del corpo», lo presentai.

Joshlyn si avvicinò all’uomo per studiarlo da vicino.

Chevalier non batté ciglio sotto al suo esame.

«È vero, ha una spilla col nibbio reale… non l’avevo notata prima.»

Perdendo prontamente interesse – una caratteristica in comune col fratello –, si rivolse di nuovo a me, ignorandolo.

«Allora, Rin, questo affare? Ho ricevuto il tuo messaggio senza una parola di spiegazione!»

«Non potevo dartene una, dobbiamo mantenere la cosa segreta.»

«Oh, sì! Mi piace. Sai che quest’aria da cospirazione mi eccita da morire! Dimmi, dimmi pure.»

«Ho due persone da affidarti, Lyn», cominciai senza perdere altro tempo.

«Oh, di nuovo?», sbuffò con un broncio di delusione. «Mi hai già portato Anena, la figlia di quel Signore del Sangue, tuo amico. Questo gioco comincia a stufarmi, voglio fare qualcosa di più pericoloso», s’impuntò.

«Lyn, non dire assurdità. E poi sai quanto il tuo aiuto mi sia prezioso: il fatto che nessuno sospetti che tra di noi intercorrono buoni rapporti, mi permette di muovermi con maggiore libertà. Le persone che ti affido possono stare al sicuro, nessuno le collegherà mai a me.»

«Questo lo so, ma io invidio le avventure eccitanti che tu puoi vivere! Mi piacerebbe fare qualcosa di più entusiasmante per aiutarti, oltre che accogliere e proteggere delle persone.»

«Beh, forse questa volta potrai avere la tua avventura, ma solo se prometti di prendere tutte le precauzioni necessarie e di non fare sciocchezze.»

«Davvero?», batté le mani entusiasta. «Allora parla. Sono tutta orecchi!»

Le spiegai che era necessario che prendesse sotto la sua ala protettiva il figlio di Chevalier, Finn: avrebbe finto di averlo trovato per strada e deciso di accoglierlo nella sua cerchia di protetti.

I cortigiani, che erano abituati alle sue stravaganze, non si sarebbero insospettiti nel vederla accogliere un trovatello nè che gli fornisse un’istruzione.

Allo stesso modo, gli esposi il mio piano per Rob.

«Ecco la tua piccola avventura, Lyn. Presta attenzione: ho dovuto far evadere uno schiavo che appartiene a uno dei Signori del Sangue. Era ferito, ridotto in condizioni pessime… non potevo tollerare che rimanesse più a lungo in quel posto, così l’ho tirato fuori.»

«L’hai rubato!», squittì Joshlyn, sempre più entusiasta del racconto.

«Sì, si può dire così», riconobbi senza la minima traccia di rammarico.

«Sei una forza, Rin! È per questo che sei la mia preferita, checché ne dica la mamma! Per fortuna, le nostre scenette pubbliche la placano… se sapesse che in realtà andiamo d’accordo e che ti aiuto, non la smetterebbe più di lamentarsi.»

«Devi stare molto attenta: non voglio che tu abbia problemi con lei a causa mia.»

«Stai tranquilla. Lo sai che è solo suscettibile contro chiunque minacci la mia posizione e quella di mio fratello. Ma io ti conosco meglio, Rin: so che a te non interessa un fico secco dei giochi politici della corte. Anche io sono come te, queste cose mi annoiano a morte, ma lei non lo capirà mai.»

Si rabbuiò, stizzita dall’aver ricordato i dissapori con la madre, e rattristata di non poter vivere le sue “avventure”.

Era uno spirito libero: tollerava con difficoltà l’etichetta di corte, i suoi ricchi agi e gli spazi illusoriamente ampi. Avrebbe voluto viaggiare,  scoprire nuove terre e culture… ma era la principessa: come tale aveva pochi diritti e fin troppi doveri.

Ecco perché rappresentavo un idolo: ero quello che avrebbe voluto essere lei; mi ero fatta strada, seppur a fatica, solo con la mia forza di donna.

Cercai di distrarla, tornando al punto in questione.

«Rob non potrà mai essere completamente libero se Stenton continuerà a cercarlo e ad avere i documenti che comprovano il suo possesso. Se potessi, lo comprerei io stessa, ma non c’è possibilità di concludere un accordo col vecchio: mio odia e non accetterebbe mai di vendermi qualcosa o qualcuno. Anche se di Rob gliene importa meno di niente, me lo negherebbe solo per sgarbo.»

«Quindi che puoi fare?»

«Io nulla, ma tu puoi fare qualcosa.»

«Io?»

«Sì. Non ti conosce: non può pensare che agisci su mia richiesta.»

«Cosa dovrei fare?»

«Devi andare da Stenton e offrirti di comprare lo schiavo.»

La principessa spalancò la bocca sorpresa.

«Dovrei andare nei quartieri poveri – al Surdesangr! – e trattare con uno dei Signori del Sangue?!»

«Sì, esatto.»

«Oh, Erin! Io ti adoro!», mi gettò le braccia al collo stringendomi convulsamente.

Tentai di evitare che il suo entusiasmo mi soffocasse. «Calma, calma, Lyn... ricorda cosa mi hai promesso.»

«Sì, sì, sì… starò attentissima!»

«Porterai con te quattro guardie armate.»

«Sì, tutte quelle che vuoi!»

«E non userai la carrozza, sarebbe un faro per attirare qualsiasi malvivente.»

«Ancora meglio, potrò stare sul campo!», cinguettò soddisfatta.

Poco convinta e un po’ preoccupata per l’esito della mia stessa idea, riflettei in silenzio per qualche minuto.

«Dovrai inventarti una storia, ovviamente. Dire di aver sorpreso Rob a rubare a Palazzo, magari…»

«Ma come farei poi a giustificarne l’acquisto? Perché dovrei volere un ladro alle mie dipendenze?», domandò perplessa.

«Fingerai di essere oltraggiata e di volerlo punire. Gli spiegherai che intendi fargli scontare la sua pena come schiavo. Se cerca di convincerti a rinunciare, gli dirai che consideri la morte poca cosa per uno che si sia macchiato della sua colpa, per questo l’arena non è un luogo adatto per la punizione.»

Ci accordammo sugli ultimi dettagli che avrebbe fornito a Stenton per convincerlo a liberarsi di Rob.

«Domani mattina, per prima cosa, chiedi di Ketan al Palazzo delle guardie. È un luogotenente molto capace che saprà tenerti al sicuro.»

«Va bene, lo farò. Non vedo l’ora!»

Presi gli accordi, tornammo nella sala da ballo, prima che qualcuno notasse la nostra assenza.

Joshlyn rientrò per prima; noi la seguimmo con uno scarto di alcuni minuti.

Sul corridoio che collegava la biblioteca con la grande sala da ballo, Chevalier mi disse: «Hai provveduto anche a Rob».

«Sì, e allora?»

Mi fissò con uno sguardo enigmatico. «Sei una brava persona», commentò piano, lasciandomi spiazzata.

«Beh, grazie», risposi, incerta su cosa dire.

Non trascorse molto altro tempo, dopo il nostro ritorno alla festa, prima che mi dichiarassi stanca e pronta a ritirarmi.

Quando arrivò la nostra carrozza davanti l’entrata, Finn e Rob ci accolsero sereni e ci chiesero della serata. Quando spiegammo a quest’ultimo l’accordo preso con la principessa, rimase sbalordito e commosso: mi espresse la sua gioia balbettando, dichiarandosi eternamente in debito.

Non ero d’accordo e gli feci notare che anche lui mi era stato d’aiuto per la liberazione di Finn e Chevalier.

Poi arrivò il momento del saluto: loro sarebbero rimasti con la principessa Joshlyn.

«Padre, non voglio lasciarvi di nuovo!», esclamò Finn, aggrappandosi alla tunica di Chevalier.

L’uomo lo strinse forte, prima di allontanarlo per potergli parlare, guardandolo negli occhi.

Inginocchiato davanti al ragazzino, gli disse: «È necessario che tu vada, Finn. Non puoi rimanere con me».

«Ma non avere paura, potrò venire a trovarti qualche volta. La principessa si prenderà cura di te e ti darà un’istruzione. Rendimi orgoglioso e comportati bene.»

Trattenendo a stento le lacrime, il bambino promise di renderlo fiero.

Chev si sollevò da terra e salutò Rob offrendogli una virile stretta di mano. «Sei stato un buon compagno, Rob. Prenditi cura di Finn fintantoché resterai a Palazzo anche tu.»

«Contaci, Chev. E grazie di tutto. Se non fosse stato per te, non sarei ancora qua, vivo.»

Una delle ancelle della principessa venne a prenderli per condurli agli appartamenti della padrona.

Li guardammo sparire all’angolo delle scale prima di salire in carrozza e andare via.

 

ꕥꕥꕥ 

 

Durante il viaggio di ritorno ci fu uno strano silenzio. 

Era ormai notte inoltrata e la carrozza era illuminata da una piccola lanterna interna; fuori ce n’era un’altra per il cocchiere.

Chevalier mi sedeva di fronte e pareva perso nei propri pensieri mentre ondeggiava, assecondando i movimenti del veicolo.

Mentre lo guardavo senza farmi scorgere, ripensai ai baci del principe Joshfen: involontariamente li paragonai a quelli che avevo brevemente scambiato con Chevalier. Le sensazioni che mi avevano dato erano agli antipodi, pur essendo entrambi splendidi uomini.

La differenza stava solo nel fatto che conoscevo uno sin da quando era un ragazzo, mentre l’altro costituiva un mistero per me?

Eppure, avevo già incontrato affascinanti sconosciuti, i quali avevano tentato di corteggiarmi senza però accendere in me nemmeno una scintilla dell’eccitazione che Chevalier mi provocava.

Poteva mai essere semplicemente il fatto di non sapere da dove venisse e quale fosse la sua storia a catturarmi tanto?

Sentivo c’era qualcosa di più, ma non sapevo come definirla.

Solo alcune ore prima avevo desiderato un contatto ravvicinato: avevo creduto fosse sul punto di baciarmi e che fosse stato per rinforzare il nostro vincolo o meno glielo avrei lasciato fare.

Doveva essersi accorto che lo fissavo perché mi rivolse la sua attenzione ma non disse niente. Percepii sulla pelle un formicolio, il desiderio di distogliere gli occhi per non subire la sua intensità. 

All’improvviso la carrozza sbandò, facendoci sbattere contro le sue pareti. Un grido dall’esterno ci mise in allarme, e il rumore degli zoccoli di numerosi cavalli ci indusse a estrarre le armi: Chevalier aveva la sua nuova spada, io ne recuperai una che tenevo nascosta, insieme ad altri pugnali, sul fondo della vettura.

Quando il veicolo si fermò, cigolando, aprimmo il portello con cautela.

«Che cosa succede?», gridai al cocchiere.

L’uomo, affannato e chiaramente spaventato, rispose: «Banditi, signora! Si muovono attorno alla campagna. Ci hanno attaccato con una freccia». Indicò il dardo che si era conficcato a pochi centimetri dalla sua testa.

«Li avete visti? Sapreste dire quanti sono?»

«No, signora. Sono piuttosto sicuro di avere visto almeno due cavalli galoppare nell’ombra, ma non saprei se ce ne sono altri.»

«Non avete notato nient’altro?»

«No, no… sono spiacente», balbettò.

«Va bene, entra in carrozza e restaci finché non controlliamo la zona.»

L’uomo si affrettò a ubbidire.

Intanto Chevalier si era arrampicato sulla cassetta per studiare la freccia. «Brutte notizie», disse, strappando l’asta dal legno con uno strattone.

«Cosa? Non me lo dire…»

«Sulla freccia c’è una piuma di falco», spiegò. Mi porse il dardo per farmi vedere.

«Samuel…», digrignai i denti. «Maledizione!»

«Chev, stai all’erta, devono essere molto vicini. Ci hanno avvertito della loro presenza. Se avessero voluto ucciderci, dubito che avrebbero agito allo stesso modo, per cui presumo che vogliano giocare, ma non per questo sono meno pericolosi.»

Chevalier si mise in guardia, pronto a cogliere ogni rumore che tradisse la presenza del nemico.

 



Il vestito di Erin:

Chevalier (disegno mio)
   
 
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