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Autore: Rosso Veneziano    17/07/2013    0 recensioni
Memorie teatrali di un'esperienza maturata in una compagnia scolastica riadattate su modello dei memorialisti del '600 italiani e degli autori dei diari della corte di Versailles nel '700.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Haud mollia iussa

Affatto lievi furono quelle imposizioni che mi costrinsero a recitare anche nel cast di Luca. Un pomeriggio ci trovammo quindi a recitare. Ormai era maggio, l’inverno passato, la primavera sorta, fiorita, sbocciata.
Grande era tuttavia il mio imbarazzo, ancora. Quel senso di riverenza, di tacita e muta ammirazione, di inadeguatezza, di timore. La causa principale era sicuramente quel tormento, quella preoccupazione, l’affannosa ricerca della definizione della virtù che animava lo spirito di Luca. Qualcosa mi spingeva ancora a cercarla. Temevo tuttavia di fare la tragica fine degli Argonauti morti nel cercare il Vello d’Oro: non di soccombere ma di divenire preda di ossessione e di frenesia.
Mi sedetti mentre gli altri attori celiavano. Ridevo anch’io, ma non scherzavo. Tuttavia ero riuscito a parlare con Margherita e con P., riguardo la quale ero finalmente riuscito ad esprimere un giudizio definitivo. Leziosa e civettuola, un po’ altezzosa, manifestava un certo modo di fare che, secondo me, si adattava perfettamente al personaggio che interpretava. Credo di poter dire che finì per recitare nei panni di se stessa. Pertanto era anche molesta, talvolta simpatica, ma di indole così singolarmente e pedantescamente onusta di certezze positive sulla sua persona da risultare ricettacolo di proposizioni che suonavano in una conversazione come veri e propri solecismi pedestri del galateo, della morale comune e del rispetto dell’altrui sensibilità. E mi rimisi ad osservare le scene. Stava recitando Luca.
Mi sovvenne allora la lettura di una pagina del Pratum Spirituale di Giovanni Mosco in cui si celebrava la magnitudo animi come la prima e fondamentale virtù: la coscienza di essere giusti, di fare il giusto, senza vanagloria, senza pompe, nella certezza e nel desiderio di voler continuare nella propria retta strada: ossia nella temperanza e nell’ottemperanza di quanto ci chiedono gli umani valori. La perfetta virtù. Senza la quale non esistono le altre, colla quale esistono tutte le altre, anzi, sgorgano, come dalla fonte Castalia del Parnaso sorgevano le arti, predilette di Apollo.
Mi trovai allora a cadere in uno stato di ammirazione di quel carattere, quello di Luca, così ricco di virtù pur possedendone una sola. Come in una visione compresi che dopotutto la nostra vita è una perpetua ricerca della felicità anche attraverso la perfezione e la modificazione della nostra indole. Se quel cammino ancor oggi per me è distante dall’essere concluso lo era già per lui. Cammino che, forse, era circolare e richiudeva uno spazio recintato, un giardino. Un hortus conclusus.
Fu allora che, come spinto dalla certezza di aver scoperto una verità ineffabile abbandonai i miei languori, le mie angustie. In qualche minuto persi le reticenze, le paure, i dubbi di cinque mesi. Quasi centocinquanta giorni per comprendere una verità che riuscii ad afferrare in quindici secondi.
Confortato dalla mia scoperta lasciai le antiche remore. Parlai amabilmente con gli altri, convinto che si era risolta l’ansia che mi aveva permeato.
  
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