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Autore: idkjdbsoul    17/07/2013    5 recensioni
Non devo scordare chi sono. Non devo scordare qual'è il mio compito, che cosa sono.
Il Dittatore mi ha rinchiusa dentro una cella per quattro anni.
Mi sono solamente svegliata un giorno con un potere: io comando l’energia della materia.
Ogni oggetto, ogni persona, ogni particella 'vibra' ad una determinata frequenza. Io posso modificare questa frequenza.
Posso spostare, smaterializzare e rimaterializzare oggetti, persone, tutto ciò che voglio. Posso teletrasportarmi.
Uso questo potere per una cosa, una ed una soltanto: distruggere il Dittatore.
Ma nessuno mi ha mai chiesto se fossi veramente pronta a fare tutto ciò che ho fatto.
Nessuno mi ha mai chiesto se fossi veramente pronta ad una vita così, una vita di scelte, di opportunità.
Nessuno mi ha mai chiesto se fossi veramente pronta a lasciare la mia vita, le mie certezze, per un'opportunità.
Nessuno. Nè i ribelli, nè la mia testa.
Ma ora che sono qui, nel passato, come faró?
Nessuno mi ha mai chiesto se io fossi veramente pronta a tutto questo.
Genere: Erotico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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Capitolo 3.


 

Revelations.
 





Justin’s p.o.v.

Sento il mio cuore battere nella vena lungo il collo. Il respiro è profondo. I rumori della città si fanno sempre più intensi e riesco a vedere uno squarcio di luce oltrepassare le mie palpebre.
Il pavimento è freddo e mi provoca dei brividi lungo tutto il corpo. Un sapore metallico mi invade la bocca e non riesco a capire cosa sia. Mi premo lentamente le tempie: sono io.
Non riesco neanche lontanamente ad immaginarmi l’ultima volta che ho sanguinato, sono anni che sono al potere e non mi sono mai permesso di far vedere un accenno della mia umanità perduta. Anche il sangue che scorre nelle mie vene è troppo.
Alzo la schiena e mi metto a sedere, la situazione non è migliorata per niente. Il sangue esce dalla mia fronte attraverso un piccolo taglio, però profondo. Provo una sensazione assurda, non l’ho mai provata prima. Oh almeno è da tanto che non la provo.
Un senso di vulnerabilità si impossessa di me, ecco cosa sento. Mi sento debole, mi sento fin troppo…umano. Sono vulnerabile come una qualunque persona dentro il mio mondo.
E’ un sensazione orribile.

L’ultima volta che ho provato questa sensazione è stato anni fa. Però non ricordo perché, è come se ci fosse un buco nella mia testa.
Mi guardo intorno e vedo l’oggetto della mia distrazione, quella fottutissima foto. I contorni sono color argento e riflettono la mia immagine. Ho gli occhi sbarrati e le labbra tremanti: faccio pena.
Non permetterei mai a nessuno di vedermi così. E’ imbarazzante e non mi sento sicuro di me come al solito.
Ho bisogno di risposte. Ci siamo noi due in quella foto, lei sembra proprio una bella ragazza, anche se dai miei trent’anni non riesco a giudicare bene una diciottenne, lei è diversa. I suoi occhi mi infondono una sicurezza innata che va a scontrarsi con la mia vulnerabilità. Mi sento più sicuro di quando sono al potere.
Questa è una bella sensazione.

In questa foto sono appena un diciannovenne, dovrei crederci? Come ha fatto quella sottospecie di bambina? Stanno cercando di sabotarmi per riuscire a farmi impazzire?
Tante, troppe domande mi girano in testa vorticosamente. Non ho neanche la forza di darmi una risposta, non la trovo. E’ così scontato il fatto che mi sento in trappola, come soggiogato da questo strano fatto.
In questa foto lei ha diciotto anni, ora ha diciotto anni.
Deve per forza saperne qualcosa.
Mi alzo in piedi, barcollo appena ma le mie gambe sono salde, dure. Per comandare un impero non si può barcollare. Bisogna essere fermi e duri. Questo sono sempre stato io. Ho resettato le emozioni tanto tempo fa.
Ho obbligato la Warner a venire a Denver con la ragazza, caso mai qualcosa andasse storto. L’ha fatta alloggiare in una nuova cella giusto per lei. Le pareti sono completamente trasparenti, possiamo vedere qualunque cose lei fa e lei può vedere ogni cosa che succede all’infuori del suo piccolo mondo. E’ così appagante vedere la gente star male per qualcosa che ho combinato io, mi da potere.

I corridoi sono larghi e ci cammino pacatamente, la sua cella è stata organizzata appena sotto il mio palazzo e posso controllarla come voglio. Non fa granché, la maggior parte del tempo si mette a scrivere sul suo diario ed io la osservo mentre impugna la matita con pollice e l’indice. E’ diventata quasi un’ossessione, devo dire. Penso che non capisca quando scende la notte perché va a dormire ad orari totalmente sballati tra loro. Se poi, quello si può chiamare dormire. Non ho trovato neanche una singola notte in cui lei non faccia incubi. La sento urlare, spesso, sempre. Non so neanche come facciano a sopportarla perché io non ce la faccio, mi da fastidio ed ho bisogno di dormire io.

Conta. Certe volte la sento contare, ad alta voce. Fa dei conti alla rovescia e puntualmente quando arriva alla zero gli portano da mangiare. Oppure la prendono fuori per un esperimento?
Io ho fatto questo? Sembra inquietante a vederlo. Ma se sono riuscito a manipolare talmente tanto la mente di una persona mi sento orgoglioso di me stesso. Una prima volta, per me.
Il flusso dei miei pensieri mi conduce lungo la cella, nessuna guardia si trova nei paraggi.
Mi fermo davanti al muro e la guardo. E’ rannicchiata sul letto con la testa appoggiata sulle ginocchia. Sembra una bambina per quanto è piccola, mi stupisco di come sia riuscito a sopravvivere anche solo una settimana qua dentro. E’ fragile, si vede subito. Appena un soffio e sembra cascare in mille pezzi, eppure dentro di sé ha una forza tale da prendere ogni giorno in mano una penna e scrivere.
Alza subito la testa appena mi vede, sembra sorpresa di vedermi in quello stato, sembra sorpresa di vedermi e basta. Anch’io sono sorpreso di vederla.
I capelli le arrivano fino al fondoschiena e ha gli occhi sbarrati. Le sue piccole labbra secche sono chiuse in una smorfia. Si alza e si avvicina a me, dall’altra parte di questo muro. E’ bassetta, le gambe magre e la vita stretta. La pelle color avorio ed i suoi occhi marroni scuro stonano. Sembra una bambolina di porcellana.
Rompo la cornice e la getto a terra. Appoggio la foto sul vetro e lei la osserva. All’inizio non sembra capire molto, appoggio il palmo della mano aperto sulla parete ed aspetto un suo movimento. Qualunque cosa che possa farla smuovere e farle capire. Sbarra gli occhi quando vede il suo viso e fa qualche passo indietro.

«Tu sai qualcosa.»

Dico, so che mi sente. Lei nega con la testa e si riavvicina a me. So che non dirà nulla perché sono quattro anni che non parla più. Dopo che ho richiesto l’uccisione di suo padre è stato tutto inutile, non ha più spiccicato parola, neanche una. Mi ricordo quella volta in cui le ho richiesto l’elettroshock: è morta per tre minuti. E’ stato divertente toglierle la vita, anche se non era la prima volta che lo facevo a qualcuno.
La cosa più divertente è stata ridarle la vita, un’altra prima volta per me.  

«Andiamo, parla. »

La incito ancora, deve sapere qualcosa per forza, altrimenti non sarei qui ad insistere.

“Fottiti idiota, non so un cazzo.”

Spalanco la bocca e la guardo, lei non ha neanche mosso le labbra. Avvicino ancora di più il viso al vetro e la guardo mentre inarca le sopracciglia. Lei non ha parlato, la fissavo tutto questo tempo.
Mi giro per vedere se c’è qualcuno dietro di me, però non vedo nessuno. Sono completamente solo, cosa che accresce ancora di più la mia curiosità.
Quando il mio sguardo si posa di nuovo su di lei, sta facendo qualcosa che non mi sarei mai aspettato. La sua mano è appoggiata sulla mia, lungo questa parete. Combaciano perfettamente, e, per un attimo, sono sicuro che siano state fatte apposta per stare insieme. Nei suoi occhi c’è paura, esitazione. Riesco a leggerla come un libro aperto. La mia bocca si spalanca e i miei occhi s’impiantano nelle sue iridi marroni, apro la bocca, più volte, per cercare di tirare fuori un pensiero logico, ma non ci riesco, è difficile. Sono soggiogato da lei e non posso far altro che respirare con la bocca. L'ultima volta che ho avuto un contatto umano quand'è stato? Sembra così difficile a dirlo perchè non lo ricordo. Non ho permesso a nessuno di toccarmi come lei non ha permesso a nessuno di ascoltarla.
Due anime sperdute da delle fobie che le attanagliano.
Questo è stato lo stesso gesto che ha fatto al padre prima che lui..

«Oh cazzo..»

Lei fa un sorriso malizioso mentre io inizio ad indietreggiare velocemente lasciando cadere la foto a terra. Allunga la mano destra verso di me la stringe a pugno, mi sento preso, lei mi ha preso. Mi gira di schiena e con un colpo secco sono di nuovo contro la parete. Respiro a malapena, colpa del botto contro i polmoni.
Tento di muovere una mano sono fermo, non riesco a muovermi, non riesco a far nulla. Vorrei gridare aiuto ma non ci riesco. Quella ragazzina ha un potere speciale, ed io non sarei morto stanotte.
Una presa sul collo mi toglie il fiato, non riesco neanche a pensare.

“Stai facendo un favore al mondo. Stai facendo un favore al mondo. Calmati. Fallo.”

Sento tutto ciò che dice, ma non con le orecchie. La sua voce.. è dentro la mia testa.
Parla a sé stessa, vuole uccidermi.
Non respiro più, la mia vista si offusca lentamente mentre il sangue mi va al cervello. E’ così che se ne andrà il più grande sovrano di tutti i tempi? Ucciso per colpa di una ragazzina che ha qualche segreto?
Non ci penso neanche.
Il mio viso va a fuoco, riesco a sentire gli occhi che per poco non mi escono dalle orbite. Un brivido mi sale lungo la schiena, è questo che si prova? E’ questa la paura?
L’ultima volta che l’ho sentita è stata quando credevo di aver perso tutto. La notte che hanno ucciso la mia famiglia durante la rivoluzione. Ero spaventato, annegavo nel mio stesso dolore.
Una fitta di rabbia mi fa digrignare i denti e mi agito sotto la sua presa.
Non può finire così, sono troppo potente per permettere ad una poppante che non sa usare i propri poteri di uccidermi. Alzo lentamente un braccio con tutta la forza che posso. Sto perdendo conoscenza, lo sento.
Devo oppormi con tutte le forze che ho, sono sicuro che lei non è abbastanza padrona dei suoi poteri per riuscire a sovrastarmi. Devo cavarmela da solo, o almeno resistere finché non torneranno le mie incompetenti guardie.
Lanciò un pugno lungo il muro vitreo con tutta la mia forza. Non riesco a vederla, ma sento che la forza è diminuita. Forse è tutta questione di concentrazione. Ne lancio un altro, due, tre.
Non posso creare crepe, il muro è a prova di proiettile. Ma posso distrarla, o almeno provarci.
Lancio un ultimo pugno, i miei occhi si chiudono. I miei polmoni si fermano, il mio cuore rallenta i battiti sempre di più. Ognuno di loro mi entra dentro, è come se riuscissi a vedere le mie costole e a volteggiarci intorno. Una sensazione talmente scollegata da ogni altra cosa che è quasi piacevole. Vedo il mio cuore smettere di battere e continuo a volteggiare sopra le mie vene.
Poi, smisi di volteggiare.

Le mie ginocchia toccano terra, il mio respiro si fa pesante, non sento più la mia testa, è come se fosse distaccata dal corpo. E se me l’avesse staccata davvero?
Riesco ad aprire lentamente le palpebre, sono a terra. Anche lei lo è e mi fissa. Siamo entrambi distesi con il petto sul pavimento ed una guancia che si sta raffreddando. Ci fissiamo, ci guardiamo, ci osserviamo.
Sento delle voci accanto a me, sopra di me, attorno a me, dentro di me.

“Che palle!”
“Dovevi tenere duro ragazzina.”
“Una volta che potevamo avere una speranza.”


E’ tutto dentro la mia testa, attorno a me ci sono delle voci preoccupate, o almeno che si fingono preoccupate. Percepisco solo il mio respiro pesante, il sangue che torna in circolo, il mio cuore che va in tachicardia. Il suo labbro inferiore trema, è spaventata, alla ricerca di un qualcosa di umano che possa salvarla. In cerca di qualcuno che la salvi come loro hanno salvato me.
Appoggio la mano sul vetro, lei la fa combaciare con la mia prima di chiudere gli occhi.
Raggiungendola, sento il calore della sua mano arrivare alla cassa toracica fino a rallentare il mio cuore.
Un’ultima frase raggiunge la mia mente.

“Dovevo almeno provare.”

Evelyn’s p.o.v

Se non fossero arrivati così di fretta, l’avrei ucciso nel giro di pochi secondi. Era una questione d’onore, più che di qualsiasi altra cosa. Lui doveva pagare.
Una nuova me rinasce, la sento montarmi dentro. Una me rivoluzionaria, cinica, egoista, vendicativa. Una me che crede nella speranza più di chiunque altro.
L’avrei fatto, ne avrei avuto il coraggio, ci sarei riuscita se non fosse stato per la Warner.
Ha mandato una scarica elettrica lungo tutta la stanza ed ho sentito un dolore assurdo, come se quelle cicatrici si fossero riaperte tutte insieme in un attimo rivangando ogni dolore. Ogni attimo, agonia su agonia.
Non la capisco la Warner, a volte sembra che mi vuole aiutare e altre volte sembra solamente che stia dalla parte del Dittatore. Non capisco come può avere due facce, come può permettere il dolore di tutta questa gente e perché mi ha fermata. Tutto il mondo avrebbe smesso di soffrire, almeno. Avrei avuto l’opportunità di dimostrare quando valgo, quelle cicatrici avrebbero avuto un senso, finalmente. Avrei passato le ultime ora della mia vita crogiolandomi negli allori, avrei salvato l’America.

Questi pensieri non fanno altro che farmi agitare e smuovere l’oceano che tengo in testa. Sono in alta marea, sono in balia dei rimorsi e della depressione che provo. Vorrei uscire di qui, rifarmi una vita. Dimenticare tutto quanto, anche se sembrerebbe impossibile.
Accetterebbero mai una ragazza come me? Mi rinchiuderei da qualche parte solamente per tenere la gente lontana da me. Non merito la compassione, non merito l’amore, non merito nulla.
I miei muscoli sono pronti all’azione e cerco di alzarmi di scatto. Un soffitto messo troppo in basso mi fa battere la testa ed impreco a bassa voce cercando un appiglio o un rifugio in cui nascondermi. C’è di nuovo buio. Un altro esperimento? Una nuova cicatrice? Dove sono? Allungo la mano nel buio e ci sta un’altra parete.
Non può essere, no.
Continuo a toccare e vedo che ci sono pareti dappertutto. Sono rinchiusa, sono un topo in gabbia, sono in una scatola. Non possono avermi rinchiusa, che scopo avrebbe tutto questo?
Penso che la mia morte sia vicina, esco da questo mondo nello stesso ed insulso modo in cui ci sono entrata.

L’ultima volta che ho visto qualcuno rinchiuso, non sono riuscita a salvarlo. Dovrei veramente salvare me stessa? Non ne sono capace. Il pensiero della gente e della felicità delle altre persone mi attanaglia, non penso mai a me. Non sono sicura che riuscirei a gestire un potere così grande non pensando agli altri.
Porto la ginocchia al petto e il mio viso si comprime contro esse. Respiro a fatica.
L’ultima volta, l’ultima volta, l’ultima volta.
Ho avuto così tanti incubi da quel giorno che sono arrivata a non dormire per notti di fila. Passavo tutta la notte a rileggere le pagine di diario. A rileggere le pagine in cui descrivevo i miei incubi e a ripensarci. Non merito neanche il sonno?

Inizio a gridare disperatamente, ho la voce rotta. La scatola mi opprime i sensi e non riesco a muovermi, è così che ci si sente ad essere vulnerabili, evidentemente. Ma io lo sono sempre stata, una pedina da gioco che potevano spaventare quanto volevano e a loro piacimento.
Ci sono state delle volte in cui, prima dell’avvenimento di mio padre, mi rinchiudevano nel sonno e mi mandavano incubi. Non riuscivo mai a sconfiggerli e mi sentivo così inutile anche nei sogni. Hanno sempre vinto loro, dopo quattro anni, dopo millesettecento-sessantanove esperimenti e la mia resa. La mia vita nelle loro mani. Loro mi hanno sempre battuto in tutto ed io sono stata una perdente.

Le mie grida si fanno sempre più dissolute, si suicidano contro le pareti di quella cella e rimbalzano l’una contro l’altra, vorrei poter morire subito, incontrollata. Per questo ho tentato così tanto volte il suicidio, per poter decidere io la mia morte, visto che non mi è stato permesso di scegliere la mia vita.
Non ho mai avuto scelte, e ora che la morte sembra così vicina non posso fare a meno di urlare per tirare fuori un dolore continuo di anni di reclusione e sfruttamento. Mi strofino più volte i palmi della mani lungo i polpacci. La mia pelle è ruvida, tartagliata. Le braccia, le gambe e lo stomaco sono pieni di tutto questo orrore. Se sapessi usare per bene il mio potere lo userei per sventrarmi ed appianare la mia pelle.
Le mie urla si fanno stancanti, quasi soffocate. Non ho saputo scegliere neanche a chi regalare i miei ultimi sorrisi.

«Evelyn?»

Sento un sussurro e vari toc-toc provenire da sopra la mia testa. Alzo il viso ed inizio a spingere contro quel soffitto con tutta la forza che posso.
Grido istericamente con la voce rotta dal pianto. Potrebbe essere chiunque, ma è molto meglio che morire qua dentro. Spingo con tutta la forza che posso. Tutte le mie speranze iniziano a scivolare via, solamente quello mi ha tenuta viva tutti questi quattro anni. Credo che sarebbe meglio per me se rimanessi qua dentro, ma una parte di me non vuole accettarlo. Non ho nulla da dare nella vita ma c’è questa parte di me che vuole vivere e che non si arrenderà facilmente, anzi credo che non lo farà mai.
Un botto proviene da sopra la mia testa e mi fa tornare a sedere. Il soffitto viene strappato via di scatto e un paio di braccia mi tirano su.

«Evelyn? Mi senti? Ti prego svegliati.»

Riconosco la voce. Non capisco cosa vuole da me. Ho fallito un altro esperimento? Io sono un fallimento che cammina, a malapena ormai. I miei occhi sono gonfi e quelle braccia mi sostengono in piedi mentre i miei occhi socchiusi cercando i abituarsi alla luce. Mi fa male la gola, tanto. Non riesco ad esprimere nessun gesto o pensiero logico senza che tutta la pioggia che ho in testa diventi un violento acquazzone.

Mi sento trasportata lungo tante sale, tanti corridoi, guardo tutto in silenzio e cerco di ascoltare inutilmente le loro conversazioni. Ovviamente sto per morire, ho cercato di assassinare il Dittatore ed ora lui ha quello che gli serve. Io non servo più a nulla, ora con il suo nuovo potere può riuscire a distruggere questa diceria sulla nuova rivoluzione. Lui non può lasciarlo permettere. Anche con il minimo segnale potrebbe far scatenare una guerra, ed io non sono riuscita ad evitarlo.

«Dannazione svegliati.»

Apro completamente gli occhi e mi ritrovo oppressa in quelli verdi della Warner che mi scrutano con attenzione. E’ un altro esperimento, evidentemente vogliono uccidermi, quelle iridi verdi mi squadrano con un tono beffardo e sono sicura di essere riuscita a vedere un accenno di sorriso dentro di lei.
Mi alzo da terra e mi massaggio la testa, non so neanche come ci sono finita a terra. I miei pensieri erano tutti concentrati sulle frasi epiche che posso dire al momento della morte.
Mi guardo intorno e realizzo che non so dove mi trovo. Ho passato quattro anni qua dentro e ancora non mi oriento. Un’altra cosa in cui faccio schifo, io non merito nulla.
L’ambiente è grande, lugubre, sembra di essere sottoterra. Osservo la Warner che mi guarda paonazza e studio le sue espressioni. Il mio corpo rimarrà qui, non hanno neanche voglia di seppellirmi, la mia vita non ha senso. Le lacrime mi pizzicano gli occhi ed indietreggio con le spalle al muro. Voglio che lei faccia in fretta. Non ho intenzione di ricominciare a parlare ora.
Il mio camice bianco è sempre lì, accompagnato dai miei lunghi capelli marroni ed i miei piedi nudi. Sento una risata nervosa provenire da lei, si può essere così tanto crudeli?
Mi guardo intorno con la vista offuscata dalle lacrime ed evitando il suo sguardo cerco di sembrare forte, sto costruendo un muro tutto attorno a me che mattone per mattone si sta rinsaldando e che non crollerà mai più. Ma ora quel muro è instabile, potrebbe crollare da un momento all’altro trascinandomi via e portandomi con sé in un luogo remoto. Dove forse starei meglio e riuscirei a sorridere. Sono quattro anni che la mia bocca è inflessibile. Non sorrido, non parlo, non faccio alcune genere di faccia. Ho imparato a sopportare e tenere duro, anche se ad ogni esperimento un pezzettino di me crollava piano piano. Si sono portati via la parte migliore di me per lasciarmi sola ed agonizzante con l’Evelyn spaventata, con l’Evelyn vulnerabile e difficile da gestire. Non ho mai conosciuto questa parte di me, e di certo non avrei voluto mai conoscerla. Allo scoperto vuole solo nascondersi e non posso biasimarla, se ha paura. Perché con quella paura ci ho dovuto convivere tutta la vita. E non se ne andrà mai del tutto.
Sento un tocco sulla guancia ed apro gli occhi, lei mi sta accarezzando il viso. Premo la mia guancia sul palmo della sua mano e delle lacrime continuano ad uscire dai miei occhi. Un’ultima carezza prima che io vada io?
Apro gli occhi e la guardo mentre mi sposta delle ciocche di capelli dietro le orecchie. Lei di sicuro deve sapere il perché di quella foto, anzi lo so. L’hanno fatta per ferirmi e per farmi del male. Volevano confondermi le idee, ma non mi avranno così facilmente.

«Apri gli occhi cara.»

Si allontana da me e preme un bottone sulla parete. Il muro alla mia sinistra si rivolta e vedo un centinaio di persone che mi fissano esitanti. Sono tutte ammucchiate come sardine in una scatoletta. Mi viene l’asma solo a guardarli.

«Benvenuta nella resistenza.»
 

E tutta la folla, si alza in un grido.


 

BUONPOMERIGGIO CENTE'S.

Salve, a tutti, eccomi qua askjcasj
Come lo trovate questo capitolo, ho reso l'idea? c:
Non so che dirvi AHAHAHAHAHAHAHA.
Grazie per seguire questa storia e recensire, siete la dolcezza siete.
Comunque, ho una domanda per voi lol
Chi segue la mia fanfiction sul mio account personale
(se me la chiedete nelle recensioni ve la linko, non mi va di fare pubblicità lol)
sa che io di solito scrivo in terza persona,
e che questa è la mia prima fanfiction in prima persona e col tempo al presente.
Secondo voi com'è meglio, in prima persona o in terza come nell'altra fic?
Mi servono consigli perchè dovrei iniziare una nuova fic e non so come narrarla çwç
Detto questo, la vostra ale vi ama tanto tanto.
Alla prossima bellezze.


-ale.



 

  
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