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Autore: Armelle    18/07/2013    1 recensioni
Si era vestita di bianco per l’occasione, il colore della sposa, ma il suo cuore per la gelosia ardente, peggiorata di gran lunga dall’allegria festosa dell’evento, ad ogni minuto che trascorreva diventava nero come le fauci spalancate di un abisso senza fondo. I suoi propositi, indipendentemente dal colore che la vestiva, non avevano avuto nulla di etereo, sin dal principio.
Genere: Dark, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vestita di bianco si rimirava allo specchio. L'abito candido le avvolgeva il corpo come una seconda pelle, mettendo in risalto con eleganza la sua figura sottile. I suoi capelli, rossi e indomabili, quel giorno erano ben raccolti sulla nuca, ma ancora qualche ricciolo indisciplinato riusciva a sfuggire da quell'intrico di forcelle.

La piazza era in festa quella mattina. Una folla di gente era radunata di fronte alla chiesa del paese, un suggestivo edificio antico in stile romanico; la raggiunse a piedi, percorrendo la breve distanza dalla camera d’albergo alla piazza, e si acquattò dietro ad un albero, sperando che nessuno badasse alla sua presenza.

Quando lo sposo arrivò si fece più piccola e se ne rimase ancora nascosta. Quindi puntò gli occhi sopra di lui, osservandolo fino a imprimersi nella testa ogni minimo dettaglio della sua figura.

La sua mente viaggiò lontano. S’immaginò al suo fianco davanti all'altare della chiesa, che aveva visitato spesso negli ultimi tempi, colpita dalla bellezza dell’edificio; lui le sorrideva, poi le cingeva le spalle e la baciava. Lì, fino al suo sogno, arrivarono le grida di esultanza, ma non erano rivolte veramente a lei. Provenivano dalla realtà, simili piuttosto una raffica di frecce che distrussero come una bolla di sapone quel sogno privo di consistenza.

Le urla festose accoglievano l'arrivo di un'altra macchina, dalla quale scese un'altra figura vestita di bianco, simile a lei. Soltanto che l’altra era una parte attiva dello scenario, non un'inutile controfigura.

Si voltò, poggiando le spalle contro l’albero, nascondendosi con più scrupolo. Non voleva vederla arrivare, acclamata dalla folla quale protagonista della giornata. Sentiva crescere dentro di sé una gelosia lacerante.

Non voleva nemmeno assistere alla cerimonia, seppure avesse ricevuto a sua volta l’invito. Chissà come e a chi, era venuto in mente d’invitarla, quale amica di famiglia. Mossa sbagliata, pensò, increspando appena la labbra in un bieco sorrisetto, sicura di non poter essere vista. Era dominata dalla follia quel giorno.

Poi qualcuno la vide e quasi senza rendersene conto si ritrovò nel bel mezzo della festa nuziale. Una volta che la cerimonia fu terminata, si spostarono da lì fino a un ristorante vicino, che si affacciava proprio sulla piazza.

Il giardino fuori dal ristorante era tutto stato addobbato a festa, i tavoli erano già stati predisposti per il pranzo e c'erano fiori ovunque, splendide rose bianche miste a lillà.

Fu costretta così a vederli insieme. Finito il pranzo, ricco di ogni golosità, lei camminava al suo fianco sorridente, anche lo sposo era raggiante per la contentezza. Tutto intorno l’ambiente risuonava di gioia, soltanto lei era cupa come un cielo invernale, in quella bella giornata d’agosto.

Si era vestita di bianco per l’occasione, il colore della sposa, ma il suo cuore per la gelosia ardente, peggiorata di gran lunga dall’allegria festosa dell’evento, ad ogni minuto che trascorreva diventava nero come le fauci spalancate di un abisso senza fondo. I suoi propositi, indipendentemente dal colore che la vestiva, non avevano avuto nulla di etereo, sin dal principio.

Nella sua mente, dominata dalla follia e dal dolore, aveva pensato in un certo modo di emulare la sposa, di potersi sostituire a lei in un momento di confusione, come se un abito potesse fare di lei la donna del suo cuore. La follia d'amore aveva annullato in un soffio ogni barlume di ragione. Tuttavia, quando li vide camminare insieme passando davanti a lei senza essere vista, sentì come un lampo violento su di sé tutta la futilità del suo gesto, rimanendo nuovamente schiacciata dalla disperazione.

L'orchestra suonava dolci canzoni melense in onore degli sposi, che alle sue orecchie frastornate risuonavano violente come lo stridere di corde arrugginite. Guidata dalla sua irrazionalità, con la furia di uno spirito vendicatore, salì di colpo sul palco, spingendo via nella sua furia alcuni membri dell'orchestra intenti a suonare simili lagnanze. Rimanendo spiazzati dalla sua foga, i musicisti le cedettero il posto senza opporsi, fermandosi a guardarla dal basso con le bocche spalancate per lo stupore.

Aveva appena strappato il microfono dalle mani di chi cantava, che iniziò lei stessa a cantare. Tutti gli occhi si erano fissati su di lei.

Cantò, guardandolo dritto negli occhi. Voleva fare come le sirene, ammaliarlo con la sua voce. Poi, quando si sarebbe affidato a lei senza timore, ne avrebbe approfittato per ucciderlo, godendo dell’espressione di sorpresa sul suo volto, un momento prima di spirare per sempre. Era stata proprio la sua voce, la sua bella voce di sirena, diceva lui un tempo, ad ammaliarlo. Tempo fa, prima di lei.

Inevitabilmente, come ciascuno dei presenti, lui la fissava con occhi stravolti, senza capire. Lei s’immerse in quello sguardo, ignorando tutto ciò che stava intorno, tranne loro. C'era una tristezza profonda nei suoi occhi e nel notarla sorrise di soddisfazione. Il suo canto stava sortendo l’effetto sperato, pensò esultante, l’incantesimo della sirena faceva effetto. Capiva di appartenerle, non c’era scampo; doveva cederle, quindi soffrire, quando lei per vendicarsi l’avrebbe respinto.

Ma le bastò un attimo per rendersi conto che si sbagliava di grosso. Il marinaio che si sforzava di ammaliare non era caduto nella sua rete, come sperava; guardava piuttosto, colmo di pena nei suoi confronti, i suoi infruttuosi tentativi di mettere a segno quella pesca, di tendere la rete da cui lui era già fuggito da tempo. Conoscendo la trappola che gli tendeva, non avrebbe potuto cascarci per la seconda volta.

Nel realizzare come vano ogni suo tentativo, avvertendo in tutto il suo peso l’amara sconfitta, si accorse infine che le voci, messe prima a tacere dal suo folle gesto, avevano ripreso ad animare l'ambiente; voci sussurrate, malelingue biforcute che sibilavano contro una povera folle che cantava disperata, tendendo una trappola con una rete già rotta.

Allora le lacrime sgorgarono calde dai suoi occhi, la vista le si offuscò e l’inutile malia che aveva teso contro di lui si spezzò del tutto. Fu grata di non poter più vedere, a causa degli occhi gonfi e delle lacrime, la sua stessa miseria riflessa nei loro sguardi. Gettando a terra il microfono, saltò giù dal palco e corse via. Passò ad un soffio da lui, ma quando fu passata oltre, sull’ultimo ci ripensò, voltandosi con uno scatto.

C'era un rampicante di rose vicino a lei, quelle belle rose bianche che adornavano il piazzale; ne strappò una quasi con ferocia e la strinse forte, chiudendo la mano su di essa. La strinse forte, lacerandone i petali bianchi, lasciando che le spine entrassero nella pelle delicata delle sue mani, che il sangue sgorgasse dalle ferite e macchiasse quei petali candidi. Lui la guardava con sgomento, pietrificato, mentre sua moglie lo trascinava via per il braccio, invano, il volto trasfigurato anche lei dall’orrore. Avevano intravisto qualcosa, non solo nella follia del suo sguardo, anche dalla borsa, che era scivolata un momento della sua spalla per aprirsi leggermente ai loro occhi.

Aprì le mani e lasciò che i petali macchiati del suo sangue si spargessero per tutta la sala, trascinati dalla brezza leggera di una bella giornata estiva. Poi tamponò la mano ferita sull’abito bianco, tingendo il tessuto del proprio sangue.

Adesso, con la macchia rossa che spiccava lampante sopra il bianco delicato del suo abito, non era più una sposa.

Doveva lasciare il campo da sconfitta, accettare di essere stata battuta da una creatura la cui natura era transitoria e non immortale, all’interno delle fantasie di quell’uomo. Eppure, in egual maniera, alla fine sentiva di potersi ritenere soddisfatta. Con il suo comportamento irragionevole aveva animato e sconvolto la monotonia di quella ridicola cerimonia, impresso la sua presenza indelebile ancora di più nel suo animo tramite i ricordi di quel giorno.

Nella sua mente e in quella di tutti i presenti, più della sua scialba sposa, era stata lei la vera protagonista. Sarebbe stata comunque immortale, anche nei ricordi di quell’impavido marinaio che era scampato alle sue grinfie. In futuro, riguardando al passato nel ricordare il giorno delle sue nozze, non avrebbe potuto fare a meno di rabbrividire, pensando a quando, come aveva avuto modo d’intuire nel momento in cui aveva stretto il fiore nella mano, era stata quasi sul punto di ucciderlo.
La canna lucida della pistola che aveva comprato soltanto una settimana prima, il giorno stesso in cui aveva ricevuto il biglietto d’invito, scintillando quasi come il prezioso brillante incastonato nell’anello della sposa alla luce del sole, aveva svelato loro chiare le sue intenzioni.

Sull’ultimo, aveva accettato di risparmiarlo, concedendo la sua benedizione, lasciando che la vita più della morte prolungasse all’infinito quell’istante di puro terrore che aveva distinto nei loro sguardi.

  
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