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Autore: Sundance    30/01/2008    3 recensioni
... I miei occhi risalirono il suo braccio fino al torace, proseguirono sul collo e si fermarono sulle labbra. Notai che sembrava giovane, cosa che si ricollegava bene alla voce, e che si era fatto la barba evidentemente. Poi in un impeto di coraggio estremo alzai di scatto gli occhi e li puntai nei suoi.
E mi sciolsi.
E capii perchè conoscevo quella voce.
Perchè la sentivo risuonare nella mia testa nei momenti più impensabili, perchè aveva pronunciato frasi che avrei sempre ricordato, perchè un "Depends on the one day" assume tutt'altra forma e sensazione quando è quella voce che lo dice.
E compresi anche che se mai avessi potuto sperare di incontrarlo, non sarebbe mai, MAI stato con il trucco sbavato da lappate di cane, i pantaloni sporchi per la caduta e l'espressione di una che sta per collassare.
Completata (sorpresa: capitolo 39 più epilogo)
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Uscendo dal bagno, con l'accappatoio verde acqua avvolto intorno al corpo, rientro in camera a passi leggeri. Ho un sussulto quando lo vedo steso sulla schiena, il lenzuolo che lo copre per metà, lasciando libero il torace. Ha gli occhi chiusi, ma mi sente trattenere il respiro ed alza lo sguardo. Con un morbido sorriso chiede:
"Che cosa c'è?"
Scuoto il capo. Come spiegargli che è una visione?
"Mi piace guardarti dormire." Mi sorride teneramente.
"Davvero?"
"Sì." Mi avvicino e mi siedo dalla sua parte, prendendogli la mano. "Mi piace pensare che in quei momenti sono io a proteggere te." Lui sorride e mi stringe le dita. Nessuno dei due parla. Ho tempo di considerare ch'io abbia fatto l'amore con lui. Oddio. Batticuore. Ci vorrà un pò per abituarmi a questo pensiero. Arrossisco. Lui se ne accorge:
"A che cosa pensi?"
"A questa notte", sussurro. Al momento in cui abbiamo preso le giuste precauzioni, un attimo prima che lasciassi comandare i miei desideri invece del mio criterio; ai nostri sospiri; alle parole sussurrate dopo. Lui si mette a sedere e mi attira a sè. Mi accoccolo vicino a lui come una bambina, e cingendomi i fianchi con un braccio, mi culla appena. Appoggio la testa sulla sua spalla. Siamo silenziosi tutti e due. Vorrei chiedergli cosa sta pensando, ma lascio perdere. Basta domande d'insicurezza.
"Buon compleanno, dolce Luna." Spalanco gli occhi e lo guardo. Mi sorride, accennando al mattino luminoso: è vero. E' il 25 Novembre.
Ho ufficialmente 24 anni. Mi bacia sul collo mentre sorrido divertita e felice, più adulta di un anno, più fortunata di come potrò mai esserlo in una vita intera di ricorrenze. No, forse no. Non si dice 'cento di questi giorni'?
"Grazie."

Appoggiata al balconcino della finestra osservo il sole giocare con le foglie degli alberi. Non mi sono ancora vestita, ma sto benissimo così, in accappatoio. Lo sento rientrare in camera e mi volto a guardarlo. Non mi sono abituata neppure a vederlo a torso nudo. Nascondo un sospiro. Mi osserva con vaga sorpresa. Corrugo la fronte:
"C'è qualcosa che non va?", domando alzandomi. Lui mi raggiunge, l'asciugamano ampio attorno al corpo, e mi sfiora la guancia.
"No. Ti guardavo alla luce del sole." Mi prende con un sorriso per le spalle e mi fa voltare verso la finestra: la luce mi acceca e strizzo gli occhi appena.
"Ohi. Siamo sicuri di essere a Londra? Da dove spunta tutto questo sole?". Mi tiene per le braccia sorridendo divertito, poi mi studia in viso.
"Ebbene, finalmente ho visto i tuoi occhi verdi al mattino."
Oh. Oh, no. Ricordo. Torno color porpora. Lui scoppia a ridere e mi abbraccia forte. Lo sento felice. E pensare che sia a causa mia, mi riempe di gioia.
"Ah! A proposito. Non ti ho fatto vedere la tua sorpresa."
Sorrido guardando la sua espressione confusa. Uno pari. Raggiungo l'armadio e ne tiro fuori un pacco piuttosto grande incartato, sottile e rettangolare, e glielo porgo. Lui mi lancia un'occhiata incuriosita e comincia a scartarlo.
"Sappi che non è assolutamente niente di che. Ma mi è venuto in mente quel pomeriggio al parco, con Sidi. Sai... quando vi feci le foto. Vicino a casa mia c'è un fotografo molto in gamba che prepara cose del genere, così la sera stessa inviai tutte le immagini a Linda. Questo è il risultato, me lo ha portato lei giovedì", concludo, mentre lo guardo alzare una specie di quadro, a bocca aperta.
Lo osservo anche io: è venuto bene come speravo. E' una specie di foto-calendario, con tutti i mesi del 2008 ed i relativi numeri e giorni ai tre bordi, scritti in caratteri medi. Lo sfondo, di un color crema, è riempito di varie foto di Sidi, mentre al centro in alto spicca, più grande di tutte le altre, quella con lui e Orlando. E' un'immagine bellissima. Orlando si volta verso di me a occhi spalancati. Io arrossico borbottando:
"Ahm, come ti ho detto, non è nulla di troppo... ma ho notato che qui non se ne fanno di simili... e quindi ho pensato che sarebbe stato un bel modo di segnare i giorni del prossimo anno, un calendario tutto personale, ecco... il vetro è doppio, non si dovrebbe romp..."
Mi soffoca le parole baciandomi con ardore. Le mie labbra ricambiano prima che la mia mente abbia afferrato l'accaduto. Si allontana e mi guarda con espressione seria e commossa ad un tempo:
"E' un pensiero molto più che gradito. Dico davvero."
Gli sorrido accarezzandogli il collo ed il viso, ma scivolo sul suo petto prima di fermare la mano.
"Mi fa piacere", sussurro, asciugandogli alcune gocce d'acqua rimastegli sulla pelle. Non so se ho modificato espressione, ma noto che lui ha cambiato la sua. Posa delicatamente il quadro accanto al cassettone e preme le mani sui miei fianchi, avvicinandomi. Alzo lo sguardo ed incontro il suo, abbastanza acceso da farmi arrossire nuovamente.
*Non dirmi che hai ritrovato un minimo di pudore?*
Lo sento giocare con la fascia dell'accappatoio, e senza smettere di fissarlo negli occhi, la mia mano aiuta la sua a slacciarla. Mi guarda e mi perdo nella profonda fiamma di quegli occhi felini. L'accappatoio finisce per terra, seguito dal suo asciugamano.
No. Non c'è ragione nè pudore. Non adesso.

Seduti al tavolo della cucina parliamo e sorridiamo a intervalli, facendo colazione, cercando in tutti i modi una scusa per sfiorarci le mani, le dita, i polsi. Vedergli indossare la stessa camicia che la sera prima gli ho tolto mi fa un effetto destabilizzante. Non mi sono mai sentita così. Non avevo mai visto occhi come i suoi, la luce languida e gentile che assumono tenendomi stretta a sè dopo...
Però... non abbiamo più pronunciato quelle parole. Forse è stato il momento particolare della notte passata, forse - e una lama mi trapassa al pensarlo - ci siamo pentiti tutti e due di averlo detto. Ma stranamente, non riesco ad esserne completamente colpita. Se anche è stato un errore, è stato commesso al punto giusto. Se anche non dovesse mai più ripeterlo, mi basterebbe per sempre quell'unico ricordo. Lo guardo stiracchiarsi appena. Ma chi voglio prendere in giro? Sapevo di aver passato un confine ben preciso. Probabilmente Leah, Cynthia e mia sorella hanno ragione: mi faccio troppi problemi. Decido di lasciar perdere tutti questi pensieri.
"Dovrai andare a cambiarti a casa?", gli domando posando la tazza di latte caldo. Lui mi guarda confuso:
"Non vieni anche tu?". Mi sento afferrare il cuore da una stretta leggera.
"Certamente!" annuisco, con un sorriso sereno. Lui lo ricambia. Mi alzo, finito il latte, e metto la tazza sul lavello, voltandomi per andare in camera a vestirmi. Mentre gli passo accanto lui mi trattiene per il braccio con una mano, e mi tira a sè, facendomi sedere sulle sue ginocchia. Mi scosta i capelli dalla spalla e ci appoggia il mento, tenendomi abbracciata, la mia schiena contro il suo petto. Porto le mie braccia sulle sue, incrociate davanti a me. Restiamo in questa posizione per diversi minuti, ascoltando i nostri respiri, osservando la luce del sole oltre la tenda.
"Mi sento veramente bene."
Chiudo gli occhi a questo sussurro, pronunciato vicino al mio orecchio. Lo sento respirare il mio odore.
"Anche io."
Mi sfiora la guancia con un bacio leggero:
"Che cosa vuoi fare oggi, per festeggiare?"
Sorrido: "A parte stare con te?"
Ricambia stringendomi: "Questo è incluso."
"Non lo so. Me lo chiedi per saperlo, o perchè hai qualche idea precisa?"
Sfodera il sorriso sghembo che tanto gli sta bene: "Ho qualche idea precisa."
"Oh... dimmi, ti prego."
"Vedrai."
Mi libera dal suo abbraccio e aggiunge: "Ma se fossi in te porterei una giacca pesante, potremmo fare tardi."

"Non ci posso credere."
E' tutto ciò che mi viene in mente da dire mentre mi aiuta a sedermi sulla canoa. Il sole brilla dispettoso, come se mi avesse sentita. Il parco è meravigliosamente illuminato. Ma niente mi abbaglia più del suo sorriso.
"Lo hai mai fatto?"
"No! E non è una buona cosa, sappilo: finiremo per inzupparci tutti e due. Ho un equilibrio tremendo, per non dire una coordinazione del tutto assente."
Scoppia a ridere: "Scommetto che ti stupirai di quanto sia facile." Si siede, e prende un remo; io lo imito.
"E stento a credere che tu abbia problemi di coordinazione. Ti muovi meravigliosamente bene."
Riuscirei ad evitare di arrossire se non lo guardassi, ma non posso farne a meno. La luce maliziosa accompagnata al tono usato gli brilla nell'iride scura, ed io avvampo.
"E' una cosa... è stato diverso."
"E' vero. E' stato più che bellissimo."
Tu-tump.
Al ché chino il capo e taccio. Ma non così il mio cuore, che galoppa. Lo sento ridere, e gli lancio un'occhiataccia, ma lui risponde ammiccando, perciò sospiro e rinuncio. In canoa lungo la Serpentina di Hyde Park, fino ai Kensington, andata e ritorno. Remiamo bene, perfettamente a tempo, e nonostante l'impaccio iniziale, mi rilasso completamente, assaporando i raggi solari sul viso e sul collo, che mi riscaldano.
Un cigno segue la scia della nostra imbarcazione, che scivola silenziosa senza disturbare i gruppi di anatre e paperi lì vicino. Noto alcune persone che ci guardano fluttuare, quasi sospesi nel bagliore giornaliero, e sorridono accennando un saluto col capo; ricambio ognuno con un gran sorriso: sono talmente felice che vorrei spartire la mia gioia con tutti.
Mi vibra il cellulare, e riesco ad aprirlo senza sbilanciarmi.
"E' Linda. Ti dispiace?"
"Stai scherzando? Salutala da parte mia" sorride lui.
"Pron..." comincio rispondendo, ma non riesco a finire che un coro di voci comincia a cantare a squarciagola 'Tanti Auguri' e sono costretta a staccare l'apparecchio dal viso, dolorante, finché la canzone non si spegne e si sente un applauso in sottofondo.
"Pupa! Com'è fare 24 anni a Londra?" chiede mia sorella esaltata. Sbuffo ridacchiando:
"Una favola, ma è perchè ho un principe accanto, anzi, davanti", e lancio un'occhiata maliziosa a Orlando, che assume un'espressione curiosamente divertita. Meno male che non conosce l'italiano.
"Uuuh! Come va? Eccerto che è lì, lo immaginavo... com'è? Oddio! Non vi ho mica preso in un momento sensualmente avvincente, vero?"
Lotto contro il porpore, ma è una battaglia persa. Orlando scoppia a ridere guardandomi ed io rispondo, borbottando:
"No, piccola viperotta malpensante."
"Come no? E che aspetta, il permesso scritto? Oh, non mi dire che sei tu a tirarti indietro, vero?"
"No" sorrido soddisfatta, prendendomi la rivincita "ti assicuro che non mi sono tirata indietro."
"Ah, ecco, perchè sennò mi cadi completamen...". Silenzio.
"Linda?"
"..."
"Linda? Ci sei? Linda?!"
"... Ti odio."
Scoppio a ridere. Orlando mi tende la mano ed io annuisco:
"Te lo passo. Niente commenti, per favore, o ti uccido."
"Figur... aspetta, chi mi passi tu?!"
Ridacchiando gli lascio il cellulare e lui mi lancia un'occhiata maliziosa:
"Salut, Linda! Comment ça va?"
Io riprendo il remo in mano intanto che lui dialoga con mia sorella; senza farmene accorgere tengo d'occhio la conversazione, perchè non si sa mai che cosa può uscire da Linda. Ma dalle frasi di Orlando non sembrano discorsi più personali di un semplice scambio di convenevoli. Mi restituisce il cellulare ed io concludo la telefonata:
"Lo adoro, quell'uomo. Beh, allora, com'è andata?"
"Ciao Linda, grazie per gli auguri ed il bellissimo coro, e abbraccia mamma e babbo per me."
"Lo vedi che sei perfida? Ma tanto prima o poi mi racconti tutto!"
"Manco morta. Ciao!"
"Ciao stella, ancora cento di queste notti!"
Click.
Arrossisco di nuovo. La sbranerei, talvolta. Beh, almeno lo ha detto in francese, i miei non avranno capito. Alzo lo sguardo sul mio 'principe', che mi fissa attentamente, l'espressione concentrata, gli occhi profondi, un leggero sorriso sulle labbra. Fatico a respirare, quando fa così.
"Che cosa c'è?"
"Nulla, ti sto solo guardando."
"Oh." Guance in fiamme. "Ah, ahm... e ti piace ciò che vedi?"
Il sorriso si tende facendosi più tenero.
"Decisamente sì." E mi stringe la mano con la sua. Qualche persona dal sentiero lascia andare un sospirato 'Oooh!' e batte le mani, in un piccolo applauso. Il mio viso brucia, ma ridiamo assieme, mimando un inchino alla volta del piccolo pubblico improvvisato e sorridente.

"E' stato come entrare in un quadro dell'Ottocento. Grazie!"
Mi alzo in punta di piedi e lo bacio leggera sulle labbra. Lui sorride:
"Non abbiamo finito."
Al mio sguardo incuriosito mi risponde con un'aria maliziosa e sussurra:
"Dobbiamo cambiare sentiero e fare il percorso inverso. Via terra, però."
Tira fuori una bandana nera dalla tasca del giaccone.
"E quella?"
"Questa è per evitare che tu veda." Me la stringe attorno agli occhi. "Seguimi. Ti guido io."
"Ma senza vedere inciamperò di sicuro!"
"Non lascerò che succeda: ti sostengono le mie braccia. Tu fidati."
Che invito dolcissimo. Certo che mi fido. Sento le sue mani allacciarsi alle mie e avvolgermi i polsi, facendomi avanzare. Dopo qualche passo incerto, riesco a camminare abbastanza bene e aumento l'andatura.
"Hai visto che te la cavi bene?"
"E' perchè ci sei tu a tenermi."
Lo sento sorridere. Ho perso il senso della distanza, non ho contato i passi che ho fatto, nè so in che direzione. Mi volto d'improvviso per evitare una delle guardie a cavallo. No, impossibile: non c'è rumore di zoccoli. Eppure...
"Che cosa c'è?"
"Avevo... mi sembrava di aver sentito il profumo di cavalli, credevo ci fosse una di quelle guardie dietro di noi, ma non sento scalpiccìi."
"Beh, effettivamente, le guardie non ci sono."
Corrugo la fronte, poi m'illumino d'un'idea e resto a bocca aperta.
"Cosa..."
"Vieni." Mi lascia le mani e porta le sue sotto i miei gomiti.
"Allunga le dita e non avere paura."
Per un attimo ho la ridicola visione di me, in piedi, con gli occhi fasciati e le mani tese avanti a me, come una bambina che gioca a mosca cieca. Poi le mie dita sfiorano qualcosa di morbido ed ispido al contempo. E caldo. Un borbottìo ben conosciuto mi risponde, mentre piano scendo lungo questa forma e nella mia mente prende vita il disegno d'un animale che amo infinitamente. Che non riesco a toccare da anni.
Mi sento sciogliere la fascia e rimango a volto scoperto, con gli occhi chiusi. Il suo profumo mi raggiunge quando si china a sussurrarmi:
"Ok, guarda pure."
Lentamente schiudo le palpebre e vedo le mie mani appoggiate delicatamente sul collo di un bellissimo cavallo, d'un castano così scuro da sembrare nero. L'animale volta il muso a guardarmi negli occhi, poi sbuffa e mi dà una testata sulla spalla. Mi sento gli occhi lucidi, un groppo in gola che non so sciogliere. Resto solo ad accarezzarlo piano, mordendomi il labbro inferiore per trattenermi. Quanto ho amato i cavalli. Ero l'amazzone più promettente del centro ippico dove cavalcavo. Ma quel giorno, quel maledetto giorno...
"Luna."
Mi volto a guardarlo emergendo dai ricordi tetri in cui sono crollata. E' preoccupato.
"Stai bene?"
"Io... io... sì."
"Ne sei certa?" Cerco di spiegarmi il più possibile, e mi sforzo di sorridere.
"Sì, assolutamente. E' che... Non tocco un cavallo da circa quattro anni."
Mi sorride comprensivo:
"Non preoccuparti, una volta imparato non si dimentica più."
Una fiamma competitiva mi si accende nel petto.
"E' una sfida?" sorrido maliziosa. Mi risponde con un sorriso scanzonato:
"Se te la senti..."
Ha pronunciato le parole magiche: sorrido alla donna che trattiene il mio cavallo per le redini, allungo la cinghia della staffa e posatoci il piede sopra mi do una spinta precisa. Il mio corpo ricorda perfettamente ogni movimento da fare, e nel giro di tre secondi sono già in sella, a sistemare sella e fasce. Prendo le redini che la signora mi offre e guardo lui, a terra accanto al suo destriero. Sorrido presuntuosa:
"E dunque, cowboy?"
Lui scoppia a ridere e sale a cavallo, affiancandosi a me.
"Se sapevo che era tutta scena non ti proponevo una gara."
Sorrido divertita.
"E' vero che non salgo a cavallo da anni. Ma sono stata in gamba, in passato."
Mi guarda incuriosito:
"Ricordo che mi hai detto di amarli molto, perchè hai smesso di cavalcare?"
Pugnalata.
"Incidente di percorso. Chiamalo pure così."
Non insiste, ma la sua espressione è preoccupata intanto che procediamo al passo. Gli sorrido rassicurante:
"E' la sorpresa più bella che potessi farmi. Davvero. Cavalcare attraverso Hyde Park. Non è mica da tutti."
Sorride e recuperato il sorriso sghembo propone:
"Corsa fino a Buckingham?"
"Andata", rispondo, e incito il cavallo al trotto spedito. L'animale obbedisce subito e a falcate piuttosto celeri mi trascina con sè. Che sensazione meravigliosa... come ho potuto evitarla per così tanto tempo? Il vento nei capelli e il verde davanti agli occhi, un tutt'uno con il destriero, le sue zampe sono le mie gambe, e ciò che sente lui lo avverto anche io. La criniera ispida mi sfiora le mani. Mi sento sorridere serena. Girandomi vedo Orlando accanto a me, perfettamente seduto in sella e composto. Legolas, colui che mi appare è decisamente Legolas. Mi sorride:
"Insisto col dire che mi hai preso in giro. Mai conosciuta una ragazza che mi tenesse testa a cavallo."
"Perchè le donne che frequenti tu generalmente sono più affezionate alla manicure che alla giusta percezione delle cose."
Scoppia a ridere aumentando l'andatura:
"E qual'è la giusta percezione delle cose?"
"Questa! La brezza, la libertà di sentirsi fatti di aria e raggi di sole... che altro c'è di meglio? Vale la pena di distruggersi le unghie!"
Il mio cavallo affretta la corsa fino a raggiungere un galoppo leggero. E' il momento che preferisco.
"Va bene, mi dichiaro superato, piccola guerriera!" mi richiama sorridendo, mettendosi subito dopo ad un'andatura che gli permetta di starmi accanto. Lo guardo e vengo letteralmente fulminata. Il mio amore che galoppa accanto a me, lungo i viali dei parchi inglesi. Sono in piena epoca vittoriana.
Giunti quasi alla fine della corsa rallentiamo passando al trotto, infine al passo. Accarezzo il collo del cavallo che sbuffa soddisfatto. Evidentemente anche lui è contento di aver fatto una corsa. Mi chino ad allungargli un pò le redini e poi mi volto verso Orlando. Vorrei potergli dire quanto gli sono grata di questo regalo.
"Non ho parole per ringraziarti. Davvero."
Sorride e china lo sguardo:
"Mi fa piacere vederti felice. Temevo non fosse la cosa giusta."
Scuoto il capo inorridita: non voglio che pensi una cosa simile.
"Non è affatto vero! Non è... ho reagito così, ma non per la cosa in sè." Resto in silenzio, poi sospiro profondamente. Posso anche raccontarglielo. So che non mi dirà che sono una stupida.
"Fino a quattro anni fa cavalcavo almeno tre volte a settimana. Ero piuttosto promettente, ma non perchè fossi particolarmente brava... è che riuscivo a legare talmente tanto con i cavalli che montavo, che mi riusciva facile eseguire gli esercizi. Col tempo affinai la tecnica e cominciai a fare i concorsi più leggeri di salto a ostacoli, di livello base. Però i miei istruttori volevano che mi esponessi di più, e così iniziai a partecipare a quelli più seri. Ma il giorno del mio più importante concorso ufficiale, mia nonna si sentì male, e la ricoverarono." Mi mordo le labbra. "La sera prima aveva detto che le sarebbe tanto piaciuto vedermi cavalcare. Così pensai che il modo migliore per farle un augurio di pronta guarigione fosse partecipare, invece di ritirarmi, così che potesse vedermi almeno in televisione dall'ospedale. Vinsi il primo premio. Però non c'era nessuno della mia famiglia, lì con me. Erano in ospedale con lei, che non era riuscita a vedermi. Era morta un'ora prima dell'inizio della gara."
Mi impongo di frenare quei pensieri cupi. Alzo la testa e lascio che il sole mi riscaldi il petto, dissolvendo quelle ombre nere dal mio cuore.
"Non so perchè smisi di cavalcare, effettivamente. Forse in qualche modo ho stupidamente pensato che se invece di essere là fossi stata in ospedale, l'avrei almeno salutata. E non riesco nemmeno a sentirmi in colpa, perchè mia nonna voleva davvero vedermi... mi ci spedì lei, praticamente. Però sta di fatto che da allora non ho più nemmeno sfiorato queste meravigliose creature", accarezzo la criniera del cavallo sbuffante. Mi volto nuovamente verso Orlando, che mi guarda serio, ed aggiungo sinceramente:
"Per questo non potrò mai dirti quanto sia importante essere qui, adesso, con te." Assume un'aria interrogativa, ed io proseguo:
"Tradendo i miei desideri in questo tempo ho tradito solo me stessa... e anche lei. Invece ora, grazie a questo splendido dono, sono perfettamente in pace con tutte e due."
Gli sorrido con decisione. Non potrei essere più onesta di così. Tendo la mia mano verso di lui, che staccando la sua dalle redini la stringe, una luce dolcissima negli occhi. La ricambio in pieno.
"Ti ho già detto che sei un angelo?", domando piano. Lui sorride:
"No, oggi ancora no."
Restiamo così, senza dividerci, finché non torniamo al punto di partenza.

Dopo il pranzo nel chiosco abbiamo vagato un poco per i giardini fino a trovare un bello spazio libero e illuminato, dove ci siamo sdraiati, la sua testa sul mio petto, ad ascoltare il mio cuore, le mie mani sulla sua schiena.
"Luna?"
"Dimmi."
"Se dovessi partire, che cosa faresti?"
Il battito accelerato non posso nasconderglielo, ma mantengo la calma.
"Ti aspetterei."
"Se non tornassi?"
Una fitta lancinante. Che domande sono? Gli accarezzo i capelli con la mano.
"Se tu non tornassi, verrei io da te. Se lo volessi anche tu."
Chiude gli occhi e respira profondamente. Mi faccio coraggio.
"Devi partire?"
"Non tanto presto."
"Per quel film?"
"Sì."
"Perchè non dovresti tornare?"
"Potrebbe volerci molto tempo. Potrei decidere di fermarmi là."
Il cuore mi pulsa così forte che fa male. Eppure sono assolutamente tranquilla. La quiete prima della tempesta.
"Non voglio chiederti di non andare", sussurro. Lui riapre gli occhi alzando la testa per guardarmi.
"E' ciò che ami, nessun amore può limitare un altro amore. Ma se mi chiedi che cosa proverei, e se vuoi una risposta sincera... sarebbe un lento morire."
"Luna..."
"Però potrei venirti a trovare, se tu me lo chiedessi, no?" mi affretto ad aggiungere. "Me lo chiederesti, se ti mancassi?"
Mi fissa con struggente malinconia.
"Certo che lo farei. Ti verrei a prendere io stesso."
Cerco di sorridere:
"Per volare ben due volte quando potresti evitarlo? Non sono così crudele da permettertelo."
Sorridiamo tutti e due, e restiamo immobili.
"Perchè me lo hai chiesto?"
"Perchè ho paura che questo ti sfinisca tanto da decidere di vivere la tua vita come è meglio per te, invece che per me."
Stringo le braccia attorno alla sua schiena in preda al panico.
"Che vita migliore potrei scegliere se fosse una vita senza di te?"
Mi guarda angosciato, ed io riprendo, con foga:
"Non sono così masochista, Orlando. Se dovessi scegliere di vivere lontana da te, non sarebbe una decisione presa di mia volontà. Se un domani mi accorgessi di essere io a limitarti, in qualsiasi cosa, o che la mia presenza ti nuoce e basta, allora sì, me ne andrei. Ma in caso contrario, vorrei con tutta l'anima e se me lo permetti restare con te, finché lo vorrai anche tu."
Mi posa due dita sulle labbra, raccogliendo la lacrima che mi è scivolata lungo la tempia con l'altra mano. Mi detesto per averla lasciata andare. Ma i suoi occhi sono infinitamente pieni di amore e calore quando mi guarda.
"Piccola, dolcissima, fragile Luna..."
"Io ti amo, non posso lasciarti, a meno che non sia tu a volerlo", sussurro a voce spezzata. Lui mi posa un bacio appassionato sulle labbra, con forza gentile, tenendomi il viso tra le mani, proteggendomi col suo amore.
"Non avere mai dubbi a riguardo. Ti prego", mormora baciandomi piano, delicatamente la fronte.
"Neppure tu." Sorrido appena. "Perciò abbandoniamoli, o saremo costretti a dare ragione a Dom e Linda, quando dicono che ci facciamo troppi problemi." Ride divertito anche lui, tornando ad ascoltare il mio cuore. Gli accarezzo piano le braccia, euforica. L'unica certezza che ho, è che nessuno dei due vuole perdere l'altro.

"Ti piace molto, non è vero?"
Riporto lo sguardo dal Tower Bridge illuminato al suo, e annuisco sorridendo, gioiosa.
"Sì. Lo trovo così maestoso... senza contare che ci sono passate sotto così tante persone, che sembra un punto di connessione col passato. Anche quello non particolarmente gradevole" aggiungo, accennando alla London Tower poco distante. Il complesso grigio di mura impiegate a prigioni si eleva verso il cielo, eterno, immutabile. Mette quasi i brividi, anche sotto il sole. Figuriamoci adesso, di sera. Ma sul traghetto dalle luci colorate nulla mi tange, specie se resto così, abbracciata a lui. Gita di sera lungo il Tamigi. Io e lui all'aperto, sul ponte, ad osservare Londra che risplende. Un sogno. Mi sento nuovamente gli occhi lucidi.
"Non penso che potrò mai ringraziarti. Hai reso una sola giornata qualcosa di impagabile. Uno dei ricordi più belli che potrò mai avere."
Lui mi stringe a sè, accarezzandomi i capelli.
"Sono lieto che tu la pensi così. Era quello che speravo, in realtà" aggiunge scherzando. Gli sorrido divertita.
"Sai che così mi metti in difficoltà? Sarà un problema organizzare qualcosa di altrettanto splendido per il tuo compleanno."
Scoppia a ridere tenendomi più vicina ancora.
"Non corri rischi, se sarò davvero a girare."
"Oh." Lama nelle costole. "E' vero. Ma ti assicuro che non la scampi per questo, vedrai che ti combino..."
Sorride divertito.
"Detto così sembra una minaccia."
"Certo: mi minaccio da sola, così evito di abbandonare l'inventiva."
Mi alza il mento con due dita, accarezzandomi dolcemente il viso.
"Basterebbe poter essere certo di trascorrerlo con te."
"Questo te lo posso promettere una volta per tutte. Dammene il permesso e lo farò."
Mi sorride baciandomi i capelli.
"Non voglio legarti."
"Arrivi tardi, mi sono già incatenata io."
Ridacchia, tirandomi piano una ciocca. Il consueto brivido mi vibra lungo la schiena.
"Lo fai apposta?"
"Naturalmente" sussurra malizioso, prima di baciarmi con estrema tenerezza. Sopra di noi il ponte, le stelle e l'Universo intero splendono radiosi, mentre le nostre immagini specchiate nell'acqua scura si infrangono tra le onde.




A mia nonna.
Io lo so, che c'eri con me, quel giorno.
A me stessa. Perchè vorrei tornare a cavallo, ma sono una gran codarda,
e vorrei avere qualcuno accanto che mi spinga a farlo.
L'Orlando di questo capitolo è un pò più il "mio" Orlando che il "nostro", spero non sia spiaciuto a nessuno.
P.S.: La scenetta adorabile della canoa è avvenuta davvero;
solo che io ero tra quelli che costituivano il piccolo pubblico sospirante.
E il ragazzo non era il Mitico, ma sono certa che alla fanciulla in barca non gliene importasse niente.
Che non lo avrebbe mai scambiato. Si vedeva dall'espressione.
Un caro abbraccio a tutte voi care. Siete le Fan Perfette, con tanto di lettere maiuscole.
Giulia
  
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