Giugno 1976
“… un omicidio che lascia nuovamente il Mondo Magico senza le parole adatte per esprimere il dolore che la scomparsa di un’intera famiglia provoca…”
La voce grave che scricchiolava dalla radio si dilatava ad infrangere il silenzio che ristagnava nell’ampia sala da pranzo, densa, rauca. A spezzarne la tetra cantilena erano il ticchettio metallico delle posate sulle raffinate ceramiche, i lievi tonfi dei bicchieri che venivano distrattamente riappoggiati sulla vasta tavola imbandita ed il crepitare del carapace dell’astice che quella sera d’estate addolciva l’aria con un profumo delicato. Crack una spessa chela si frantumò tra le mani le sue mani, scheggiandosi d’improvviso sotto un suo sussulto: quella notizia lo aveva attraversato come una folgore di rabbia e paura. Caldo e rubicondo il sangue affiorò viscoso e brillante. Una ferita pungente che gli sbrecciò un dito, la conseguenza di quella stretta violenta attorno al cuore. Un'altra giovane studentessa di Hogwarts assassinata, un'altra famiglia di babbani ingiustamente trucidata.
Dorea Black non infranse il suo silenzio, né quello del marito che aveva appena allontanato il piatto da se, turbato dall’idea di proseguire il suo pasto. Alzandosi lentamente sfilò alle spalle di James, sfiorandogli il capo in una fugace carezza prima di raggiungere la radio. Tack quando il notiziario venne spento il fischio assordante del silenzio colmò le loro orecchie: la voce del tormento che quella notizia gli aveva appena provocato. Il sospiro di Charlus Potter estraniò la malinconia che il suo volto, mortalmente serio, non lasciava mai trasparire.
Toc Toc indugiasti sulla porta con colpi decisi, pesanti, carichi di tensione. Fu James ad assumersi l’impegno di venire ad aprire, alzandosi svelto, la bacchetta nella tasca ad offrirgli una parvenza di sicurezza mentre con le labbra cercava di tamponare quella banale emorragia. Un movimento ampio, deciso e in pochi secondi schiuse l’uscio su uno scenario che lo pietrificò. Incredulo rimase sulla soglia, ignorando il richiamo di sua madre. I suoi occhi, la sua attenzione erano tutti per te, Sirius, per quel taglio che ti percorreva verticalmente le labbra, per quell’occhio socchiuso, gonfio, per quello zigomo tumefatto e sfregiato da un’estesa escoriazione. Ti fissò dritto negli occhi plumbei, insolitamente torbidi, annebbiati dalla paura. Silenziosamente appoggiò la mano sulla tua spalla, strinse il fresco cotone della camicia a tradire il suo dispiacere, la sua tensione, prima di accoglierti tra le sue braccia, a stringerti pervaso dalla gioia di rivedere te, suo fratello.
Ti lasciasti colmare da quel senso di calore e da quella sicurezza che provavi solo quando eri al suo fianco. Non corse una sola parola tra voi, non ce n’era bisogno. Conoscevate l’uno il cuore dell’altro, ogni tentativo di parlare sarebbe stato superfluo, terribilmente riduttivo.
Fu così che entraste, abbandonando i tuoi bagagli nell’ingresso e raggiungeste i Signori Potter nella sala da pranzo. L’impatto che gli offristi fu duro, sconvolgente. Di colpo Dorea si alzò in piedi, algida e virtuosa, mentre Charlus si sistemò gli occhiali, in attesa.
«Mamma, puoi dire a Wally di aggiungere un posto a tavola? Sirius è venuto per Restare»