E'.STATO.UN.PARTO.
Diamine che fatica.
Per non parlare di tutte le emozioni che ho cercato di farvi arrivare, con questo capitolo.
Mi sento svuotata, triste, stanca ed ho fame.
Scusate per il ritardo con cui sto postando, ma questo non è un capitolo...è il capitolo...o almeno spero.
Mi faccio perdonare se metto una sua foto? :')
Dopo questa foto oltre che farmi perdonare, mi sono giocata pure le lettrici loool.
Comunque, tornando alla storia, c'è tutto qua dentro, t u t t o.
Spero vi piaccia e, nulla, recensite se volete. (Y)
PS: capitolo dedicato ad una lettrice dolcissima e simpaticissima, Lizzie98,spero di rallegrati un pochino, tesoro.
Buona lettura pipol! <3.
#10
Don't be discouraged
Oh I realize
It's hard to take courage
In a world full of people
You can lose sight of it all
And the darkness inside you
Can make you feel so small
But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that's why I love you"
«Ma
quanti diavolo di camerini ci sono, in questo pub?» Sibilai
ansiosa.
«Sei
tu che dovresti saperlo. Sbaglio o questo è il posto dove ti
ha portato a cena?»
Mormorai
pesantemente, guardando con attenzione e rammarico le parenti del
“The wall”.
Citazioni di musicisti, immagini di band ovunque.
Mi
sentivo a casa, maledettamente a casa tra quelle pareti colorate e allo
stesso
tempo cupe, a causa delle sfumature un po’ stile Lana del Rey.
«A
cena, appunto. Non come visitatrice.»
«Proviamo
di qua.» Ma non feci in tempo ad aprire la porta che
immediatamente Stefan
portò una mano a coprire i miei occhi.
«Lo
so benissimo quello che stavano facendo quei due, fratellone. Non
c’era bisogno
di farmi chiudere gli occhi.»
«E
con chi saresti andata a letto insieme?» I suoi sembravano
decisamente più
grandi, in quel momento.
«Sembri
un pesce palla. Comunque con Edward.»
«Allora
va bene.» Si rilassò visibilmente,
finché non incontrammo un’altra
coppia, lungo il corridoio.
«Che
per caso è la “Festa
della liberazione
degli ormoni”? Per Dio.»
«Non
fare tanto lo scandalizzato, stallone. Per te e la tua ragazza
è sempre, la FLO.»
«FLO?»
«Festa
della liberazione degli ormoni, idiota.»
Trascinai
per una manica Stefan, dietro ad una colonna, sperando che
l’uomo che stava
arrivando non mi vedesse.
«Fai che non mi veda, fai che non mi veda,
fai che non mi veda…»
«Isabella!»
Mi aveva vista, decisamente.
«Sam!»,
gli sorrisi, mentre mi avvicinai all’orecchio di Stefan per
mormoragli concisa,
che era il capo del pub e che era amico di Edward.
«Allora
chiedigli dove si trova, così possiamo…»
«Sei
stupenda come sempre, anche in preda all’imbarazzo.»
«E
tu gentile come sempre, Sam» Ignorai volutamente
l’ironia.
«E
lui chi è, il tuo nuovo giocattolo? O no, il tuo giocattolo
si chiama Edward,
giusto?»
«Senti
Sam, non sono affari che ti riguardano ciò che è
successo tra me ed Edward, e
comunque lui è soltanto mio fratello.»
«Adesso
gli chiami così? Fratelli?» L’odio era
palese sia nel suo sguardo che nelle sue
parole.
I
suoi piccoli occhi emanavano un odio tale da ricordami brevemente
quelli di
Redforls; ma solo per un’ istante, dovevo pensare al ragazzo senza nome, in quel momento.
«Sam,
lascia stare Isabella, okay? Vai di là, che il barista ti
aspetta per i
consigli sugli alcolici da servire.»
Vidi
per la prima volta un ragazzo dai capelli neri, alto, con gli occhi
azzurri.
Aveva le labbra troppo sottili, e il fisico un po’ troppo
magro, ma aveva
comunque il suo fascino.
«Un
altro tuo amico?»
Sillabò Stefan,
infuriato dalla scenata appena ricevuta.
«Non
lo so, chi è. Non l’ho mai visto.»
Sam
ascoltò le parole del ragazzo, non prima di dirmi che Edward
era felicemente
fidanzato.
Ciò
mi distrusse molto più di tutta la sfuriata.
Come
potevo avere
l’arroganza di rientrare dopo tre anni nella sua vita,
pretendendo di dirgli al
verità che gli ho taciuto fino ad ora?
È
felice, allora
perché distruggergli questa felicità?
«Andiamo
via, Stefan.»
«Isabella
ma cosa…?»
«No,
non andartene ti prego! Sono Tom, il migliore amico del ragazzo
senza nome.»
Mi
voltai, incuriosita dal fatto che sapesse il modo con cui chiamavo lui.
Quanto
poco
sapevo, di Edward? Non sapevo nulla, né della sua famiglia,
né di lui, né dei
suoi migliori amici.
Dovrei
considerarlo un estraneo, eppure perché sento di conoscerlo
molto meglio di
quanto lo possano conoscere i suoi parenti, ad esempio?
Forse
perché sai
che uno come Richard non può essere un buon padre…
«Non
andartene un’altra volta, Isabella. Resta.
Mi faccio portare un paio di birre nel mio camerino, e
parliamo. Che ne
pensi?»
«Penso
che non posso essere così arrogante,
da tornare nella vita di Edward. E parlare con te, beh, rientra in
questo.»
«Entriamo
nel camerino, prima di fare altri incontri sgradevoli.» Disse
guardandosi alle
spalle, da dove provenivano voci di un gruppo di ragazzi.
Come
un automa lo seguii, assieme a Stefan.
«Siediti
dove vuoi.»
Mi
sedetti a terra, seguita da Stefan, nonostante il comodo divano color
carne
addossato alla parete.
A
sorpresa, anche Tom si sedette di fronte a noi.
«Birra
e sigaretta?»
«Birra
e sigaretta» acconsentimmo noi in stereo, provocando un
momento di ilarità
generale, che molto presto terminò.
Era
arrivato il momento delle parole.
Le
odiate parole,
così false ed illusorie.
«Perché
adesso e non prima?»
«Non
lo so, Tom, forse ho
capito che lui non
meritava e non merita, ciò che gli ho fatto senza uno
straccio di spiegazione.»
Un
tiro profondo, di fumo, mi calmò.
Ma
non il tremito delle mani con cui tenevo la sigaretta tra le mani e
ciò, non
sfuggi al ragazzo.
«Non
hai scusanti, sai?»
«Lo
so, Tom.»
«Quindi,
hai intenzione di dirgli tutto.»
«Ogni
cosa, se vorrà ascoltarmi. Anche se adesso sono sinceramente
in dubbio.»
«Ancora?
Isabella, ti parlo con il cuore in mano anche se non ci conosciamo,
anche se a
me sembra di sì visto che per tre anni non ho sentito
parlare di altro da
Edward, anche se è specialmente grazie al suo silenzio,
sempre denso di te, che
un po’ penso di sapere come sei.» Un lungo sorso di
birra, e poi mi guardò
nuovamente negli occhi.
«Se
decidi di voler rientrare nella sua vita così
prepotentemente, -anche se non te
ne sei mai andata, per lui; devi saper restare. Qui non si parla
più di un
tocca e fuggi. Qui si parla di restare, di dirgli ogni cosa e di
chiedergli
perdono per tutto e di restare, anche se lui forse ti dirà
di andartene. Non
puoi pensare di venire a parlargli e di andartene poi. Non puoi pensare
di non
parlargli, dopo che pochi metri di distanza vi dividono. Non lo senti,
che è
vicino a te, Isabella?»
«Non
se n’è mai andato, Tom.»
«Bella
risposta. Ma ora o la va, o la spacca. Vuoi parlarci?»
Sei
disposta ad
aprirti a tal punto con qualcuno, dicendogli tutto ciò che
hai provato?
Sei
disposta a
scombussolargli la vita nuovamente?
Ma,
cosa più
importante, sei disposta a restare?
Sei
disposta a non
mandare in frantumi il sogno al momento del risveglio?
«Sono
pronta, Tom.»
«Allora
io e Stefan ce ne andiamo, e ti porto qui Edward.»
Si
alzò, e mi stupii di come gli altri non riuscissero a
sentire il mio cuore
battere così furiosamente.
Solo
io sentivo il cuore uscirmi fuori dal petto?
Il
respiro iniziò a farsi più frequente, il cuore
così come lo stomaco si strinse
in una morsa gelida, e le orecchie iniziarono a fischiare.
Andai
in iperventilazione.
«Isabella.»
Alzai
lo sguardo pieno di lacrime, guardando negli occhi verdi di Stefan e in
seguito
in quelli azzurri di Tom.
Mi
aspettavo parole, consolazioni da loro mentre invece ricevei molto di meglio.
Mi
abbracciarono.
E
in quell’ abbraccio ci fu tutto ciò di cui avevo
bisogno.
«Grazie.»
Si
staccarono dopo poco, e dopo un tenero bacio sulla fronte da parte di
entrambi,
si alzarono.
«Tom?»
Quell’affermazione
bruciava ancora in me. Avevo bisogno di risposte, risposte sincere.
«Edward
è felice con lei?»
«Sei
tu la sua felicità e il suo dolore, Isabella.»
Poi
se ne andò, assieme al mio fratello.
Trascorsero
minuti, o forse ore, non avevo il benché minimo controllo su
ciò che stava
avvenendo in quel momento.
Non
riuscivo a pensare a nulla, se non a ciò che avrei dovuto
dire ad Edward.
Mi
avrebbe
ascoltato?
Mi
avrebbe accettato?
Ma,
cosa più
importante di tutte, mi avrebbe perdonato?
La
porta si aprì all’improvviso, e vidi il ragazzo
senza nome in piedi, ansimanti
mormorare il mio nome.
Adesso
avrei saputo se mi avrebbe perdonato.
Adesso,
era arrivato il momento di abbassare la maschera per sempre.
Ma
il ragazzo
senza nome, l’avrebbe mai ascoltata?
-Edward.
«Sei
qui», mormorò Isabella con gli occhi lucidi.
Era
bellissima, come la ricordavo.
Gli
occhi erano di un mare liquido, e tempestoso.
La
bocca leggermente schiusa, inspirava aria velocemente.
I
capelli, attorcigliati attorno ad un bastoncino dietro la nuca.
Era
bellissima e letale.
Avrei
voluto dirle che mi mancava, che l’amavo, che la odiavo, che
avrei voluto non
vederla mai più, eppure riuscii soltanto a ripetere il suo
nome, come una
nenia.
Fu
lei ad interrompere il momento, chiedendomi di sedermi e chiudere la
porta.
Eseguii
ciò che mi chiedeva, come un automa. Non avevo la forza, e
la volontà di
resisterle.
Ero
stanco.
Semplicemente
stanco di continuare ad alzare muri attorno al pensiero di lei e,
nonostante il
dolore persistente, mi sentii sollevato, felice di poterla vedere e
pensare a
lei liberamente.
Fu
come se tutte le barriere invisibili fossero crollate.
Respirai.
«Sono
qui, ed ho poco tempo, quindi muoviti per favore.»
Imbecille,
dovevi
trattarla con un minimo di rispetto. Certo, non puoi risponderle tutto
amorevole, che figura ci faresti? Però neanche
così male.
«Ora
mi metto anche a parlare tra me e me», bofonchiai.
«Volevo
dirti tutto, Edward. Tutta la verità, sul perché
me ne sono andata in quel
modo. C’è una spiegazione, te lo giuro. Vuoi
ascoltarmi?» mormorò lei, con gli
occhi che erano smeraldo fuso, e la bocca tremante.
«Sì,
sono disposto ad ascoltarti.»
Il
momento della verità era arrivato davvero.
-Bella.
Presi
un respiro profondo, sapendo che una volta tolta la diga al fiume di
parole che
tengo dentro da sempre, nulla mi avrebbe più fermato.
I
tremiti avevano già iniziato ad invadere il mio corpo, e
seppi per certo che a breve
avrei iniziato a piangere.
Stai
già
piangendo.
Hai
di fronte a te
l’uomo che ami, l’unica che amerai per sempre, ne
hai la certezza.
Ti
trovi di fronte
al ragazzo senza nome, e
ti senti ancor
più di nuda di quanto ti sia sentita quando avete
l’amore nel suo appartamento.
Ora,
Isabella, ti
stai davvero spogliando di tutto.
Non
di vestiti, ti
stai spogliando di te stessa.
Stai
togliendo i
vari strati formati dalle tue maschere.
«Sono
nata a Londra, perché mia madre ha sempre voluto che fossi
inglese, dato che è
qui che ha incontrato mio padre, Laurent Denali.»
Prima
maschera, gettata.
«Charlie
e Reneè sono i miei tutori legali, da quando avevo dieci
anni.»
«Non
lo sapevo.»
«Ci
sono tante cose che non sai, Edward, e avrei dovuto dirti.»
Sospirai, lasciando
cadere le lacrime liberamente.
Troppo
a lungo le avevo trattenute inutilmente, sapendo che se avessi pianto
avrei
abbassato tutte le mura che faticosamente avevo edificato.
«Comunque,
fino all’età di dieci anni ho avuto
un’infanzia limpida, tranquilla. Victoria,
mia madre, mi amava così come mio padre, e loro era il
ritratto della felicità.
Ricordo una sera, in cui Laurent aveva vinto una causa molto
importante, e ci
portò a cena fuori. Ci trovavamo aMontmartre, Place du
Tertre, quando mamma
iniziò a ballare, da sola. Sai Edward, era bellissima. Aveva
la vita negli
occhi, e papà la guardò con degli occhi
così innamorati che era impossibile non
sentirsi di troppo, in loro presenza. Ma mamma mi prese per un braccio,
ed
insistette per farmi ballare, mentre papà ci guardava
sorridendo e fumando. Fu
l’ultimo momento di gioia che mi ricordo, prima
di…di lui.»
Sapeva
Isabella
che da qui non si tornava più indietro.
Una
volta detto
ciò che era in procinto di dire, nulla sarebbe stato
più lo stesso.
Ma
voleva, voleva
buttare via assolutamente un’altra maschera, la
più ingombrante.
Edward
mi strinse la mano, e con movimenti circolari del pollice mi tramise
tranquillità.
«Papà
era riuscito a vincere la causa contro un candidato sindaco di Chicago,
John
Redforls, era..era…lui, sì insomma, era così
felice di aver vinto. E mamma…mamma era orgogliosa
di lui, tutti noi lo
eravamo e… e.. non facemmo caso alle minacce di morte che
puntualmente
riceveva. Lui era…era sicuro di esser protetto,
così come noi…noi credevamo lo
fosse ma…non…non…»
Le
sue braccia si strinsero al mio busto, mentre continuava a mormorare
tra un
bacio e l’altro sul mio viso “shsh,
sh”.
«Isabella,
se non riesci a continuare, non ti preoccupare…okay?
Apprezzo ciò che stai
facendo, ma ci sono verità che non riescono a emergere e, se
ciò che vorresti
dire rientra in questo contesto…non dire nulla,
piccola.»
Avrebbe
voluto
smettere.
Le
faceva troppo
male dire tutto ciò che aveva subito prima, durante e dopo.
Ma
voleva farlo.
Era
subentrata la testardaggine
e la voglia di esser sincera, la voglia di sfogarsi.
Avrebbe
detto
tutto.
«Non
credevamo che davvero qualcuno potesse arrivare ad ucciderlo,
finché un giorno
quando rientrammo nella nostra casa a Chicago, dopo un ricevimento,
trovammo la
casa a soqquadro. I miei genitori cercano di coprirmi gli occhi, ma era
troppo
tardi. Avevo letto e visto quello che c’era scritto sui
muri.»
«Cosa
c’era scritto?»
Le
sue braccia fecero una maggior pressione sul mio corpo.
«Vi ucciderò tutti, non avresti mai
dovuto
fare ciò che hai fatto, avvocato.
In
più c’erano varie foto di persone torturate e
uccise in modo piuttosto cruento.»
«Allora
papà si preoccupò veramente, e fummo costretti a
trasferirci. Andammo a New
York, convinti che in una metropoli del genere sarebbe stato
più difficile far
perdere le nostre tracce, inoltre Charlie, -Swan, amico di mio padre
assieme a
suo zio che era un investigatore privato, cercavano di scoprire chi lui
fosse.
La polizia ci teneva in stretta sorveglianza, ma non bastò.
»
Ed
eccoli, i conati di vomiti e i fremiti di paura e terrore che
assalirono il mio
corpo.
Sentivo
lo stomaco stretto in una potente morsa, la gola stringersi al ricordo
delle sue mani che mi soffocavano.
Edward
cercò di calmarmi ma non poteva; non ero più
lì in quel momento.
«Stavo
in camera mia a giocare con la mia bambola preferita, Molly,
quando udii un gran trambusto al piano di sotto. Decisi di
scendere, ma trovai mio padre davanti alla mia porta, dicendomi che per
nessun
motivo al mondo dovevo scendere...
»
« Dovrai vivere capito, vivere! Non
permettere a nessuno di renderti una morta vivente. Sei una Denali,
ricordatelo. E ama, ama incondizionatamente »
«Queste
furono le ultime parole che sentii dire a mio padre.»
Si
sentiva
svuotata, debole, stanca.
Avrebbe
soltanto
voluto stendersi affianco al ragazzo senza nome e dormire.
Avrebbe
soltanto
voluto vivere serenamente.
Ma
non era finita,
non ancora.
Intanto,
un’altra
maschera fu gettata via.
«Sono
qui piccola. Sono qui. Stai tranquilla, ti proteggo io,
amore.» Mormorò Edward,
baciandomi ripetutamente il capo, visibilmente scosso.
«E
chi proteggere te?» mormorai, per continuare il racconto.
Dovevo
finire, dovevo assolutamente finire.
«Rober
Redforls, questo è l’uomo che violentò
mia madre di fronte a mio padre per poi
ucciderli entrambi. Una volta compiuto ciò, venne a
cercarmi, e mi trovò.»
«ISABELLA! SE
NON ESCI TI GIURO CHE QUANDO TI TROVO TI RIDUCO PEGGIO DI QUELLA
PUTTANA DI TUA
MADRE!» urlò l’assassino dagli occhi
azzurri, per poi riabbassare il tono di
voce nell’istante seguente, «dai piccolina, per
favore, non amo giocare a
nascondino, perché ci metto molto tempo a trovare le persone
e, quando le
trovo, poi mi arrabbio per il tempo sprecato.»
Gironzolava per
la stanza e, improvvisamente, quando sembrava che stesse per andare
via, si
bloccò di fronte all’armadio.
Vide le sue
lunghe mani avvicinarsi, Molly ormai acefala e con gli arti mozzati; ed
i suoi
occhi che entusiasti e accessi di una luce folle guardavano i
suoi.
L’aveva
trovata.
Sarebbe morta;
come sua madre e suo padre.
Sarebbe morta.
«Finalmente ti
ho trovata, piccola.»
«Poi…poi cosa
è successo?»
Edward era decisamente
terrorizzato, ed impaurito.
«Cercò di
soffocarmi, ma Charlie arrivò in tempo assieme alla polizia
e
mi salvarono. Il periodo che segue tutto ciò è
confuso, delirante…ma c’è
un’altra
cosa che devi assolutamente sapere.»
«Cosa,
Isabella?» Mi accarezzò il volto con il dorso
della mano, mentre
con le labbra si avvicinava sempre di più alle mie.
«Riguarda tuo padre,
lui…»
«EDWARD!» Mi
voltai di scatto e vidi una ragazza, dai capelli biondi,
guardarmi stralunata.
Guardai il ragazzo senza
nome con le guance in fiamme, l’espressione
sofferente e al con tempo sbalordita.
Bastò soltanto
una parola, che Edward pronunciò ed Isabella ricadde nella
triste realtà.
La ragazza, di
fronte alla porta era lei, il suo nuovo incubo.
«Sam».