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Autore: Chuck    19/07/2013    2 recensioni
Quel giorno avevi la bocca secca di chi ha sorriso per tutta una vita per finta, e gli occhi di chi ha trattenuto troppe lacrime.
Ti abbracciai, di un abbraccio che entra sotto la pelle, come quelle schegge di legno che si infilano lì sotto e tu, nonostante sai dove si trovano, non riesci a toglierlo.
Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno sotto al cuore, amore.

Isabella Swan, figlia del magnate dell'economia Charlie Swan e della stilista di fama mondiale Renée Dwyer; indossa una maschera di perfezione per nascondere le sue ferite.
Edward Cullen, figlio di famiglia che non accetta, lavora in una libreria; si reputa senza speranza.
Entrambi, a un passo dall'autodistruzione si incontrarono.
Riusciranno a salvarsi? Riusciranno ad essere Edward e Bella?
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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E'.STATO.UN.PARTO.

Diamine che fatica.

Per non parlare di tutte le emozioni che ho cercato di farvi arrivare, con questo capitolo. 

Mi sento svuotata, triste, stanca ed ho fame.

Scusate per il ritardo con cui sto postando, ma questo non è un capitolo...è il capitolo...o almeno spero.

Mi faccio perdonare se metto una sua foto? :')

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Dopo questa foto oltre che farmi perdonare, mi sono giocata pure le lettrici loool.

Comunque, tornando alla storia,  c'è tutto qua dentro, t u t t o.

Spero vi piaccia e, nulla, recensite se volete. (Y)

PS: capitolo dedicato ad una lettrice dolcissima e simpaticissima, Lizzie98,spero di rallegrati un pochino, tesoro.

Buona lettura pipol! <3.

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#10

Your true colors.

"You with the sad eyes
Don't be discouraged
Oh I realize
It's hard to take courage
In a world full of people
You can lose sight of it all
And the darkness inside you
Can make you feel so small
But I see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that's why I love you"

-Cyndi Lauper - True Colors



«Ma quanti diavolo di camerini ci sono, in questo pub?» Sibilai ansiosa.

«Sei tu che dovresti saperlo. Sbaglio o questo è il posto dove ti ha portato a cena?»

Mormorai pesantemente, guardando con attenzione e rammarico le parenti del “The wall”. Citazioni di musicisti, immagini di band ovunque.

Mi sentivo a casa, maledettamente a casa tra quelle pareti colorate e allo stesso tempo cupe, a causa delle sfumature un po’ stile Lana del Rey.

«A cena, appunto. Non come visitatrice.»

«Proviamo di qua.» Ma non feci in tempo ad aprire la porta che immediatamente Stefan portò una mano a coprire i miei occhi.

«Lo so benissimo quello che stavano facendo quei due, fratellone. Non c’era bisogno di farmi chiudere gli occhi.»

«E con chi saresti andata a letto insieme?» I suoi sembravano decisamente più grandi, in quel momento.

«Sembri un pesce palla. Comunque con Edward.»

«Allora va bene.» Si rilassò visibilmente, finché non incontrammo un’altra coppia, lungo il corridoio.

«Che per caso è la “Festa della liberazione degli ormoni”? Per Dio.»

«Non fare tanto lo scandalizzato, stallone. Per te e la tua ragazza è sempre, la FLO.»

«FLO?»

«Festa della liberazione degli ormoni, idiota.»

Trascinai per una manica Stefan, dietro ad una colonna, sperando che l’uomo che stava arrivando non mi vedesse.

«Fai che non mi veda, fai che non mi veda, fai che non mi veda…»

«Isabella!» Mi aveva vista, decisamente.

«Sam!», gli sorrisi, mentre mi avvicinai all’orecchio di Stefan per mormoragli concisa, che era il capo del pub e che era amico di Edward.

«Allora chiedigli dove si trova, così possiamo…»

«Sei stupenda come sempre, anche in preda all’imbarazzo.»

«E tu gentile come sempre, Sam» Ignorai volutamente l’ironia.

«E lui chi è, il tuo nuovo giocattolo? O no, il tuo giocattolo si chiama Edward, giusto?»

«Senti Sam, non sono affari che ti riguardano ciò che è successo tra me ed Edward, e comunque lui è soltanto mio fratello.»

«Adesso gli chiami così? Fratelli?» L’odio era palese sia nel suo sguardo che nelle sue parole.

I suoi piccoli occhi emanavano un odio tale da ricordami brevemente quelli di Redforls; ma solo per un’ istante, dovevo pensare al ragazzo senza nome, in quel momento.

«Sam, lascia stare Isabella, okay? Vai di là, che il barista ti aspetta per i consigli sugli alcolici da servire.»

Vidi per la prima volta un ragazzo dai capelli neri, alto, con gli occhi azzurri. Aveva le labbra troppo sottili, e il fisico un po’ troppo magro, ma aveva comunque il suo fascino.

«Un altro tuo amico?» Sillabò Stefan, infuriato dalla scenata appena ricevuta.

«Non lo so, chi è. Non l’ho mai visto.»

Sam ascoltò le parole del ragazzo, non prima di dirmi che Edward era  felicemente fidanzato.

Ciò mi distrusse molto più di tutta la sfuriata.

Come potevo avere l’arroganza di rientrare dopo tre anni nella sua vita, pretendendo di dirgli al verità che gli ho taciuto fino ad ora?

È felice, allora perché distruggergli questa felicità?

«Andiamo via, Stefan.»

«Isabella ma cosa…?»

«No, non andartene ti prego! Sono Tom, il migliore amico del ragazzo senza nome.»

Mi voltai, incuriosita dal fatto che sapesse il modo con cui chiamavo lui.

Quanto poco sapevo, di Edward? Non sapevo nulla, né della sua famiglia, né di lui, né dei suoi migliori amici.

Dovrei considerarlo un estraneo, eppure perché sento di conoscerlo molto meglio di quanto lo possano conoscere i suoi parenti, ad esempio?

Forse perché sai che uno come Richard non può essere un buon padre…

«Non andartene un’altra volta, Isabella. Resta.  Mi faccio portare un paio di birre nel mio camerino, e parliamo. Che ne pensi?»

«Penso che non posso essere così arrogante, da tornare nella vita di Edward. E parlare con te, beh, rientra in questo.»

«Entriamo nel camerino, prima di fare altri incontri sgradevoli.» Disse guardandosi alle spalle, da dove provenivano voci di un gruppo di ragazzi.

Come un automa lo seguii, assieme a Stefan.

«Siediti dove vuoi.»

Mi sedetti a terra, seguita da Stefan, nonostante il comodo divano color carne addossato alla parete.

A sorpresa, anche Tom si sedette di fronte a noi.

«Birra e sigaretta?»

«Birra e sigaretta» acconsentimmo noi in stereo, provocando un momento di ilarità generale, che molto presto terminò.

Era arrivato il momento delle parole.

Le odiate parole, così false ed illusorie.

«Perché adesso e non prima?»

«Non lo so, Tom, forse  ho capito che lui non meritava e non merita, ciò che gli ho fatto senza uno straccio di spiegazione.»

Un tiro profondo, di fumo, mi calmò.

Ma non il tremito delle mani con cui tenevo la sigaretta tra le mani e ciò, non sfuggi al ragazzo.

«Non hai scusanti, sai?»

«Lo so, Tom.»

«Quindi, hai intenzione di dirgli tutto.»

«Ogni cosa, se vorrà ascoltarmi. Anche se adesso sono sinceramente in dubbio.»

«Ancora? Isabella, ti parlo con il cuore in mano anche se non ci conosciamo, anche se a me sembra di sì visto che per tre anni non ho sentito parlare di altro da Edward, anche se è specialmente grazie al suo silenzio, sempre denso di te, che un po’ penso di sapere come sei.» Un lungo sorso di birra, e poi mi guardò nuovamente negli occhi.

«Se decidi di voler rientrare nella sua vita così prepotentemente, -anche se non te ne sei mai andata, per lui; devi saper restare. Qui non si parla più di un tocca e fuggi. Qui si parla di restare, di dirgli ogni cosa e di chiedergli perdono per tutto e di restare, anche se lui forse ti dirà di andartene. Non puoi pensare di venire a parlargli e di andartene poi. Non puoi pensare di non parlargli, dopo che pochi metri di distanza vi dividono. Non lo senti, che è vicino a te, Isabella?»

«Non se n’è mai andato, Tom.»

«Bella risposta. Ma ora o la va, o la spacca. Vuoi parlarci?»

Sei disposta ad aprirti a tal punto con qualcuno, dicendogli tutto ciò che hai provato?

Sei disposta a scombussolargli la vita nuovamente?

Ma, cosa più importante, sei disposta a restare?

Sei disposta a non mandare in frantumi il sogno al momento del risveglio?

«Sono pronta, Tom.»

«Allora io e Stefan ce ne andiamo, e ti porto qui Edward.»

Si alzò, e mi stupii di come gli altri non riuscissero a sentire il mio cuore battere così furiosamente.

Solo io sentivo il cuore uscirmi fuori dal petto?

Il respiro iniziò a farsi più frequente, il cuore così come lo stomaco si strinse in una morsa gelida, e le orecchie iniziarono a fischiare.

Andai in iperventilazione.

«Isabella.»

Alzai lo sguardo pieno di lacrime, guardando negli occhi verdi di Stefan e in seguito in quelli azzurri di Tom.

Mi aspettavo parole, consolazioni da loro mentre invece ricevei molto di  meglio.

Mi abbracciarono.

E in quell’ abbraccio ci fu tutto ciò di cui avevo bisogno.

«Grazie.»

Si staccarono dopo poco, e dopo un tenero bacio sulla fronte da parte di entrambi, si alzarono.

«Tom?»

Quell’affermazione bruciava ancora in me. Avevo bisogno di risposte, risposte sincere.

«Edward è felice con lei?»

«Sei tu la sua felicità e il suo dolore, Isabella.»

Poi se ne andò, assieme al mio fratello.

Trascorsero minuti, o forse ore, non avevo il benché minimo controllo su ciò che stava avvenendo in quel momento.

Non riuscivo a pensare a nulla, se non a ciò che avrei dovuto dire ad Edward.

Mi avrebbe ascoltato?

Mi avrebbe accettato?

Ma, cosa più importante di tutte, mi avrebbe perdonato?

La porta si aprì all’improvviso, e vidi il ragazzo senza nome in piedi, ansimanti mormorare il mio nome.

Adesso avrei saputo se mi avrebbe perdonato.

Adesso, era arrivato il momento di abbassare la maschera per sempre.

 

Ma il ragazzo senza nome, l’avrebbe mai ascoltata?

 

 

-Edward.

«Sei qui», mormorò Isabella con gli occhi lucidi.

Era bellissima, come la ricordavo.

Gli occhi erano di un mare liquido, e tempestoso.

La bocca leggermente schiusa, inspirava aria velocemente.

I capelli, attorcigliati attorno ad un bastoncino dietro la nuca.

Era bellissima e letale.

Avrei voluto dirle che mi mancava, che l’amavo, che la odiavo, che avrei voluto non vederla mai più, eppure riuscii soltanto a ripetere il suo nome, come una nenia.

Fu lei ad interrompere il momento, chiedendomi di sedermi e chiudere la porta.

Eseguii ciò che mi chiedeva, come un automa. Non avevo la forza, e la volontà di resisterle.

Ero stanco.

Semplicemente stanco di continuare ad alzare muri attorno al pensiero di lei e, nonostante il dolore persistente, mi sentii sollevato, felice di poterla vedere e pensare a lei liberamente.

Fu come se tutte le barriere invisibili fossero crollate.

Respirai.

«Sono qui, ed ho poco tempo, quindi muoviti per favore.»

Imbecille, dovevi trattarla con un minimo di rispetto. Certo, non puoi risponderle tutto amorevole, che figura ci faresti? Però neanche così male.

«Ora mi metto anche a parlare tra me e me», bofonchiai.

«Volevo dirti tutto, Edward. Tutta la verità, sul perché me ne sono andata in quel modo. C’è una spiegazione, te lo giuro. Vuoi ascoltarmi?» mormorò lei, con gli occhi che erano smeraldo fuso, e la bocca tremante.

«Sì, sono disposto ad ascoltarti.»

Il momento della verità era arrivato davvero.

-Bella.

Presi un respiro profondo, sapendo che una volta tolta la diga al fiume di parole che tengo dentro da sempre, nulla mi avrebbe più fermato.

I tremiti avevano già iniziato ad invadere il mio corpo, e seppi per certo che a breve avrei iniziato a piangere.

Stai già piangendo.

Hai di fronte a te l’uomo che ami, l’unica che amerai per sempre, ne hai la certezza.

Ti trovi di fronte al ragazzo senza nome,  e ti senti ancor più di nuda di quanto ti sia sentita quando avete l’amore nel suo appartamento.

Ora, Isabella, ti stai davvero spogliando di tutto.

Non di vestiti, ti stai spogliando di te stessa.

Stai togliendo i vari strati formati dalle tue maschere.

«Sono nata a Londra, perché mia madre ha sempre voluto che fossi inglese, dato che è qui che ha incontrato mio padre, Laurent Denali.»

Prima maschera, gettata.

«Charlie e Reneè sono i miei tutori legali, da quando avevo dieci anni.»

«Non lo sapevo.»

«Ci sono tante cose che non sai, Edward, e avrei dovuto dirti.» Sospirai, lasciando cadere le lacrime liberamente.

Troppo a lungo le avevo trattenute inutilmente, sapendo che se avessi pianto avrei abbassato tutte le mura che faticosamente avevo edificato.

«Comunque, fino all’età di dieci anni ho avuto un’infanzia limpida, tranquilla. Victoria, mia madre, mi amava così come mio padre, e loro era il ritratto della felicità. Ricordo una sera, in cui Laurent aveva vinto una causa molto importante, e ci portò a cena fuori. Ci trovavamo aMontmartre, Place du Tertre, quando mamma iniziò a ballare, da sola. Sai Edward, era bellissima. Aveva la vita negli occhi, e papà la guardò con degli occhi così innamorati che era impossibile non sentirsi di troppo, in loro presenza. Ma mamma mi prese per un braccio, ed insistette per farmi ballare, mentre papà ci guardava sorridendo e fumando. Fu l’ultimo momento di gioia che mi ricordo, prima di…di lui.»

Sapeva Isabella che da qui non si tornava più indietro.

Una volta detto ciò che era in procinto di dire, nulla sarebbe stato più lo stesso.

Ma voleva, voleva buttare via assolutamente un’altra maschera, la più ingombrante.

Edward mi strinse la mano, e con movimenti circolari del pollice mi tramise tranquillità.

«Papà era riuscito a vincere la causa contro un candidato sindaco di Chicago, John Redforls, era..era…lui, sì insomma, era così felice di aver vinto. E mamma…mamma era orgogliosa di lui, tutti noi lo eravamo e… e.. non facemmo caso alle minacce di morte che puntualmente riceveva. Lui era…era sicuro di esser protetto, così come noi…noi credevamo lo fosse ma…non…non…»

Le sue braccia si strinsero al mio busto, mentre continuava a mormorare tra un bacio e l’altro sul mio viso “shsh, sh”.

«Isabella, se non riesci a continuare, non ti preoccupare…okay? Apprezzo ciò che stai facendo, ma ci sono verità che non riescono a emergere e, se ciò che vorresti dire rientra in questo contesto…non dire nulla, piccola.»

Avrebbe voluto smettere.

Le faceva troppo male dire tutto ciò che aveva subito prima, durante e dopo.

Ma voleva farlo.

Era subentrata la testardaggine e la voglia di esser sincera, la voglia di sfogarsi.

Avrebbe detto tutto.

«Non credevamo che davvero qualcuno potesse arrivare ad ucciderlo, finché un giorno quando rientrammo nella nostra casa a Chicago, dopo un ricevimento, trovammo la casa a soqquadro. I miei genitori cercano di coprirmi gli occhi, ma era troppo tardi. Avevo letto e visto quello che c’era scritto sui muri.»

«Cosa c’era scritto?»

Le sue braccia fecero una maggior pressione sul mio corpo.

«Vi ucciderò tutti, non avresti mai dovuto fare ciò che hai fatto, avvocato.  In più c’erano varie foto di persone torturate e uccise in modo piuttosto cruento.»

«Allora papà si preoccupò veramente, e fummo costretti a trasferirci. Andammo a New York, convinti che in una metropoli del genere sarebbe stato più difficile far perdere le nostre tracce, inoltre Charlie, -Swan, amico di mio padre assieme a suo zio che era un investigatore privato, cercavano di scoprire chi lui fosse. La polizia ci teneva in stretta sorveglianza, ma non bastò. »

Ed eccoli, i conati di vomiti e i fremiti di paura e terrore che assalirono il mio corpo.

Sentivo lo stomaco stretto in una potente morsa, la gola stringersi al ricordo delle sue mani che mi soffocavano.

Edward cercò di calmarmi ma non poteva; non ero più lì in quel momento.

«Stavo in camera mia a giocare con la mia bambola preferita, Molly, quando udii un gran trambusto al piano di sotto. Decisi di scendere, ma trovai mio padre davanti alla mia porta, dicendomi che per nessun motivo al mondo dovevo scendere... »

« Dovrai vivere capito, vivere! Non permettere a nessuno di renderti una morta vivente. Sei una Denali, ricordatelo. E ama, ama incondizionatamente »

«Queste furono le ultime parole che sentii dire a mio padre.»

Si sentiva svuotata, debole, stanca.

Avrebbe soltanto voluto stendersi affianco al ragazzo senza nome e dormire.

Avrebbe soltanto voluto vivere serenamente.

Ma non era finita, non ancora.

Intanto, un’altra maschera fu gettata via.

«Sono qui piccola. Sono qui. Stai tranquilla, ti proteggo io, amore.» Mormorò Edward, baciandomi ripetutamente il capo, visibilmente scosso.

«E chi proteggere te?» mormorai, per continuare il racconto.

Dovevo finire, dovevo assolutamente finire.

«Rober Redforls, questo è l’uomo che violentò mia madre di fronte a mio padre per poi ucciderli entrambi. Una volta compiuto ciò, venne a cercarmi, e mi trovò.»

«ISABELLA! SE NON ESCI TI GIURO CHE QUANDO TI TROVO TI RIDUCO PEGGIO DI QUELLA PUTTANA DI TUA MADRE!» urlò l’assassino dagli occhi azzurri, per poi riabbassare il tono di voce nell’istante seguente, «dai piccolina, per favore, non amo giocare a nascondino, perché ci metto molto tempo a trovare le persone e, quando le trovo, poi mi arrabbio per il tempo sprecato.»

Gironzolava per la stanza e, improvvisamente, quando sembrava che stesse per andare via, si bloccò di fronte all’armadio.

Vide le sue lunghe mani avvicinarsi, Molly ormai acefala e con gli arti mozzati; ed i suoi occhi che entusiasti  e accessi di una luce folle guardavano i suoi.

L’aveva trovata.

Sarebbe morta; come sua madre e suo padre.

Sarebbe morta.

«Finalmente ti ho trovata, piccola.»

«Poi…poi cosa è successo?»

Edward era decisamente terrorizzato, ed impaurito.

«Cercò di soffocarmi, ma Charlie arrivò in tempo assieme alla polizia e mi salvarono. Il periodo che segue tutto ciò è confuso, delirante…ma c’è un’altra cosa che devi assolutamente sapere.»

«Cosa, Isabella?» Mi accarezzò il volto con il dorso della mano, mentre con le labbra si avvicinava sempre di più alle mie.

«Riguarda tuo padre, lui…»

«EDWARD!» Mi voltai di scatto e vidi una ragazza, dai capelli biondi, guardarmi stralunata.

Guardai il ragazzo senza nome con le guance in fiamme, l’espressione sofferente e al con tempo sbalordita.

Bastò soltanto una parola, che Edward pronunciò ed Isabella ricadde nella triste realtà.

La ragazza, di fronte alla porta era lei, il suo nuovo incubo.

«Sam».

 

   
 
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