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Autore: yeahitsmarts    20/07/2013    3 recensioni
"Anche il giorno più lungo finisce."
Alaska Lynch ha una vita noiosa e sempre uguale di cui però non si lamenta mai. Passa il suo tempo con il naso fra i libri di storia, letteratura e arte e i pomeriggi a ridere insieme a Cassie e Matt. La notte esce di nascosto di casa e se ne va a passeggiare al cimitero scrivendo e recitando poesie.
Cosa potrebbe andare storto in una monotonia simile? Qualche morto, un incidente stradale, un suicidio? Assolutamente no. Ciò che rompe l'equilibro della ragazza è una vacanze estiva a casa della nonna a Kilkenny. L'Irlanda, paese magico e sconosciuto, sembra lontanissimo dalla piovosa Londra. Della nonna Alaska ha ben pochi ricordi: qualche pietra incisa, una scrivania piena di scartoffie e un grande giardino colorato, niente di più.
E se tutto ciò che le hanno raccontato fosse soltanto un modo per proteggerla?
Il viaggio porterà Alaska alla scoperta di una se stessa dimenticata nel tempo.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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05 # Speranze.


Al risveglio non c'è più traccia né della casa, né della giovane coppia. Si guardano attorno attoniti: sono a Brú na Bóinne e a terra ci sono il bambino e due piccoli puledri. La ragazza, l'unica del gruppo, si china e decide di tenerlo con sé. «Non penserai davvero che quel bambino ce la farà a resistere con questo tempo!» gli domanda uno. Lei si volta e stringe il neonato al seno «Ce la farà, non lascerò che muoia così!» gli uomini scoppiano in una rumorosa risata e cominciano il viaggio verso casa.
 
«Credi che ce l'abbia ancora con lei per quella storia del matrimonio?» Eileen lanciava occhiate disperate ad Alaska che non sembrava dare segni di vita.
«Penso di sì, non gliel'ha mai perdonato» Chris scosse il capo e ricordò aspramente quella scena. Il fatidico sì, il bambino in grembo e l'amico che fugge via.
«Alla fine non è stata colpa sua, voglio dire, avrebbe potuto anche farsi avanti lui! E invece no, l'ha lasciata sola con un bambino da crescere e un marito violento. Credo che se ne sia pentito amaramente» le veniva quasi da piangere. «Pensi che adesso, qui, in questa vita, potranno...?» chiese speranzosa mentre si asciugava velocemente gli occhi struccati.
«Non lo so, spero di sì» rispose il ragazzo sospirando.
Alaska fece un enorme sbadiglio e si stiracchiò. Era immersa in prati verdi e circondata da uomini. Quando però aprì lentamente le palpebre, si ritrovò in una piccola stanza scura che non aveva mai visto. Si tirò su a sedere e prese un sorso d'acqua dalla bottiglia sul comodino. Quando si leccò le labbra fu quasi impossibile non domandare: «Dov'è Lùg?» Gli altri due la fissarono sbalorditi. Sul volto di Eileen comparve un sorriso sbarazzino. «Come, scusa?» domandò Chris sorpreso.
Alaska scosse la testa imbarazzata «Volevo dire, dove sono le mie sigarette?» poi, guardandosi meglio intorno, proseguì «E perchè sono qui? Che posto è questo? Da quanto mi stavate fissando? Che fine ha fatto quel ragazzo? Perchè non sono potuta andare a casa di Kieran?» ma prima che potesse aggiungere altro, la ragazza la interruppe ridendo «Ehy, piano, una cosa per volta! Da dove vuoi che cominci?» le passò il suo pacchetto di sigarette e attese la risposta. Alaska se ne accese una senza chiedere il permesso e si avvicinò alla finestra «Prima di tutto chi era quel tipo e che voleva»
Eileen e Chris si scambiarono veloci occhiate. A parlare fu il ragazzo «Quel ragazzo si chiama Allan e per un po' stagli alla larga» senza neanche chiedere il perchè, Alaska proseguì con il suo interrogatorio «D'accordo... Kieran? Perchè sono qui?»
«Sei svenuta in mezzo alla strada e ci siamo preoccupati per te» la ragazza, bassina e con i capelli arancioni, parlava con tono affabile e dolce, quasi come faceva Cassie quando Alaska piangeva. Cassie. Chissà che fine aveva fatto. Scacciò immediatamente quel pensiero, fece un altro tiro, e se ne stette buona e in silenzio ad ascoltare. «Ti abbiamo trascinata qui a casa di Chris, di certo non potevi tornare a casa in quelle condizioni. E lascia stare anche Kieran... I motivi non posso spiegarteli, non ora, mi dispiace» ecco, i soliti dubbi. Alaska si sentiva ribollire di rabbia. Li guardò in cagnesco, gettò il mozzicone di sotto e fece per andarsene «Le solite cazzate. Bene, me ne vado a casa».
Sperando che quei due non la seguissero con lo sguardo dalla finestra, sgusciò fuori e corse in direzione della piazza principale. Diede una rapida occhiata all'orologio, erano le cinque passate, e riprese la corsa.
Nessuna voce alle spalle, ottimo. E sua zia era a casa che l'aspettava. Ancora meglio, sarebbe rientrata poco dopo la nonna così quella pazza, almeno per quella sera, non l'avrebbe uccisa.
Suonò il campanello sperando che qualcuno rispondesse.
Dopo neanche tre minuti una voce impastata di sonno parlò «Sì? Chi è?»
«Sono... Sono Alaska, puoi aprirmi?» il portone scattò e lei lo spinse in avanti.
Sulla porta di casa c'era Kieran che l'aspettava in calzoncini. E basta. In quel momento neanche il fondotinta più scuro avrebbe potuto coprire le due enormi chiazze rosse che le si erano formate sulle guance. Tentando di nascondere l'imbarazzo e con lo sguardo fisso sul pavimento, provò a inventare una buona scusa per giustificare la scena di qualche ora prima. «Mi dispiace, davvero tanto. Io quelli li conosco da poco e si comportano come se fossi la loro figlia» rise per un breve istante «Credo che siano matti, non so...» «Non preoccuparti» alzò gli occhi e il ragazzo le sorrise «Mi sono appena svegliato. Vuoi un caffè?» Caffè? Se c'era una sola bevanda che facesse vomitare Alaska, quella era proprio il caffè. Ma non poteva di certo rifiutare, specie dopo la curiosità che le avevano messo Chris ed Eileen dicendo che doveva stargli lontano. «Ci sto!» lui le fece strada fino alla cucina.
Alaska si accomodò su una sedia di legno aspettando che il caffè uscisse dalla macchinetta. Picchiettò con il dito sul tavolo e timidamente riprese a parlare «La gente, in questo posto è...» «Matta da legare?» domandò lui voltandosi appena con la zuccheriera in mano. Alaska gli sorrise debolmente «Già. Però non prendertela, insomma. Cioè, avete dei comportamenti davvero bizzarri e io faccio fatica a capirli» Ma Kieran, piuttosto che offeso, sembrava soltanto divertito. Nella tazzina di Alaska buttò quattro cucchiaini di zucchero e gliela porse dopo aver mescolato per bene «Fa attenzione, è bollente!» le si sedette davanti e in silenzio prese a bere il suo caffè «Comunque... Ti trovi bene?» la ragazza si strinse nelle spalle e fissò gli occhi del ragazzo «Sempre meglio del posto schifoso in cui mi trovavo prima» con un solo sorso buttò giù il caffè e si sforzò di non fare un'espressione di disgusto. «Ma cos'ha di tanto strano quel ragazzo... Quel... Allan?» Kieran sbottò in una sonora risata battendo le mani sulla tovaglia con i girasoli «E' completamente fuori di testa, per carità, meglio la mia compagnia, non trovi?» Le fu praticamente impossibile non gettargli un'occhiata al petto nudo, il fisico magro ma perfetto, i capelli ben pettinati e il sorriso magnetico. Diventò immediatamente rossa e abbassò lo sguardo «Immagino di sì» e poi si ricordò della furia omicida che aveva scatenato in sua zia e di come probabilmente l'avrebbe torturata e picchiata una volta tornata a casa. Deglutì a fatica e si accese una sigaretta senza neanche chiedere il permesso. La testa riprese a farle male, le figure attorno si sfocarono, gli occhi si chiudevano da soli. E poi cadde sul tavolo, svenuta, con la voce di Kieran che le domandava se stesse bene mentre continuava a ridere.
Al suo risveglio era nel letto caldo della mansarda. Seduta sulla scrivania c'era sua zia, sguardo truce in volto e braccia incrociate al petto e di nonna May neanche l'ombra. Sheridan sbuffò e le tirò un vocabolario addosso «Questo» sbottò «E' soltanto l'assaggio per le botte che ti devo». Ad Alaska venne proprio da ridere. Con fatica si tirò su, le si parò davanti e le scandì lentamente «Tu? Picchiare me?» Di nuovo un leggero risolino «Vogliamo scherzare? Non si sono mai azzardati i miei a toccarmi, figurati se lo permetterò a te» se non avesse avuto tutto quell'auto controllo probabilmente si sarebbe scagliata contro sua zia, ma preferì fare un lungo respiro e aspettare una sua risposta. Quella si alzò, si catapultò verso la porta e, prima di chiudersela alle spalle, le gridò soltanto: «Sappi che tua nonna è rimasta molto delusa dal tuo comportamento al punto che non vuole scendere neanche per cena».
Alaska si abbandonò sul pavimento e si mise a piangere in completo silenzio. Era un disastro, era soltanto capace di portare cose cattive nelle vite degli altri, era inutile e anche abbastanza stupida. Cosa le aveva fatto credere che almeno qui, a Kilkenny, sarebbe riuscita ad essere gentile ed educata? Cosa l'aveva spinta a pensare che avrebbe potuto farsi dei nuovi amici? Fallita, ecco cos'era, solo una povera fallita.
Scese di corsa le scale e si fiondò a casa di Chris, contò quarantadue secondi prima che il ragazzo venisse ad aprirle. Alaska fissava le punte sporche delle sue Vans grigio scuro con i lacci rossi mentre sentiva gli occhi del tipo ben puntati addosso. «Mi dispiace per essere scappata» disse solo con un leggero imbarazzo «E per averti trascinato in qualche casino... O per essere così... Sgarbata, scorbutica» «Acida» aggiunse lui sorridendole appena quando quella alzò il viso «Non ti preoccupare, ognuno di noi ha i suoi difetti» si strinse nelle spalle «Io per esempio ho questo brutto vizio di aiutare tutti e di ostinarmi a cercare del buono nelle persone, e credimi, spesso non mi porta grandi vantaggi» Alaska si sentì chiamata in causa e borbottò a bassa voce qualche altra scusa, seguita da un sincero abbraccio e qualche lacrima. Chris provò addirittura ad invitarla per cena ma la ragazza rifiutò gentilmente e gli disse che lo avrebbe aspettato fuori per fare quattro passi.
Venti minuti più tardi stavano già passeggiando per le vie della città che stava per addormentarsi. «Hai... Hai sempre con te... L'erba?» domandò sospettoso a bassa voce guardandosi bene attorno «Oh no!» rispose in fretta lei per rassicurarlo, ma prima che potesse stare tranquillo, lei proseguì la frase «Sta volta fumo! C'è una grande differenza, sai?» si ricordò di ogni volta che era entrata in classe leggermente fatta, di come si addormentava con la testa sul banco o gli occhiali da sole sugli occhi per nasconderne il simpatico colorito rosso «Sì, lo immagino, ma non mi interessa saperla» Alaska si sentì offesa ma preferì far finta di nulla e si accese una sigaretta «L'importante è che tu sia consapevole del fatto che molto probabilmente dovrai accompagnarmi a casa in braccio» ridacchio e gettò fuori il fumo «Ma comunque ho qualche domanda per te» guardandola meglio, Chris si accorse che non era poi tanto feroce come voleva dimostrare al mondo. Si disse che in fin dei conti era una ragazza ferita nel profondo e che forse, quello, era il suo modo per difendersi dai mali esterni. «Spara pure!»
«Spara pure? Dio, ma sei per caso rimasto nel secolo precedente?» Come non detto, pensò esasperato. «Perchè Allan mi odia tanto?» soffocare un risolino gli fu praticamente impossibile. «Allan non ti odia!» sbottò.
«Ah no? Beh nel caso in cui mi amasse, e ne dubito, è uno strano modo di dimostrarmelo, sai?» Oh, se solo Alaska avesse saputo. Se solo si fosse ricordata di quel lontanissimo passato, di quando si amavano per davvero, del fuoco che li univa... Non ne avrebbe parlato così. Ma Chris era perfettamente a conoscenza della delicata situazione della ragazza e non poteva di certo sbatterle tutta la verità così su due piedi, no, avrebbe dovuto scoprirla da sola, un po' per volta. E lo stava già facendo, in parte, i suoi continui mancamenti e svenimenti ne erano la prova. «Non ho mai detto che... Insomma, tu cerca di stare lontana da Allan, lui nei tuoi confronti è... Indifferente, ecco» e per Chris l'argomento era chiuso, non sarebbe riuscita a scucirgli una sola parola di più. «Bene!» gridò secca Alaska «Tanto non avevo nessun' intenzione di fare amicizia con un troglodita del genere. E per quanto riguarda Eileen cosa mi dici?» la ragazza bassina dagli occhi vispi e i capelli arancioni. Ad Alaska parve che il colorito del ragazzo fosse cambiato radicalmente «Oh lei è davvero dolce. E simpatica. E socievole. E...» «Bla bla bla» lo interruppe bruscamente lei che nel frattempo aveva terminato la sua sigaretta «Ne sei cotto, ho capito» «Ma no, non è vero. Insomma» Alaska gli si parò davanti, le mani poggiate sui fianchi. Alzò un sopracciglio e gettò la testa indietro, scuotendola «Dai, non farmi ridere, è palese che tu provi qualcosa nei suoi confronti» di certo questo non lo si poteva negare. Per quanto fossero state disastrose e terribili le sue storie d'amore, Alaska aveva sempre avuto un certo fiuto per quel tipo di cose, aveva la capacità di riconoscere gli innamorati.
«Sediamoci un secondo» lo supplicò lasciandosi cadere su un morbido manto verde. Si rotolò fra i ciuffi d'erba e prese a ridere come una bambina. A Londra non avrebbe mai potuto farlo, tutti fissati con quei divieti di non calpestare le aiuole, i marciapiedi, lo smog. L'aria irlandese era proprio un'altra cosa e nel suo piccolo, con il naso rivolto verso il cielo punteggiato di stelle, Alaska si sentì bene. Tirò un lungo sospirò e osservò Chris sedersi cautamente accanto di lei, ben attento a non sporcarsi i pantaloni. La ragazza gli tirò un pugnetto «Hai proprio paura della vita, tu» e pensò che non aveva mai visto un adolescente più terrorizzato di lui «Sempre a chiederti se la Polizia verrà a fermarci, se ti infilerò in qualche casino...» proseguì mentre iniziava a girare il suo pit «Voglio dire, ti sei mai cacciato in qualche guaio senza che prima abbia farneticato così tanto?» Chris l'ascoltò in silenzio, con gli occhi bassi e un velo di tristezza sul volto, quella tipa non aveva proprio peli sulla lingua. Se la ricordava diversa, più timida e impacciata, ma quella corazza era sicuramente venuta fuori a causa di Allan. Lùg.
Si ricordò delle battaglie in mare aperto, del suo mantello e la sua immancabile spada. Ripensò con nostalgia al suo fidato cavallo bianco che l'aveva accompagnato in quasi tutte le avventure, agli scontri, il sangue che aveva versato. A quanto era stato forte e potente, un tempo lontano. Ma poi spostò l'attenzione su Alaska e scosse il capo «No, vita piatta e monotona. Non voglio deludere i miei, semplice. Ho il terrore di fare qualcosa di brutto che possa svegliarli nel pieno della notte a causa di una chiamata da parte della Polizia, sai com'è» lo sapeva perfettamente. Alaska sapeva benissimo cosa voleva dire scrutare in silenzio l'amarezza sul volto del padre, le lacrime su quello della madre, ogni volta che la fermavano e la trovavano con qualcosa. D'un tratto la canna che reggeva in mano non aveva più quel sapore tanto buono che la spingeva a fumarla. Le avevano dato della drogata, le avevano detto che se avesse continuato così, non sarebbe mai andata da nessuna parte. Fatta eccezione per il carcere. Gettò lontano il mozzicone e si portò le mani sulle orecchie, rannicchiandosi su sé stessa.
Cosa stava facendo della propria vita? Il mondo prese a girare vorticosamente attorno di lei mentre da lontano un corvo gracchiava. Barcollante si tirò su, la voce di Chris era soltanto un lontano eco. Si trascinò fino alla fontanella per fiondarsi sotto il getto d'acqua fredda con la speranza di riprendersi.
Ma il liquido incolore si fece rosso. Alaska ci mise due minuti prima di mettere bene a fuoco il sangue che scorreva fuori dal rubinetto. Si girò nella direzione in cui l'ultima volta aveva visto Chris, ma del ragazzo, neanche l'ombra. Cacciò un urlo disumano e si gettò in avanti, in ginocchio. Pianse a lungo, singhiozzando rumorosamente senza che nessuno venisse a soccorrerla. Passarono forse tre, quattro ore, prima che una voce giunse alle sue spalle. Lo aveva sentito parlare una sola volta, una soltanto, ma quella timbro le era rimasto ben impresso nel cervello.
Quando si voltò, non vide nulla, aveva la vista completamente oscurata. Si sentì soltanto sollevare da un paio di braccia possenti. Di tanto in tanto udiva dei sospiri, scambi di frasi lontane.
 
Allan si era appena seduto sul divano quando Chris corse a casa sua. Bussò rumorosamente alla porta e, quando l'amico gli aprì, si fiondò in salone. Aveva il fiatone e lo sguardo terrorizzato «Alaska» disse solo mentre si chinava in avanti e dalla sua fronte imperlata di sudore scendevano poco a poco delle goccioline. Allan fece un ampio gesto della mano, come se volesse scacciare via una mosca e disse solo «Te l'ho detto, quello che le succede non è affar mio» il discorso avrebbe potuto benissimo chiudersi lì, il ragazzo non aveva voglia di sentire altro. In tv poi stavano dando la replica di Dottor House ed era intenzionato a non perdersi neanche una puntata. Furono le parole di Chris a colpirlo in pieno petto, affilate come coltelli «Ah, non è affar tuo? Voglio solo ricordarti che ciò che ha passato quella povera disgraziata è anche colpa tua. Se Alaska è così cattiva, così acida e diffidente, vedi di fartene una ragione. E di farti due domande» sul volto del ragazzo moro comparve un espressione di dolore, ricordare gli procurava troppo male. Ma Chris non aveva ancora finito, adesso respirava meglio, il sudore gli si era quasi asciugato del tutto e stava dritto in piedi «Vuoi davvero perderla un'altra volta, Lùg?» non se lo lasciò domandare una seconda volta. Spense la tv e entrambi si fiondarono fuori. Poco prima che la raggiungessero, sicuro che non l'avrebbe sentito, si voltò verso l'amico dai capelli rossi e a mezza bocca bofonchiò «Questa me la paghi, piccolo bastardo» la sua espressione era più che seria ma Chris non poté fare a meno di riderne e scuotere la testa.
 
«Chris? Chris quanto tempo sei stato via? Tre, quattro ore?» quando Alaska rinvenne, era sdraiata su una sudicia panchina di un parco lì vicino. Si tirò su a sedere e si gettò a capofitto verso l'amico dai capelli rossi, che se ne stava pazientemente in silenzio seduto accanto a lei. «Quel corvo, sai, gracchiava molto. E mi faceva scoppiare la testa. Ho avuto tanta paura» «Hai detto corvo?» di nuovo quella voce, allora non era soltanto frutto della sua immaginazione. Si sciolse prontamente dall'abbraccio e si girò verso di lui. Riconobbe immediatamente una delle sue sigarette strette tra le labbra «Ehy» gli portò le mani davanti al viso, pronta ad attaccare «Chi ti ha dato il permesso?» Allan sorrise e le tirò il pacchetto addosso «Calmati, micetto» Micetto? Ma come diavolo si permetteva? Chi credeva di essere? «Hai detto di aver sentito un corvo?» Alaska, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, incrociò le braccia al petto e gli diede le spalle «Non devo darti conto di niente» affermò secca.
Ma la risata che seguì la sua frase la fece ribollire di rabbia. «Mi trovi tanto divertente?» Chris nel frattempo osservava il tutto senza proferire parola, le mani nei capelli. Alaska scattò giù dalla panchina e gli si parò davanti, gli diede una spintarella che non lo mosse minimamente, e si avvicinò minacciosa al suo viso. «Non è perchè sono una ragazza mi faccio dare ordini da te, sia ben chiaro. Sei proprio un montato del cazzo» i loro occhi finirono per incrociarsi e un lungo brivido percorse la schiena di Allan. Avrebbe voluto allungare una mano e sfiorarle la guancia, dirle che l'avrebbe trovata sempre. E che l'aveva salvata e che avrebbe continuato a farlo, anche se era una piccola stronzetta sgarbata e maleducata.
Una sola e semplice domanda uscì dalle labbra di Alaska, socchiuse gli occhi e si avvicinò di più al suo orecchio «Che c'è, non hai le palle di rispondere?» e tutti i progetti che Allan si era fatto, quella microscopica speranza di credere che lei avrebbe ricordato tutto, crollarono.

 



angolo autrice: dopo tanto tempo, sono tornata! spero sempre di non avervi deluso e credo proprio di aggiornare presto. fatemi sapere cosa ne pensate, chi al momento è il personaggio che preferite e beh, tutto il resto.
au revooooir!
  
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