Autore:
Achernar
Fandom:
Yu Gi Oh (manga)
Personaggio/Pairing:
Yuugi Mouto; Yami no Yuugi
Set
mix: prompt "Se io piangessi dichiarerei
la mia
sconfitta, e la compassione non fa per me.”
Meno
triste,
sempre una sorta di monologo interiore di Yugi, forse un tantino OOC
anche stavolta.
Yugi si
chiede come possa l’altro sé stesso essere
così insensibile (c’è anche il
solito riferimento al duello con Kaiba)
Come poteva,
come poteva condannare la gente senza battere ciglio. Essere sempre
così
imperturbabile. Quegli occhi erano rossi e vivi, crepitanti come il
fuoco ma il
suo cuore era di ghiaccio, nulla lo scalfiva, nulla lo toccava.
Eccolo lì, ancora
una volta pronto a fare del male. Occhio per occhio, dente per dente.
Era quella
la sua filosofia, una filosofia che se inizialmente lo aveva confortato
e fatto
sentire al sicuro, ora lo spaventava. Non aveva il coraggio di opporsi
però:
come poteva contraddire l’unica persona al mondo che si
preoccupava seriamente
per lui? E poi, aveva troppa paura di una sua reazione. Ma
più che paura ciò
che animava il ragazzo era stupore. Come faceva? Come faceva, diamine,
a essere
così freddo e spietato con tutti. Era almeno umano? Buffo,
chiedere a uno
spirito se fosse umano. Sì, magari lo era stato, ma ora non
più. Chissà se ai
suoi tempi era ugualmente così duro, perfino crudele. Non
era sicuro di volerlo
scoprire, più andava avanti e minore era la sua
volontà di scoprire chi fosse
quello spirito che si impossessava del suo corpo, senza neanche
chiedergli
permesso, e lo utilizzava per amministrare la sua presunta giustizia,
ormai, lo
aveva capito, fatta di violenza e superbia, egoismo e orgoglio. Non
poteva
giudicare gli altri in quel modo, mettere in gioco la loro vita come se
nulla
fosse, anche se lo faceva per proteggere il suo ospite, che aveva preso
a
chiamare affettuosamente Aibou, compagno. Ecco, in quel momento, quando
aveva
ricevuto quell’epiteto che lì per lì
gli era sembrato premuroso e amichevole, Yugi
aveva sperato che qualcosa potesse cambiare, che quel suo cuore di
ghiaccio si
stesse sciogliendo, ma era stata tutta un’illusione. Falso,
lo spirito era
falso e ipocrita, o forse no, era davvero così, convinto di
agire nel giusto e
di compiacerlo.
Come aveva
potuto chiamarlo Mou Hitori no Boku, lui non era insensibile e
impassibile, no,
ne era certo. Eppure avrebbe voluto, non voleva ammetterlo, ma in certi
momenti, quando si approfittavano di lui, lo bistrattavano, avrebbe
voluto. Così
che potesse scivolargli tutto via, che nessuno lo attaccasse
più.
Paura,
stupore, invidia. Ecco cosa gli suscitava la
vista dell’altro
sé stesso, e quanto ci aveva messo ad ammetterlo. Dopotutto
era vero, voleva
diventare come lui per non dover dipendere più da lui, non
sopportava di
sentirsi così debole. Ma provava anche rabbia.
Se solo lo avesse lasciato fare qualche volta, invece di prendere
subito il controllo
per agire secondo la sua presunta giustizia, se solo lo avesse lasciato
fare...
Ma se solo cosa? No, non sarebbe cambiato nulla, non poteva fare a meno
dell’altro
sé stesso, non più, non riusciva ad essere
spietato e impassibile, soprattutto
impassibile. Se ne vergognava ma spesso calde lacrime si accumulavano
nei suoi
occhi, offuscando quel viola così infantile. E poi,
lentamente ma
inesorabilmente, rivoli, fiumi di liquido salato rigavano le sue
guance. Lo
spirito no invece. Mai una lacrima, mai un velo di umidità
aveva offuscato quelle
iridi cremisi profondo: fuoco gelido. Neanche quella volta, la
più dura di
tutte, quando era riuscito, una sola volta, a impedirgli di compiere un
altro
dei suoi omicidi, quando lo spirito alla vita e alla sconfitta aveva
preferito
la morte e la vittoria. Era sconvolto, e credeva che anche
l’altro sé stesso lo
fosse, almeno un po’. Invece no, impassibile come sempre si
era limitato ad
andare avanti, guidato dal suo orgoglio e dalla sua presunzione.
Come faceva?
Come era riuscito a non piangere? Yugi non aveva resistito, e spinto
dalla
curiosità aveva dovuto domandarglielo. Una risposta
tagliente, se la aspettava
del resto, ma rimase comunque senza parole, e in quel momento
l’ammirazione
cedette il passo alla paura:
“Se
io piangessi dichiarerei la mia
sconfitta,
e
la compassione non fa per me.”