Piove
con il sole
di
slice
Forse
è venerdì.
La teiera è piena e il frigo è
vuoto, la luce filtra a sprazzi, riuscendo lo stesso a toccare un po'
di tutto, nella stanza. Ci sono molti fiori sulla pianta al centro
del tavolo, ma solo uno è completamente aperto, gli altri
rimangono lì a sonnecchiare; mezzi aperti, piuttosto che mezzi
chiusi. Piante, non fiori, altrimenti poi appassisce il tavolo, la
stanza, la casa.
Scosto la tenda a pois e nel piccolo giardino,
mezzo nascosto dall'ingombrante siepe della vicina, c'è la mia
amica: vi presento Amaca. Se ne sta lì, rossa e placida, fa
venire voglia di sorriderle, mentre si muove leggermente al ritmo del
poco vento che si è alzato. Il cancellino, ruggine e verde
ospedale, cigola e sbatte, poiché non si chiude bene, creando
un ritmo lamentoso, lento, una litania che ormai neanche più
odo.
Il gatto della famiglia del secondo piano mi ha di nuovo
cagato tra i garofani e penso che questa volta non gli raserò
solo la coda. Sorrido: so che poi ci berremo insieme una tazza di
latte. Sbuffo: devo comprare il latte. Vado a segnarlo sul frigo.
Recupero il lapis che ciondola attaccato a un pezzo di spago e lo
scrivo su un foglietto tenuto da una calamita con su scritto “Non
odiarmi, ignorami. Grazie.”, prima del latte ci sono già
biscotti al burro, yogurt alla pesca e ketchup. Mio padre scuoterebbe
la testa, con disapprovazione. Io e Amaca invece approviamo, lei sa
che non sono ingrassata di un etto da quando ci conosciamo.
È
tutto merito degli scalini. Ne ho tre per andare al bagno e sono
sempre stata una pisciona, perciò, nonostante ci inciampi e li
insulti regolarmente, abbiamo un bel rapporto. Ce ne sono ovunque,
però, sto in cima a una cazzo di rupe dei re e nessuno di loro
ha pensato di farsi un ascensore. Ci vorrebbe una seggiovia, ma poi
ingrasserei e la domenica mi toccherebbe andare a pranzo dalla mamma
di qualcun altro, perché la mia non perderebbe occasione per
rinfacciarmelo.
Brava donna, eh, purtroppo la figlia è
perennemente grassa, ha la testa tra le nuvole e veste come se fosse
caduta in un armadio. Per fortuna cado sempre nel mio, dico
io.
Squilla il telefono; è un Carlo che cerca una Martina.
No, signor Carlo, mi dispiace, ma ha sbagliato numero. Qui c'è
solo Alice.
Questa è casa mia. È casa mia.
Un
giorno, quando ci vivrò, vi inviterò a cena. Cucinerò
io, voi dovrete portare una bottiglia di vino e tante chiacchiere e
potranno esserci anche giochi di società, racconti dettagliati
sulla peggior figura di merda che abbiate mai fatto e film d'azione.
Ma non dimenticatevi il vino, eh!
In realtà ci sarà anche un grosso cane, rossiccio e pacioso, di nome Nanna. Qualcuno prenda nota.
Non sono cinquecento parole esatte, però sono meno e va bene lo stesso. È che non so fare le cose precise, mi vengono sempre come se le facessi io.