Libri > I Miserabili
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Autore: _Noodle    23/07/2013    2 recensioni
Era una tiepida mattina di fine maggio. Apollo giaceva addormentato sul letto con addosso i vestiti della sera prima. Si svegliò verso mezzogiorno con un mal di testa allucinante. Gli pulsavano le tempie e gli bruciavano gli occhi; l’evidente vena che scorreva come un fiume sulla sua fronte era più spessa del solito. Si mise a sedere lentamente, cercando di non dar retta al corpo intorpidito e alle mani formicolanti e appena aprì coscientemente gli occhi sobbalzò. Il cuore incominciò a pulsargli compulsivamente e il respiro gli si fece più affannato, cercava di alzarsi da quel letto poco accogliente ma le gambe non sostenevano il suo peso, tremavano come in preda alle convulsioni. Ricadde prono sul pavimento.
Enjolras travolto da un nuovo sentimento e un amore nato tra fiori e inganni.
Coppie: EnjolrasxGrantaire; JeanxEponine.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Immaginate due occhi che gridano, senza voce; due bocche che tremano alla sola idea di poter raggiungere il cielo; quatto mani che pulsano, vittime dell’attesa. Immaginate una stanza vuota, colma solo di respiri affannati e di sconci e fiammeggianti pensieri e visualizzate al fondo di questo piccolo rifugio di anime due uomini, fragili e immensi come i sogni, intenti solo a fissarsi e ad esitare.
 
“Non giocare col ghiaccio Grantaire, potresti ferirti”.
“Non giocare col fuoco Enjolras, potresti bruciarti”.
 
Mentre Enjolras attendeva, Grantaire si guardava attorno, cercando una bottiglia di vino da scolare: “non farlo” si rimproverava. Avvicinò il suo volto a quello del biondo, senza intenzioni ambigue, solo per ammirare un po’ più da vicino i suoi lineamenti marmorei e angelici e poi incominciò a parlare. Le sue parole travolsero Enjolras con la stessa violenza del vento, che scuote e che devasta, che divora e che annulla e che talvolta, in casi eccezionali, apre la mente. Digrignò i denti e lui, che solitamente affogava nel dubbio, non si perse in esitazioni.
<< Io? Come posso sapere che cosa è successo? Sei tu che sei piombato in camera mia senza avvertire. >>
Enjolras stava per rischiare lo svenimento per la seconda volta: la vista gli si fece opaca, le mani iniziarono a formicolargli e gli incominciò a mancare il respiro. Aveva fatto tutto da solo? Aveva pensato giorno e notte a che cosa potesse essere accaduto e poi nulla? Aveva immaginato le sue dita solcare la sua pelle e il suo fiato ripulire il suo collo e invece era stata tutta una terribile illusione? Si sentiva profondamente sollevato, ma incredibilmente insoddisfatto, colpevole di aver abbandonato tutto ciò che di più importante c’era nella sua vita per… lui. Si era recato in camera di Grantaire per che cosa? Perchè nemmeno lui sapeva niente di quanto fosse successo? E non è che non se lo ricordava, non lo sapeva. Era un incubo o era un sogno? Grantaire sobrio, Enjolras ubriaco d’amore e di vergogna, di desiderio e di rifiuto, di Grantaire e di nessun altro.
<< Grantaire, non mentirmi: dimmi che cosa è accaduto. >>
<< Vuoi che ti racconti che cosa so? Ebbene: erano circa le due del mattino, ma a dire il vero potevano essere anche le quattro, non ricordo di aver guardato l’orologio, e quando sono rincasato, dopo aver notato che inaspettatamente la porta del mio appartamento era aperta, ti ho trovato lì, sul mio letto, addormentato. Ho temuto che fossi sbronzo sai? >>
Enjolras deglutì, anche se di saliva ormai ne aveva poca.
<< E la tua versione? Sentiamola! >> Continuò Grantaire.
<< Io non mi ricordo. Pensavo che tu avresti potuto far luce sull’accaduto. >>
Grantaire rise. Enjolras rabbrividì alla vista del suo sorriso: dolce e storto, come una mezzaluna. 
<< Io che faccio luce su qualcosa? Penso che tu abbia sbagliato persona. >>
Poi Apollo prese coraggio, da dove ci è ignoto. Rizzò la schiena e sostenne il suo sguardo, con una determinazione che fino a quel momento credeva di aver perso. “Non mi fai paura, Grantaire. Rimani sempre il solito scettico ubriacone, dopotutto”.
<< Mi vuoi dire che… >> poi s’interruppe, cascando di nuovo tra le braccia di Eros. La belva lo stava sbranando, lo stava facendo tremare e, cosa più incredibile, visto che parliamo di Enjolras, lo stava facendo eccitare.
<< Che? >>
<< Io e te non abbiamo passato la notte insieme? >>
L’immenso invase i loro corpi, i loro cervelli e i loro respiri.
Descrivere ciò che provarono in quell’istante è particolarmente arduo.
Enjolras era dispiaciuto, umiliato, infelice.
Grantaire era sbigottito, quasi divertito, quasi delirante: ce l’aveva fatta? L’aveva conquistato senza che si parlasse di Rivoluzione? L’aveva conquistato con quale mezzo? Con il suo corpo? Con il suo carattere? Con le sue idee? Enjolras avrebbe risposto “Con la tua imprevedibilità”.
<< Il rivoluzionario che pensa di essere stato a letto con me? Che onore, Enjolras, che onore! Cosa credevi che avessimo fatto, ti prego illuminami! >>
<< Grantaire non dire fesserie. Dimmi, non avresti pensato male anche tu se ti fossi risvegliato nel letto di qualcun altro? >> Enjolras era diventato color porpora.
<< Perchè mai avrei dovuto se il letto fosse stato solo di un mio amico? Per te sono forse più di un amico? >> Il tono della sua voce era cambiato.
Enjolras trattenne le lacrime, strinse i pugni, si morse le labbra e lo guardò con rabbia e con desiderio, con quell’odio misto ad amore che non lo lasciava più dormire. “ ‘Solo un amico?’ ”
Enjolras si alzò dalla sedia e se ne andò, sdegnato, offeso, incredulo.
Grantaire rimase lì, rammaricato, forse era stato troppo aggressivo con quella creatura maestosa e ingenua. Andiamo, come dimenticarsi di aver passato la notte con Enjolras? Gliel’avrebbe detto.
Lo rincorse fino in strada e lo afferrò per le spalle voltandolo verso di sé. Le loro bocche distavano soltanto alcuni impercettibili respiri quando Grantaire gli porse di nuovo la stessa sfacciata domanda.
<< Sono forse più di un amico per te, Enjolras? >> Disse afferrando i suoi capelli, così morbidi e regali.
Enjolras non sapeva che  cosa rispondere o meglio non voleva rispondere, per pura vergogna. Lui, che era sempre stato ritratto come l’uomo impassibile, ora amava e per di più un uomo? E per di più Grantaire? Non l’avrebbe mai ammesso. I sentimenti contrastanti si sa, indeboliscono, ma prima o poi, quelli come l’orgoglio si sottomettono a quegli altri come l’impulso.
<< Rispondimi! >> Gli sussurrò con impazienza: se fosse stato giorno e non fosse stato lui quello stretto nella sua morsa avrebbe urlato.
<< Vattene Grantaire, non mi assillare >>  rispose Enjolras con la fermezza di un dio.
Grantaire staccò le sue mani dalle spalle robuste e rassicuranti del suo Apollo e arricciò la bocca.
<< Bene. >>
Con una serietà mai vista, Grantaire si allontanò da Enjolras, senza fiatare. Non capì nemmeno lui se si trattasse di delusione o di ira, sta di fatto che entrambi sembrarono non volersi vedere mai più. I loro occhi però, veri e trasparenti, sembravano dirsi: “Tornerai?” “Tornerò.”
 
La mattina del due giugno 1832, Eponine si risvegliò con uno strano pacchetto davanti alla porta di casa; sulla carta c’era scritto il suo nome. Il buio l’aveva celato tra le sue tenebre e solo la pallida luce mattutina l’aveva rivelato ai suoi occhi da cerbiatta. Presa dallo stupore e dalla curiosità, lo raccolse e lo portò fuori di casa: suo padre non avrebbe dovuto vederlo.
L’aria estiva le scompigliava i capelli. Era stranamente bella e diversa: ecco il frutto di quella strana magia chiamata felicità. Tastava il pacchetto, lo sollevava e poi lo ascoltava, come fanno quei bambini che scuotono la scatola per scoprire il loro nuovo regalo di natale. Si recò al Luxembourg, il luogo più vicino a casa sua e si sedette su una panchina. Il profumo dei fiori l’inebriava.
Iniziò a scartare il pacchetto con cura, come se anche solo la carta che lo ricopriva fosse un tesoro prezioso. Quando vide al suo interno il vestito rosso, Eponine, presa alla sprovvista e presa dall’emozione, si mise a piangere, per la seconda volta nella sua vita: la prima era stata alla sua nascita.
Lo sollevò verso il cielo e alzatasi in piedi si mise a ballare come se fosse stata travolta in una danza vorticosa: quando si è felici, soprattutto per le piccole cose, quelle che ti ammorbidiscono il cuore quando meno te lo aspetti, tutto puoi fare tranne che stare seduto.
Si mise a correre, come se fosse impazzita, ridendo e saltando, abbracciando il vestito con tutta la forza che aveva in corpo, inciampando nei suoi piedi e in quelli degli altri. Non ragionava più, non sentiva più dolore, non sentiva più nulla: solo una fiammella nel cuore, che agli inizi di giugno la mandava già in fiamme.
Si nascose dietro ad un albero e si cambiò; le sue forme esili e scomposte diventavano dietro quel vestito le più sinuose e aggraziate. Era nuova, era cambiata, era libera.
Doveva cercare Jean, doveva dirle che il suo sogno si era avverato, che qualcuno le aveva regalato un vestito nuovo, che lei non era più la triste e malinconica Eponine, ma che era un’altra donna, scoppiettante e perfidamente accattivante. Ritornò verso la panchina che aveva abbandonato pochi attimi prima per raccogliere la carta, che avrebbe conservato con la stessa cura del vestito nuovo. Fissò l’involucro sognante, rileggendo in preda ad una meravigliosa estasi il suo nome, scritto a caratteri grandi e curati: nobili.
Aguzzò la vista. Ricercò nella sua mente dove aveva visto in passato quella calligrafia, così ben impressa nei suoi ricordi, e proprio nel momento in cui credette di averla riconosciuta, scambiandola per quella di Marius, come una cannonata il volto di Jean le si stampò in mente e la risucchiò in un uragano che profumava di lavanda e di inchiostro.
Era stato lui? Aveva fatto sì che il suo sogno si realizzasse? Dio, non si era mai sentita così viva.
 
Non lo trovò. Aveva errato tutta la mattinata senza incrociare il suo sguardo o scorgere il suo volto tra quelli di tutta Parigi, ma la felicità restava la stessa.
Il suo poeta, infatti, si era nuovamente recato alla barrière du Maine e questa volta non di propria volontà: Grantaire l’aveva “convocato”.
Il sole delle due era caldo e impertinente e i due se ne stavano a parlare dentro il Richefeu per ripararsi da esso. Grantaire rischiava di esplodere, aveva bisogno di parlare con qualcuno che non fosse la sua bottiglia: pensò che Jean fosse la persona adatta per un certo tipo di confidenze. Immersi tra i mille colori della barriera, Jean ascoltava in silenzio, con un’espressione raggiante e comprensiva, che rassicurava in un certo qual modo Grantaire.
<< Lui credeva che io sapessi che cos’era accaduto “quella notte”, ma vedendo la macchia di sangue sulle lenzuola, non ho potuto ricordare nient’altro se non il suo corpo addormentato sul mio letto. Era dannatamente perfetto. >>
<< R, non ti disperare. Se entrambi non sapete che cosa è successo non è grave: magari Enjolras ha combinato qualcosa per conto suo. >>
<< Perchè il mio letto Jean? Perchè? Non è una coincidenza, non lo è almeno per me. >>
<< Lo ami? >>
Fu una domanda spiazzante, anche se Grantaire conosceva benissimo la risposta.
<< No, non lo amo. È più un’ossessione. >>
<< Allora fallo tuo. Catturalo, mordilo, non lasciargli  via di scampo. >>
Grantaire lo guardò con le lacrime agli occhi.
<< Jean, sai qualcosa che io non so? >>
<< No, ma so che dobbiamo stupirlo: è l’unico modo per impressionare Enjolras. >>
E il poeta iniziò a creare, ad interrogarlo e ad estrapolare dalla mente di Grantaire quanto vi era di più remoto e nascosto, quanto di più luminoso vi era in quell’oscurità.
 
Nel frattempo Eponine si era imbattuta in Marius Pontmercy. Non era stato un incontro spiacevole, ma Marius non riusciva a non guardarla senza provare pietà e stizza e ciò la irritava.
Marius era in preda all’estasi e al furore. Schiavo d’amore, egli si lasciava asservire e non gliene importava: Cosette riusciva a sminuire il più alto dei doveri.
Eponine si ricordò che gli aveva fatto un favore due mesi prima: rammentò che gli aveva promesso che l’avrebbe condotto dalla sua amata; c’erano molte cose che Eponine sapeva e glielo doveva. In cambio di quel favore però, doveva avvertirlo, doveva avvertirlo di quanto stava accadendo.
<< Signor Marius, siete in pericolo. >>
<< Che cosa intendi con pericolo? >>
<< Intendo pericolo. >>
<< Suvvia, non fare l’enigmatica, parla! >> Eponine si sentiva presa in giro.
<< Rue Plumet: non ci dovete più andare. >>
Marius rise, seccato dalla sua presenza e divertito dal suo “scherzo balordo”.
<< E perchè mai? >>
<< Perchè cercano lei, o meglio, cercano il padre. E io non voglio che voi siate coinvolto in questa faccenda. Non dovete mettere più piede in Rue Plumet. >>
<< Eponine, non so che cosa ti sia saltato in mente ora, ma fidati di me: il padre di Cosette è una persona onesta e ragguardevole, non vedo perchè dovrebbero cercarlo; e chi poi? >>
<< Il Patron Minette. >>
Marius aggrottò le sopracciglia, confuso.
<< Questo c’entra per caso con l’avvertimento di un mio amico di non recarmi più al Caffé Musain? >>
<< Chi ve l’ha detto? >> Disse Eponine illuminandosi per quel breve attimo.
<< Si chiama Jean Prouvaire. Non lo conoscete. >>
Lei abbassò lo sguardo senza proferire parola. Arrossì dolcemente.
“Ha mantenuto la promessa”.
<< Posso anche evitare di recarmi al Musain, ma non posso evitare di vedere Cosette, quindi grazie lo stesso. >>
<< Attento signor Marius, state attento. >>
E lui se n’ andò.
 
Cerchiamo, finalmente, di far luce su questa oscura vicenda: Eponine coinvolta in una zuffa davanti al Musain, Marius che deve allontanarsi dal caffé e da Rue Plumet, il Patron Minette menzionato già due volte. Qui, credo, il lettore avrà già capito che cosa stava accadendo.
Il Patron Minette cercava Jean Valjean: di conseguenza Rue Plumet era in pericolo. Di rimando, anche Cosette e Marius lo erano, ma visto che Eponine più che per Cosette si preoccupava per Marius, gli consigliò sia di non recarsi più in Rue Plumet, sia di non frequentare più il Musain. Proprio davanti a questo edificio Eponine si era scontrata già due volte con suo padre e i suoi complici che volevano estorcere informazioni da Marius. Per fortuna lei, che non si fidava delle loro intenzioni, li aveva seguiti e forviati in entrambe le occasioni.
Pensò che Marius fosse stupido. Come faceva a non preoccuparsi? Come faceva a non avere paura per la sua donna? Decise che l’avrebbe seguito, quella sera e anche quelle successive, in modo da cacciare suo padre e suoi compagni dalla casa di Cosette. In più avrebbe dovuto convincere il padre della ragazza ad andarsene, non potevano stare lì, li avrebbero scovati e condannati.
 
Enjolras vagava cupo per Parigi. Erano le nove di sera e per lui era già notte. Dopo il particolare incontro con Grantaire si sentiva più vuoto che nei giorni precedenti: senza il suo scettico non era niente; forse con lui doveva essere niente. Grantaire avrebbe preferito sicuramente il nulla a lui.
“Credo in te”, oh quante bugie, che crudele e stupida bugia! Grantaire non lo amava, Grantaire lo odiava e lui ci era cascato. Eppure… La confusione lo stava inglobando ed Enjolras non si stava ribellando. Voleva solo scomparire, la vergogna era troppa. Si sedette davanti ad una vecchia catapecchia (dicevano si chiamasse Gorbeau) infilandosi le mani nei capelli.
 
<< Scusate, dovrei entrare. >>
Enjolras sobbalzò alla vista di quella creatura. Era scarna e sciupata, ma stranamente ben vestita: era Eponine che tornava a casa.
<< Prego entrate. >> Enjolras era glaciale.
Eponine, quando il biondo alzò la testa, non entrò in casa, ma si fermò a fissarlo e a scrutarlo con occhi impauriti e sorpresi. Improvvisamente sussultò abbassandosi e gli afferrò le spalle, come se volesse destarlo da un incubo.
<< Signore! State bene? Il suo volto mi sembra angosciato! Dove siete fuggito la notte scorsa? Io vi ho visto, vi siete battuti davanti al caffé con grande onore cercando di difendere Marius, come state adesso? Probabilmente vi ricordate di me, ero lì con voi! Oh cielo, meno male che non hanno trovato il Signor Pontmercy! Lei però non meritava di essere coinvolto in quella zuffa! Ditemi! >>
Enjolras spalancò i grandi occhi blu schiudendo la bocca. Era sconvolto, sbalordito, scosso, ferito dalle parole, sollevato da quel volto, appagato dalla memoria che improvvisamente era tornata. Si ricordava tutto: del caldo e dei pugni tirati giustamente per difendere un amico, del giovane con un cilindro che gli aveva graffiato il collo, della sua giacca insozzata dal sangue sceso dal naso della ragazza che sostava davanti a lui. Si ricordava anche di come era corso a gambe levate per sfuggire da un uomo enorme e dall’aria leggermente malaticcia che lo inseguiva: la prima casa che gli capitò a tiro per ripararsi, fu quella di Grantaire. Gli sovvenne alla mente anche la mazza che lo aveva colpito sulla schiena facendolo cadere sul letto. Aveva perso i sensi.
<< Sto bene adesso, signorina. Grazie per avermelo chiesto. >>
Enjolras si alzò e iniziò a correre verso casa di Grantaire. Doveva raccontargli tutto, doveva cercare di nascondere tutti quei brutti pensieri e far sì che ritornasse ad avere una buona reputazione di lui.
Arrivato lì lo trovò sul letto, con un sigaro in bocca e una matita in mano: continuava il suo disegno.
Alla vista di Enjolras, Grantaire sbiancò. Vederlo arrivare in casa sua con il fiatone, i capelli scomposti e il sudore sulla fronte lo rendeva umano e stranamente più affascinante di quando sembrava un dio.
Posò il disegno accanto a sé, voltandolo dall’altra parte, e si alzò in piedi cercando di rendersi presentabile: la canotta che indossava non era delle più raffinate.
<< Grantaire, ricordo tutto. >>
Grantaire sospirò, abbattuto in partenza, in quanto credeva che Enjolras lo snobbasse come suo solito.
<< Dimmi Enjolras, qual è stata la nostra avventura notturna? >>
<< Sono stato coinvolto in una rissa. >>
Iniziarono a parlare come se le loro parole non avessero fine, entrambi gioivano nel cuore senza sapere nemmeno il perchè: forse lo stare insieme li rendeva più simili di quanto in realtà fossero.
Enjolras uscì dalla sua stanza con la sua vera e sfavillante fierezza e Grantaire tornò ad ubriacarsi, rivestendo i panni dello scettico ubriacone che era sempre stato, quello che con la sua “imprevedibilità” aveva conquistato Enjolras. Il loro cuore era un guazzabuglio di emozioni indescrivibili, che in quel momento erano a dir poco indecifrabili: la notte avrebbe portato consiglio.
 
 
 
 
Zan, zan, zaaaaaaaaaaaaan! Svelato il misero! Spero che non abbia deluso le vostre aspettative, beh in tal caso il meglio deve ancora venire ;) Ho cercato di scriverlo il più velocemente possibile, ma come al solito mi ci è voluta una settimana buona. La prossima posterò il penultimo capitolo, che sarà dedicato quasi interamente ad Eponine e Jean *^*; l’ultimo sarà dedicato invece a quegli altri due, quanto amore! Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, grazie per l’attenzione, un bacione (: 
  
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