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Autore: Jules_Black    23/07/2013    2 recensioni
Ottawa.
Radio Voice ha trovato un nuovo spocchioso conduttore che, in poco tempo, è divenuto la star radiofonica del momento: Duncan Rogers.
Allo stesso tempo, Mr. Holmes ha deciso di andare in pensione e di lasciare la sua società legale multimilionaria nelle mani di due avvocati di successo: Courtney Adair e Matt Jones.
Le vite dei tre si incontrano a causa di una denuncia del signor Smith, anzianotto, molestato dai rumori che il suo vicino di casa, Duncan Rogers, produce ogni notte a causa dei numerosi amplessi.
A tutto ciò si aggiungono un maniaco che sembra conoscere le opere di Shakespeare a menadito, fastidiosi fantasmi che sono riemersi dal passato e attrazioni quasi fatali.
Perché, come ci insegna Courtney, non ha molto senso aspettare ciò che non si vuole.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Nuovo Personaggio | Coppie: Duncan/Courtney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Voice.
Capitolo due: “What we used to be.”
 

I never felt nothing in the world like this before;
now I'm missing you and I'm wishing
 you would come back through my door.
Why did you have to go?
[…]
Been a long time since you called me…
How could you forget about me?
[Elliot Yamin, Wait for you]

 
 
Bzzzz.
“Buongiorno, Ottawa. Mmm, oggi è già
venerdì. Ho una terribile notizia da darvi:
questa notte, graziose fanciulle, non sarò
con voi. Ho un appuntamento con una tipa
da sballo e ho chiesto al tizio delle previsioni
del tempo di sostituirmi. Già sento i vostri
lamenti, graziose pulzelle. Purtroppo i miei
doveri di uomo chiamano e io ho ass-…”
 
– Buongiorno anche a te, Duncan – mormorò, ancora assonnata, Courtney. Dal giorno del processo (erano già passati quattro giorni?) il tizio non si era fatto più sentire. L’assegno con diversi zeri era arrivato puntuale sulla sua scrivania e lei aveva preso silenziosamente atto del fatto che si era davvero tratta di una “collaborazione” forzata e temporanea. E, in verità, Courtney non aveva voluto altro – o almeno, era di questo che stava ancora cercando di convincersi. Mescolò in caffè rimasto sul fondo della tazza con una certa stizza: odiava il fatto di sentirsi ancora legata a Duncan in una qualche misura.
Per tre anni – non otto settimane, non dieci mesi – Duncan Rogers era sparito dalla sua vita. Cancellato, svanito, perso in chissà qualche meandro o quale dimensione. Poi era riapparso, con quella faccia di bronzo, ed era diventato il nuovo idolo delle donne di Ottawa. Non pago, era riapparso anche nella sua triste vita, così, un pomeriggio, denunciato per disturbo della quiete pubblico. Courtney si morse il labbro inferiore quasi con ferocia: era sempre stato il suo modo di fare l’amore, quello. Dolce sì, ma anche – incredibilmente, favolosamente, assurdamente – spettacolare.
Il palmare di Courtney emise un suono flebile che la ridestò da quei pensieri nefasti. Le era arrivato un messaggio da un numero sconosciuto e irrintracciabile.
 

“Dubita che la verità sia mentitrice, ma non dubitare mai del mio amore.”

 
La donna alzò gli occhi al cielo. Il maniaco le inviava puntualmente due messaggi al giorno: che fossero scritti su un bigliettino bianco, via e-mail, via messaggio, non aveva importanza. Ne arrivavano puntualmente due. Courtney era stata sfiorata dall’idea di mettere tutto nelle mani della polizia e di sporgere denuncia contro ignoti, ma c’era qualcosa di affascinante in quelle dichiarazioni d’amore.
Sognava un uomo colto e timido, impacciato ma dolce, delicato ed elegante. Un uomo che sapeva rendere perfino le opere di Shakespeare interessanti, pure l’“Amleto”. La parte razionale, dopo quei pensieri da fata turchina, prendeva il sopravvento: era uno schifoso maniaco che era riuscito a reperire tutti i suoi contatti in maniera astuta e subdola. La seguiva più o meno ovunque e dimostrava di conoscere le sue abitudini.
­– Una storia d’amore normale no, eh? – sbuffò Courtney, all’indirizzo della lavatrice, persa nei dubbi esistenziali che sembravano oramai seguirla ovunque. Non riusciva proprio a scrollarsi di dosso le sensazioni che la vicinanza di Duncan le aveva fatto provare. Emozione, desiderio, ma anche rabbia, disgusto. Il palmare squillò di nuovo, questa volta per segnalare una chiamata in arrivo.
– Parla l’avvocato Courtney Adair, chi c’è in linea? – domandò, come di consueto. Il respiro affannoso proveniente dal microfono del telefono le fece pensare di nuovo al maniaco.
– Uhm, ehm… Courtney? Sono Matt!
La donna sospirò di sollievo: evidentemente il maniaco ancora non aveva deciso di proseguire la sua persecuzione con quei metodi sessualmente inaccettabili.
– Buongiorno, Matt! C’è qualche problema? – rispose, gioviale, Courtney, del tutto sorpresa dalla chiamata del collega. Matt era quel genere di persona che non amava avere contatti con i propri collaboratori al di fuori dell’ambiente lavorativo.
– Temevo di averti svegliata... Manca ancora un’ora e mezza all’appello di Mr. Holmes! – mormorò lui, quasi per scusarsi.
– Sono sveglia da un po’… Comunque, hai bisogno di aiuto?
– In realtà volevo, ehm, chiederti se ti andasse di fare colazione con me prima di affrontare l’ennesima giornata lavorativa!
Courtney rimase di stucco. Matt Jones ci stava evidentemente provando con lei!
– Ehm, va bene… Insomma, ci sto! – esclamò lei in risposta. Se Matt Jones era davvero interessato a lei, perché respingerlo? Era più o meno l’uomo perfetto, a parte qualche lieve tendenza megalomane, qualche picco di presunzione e la tendenza a essere estremamente permaloso.
– Fantastico! Sei ancora a casa? Ti passo a prendere, ecco…
– Bene, a tra poco!
Courtney chiuse la comunicazione con un crescente batticuore. Matt Jones voleva uscire davvero con lei.
***
Stralunata e sconvolta. Courtney non poteva sentirsi diversamente, rientrando a casa, quella sera. Dire che l’appuntamento con Matt fosse stato in gigantesco flop era un eufemismo. Non aveva smesso di parlare, parlare, parlare… Dell’andamento in borsa della società, dei suoi piani per il futuro, del colore della pittura con cui avrebbe voluto ritinteggiare le pareti del suo ufficio, della malattia del suo cane (“Un raffreddore canino, hai presente? Ha starnutito persino sul mio completo di Scervino!”), dei pettegolezzi su Mr. Holmes e i suoi titoli nobiliari comprati su Ebay. Non c’era nulla – nulla, nemmeno un pezzettino microscopico – in Matt Jones che a Courtney potesse lontanamente piacere. Per di più il maniaco si era sbizzarrito quel pomeriggio: davanti alla porta del suo appartamento, la giovane donna aveva trovato una copia in edizione limitata di “Romeo e Giulietta”, di quelle antiche e sicuramente costose. E accanto, una rosa dal fastidiosissimo color sangue.
– Follie – mormorò, gettando a terra i cuscini del divano e sdraiandosi su di esso, esausta. Non riusciva proprio a comprendere per quale nefasto motivo Matt Jones si fosse rivelato così deludente. Era un pallone gonfiato, pieno di sé sino all’inverosimile, riottoso quando si mettevano in dubbio la sua professionalità e magnificenza.
Matt Jones era così poco… Duncan.
Il pensiero la colpì come un fulmine a ciel sereno: Matt Jones poteva essere tutto e poteva avere tutto, ma non sarebbe mai stato Duncan. Non avrebbe avuto nessuna inclinazione verso la trasgressione delle regole e non avrebbe rinunciato mai a uno spruzzo di deodorante; non l’avrebbe baciata in maniera quasi rude né mai l’avrebbe fatta sentire insopportabile e odiosa e nevrotica e schizofrenica.
Courtney – lei lo realizzò poco dopo – sarebbe sempre stata perfetta agli occhi di Matt Jones, seconda in perfezione solo a Matt stesso.
E tutta questa perfezione aveva il sapore di patetismo gratuito.
***
Bussarono alla porta del suo appartamento poco dopo. Courtney, che aveva quasi preso sonno sul divano, si alzò di scatto, temendo che il maniaco fosse giunto finalmente a pretendere il pagamento per la costosa copia dell’opera di Shakespeare. Si avvicinò alla porta, conscia del fatto che la finestra della cucina si apriva direttamente sul pianerottolo della scala antincendio. Sbirciò dallo spioncino, sicura del fatto che si sarebbe trovata davanti la faccia di uno sconosciuto armato di ascia. Invece, ad aspettare sbuffando, c’era solo Duncan.
– Tu, qui? – riuscì a dire la donna, quando aprì la porta e si ritrovò davanti l’uomo che detestava. Duncan rispose con un sorrisetto che la diceva lunga. Sembrava vagamente brillo.
– Andiamo, Principessa. Sono venuto per parlare – rispose lui, quasi indignato dalla mancanza di fiducia della donna.
– E di cosa, di grazia?
– Mah, di follie vecchie quanto il mondo – rispose, alquanto evasivo, l’uomo; si addentrò nell’appartamento di Courtney e si guardò intorno.
– Le n-nostre… Le nostre fotografie? – balbettò, imbarazzato, quando si accorse che tutte le vecchie istantanee con cui Courtney aveva decorato la stanza era sparite.
– Buttate. Stracciate. Fatte a pezzi. Volevo che mi somigliassero.
– Non iniziare a fare la tragica, bambolina.
– Perché sei venuto? – mormorò lei, quasi sconvolta dalla sua apparizione.
– Per ricordare un po’ i vecchi tempi… Ammetto che rivederti, lunedì, mi ha fatto un certo effetto – rispose Duncan, imbarazzato. Andò a sedersi sul divano di pelle bianca e le fece segno di accomodarsi accanto a lui.
– Beh, potevi evitare di darmi della “frigida”, Mister Maleducazione – sibilò la donna, andando a sedersi accanto a lui. Duncan sospirò.
– Non ne combino mai una giusta, vero? – domandò, retorico, con gli occhi rivolti verso il soffitto.
– Sei sparito per la bellezza di tre anni. Non mi sembra esattamente un comportamento normale – sbuffò lei, passandosi una mano tra i capelli castani.
– Beh, tre anni fa la nostra storia sembrava essere divenuta così…
– Seria, Duncan. Seria. Eri l’uomo con cui avrei passato volentieri il resto della mia vita – gli ricordò Courtney, incrociando le braccia al petto.
– Beh, eravamo quello che tu credevi fossimo destinati a essere – puntualizzò Duncan, guardandola quasi con astio. Courtney alzò gli angoli della bocca in una pessima imitazione di un sorriso ironico.
Eravamo, appunto. Duncan Rogers, per la prima volta in vita tua, hai saputo coniugare un verbo decentemente. Eravamo. Imperfetto indicativo, azione continuativa, terminata nel passato.
– Sei di una perfidia unica – mormorò Duncan, sprofondando sul divano, improvvisamente quasi triste.
– E tu? Tu non sei stato perfido? Tu non mi hai mollata per tornare da Gwen proprio quando la nostra relazione era diventata quantomeno stabile? – lo incalzò Courtney, sporgendosi verso di lui.
– Ero spaventato dall’eventualità di ess-…
– Va’ a quel paese, Duncan. Sai qual è il punto? Che nel mio cervello il nostro amore è rimasto fermo al condizionale, a quello che saremmo potuti essere.
– Non è una lezione di grammatica, questa – sbottò l’uomo, alzando gli occhi al cielo. Courtney ridacchiò.
– Non sei mai stato bravo con la grammatica – mormorò lei, con le labbra incurvate in un sorriso. Duncan le sorride di rimando.
– C’eri sempre tu pronta a correggermi. Non avevo certo bisogno di lezioni private – rispose lui, rilassandosi. Courtney lo guardò, fissando i suoi occhi azzurri e in quel momento sereni. E avvertì che non c’era nulla di sbagliato nel fatto che le loro mani si erano ritrovate all’improvviso intrecciate e che le loro bocche erano a pochi centimetri di distanza.
Gwen.
Courtney sciolse la stretta che legava le loro mani e si allontanò di scatto. Duncan sgranò per un secondo gli occhi, poi si ricompose.
– Non va proprio, vero? – mormorò l’uomo, sorridendole quasi a forza. Courtney abbassò lo sguardo e poi iniziò a strillare, a un passo dall’isteria.
– Sei fuggito con Gwen. Te la sarai trombata in ogni singola camera d’albergo di ogni singola città europea che avete visitato. Continui a dare ripassate a qualunque donna abbia le gambe spalancate dalla nascita. E pretendi che io mi lasci abbindolare da qualche bella parola – urlò la donna, dopo essersi alzata in piedi. Duncan la ascoltò con espressione neutra. Nel bel mezzo del rimprovero si alzò e si diresse verso la porta. Prima di chiudersela alle spalle, mormorò a Courtney poche parole.
– Se ti stai ancora chiedendo perché sono scappato tre anni fa, hai appena trovato la risposta, Principessa.
***
Courtney, dopo aver ascoltato quella velata dichiarazione che Duncan le aveva fatto su Radio Voice, non riusciva decisamente a dormire. Mezzanotte era passata da un bel pezzo e l'alba di una nuova giornata faceva capolino.
Un sabato come quelli che aveva passato per tre anni, se si escludeva che Duncan era tornato, che Duncan sembrava ragionevolmente essere attratto da lei e che un maniaco la tampinava senza un motivo ben preciso, a meno che nel suo volto non avesse rivisto l'infantile beltà di Giulietta.
Tuttavia, quella notte, Courtney si sentiva tutto meno che bella e infantile, con le occhiaie gonfie sotto gli occhi castani e la totale incapacità di articolare pensieri diversi da quello di lei e Duncan su quel divano (se qualche ora prima lo avesse baciato, certo.) Un moto di sconforto sembrò pervaderla quando, qualche minuto o forse qualche ora dopo, l'ovvietà della situazione in cui si era ritrovata le apparve dinanzi, chiara e velenosa: Duncan voleva soltanto scoparsela.
Con stizza crescente, si avvicinò al lavabo per afferrare una tazza pulita e vi versò dentro una ragionevole quantità di caffè lungo e freddo, per berlo poi rapidamente. Che non volesse dormire, lo testimoniavano anche i suoi occhi: le pupille nere si confondevano con l'iride scura, il bianco della cornea aveva acquisito una strana sfumatura rossastra su cui risaltava qualche capillare.
E, forse per rendere quella regale visione ancora più terribile, Courtney decise che era proprio giunto il momento di scaricare la nuova posta elettronica.
Solitamente le inviavano quelle mail inutili in cui si pubblicizzava di tutto: dai vibratori al sapore di violetta a sale da cucina aromatizzato al bergamotto. Avrebbe messo a ferro e fuoco il mondo pur di non dormire, per non ritrovarsi la faccia da schiaffi di Duncan ad aleggiare nei suoi sogni, per non ritrovarsi a immaginare il sapore dei suoi baci onirici.
Fortunatamente, a interrompere le sue malevole fantasie, ci fu il segnale sonoro che testimoniava come la sua connessione alla rete fosse perfettamente attiva e funzionante, pronta per essere utilizzata. Digitò rapidamente un indirizzo di un server di posta elettronica, digitò altrettanto rapidamente username e password e si ritrovò a scorrere una lista di settantanove nuove mail.
Se avesse dato retta soltanto alla metà di quello che le era arrivato, doveva considerarsi la persona più fortunata a questo mondo: vincite di fantomatiche lotterie, benedizioni direttamente dall'Altissimo, super sconti solo per lei...
Poi, in tutto quel ciarpame da cestinare, scorse una mail inviata da uno strano indirizzo: romeo_s_still_alive@gmail.com.
Con mani tremanti, cliccò due volte sulla mail che, come oggetto, aveva un semplicissimo "Tu". Un secondo dopo apparve il messaggio in essa contenuto. Courtney si apprestò a leggere le prime righe, rabbrividendo visibilmente.
 
"Cara Courtney,
finalmente mi decido ad abbandonare i voli pindarici del compianto William nonché le sue parole che mi scaldano la voce come pura poesia, per scriverti di mia mano. Come ben sai, l'antica arte del corteggiamento prevede rose, regali, sillabe sussurrate all'orecchio del futuro amante, presagio delle dolcezze dell'amore carnale e della beatitudine della vita coniugale.
So che potresti avere timore di me, ma sono un uomo che saprà difenderti dalle inside della vita. Se me lo permetterai, ti darò in dono ricchezze senza tempo e ti supplicherò di fuggire con me, alla volta delle mie dimore centenarie, chiamate dalla maggior parte con il volgare nome di "castelli".
Assaggeremo i nostri frutti su tappeti di Persia e d'Oriente, tra le favolose stoffe dell'antica Venezia, risorta dai mari come monito di ricchezza, su lussuosi cuscini di seta pregiata.


La mandibola di Courtney si abbassò di qualche centimetro.

Accarezzerò i tuoi capelli luminosi e ti osserverò ridere come facevi questa mattina, circondata da volgari gerani, all'indirizzo di un baldo giovane che - non temere, amor mio - presto non sarà più d'ostacolo per il nostro amore.
 
– Merda, Matt – sussurrò, d'istinto, Courtney.
 
Accarezzerò le tue mani scure, ornate da quel semplice anello che oggi portavi, per riempirle di diamanti, splendenti e perfetti, immortali e lussuosi, come te.

Gli occhi di Courtney si abbassarono sulla sua mano sinistra, là dove un semplice tris di ametiste risplendeva. Strinse il pugno, con forza.
 
Navigheremo mari sconosciuti e tu ne sarai la regina, amore. Tu, che hai rapito il mio cuore e hai buttato la chiave. Tu, che hai silenziosamente cambiato il mio concetto di gravità: sei tu, amor mio, che mi tieni ancora legato a questa terra mortale. Tu, con il tuo candore e la tua bellezza da Madonna. Permettimi di amarti.
                                                                                                                                                                                                                               Sinceramente tuo,
                                                                                                                                                                                                                                                 Romeo" 

                                                                                                                   
Una rabbia accecante si impossessò di Courtney, la quale, con uno scatto fulmineo, si alzò dalla sedia e iniziò a chiudere ogni singola fessura potesse esserci in quella casa. Per un secondo pensò bene di andare a recuperare la pistola con cui, qualche anno fa, si allenava al poligono, ma ciò significava scendere nelle cantine del palazzo, esponendosi a rischi inutili. Avrebbe denunciato il maniaco, decisamente.
Prese un coltellaccio da cucina e si appostò dietro la porta, pronta a passare lì quel che restava della notte, se fosse stato necessario.
***
Il sabato passò senza particolari intoppi. Courtney decise finalmente di andare a riposare, perché proprio non ce la faceva a stare in piedi un secondo di più. Quando si risvegliò, ed era davvero molto tardi, decise, per il suo bene, di uscire.
Certo, ormai era un avvocato navigato che stava per ereditare una società legale fruttifera, e certo, andare in un volgare pub o in una discoteca non era alla sua altezza, ma sentiva il bisogno quasi primitivo di uscire a fare baldoria per sfogare nella maniera meno elegante del mondo la rabbia, il terrore, la frustrazione che gli ultimi avvenimenti avevano causato. Indecisa se chiamare Matt per farsi accompagnare, decise infine che avere al suo fianco un uomo forte e muscoloso come lui avrebbe sicuramente fatto vacillare i propositi del maniaco, che lei immaginava come rachitico, nervoso e anche povero.
Matt, come di consueto, rispose al secondo squillo e fu ben felice di accettare l'invito della donna. La situazione, tra loro, stava prendendo una sorta di piega inaspettata, si disse Courtney mentre si infilava un tubino nero.
C'era come una sorta di dipendenza reciproca: Courtney, e questa consapevolezza la lasciò basita, non era stata nemmeno sfiorata dalla possibilità di chiamare Duncan. Matt era stata la prima persona che le aveva ispirato quel senso di protezione a cui tanto anelava.
Passò a prenderla alle venti un punto, bello ed elegante come sempre. Strabuzzò per un attimo gli occhi davanti alla figura esile di Courtney, fasciata da quel tubino nero e saldamente ancorata a un paio di sandali dorati che le regalavano molti centimetri. I capelli, per una volta raccolti, ricadevano in onde morbide ai lati del viso.
– Sei... Stupenda – balbettò Matt, squadrandola da capo a piedi. Courtney si sentì arrossire e fece appena un cenno come ringraziamento.
Mangiarono in un ristorante di lusso con vista sul Parlamento canadese, chiacchierando del più e del meno. Matt, notò Courtney, sembrava molto più rilassato rispetto a quella mattina, e molto più appetibile.
Con l'aiuto di una qualche divinità, probabilmente avrebbero finito per rotolarsi su quello stesso divano su cui lei aveva deciso di rotolarsi con Duncan.
E quando ripresero l'auto e Matt la sospinse gentilmente verso il posto del passeggero, indugiando con la mano calda sul suo fianco, Courtney seppe che quello scenario paradisiaco non doveva essere poi così lontano.
– Vogliamo bere qualcosa? – domandò l'uomo, osservando con un certo compiacimento le loro mani intrecciate sulla leva del cambio. Courtney alzò gli occhi e gli sorrise.
– Certo, per me va bene – rispose con semplicità, osservando di sottecchi quell'intreccio spettacolare e godendosi la sensazione della pelle di Matt sulla sua. Stava fantasticando già da un bel pezzo ed era già arrivata a una parte piuttosto eccitante, quando Matt parcheggiò l'automobile e la invitò a scendere. Courtney, risvegliatasi da quelle fantasie e lievemente frastornata, fu ben lieta di appoggiarsi al suo braccio per essere sostenuta mentre entravano in un locale chic.
Courtney si sentì straordinariamente bene, almeno fino a quando non riuscì a scorgere, nella penombra del locale, due figure molto familiari.
Duncan e Gwen.
Non avrebbe potuto giurare che fossero esattamente loro, ma un senso di malessere la pervase. Quasi le mancava l'aria.
– Andiamo via, ti prego – sussurrò a Matt, ma non gli diede nemmeno il tempo di rispondere. Era già fuggita via.

   
 
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